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Autore: Astrea_    18/08/2013    1 recensioni
[Dal primo capitolo]
Sapevano che erano esattamente come tante piccole mine vaganti, senza passato né futuro, anime che si affannavano per sopravvivere, che si sbracciavano per rimanere a galla nell’oceano increspato della vita. Si sforzavano di cercare contatti, di trovare stabilità, amore ed affetto. Fingevano di comprendersi, di esserci l’uno per l’altro, di essere uniti, ma in realtà sapevano di essere terribilmente soli. Non erano un gruppo, ma solo l’unione di individualità problematiche, di adolescenti troppo presi ad affrontare le difficoltà del piccolo mondo nel quale si rinchiudevano. Erano fragili, talmente tanto che sarebbe bastata una sola folata di vento per raderli al suolo, ridurli a brandelli. Erano forti, tanto forti da mascherare le loro più grandi paure, l’incolmabile vuoto che sentivano nei loro petti e nelle loro menti.
STORIA ISPIRATA ALLA SERIE TELEVISIVA "SKINS".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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s3





LOUIS



“Louis, Louis!”, la voce di Zayn riecheggiava nella stanza. “Louis, cazzo!”, imprecò alzando il tono di voce. “Svegliati!”, gli ordinò tirando con un unico e secco gesto le coperte tra le quali il corpo dell’amico era avvolto.

Le tapparelle delle grandi finestre della camera di Zayn erano quasi del tutto abbassate, lasciavano entrare solo qualche fioco raggio di luce. La testa di Louis pulsava maledettamente ed anche quel lieve bagliore sembrava irritare gli occhi ancora socchiusi. Faceva fatica persino a spalancare le palpebre e, in questo, le conseguenze degli eccessi della sera precedente non lo avrebbero aiutato affatto.
Avrebbe voluto continuare a poltrire su quel materasso, fregandosene della scuola, fregandosene della madre che probabilmente lo aspettava preoccupata a casa.
“Voglio dormire.”, si lamentò in un mugolio contro il cuscino che sapeva di fresco.
“Potevi pensarci prima, ora è tardi.”, tagliò corto Zayn avvicinandosi alle finestre per aprirle del tutto.
“Spegni quella cazzo di luce.”, bofonchiò a denti stretti, rigirandosi su se stesso.
“Si chiama sole, è quella sfera che sorge all’alba. Ne hai mai sentito parlare?”, lo prese in giro Zayn, mentre si avvicinava al grande e capiente armadio della sua camera per estrarne degli indumenti puliti che avrebbe poi prestato al suo amico.
“Che ore sono?”, chiese Louis in uno sbadiglio che non si preoccupò di coprire.
“Le sette e mezzo.”, gli comunicò l’altro afferrando lo zaino nero dal pavimento.
“Cos’è successo ieri sera?”, domandò ancora il castano, probabilmente realizzando di non trovarsi a casa sua.
“Siamo andati in discoteca, sei sparito. Io ed Harry ti abbiamo cercato, eri a Trafalgar Square. Charlie ti ha mandato a ‘fanculo. Ho chiamato tua madre, l’ho rassicurata e ti ho portato a casa mia. Fine della storia.”, raccontò Zayn quasi come se stesse facendo un dettato, essenziale e chiaro almeno quanto un comunicato stampa.
Il suo resoconto era breve e conciso, nessun fronzolo.
“Ho ancora la memoria annebbiata.”, confessò con rammarico grattandosi la nuca.
“Avrai tempo per rifletterci, per ora pensa a prepararti.”, replicò duro, gettandogli i vestiti che aveva precedentemente scelto per lui.
Louis aveva decisamente bisogno di una doccia fredda, ghiacciata. Seppur controvoglia si alzò dal letto e si diresse in bagno, deciso a rendersi quantomeno presentabile.
Nonostante fosse stato piuttosto veloce nel sistemarsi, Louis e Zayn arrivarono con un discreto ritardo a scuola. Gli studenti erano già tutti entrati e le lezioni erano cominciate da circa una quindicina di minuti quando oltrepassarono la porta d’ingresso principale del Kensington & Chelsea College.
Louis non era affatto preoccupato di ciò, piuttosto temeva l’imminente incontro con Charlotte. Avevano già litigato decine e decine di volte per quello stesso ed identico motivo, ma quella mattina c’era qualcosa di strano dell’aria. Charlie non l’aveva chiamato di buon ora, facendolo sobbalzare per lo spavento, solo per assicurarsi delle sue condizioni fisiche. In alcune occasioni non si erano parlati per giorni a causa della stronzata di turno commessa da Louis in un momento di particolare euforia, altre erano finiti per fare sesso nel primo luogo appartato. Controllò la scheda contenente gli orari dei corsi, rallegrandosi nel verificare che non l’avrebbe incontrata prima della pausa.
Aveva bisogno di tempo per trovare le giuste parole, per preparare un discorso decente intriso d’amore per la sua ragazza.
Louis amava con tutto il cuore Charlie, l’amava talmente tanto che ne sarebbe morto d’amore. Tuttavia era perfettamente consapevole del fatto che lei non meritasse una vita del genere, ricolma di strazio e angosce.
Una volta Charlotte le aveva descritto la loro relazione: era come andare sulle montagne russe. Non c’erano previsioni che tenessero. Un attimo prima era la cosa più bella e divertente del mondo, mentre quello successivo diventava terrorizzante. C’era sempre una discesa improvvisa pronta a lasciarla con il fiato sospeso, il cuore in gola per la paura e lo stomaco aggrovigliato. E subito dopo c’era un sorriso, quel sorriso che seguiva ogni piccola grande emozione che nasceva quando il panico l’abbandonava. Ma quel momento, quell’apparente tranquillità era destinata ad infrangersi nuovamente. Era un pendolo, il loro. Un pendolo che oscillava tra il riso e la tensione.
Louis si chiedeva ancora come Charlie riuscisse a sostenere una situazione del genere con tanta maestria. Probabilmente qualsiasi altra ragazza lo avrebbe mollato, lasciato solo ad affrontare la sua fottuta ed incasinata vita, ma lei no. Charlotte era rimasta. Non aveva chiesto nulla in cambio, ma si era offerta, gli aveva offerto il suo amore, il dono più grande che potesse fargli.
Al suonare della quarta campanella Louis sobbalzò, consapevole che fosse giunto il momento. Si alzò senza neppure salutare Harry, che lo aveva affiancato durante il corso di francese, e si diresse verso i giardinetti dove erano soliti incontrarsi.
Charlotte era già lì ad attenderlo. Indossava una semplice maglietta bianca, dei jeans chiari ed uno strano giacchetto grigio. Era seduta sul muretto che costeggiava il prato. Aveva le gambe accavallate ed il viso rivolto verso il basso. Con una mano giocherellava con l’estremità rosa di una ciocca dei suoi capelli. Era bellissima.
“Ciao.”, esordì Louis con un sorriso, mentre prendeva posto accanto a lei.
Sapeva perfettamente che una delle parole d’ordine con Charlie era la cautela. La sua ragazza era come un ordigno, una piccola, ma potente bomba che doveva essere maneggiata con cura per non farla esplodere.
Charlotte non rispose, ma si pietrificò all’istante nel percepire la presenza di Louis alla sua sinistra. Non aveva affatto dormito quella notte, mille pensieri le avevano affollato la mente, mille pensieri che non era riuscita a zittire e che l’avevano resa insonne.
“So che ieri sera io…”, iniziò a dire lui, ma fu bloccato dallo sguardo gelido della ragazza.
“Sono stanca delle tue scuse.”, sentenziò a labbra serrate, compiendo un palese sforzo per rimanere tranquilla e stemperare la rabbia furente che cresceva dentro di lei.
“Hai ragione, io…”, provò nuovamente Louis dopo qualche secondo di assoluto silenzio.
“Sono stanca anche delle tue promesse.”, aggiunse senza permettergli di continuare.
Il battito del cuore di Louis rimbombava nel petto del ragazzo. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe giunto.
“Mi stai distruggendo, Lou. Il tuo amore, il mio amore mi sta annientando.”, ammise con un filo di voce, spaventata dalle sue stesse parole.
Le continue attese, le pene, la mancanza di spiegazioni le stavano divorando l’anima, la rendevano debole e vulnerabile.
“Quando ci siamo messi insieme pensavo di aver trovato un ragazzo, non un bambino da controllare a vista d’occhio.”, spiegò.
Quelle parole, maledettamente vere, facevano male ad entrambi.
“Credo di non essere pronta per tutto questo, credo di non poter reggere ulteriormente questa situazione.”, aggiunse provando a guardare di sottecchi Louis.
Voleva leggere sul suo viso una reazione, voleva capire cosa stesse pensando, ma tutto ciò che vide fu un sorriso sbieco e rassegnato.
“Mi stai lasciando?”, chiese allora per fare chiarezza su quel breve discorso.
Charlie non rispose.
Louis si chiese se era quella la sensazione che si provava quando si moriva. Quella sensazione di vuoto, di insensibilità, di buio che lo attanagliava.
“’Fanculo.”, sbottò poi, all’improvviso.
Si alzò di scatto e corse, corse. Non gli importava dove, non gli interessava della scuola o delle assenze. L’unica persona che lo avesse mai amato, l’aveva appena piantato.
Louis non ricordava neppure più com’era essere soli al mondo. Ci aveva impiegato una vita per scacciar via quella sensazione ed ora avrebbe voluto non averlo mai fatto. Sentiva la mancanza, sentiva il dolore, sentiva il cuore frantumarsi e tutto ciò faceva male.
Non ricordava neppure più cosa significasse perdere qualcuno, non sapeva come si piangesse. Lui aveva combattuto arduamente per diventare quel ragazzo giocherellone, il cazzone, quello pronto a far battute, a ridere e scherzare, che non sapeva cosa fosse la tristezza.
Ma in realtà Louis la conosceva bene. L’aveva incontrata per la prima volta una domenica mattina di molti anni fa, quando si era recato nella stanza dei suoi genitori, si era tuffato sul materasso del letto matrimoniale ed aveva trovato solo sua madre che piangeva, cercando di soffocare i singhiozzi nel cuscino.
Suo padre li aveva abbandonati, era fuggito via con un’altra. L’ultima volta che Louis aveva veramente sentito qualcosa di forte era stato quando suo padre era tornato, ma con lui c’erano la sua nuova compagna e la loro piccola ed adorabile figlioletta. La visione di quel quadretto idilliaco lo aveva perseguitato per mesi. Continuava a domandarsi perché fosse andato via, perché preferisse quella nanerottola appena nata a lui, l’unico figlio maschio al quale aveva persino insegnato ad andare in bici e a giocare a calcio. Dopo quella volta non lo aveva mai più visto e, forse, in parte si era anche rassegnato all’idea.
Non sapeva neppure come ci fosse entrato in quel dannato giro che Charlie odiava tanto. Non riusciva a capacitarsi di come la sua vita fosse gradualmente degenerata, fino a raggiungere i limiti della decenza. L’unico punto saldo, fisso nella sua scombussolata ed altalenante vita era stato Zayn. Certo, fino a pochi attimi prima avrebbe dovuto aggiungere anche Charlotte, ma se ne era appena tirata fuori. Zayn era stato un amico fidato per lui. Lo aveva difeso, aiutato, si era preoccupato per lui e continuava a farlo, esattamente come durante la notte precedente. Non era un ragazzo di molte parole, i loro caratteri erano diametralmente opposti, ma per qualche strana ragione riuscivano a comprendersi sempre.
Louis corse e corse ancora, ormai aveva il fiato corto, ma continuava a muovere un passo dopo l’altro.
“’Fanculo!”, urlò al cielo. “’Fanculo!”, ripeté più convinto di prima, beccandosi l’occhiataccia della signora che passeggiava con in braccio una bambina.
“Vaffanculo.”, sussurrò liberandosi, anche se in minima parte, dell’opprimente peso che incombeva su di lui.
Charlotte si sentiva profondamente in colpa per le parole dette a Louis. Sapeva quanto fragile fosse e sapeva quanto egoista fosse stato il suo comportamento, ma se ne vedeva costretta.
Magari avrebbe potuto continuare a vegliare a distanza su di lui, poi a tempo debito si sarebbero riavvicinati da amici.
“Hai chiarito con Louis?”, le chiese Margaret in un sussurro, ignorando completamente la spiegazione del professoressa del corso di storia.
Tra le due si era subito instaurata un’innata e sincera complicità che le aveva spinte ad avvicinarsi l’una all’altra.
“Ci siamo lasciati.”, ammise Charlie, giocherellando con la matita.
Ogni qualvolta fosse nervosa Charlie prendeva a concentrare l’attenzione sugli intrecci frenetici delle sue dita, sulle punte dei suoi capelli o sulle matite che trovava a portata di mano.
Quella notizia sorprese Margaret. Per quanto poco conoscesse quella storia ed i suoi protagonisti, di certo non si sarebbe aspetta un finale del genere, ma comprendeva perfettamente le ragioni di Charlotte.
“Lui come l’ha presa?”, domandò con un filo di voce, stando attenta a non farsi sentire da nessuno eccetto Charlie.
“È corso via.”, rispose con rammarico l’altra, prendendo a scarabocchiare sul foglio ancora bianco del quaderno a righe che teneva aperto sul banco.
“Dagli tempo, capirà.”, la rassicurò Margaret, accennando appena ad un sorriso di supporto.
Harry continuava a sbirciare dall’esterno la figura di Margaret, seduta in terza fila, vicino alla finestra.
Era uscito di proposito dalla sua aula per vederla. Certo, Liam aveva giocato un ruolo piuttosto importante in quella decisone, ma alla fine era lui che aveva optato per recarsi realmente presso la meta stabilita. Avrebbe potuto fingere, rintanandosi semplicemente nel bagno, ma per quella volta pensò che sarebbe stato meglio rischiare ed essere sconfitti, piuttosto che sventolar bandiera bianca ancor prima di averci provato.
Aspettava il momento perfetto, quello in cui i loro sguardi si sarebbero incontrati. Lui le avrebbe fatto cenno con la mano di uscire dalla classe, lei lo avrebbe raggiunto e si sarebbero dati appuntamento per la sera stessa.
Nella mente di Harry tutto si ripeteva come le scene di un film, progettate e non ancora girate.
Gli piaceva Margaret, ma, soprattutto, gli piaceva l’idea che a lei piacesse lui.
“Hai intenzione di fissarla ancora per molto prima di rivolgerle la parola?”, la voce fredda di Audrey fece trasalire Harry, che quasi perse l’equilibrio sul muretto sul quale era salito per avere una visuale migliore.
“Potresti evitare di spuntare alle spalle? Mi hai quasi fatto prendere un infarto.”, si lamentò, consapevole di essere stato colto in flagrante.
Audrey fece spallucce e si avvicinò al muro dell’edificio.
“Eri troppo intento ad osservare la tua bella per accorgerti dell’arrivo di chiunque.”, gli fece notare con tono che non ammetteva repliche.
Con un balzo Harry scese dal muretto, poi si passò una mano tra i capelli con fare nervoso.
“Perché non sei in classe?”, le chiese arricciando gli occhi.
“Pausa sigaretta.”, rispose tirandone fuori una dal pacchetto che teneva nella tasca del giubbino che indossava.
Audrey la accese e ne ispirò il tabacco in un primo profondo tiro.
“Vuoi?”, disse poi, per offrirne una anche al ragazzo.
“No, grazie.”, rifiutò Harry, ancora preoccupato.
Non conosceva bene Audrey e non sapeva quanto e cosa avrebbe potuto raccontare di ciò che aveva appena visto. Aveva già fatto troppe volte la figura dell’idiota e non voleva dover aggiornare l’elenco.
“Ti piace Margaret?”, domandò Audrey, spezzando il silenzio che si era creato.
Aveva il vizio di giungere subito al succo della questione, alla sostanza delle cose.
Harry deglutì, incerto sulla risposta che avrebbe dovuto dare.
“Credo di sì.”, ammise infine.
Audrey fece un mezzo sorriso, insoddisfatta, mentre portava nuovamente la sigaretta alle labbra.
“Piace a te o è Liam che l’ha deciso?”, lo provocò ancora con un ghigno.
Quello era un altro dei tanti difetti di Audrey: dire esattamente ciò che pensava nell’esatto momento in cui quel pensiero veniva concepito. Era una discreta osservatrice, ma conosceva fin troppo bene il ragazzo di sua sorella.
Quelle parole fecero riflettere Harry. Era da tempo che ci pensava, che rimuginava su quanto ed in quale misura Liam influisse sulle sue decisioni. Margaret era una bella ragazza, ma non era stato lui a notarla. Le era piaciuto ballare con lei, ma non era stato lui ad invitarla ed ora si ritrovava a pochi metri dalla finestra che dava sulla sua aula in attesa che potesse parlare, esattamente come Liam gli aveva suggerito.
“A me piace.”, borbottò senza rispondere in modo esaustivo.
L’espressione di Audrey si piegò in una strana smorfia che Harry non riuscì a decifrare.
Continuò a fumare la sua sigaretta senza aggiungere altro, rimanendo in silenzio, con lo sguardo perso nel poco verde che li circondava.
Quando l’ebbe terminata gettò la cicca a terra, poi puntò i suoi occhi scuri in quelli chiari di Harry.
“Lascia perdere i suoi consigli. La vita è la tua, fai le tue scelte, commetti i tuoi errori, almeno sarai stato tu a volerli.”, disse abbandonando per la prima volta quei suoi modi scontrosi.
Gli sorrise appena, poi si voltò decisa a rientrare in classe.
Harry ancora la guardava mentre camminava verso la porta del corridoio dell’ala sinistra.
“Audrey, finalmente ti ho trovata!”, trillò entusiasta Bree, parandosi davanti alla vista dell’amica.
Il suo umore cambiò repentinamente, trasformandosi da gioioso a riflessivo in pochi secondi.
Gli occhi di Bree erano più sgranati del solito e le pupille saettavano da destra a sinistra, dall’alto al basso.
“Credo che il professore si stia chiedendo dove siamo.”, dichiarò con espressione assente, come se lei fosse fisicamente lì, ma la sua mente fosse completamente altrove.
“Torniamo in classe, ti va?”, propose allora Audrey, afferrandola per un braccio.
Le labbra di Bree si piegarono in un sorriso. Ultimamente era più lunatica del solito e ciò preoccupava non poco Audrey.
“Certo.”, asserì l’altra. “Ma perché parlavi con Harry?”, chiese alla sua migliore amica, avendo notato la presenza del riccio poco più in là.
Audrey si sorprese di quanto assente, ma allo stesso tempo presente Bree riuscisse ad essere.
Quella risposta risultò più complicata del previsto. In realtà non esisteva alcun buon motivo che spiegasse il perché di quella breve conversazione. Audrey lo aveva visto, con la sua solita aria impacciata e aveva pensato di avvicinarsi. Il resto era poi venuto da sé.
“L’ho incontrato per caso.”, si giustificò facendo spallucce.
Rientrarono nell’edificio, poi si accinsero a salire la prima rampa di scale che portava all’aula del corso di psicologia.
“Oggi pomeriggio ci vediamo?”, domandò Audrey alla sua amica per cambiare intenzionalmente discorso.
Bree storse il labbro, facendo presagire una risposta negativa.
“Devo vedermi con il mio analista. Mia madre questo mese ha intensificato le sedute. Dice che con la ripresa della scuola si accumula più stress.”, spiegò. “Magari domani, che ne dici?”, provò a rimediare poco dopo, sorridendole.
“Ci sto.”, confermò Audrey con lo stesso entusiasmo di Bree.
Non voleva farle pesare in alcun modo quella assurda terapia a cui la madre la costringeva ormai quasi da anni.
“Carino Zayn ieri sera, però.”, commentò Bree d’un tratto, prima di spalancare la porta della loro aula.
Rientrarono e, non ascoltando neppure la ramanzina che il docente aveva riservato loro, ripresero posto all’ultima fila di banchi.
“Carino, certo, ma troppo criptico per capire anche solo fino a che punto è incasinato.”, controbatté Audrey in un sussurro quando l’attenzione si focalizzò nuovamente sulla spiegazione tenuta dal professore.
“E quale sarebbe la novità?”, ironizzò allora Bree. “Qui siamo tutti fottutamente incasinati.”, dichiarò quasi in un sospiro, come se quella fosse la cosa più ovvia del mondo, ma allo stesso tempo la più difficile da comprendere.
Ma aveva ragione. Bree aveva decisamente ragione.
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Angolo Autrice
Hola!:D ...terzo capitolo postato e questa volta si parla di Louis!:D Finalmente si è capito qualcosa in più rigurado alla sua personalità.
Innanzitutto c'è da dire che Zayn, tralasciando l'aspetto scontroso, si è dimostrato un buon amico e lo sarà anche in futuro. ;)
Charlie ha messo fine alla sua relazione con Louis, mentre Harry sembra sempre più impacciato!:3
Ed Audrey non perde occasione per cercare di farlo riflettere, ma poi c'è l'arrivo di una lunatica Bree.
Va bene, non credo di avere molto da dire... xD
Comunque, ringrazio chi silenziosamente legge e boh... se vi va lasciate un commento per farmi sapere cosa ne pensate!!
Anche le critiche costruttive sono ben accette!:D
Alla prossima,
                                                             Astrea_







  
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