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Autore: ScandalousLaRabiosa    20/08/2013    1 recensioni
Sono passati ormai molti anni dall'ultimo grande scontro contro la Brotherhood of Evil e molte cose sono cambiate per tutti i Titans: c'è chi si è sposato, chi è tornato al suo pianeta d'origine, chi ha abbandonato la carriera di super eroe e chi, invece, continua a praticarla, nonostante la nuova generazione di eroi.
Kureha, Reila, Kayla ed Angel sono quattro ragazzine di Jump City che vanno a scuola, sognano ad occhi aperti, escono insieme e molto differenti sotto molti aspetti tra loro. Ma una cosa in particolare le accomuna: sono tutte figlie di almeno uno dei Titans e posseggono grandi poteri da controllare.
Il loro sogno è quello di seguire le orme dei genitori e di poter combattere il male. L'arrivo di una misteriosa ragazza dallo spazio che del suo passato ricorda poco, sconvolge a pieno la loro vita, dando loro una possibilità.
Tra guerre, vecchi nemici, nuovi avversari e alleati, segreti sepolti, luci e ombre del passato, inizia la loro avventura da Titans Girls.
(RobinxRaven)
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Raven, Robin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.

Corse più velocemente possibile nel bosco dietro casa, passando per pini e querce che le inebriarono le narici con i profumi delle loro foglie umide.

Corse, sentendosi carica della natura intorno a se, i piedi nudi frementi sul muschio e sul tappeto di foglie cadute per il vento.

I raggi del sole del mezzogiorno le investirono in pieno il viso, quando uscì dal bosco per ritrovarsi nell'ampia distesa di prato verde cangiante, con l'erba che le solleticava le gambe fino alle ginocchia.

Respirò a pieni polmoni quell'aria che sapeva di pace e di vita.

Quell'aria che ogni volta le faceva capire e apprezzare di più il fatto di non essere veramente umana.

Si passò una mano tra i capelli scompigliati dal venticello del giorno, che in quella pianura era musica per le sue orecchie.

Suo padre era andato a correre per tenersi in allenamento, e nel frattempo aveva pensato di passare a prendere qualcosa da portare a casa per pranzo.

Quale occasione migliore per fare un giro nella natura, lontana dalla gente?

Con verso di rimprovero, sentì Shangri saltarle su una spalla.

Prese la grande larva tra le braccia ridacchiando.

-Hai ragione, ti ho lasciato indietro. Mi perdoni?- chiese al suo animaletto domestico, facendogli gli occhioni, sapendo che egli poteva capirlo.

Il bruco rosa e bianco contrasse la grande bocca in una smorfia buffissima, che le fece trattenere un sorriso. E quando Shangri le leccò una guancia con la sua lingua viola, potè essere felice di non essersi sobbarcata il “rancore” del suo animale da compagnia.

-Okay, allora che dici di fare un bel giro, a questo punto?- gli chiese, rimettendoselo sulla spalla.

E senza attendere una risposta, riprese a correre.

Corse, urlò, rotolò per tutta la vallata, con una strana euforia che le correva lungo tutte le vene.

Era bello stare lassù, a Gotham Hill, una tipica località per le vacanze, dove molta gente aveva la casa per andare a scalare i monti, farsi un giro per i boschi o andare giù al lago per svolgere le più svariate attività vacanziere.

Fuori dalla città, in mezzo alla natura e nei posti giusti con neanche un'anima umana in giro.

Come il bosco dietro la sua proprietà.

Si lanciò verso gli alberi all'altro limite della valle, pronta ad una bella arrampicata.

Conta solo su te stessa, non richiamare gli animali, si raccomandò da sola, prima di spiccare un salto, atterrare sul tronco e prende una lunga salita fin quasi la cima. Per fortuna era abbastanza minuta e il suo peso non faceva flettere così tanto il tronco e i rami.

Era come se sapesse a memoria la disposizione di quei rami, da quante volte vi ci si era arrampicata.

Forse aveva imparato prima ad arrampicarsi e poi a camminare.

Anche senza l'aiuto degli animali, il suo corpo era più agile, più forte, più veloce, i suoi sensi più sviluppati.

Preferiva usare la parola richiamare, perché, a differenza di suo padre, lei non si riusciva a trasformare completamente.

Spiccò un salto e atterrò sull'altro albero, poi su quello successivo e poi su quelli successivo ancora.

Rise di cuore di tutta quella libertà.

Quando arrivò alla quercia che cercava, si fermò, sedendosi con calma su un ampio ramo.

Non era tanto diversa dagli altri alberi, ma c'era qualcosa che a lei piaceva.

Poggiò la schiena al tronco, con Shangri sul grembo allegro quanto lei, da quanto muoveva le zampine.

Amava quel bruco. O larva. Non lo sapeva bene definire, dato che era di una razza creata da un vecchio nemico di suo padre.

Aveva portato via una delle sue creature, e l'aveva chiamata Silkye, e un po' era diventato la mascotte dei Titans.

Molti anni in seguito avevano scoperto che quell'animaletto era ermafrodito, infatti, dopo essere vissuto svariati anni più di un animale normale, aveva deposto un solo uovo, e così era nato Shangri, il suo compagno fedele. Silkye era morto non molto tempo dopo, purtroppo.

Si frugò nella tasca dei pantaloncini e ne tirò fuori quel che ne rimaneva dei biscotti preferiti suoi e di Shangri.

L'animale saltellò felice alla vista del cibo.

-Sei sempre il solito ciccione, non fai altro che mangiare!- lo derise affettuosamente, porgendogli uno dei suoi biscotti.

Shangri si bloccò poco prima di afferrarlo e assunse una posa tesa, prendendo a guardarsi intorno.

Lui che si bloccava davanti al cibo?

-Che ti prende, Shangri?- doveva esserci qualcosa di davvero strano, se iniziava a comportarsi così.

Poi, alzando lo sguardo oltre le fronde degli alberi, capì cosa ci fosse di così strano: una spessa linea di fumo grigiastro stava dividendo in due quel cielo così perfetto.

Una delle due estremità si stava allungando a grande velocità, dipingendo una curiosa parabola tendente al basso.

-Un aereo?- si chiese, alzandosi preoccupata.

Un forte boato esplose in tutto il bosco, probabilmente mettendo in allerta qualsiasi essere vivente nei dintorni, compresi lei e il suo animaletto.

Qualsiasi cosa sia, non è caduta tanto distante...

-Andiamo a vedere, Shangri, potrebbe esserci bisogno del nostro aiuto!

Prese in braccio la larva e riprese a saltare da un albero all'altro, in direzione dell'oggetto caduto.

L'aria isolata era molto vasta, quindi probabilmente ce ne sarebbe voluto di tempo prima dell'arrivo di dei soccorsi.

Si concentrò, doveva fare più in fretta.

Richiama la scimmia.

Le mani diventarono più forti, le braccia e le gambe più pelose, la posa più arcuata, la faccia le si allungò, simile ad un muso, i denti si pronunciarono e in fondo alla schiena le scivolò fuori una lunga coda castana.

Accelerò il passo, servendosi della coda e della possibilità di saltare da un albero all'altro a quattro zampe.

Quando fu abbastanza vicina alla spirale di fumo che si alzava dal punto dove l'oggetto era atterrato, si fermò, restando stupita.

Tutto intorno ad un cratere, nel cui interno si riuscivano a distinguere solo fiamme e fumo, vi erano alberi sradicati, spezzati e terreni ribaltati.

Niente aveva ancora preso fuoco, per fortuna.

Scese dall'albero, dissolvendo la scimmia.

Shangri, sulla sua spalla, tremava.

-Cosa ci sarà la in mezzo?- gli chiese, avvicinandosi molto lentamente.

Il cratere era abbastanza profondo e anche piuttosto largo: doveva essere caduto da davvero in alto.

E se fosse un'astronave aliena? Si chiese titubante, constatando che l'oggetto non sembrava nessun veicolo volante terrestre che lei conoscesse. Certo, forse quell'idea sarebbe sembrata sciocca, vista da un'altra persona, ma vista la famiglia da cui discendeva e da tutte le avventure soprannaturali che i suoi avevano affrontato, non sarebbe sembrato tanto assurdo l'arrivo degli extraterrestri.

-Chissà se ci sarà qualcuno li dentro...

Shangri mordicchiò la sua manica corta, quasi cercando di fermarla, di non farla andare incontro al presunto UFO. Forse doveva fidarsi dell'istinto del suo piccolo compare, visto che gli animali avevano un sesto senso migliore degli umani, però...

-Oh, andiamo, non succederà niente di male se diamo un'occhiata.- gli disse, posandolo a terra, viste le storie che faceva.

-Tu aspettami qui, fifone.

Si avvicinò pian piano all'orlo del cratere, accucciandosi a cercare di capire cosa ci fosse oltre tutte quelle fiamme.

Non era facile dargli una forma, dato che era chiaro quanto fosse malridotta e come mancassero alcune parti spezzate.

Oltre lo scoppiettare delle fiamme, un rumore rimbombante, proveniente da dentro la navicella, la ridestò dai suoi pensieri.

-C'è qualcuno vivo, li dentro!- esclamò diretta a Shangri, il quale si fece ancora più piccolo vicino ad un albero.

Il rumore stridente del ferro che si lacera le ferì le orecchie, e riuscì a balzare all'indietro appena in tempo grazie solo al suo istinto, cadendo malamente a terra.

Da fuori uno squarcio della nave, con un grande salto, le era atterrato di fronte l'essere più ripugnante che avesse mai visto.

Era altro almeno due metri, con un corpo molto possente, ricoperto da una peluria nera così folta da farle ricordare un gorilla. Da quelle che sembravano mani, per ogni dito aveva unghie nere lucide tanto lunghe e sottili da farle sembrare spade letali.

La testa, anch'essa nera, aveva ai lati due lunghe orecchie a punta, un muso allungato, dove spuntava una lunga lingua da formichiere e denti sottili come aghi.

Due occhi distanti di un blu pallido che la fissavano spietati, quasi l'avesse scelta come sua prossima vittima.

Emetteva suoni striduli, come unghie su una lavagna, che la fecero rabbrividire.

Era paralizzata, non aveva idea di come reagire.

Il suo cervello riusciva a registrare solo una cosa: pericolo.

Il mostro alieno sollevò la mano artigliate e la fece scattare contro di lei.

Di nuovo per istinto, scattò indietro come meglio potè, ma l'essere fu di nuovo su di lei.

Questa volta non avrebbe sbagliato.

Fissò gli artigli mentre le andavano incontro.

Solo quando si accorse che quelle spade erano a pochi centimetri dal suo viso, immobili, riprese a respirare e a sentire tutto ciò che le stava accadendo intorno.

I versi del mostro si trasformarono i gridi agonizzanti ancora più acuti e insopportabile, mentre una strana sostanza violacea gli colava giù da uno squarcio nel petto e gocciolava sui suoi vestiti. Sangue.

Dallo squarcio nel petto, zampillò fuori un grande schizzo di sangue che spruzzò sulla sua faccia, mentre una mano minuta prendeva da dietro una spalla dell'alieno e lo spingeva a lato.

Ormai era poco più che un cadavere agonizzante che si sarebbe spento in poco tempo.

Alzò lo sguardo sulla persona che l'aveva appena salvata: era una ragazza, non tanto più grande di lei, con lunghi capelli rosso fiamma, simili ad una cometa, che scendevano in morbidi boccoli sulle spalle. Pelle dorata, labbra disegnate socchiuse per il fiatone... Decisamente quella che si definiva una ragazza troppo bella per essere descritta a parole.

Portava uno strano completo spaziale viola e metallizzato, tuttavia non era questo ad attirare di più l'attenzione: la prima cosa, era una grande abbondanza di sangue che le usciva da un lato della testa e un'ampia ferita alla spalla sanguinolenta, per non parlare del sangue viola dell'alieno che aveva sui vestiti e su tutte le braccia; la seconda erano gli occhi verdi brillanti, accesi come due fiamme di smeraldo. Occhi con una luce incosciente, perché non avevano niente che sembrasse consapevole di ciò che stava succedendo.

E' svenuta? Si chiese senza fiato almeno quanto la ragazza, non riuscendo a regolarizzare il battito ne a rilassare i muscoli.

Come risposta, la ragazza misteriosa cadde in ginocchio e si accasciò davanti a lei, inerme.

Non seppe quanto tempo rimase li, con le orecchie fischianti, tutti i muscoli tesi e gli occhi che andavano velocemente dall'alieno alla ragazza, finchè Shangri non uscì timidamente da un cespuglio e le si strusciò contro il braccio come a rassicurarla.

-Sono viva...- fu l'unica cosa che riuscì a dire quando si riprese. Era stata una cosa talmente improvvisa che non aveva avuto nemmeno il tempo di difendersi o richiamare gli animali.

Si avvicinò piano al corpo svenuto della ragazza, constatando quanto non avesse un bell'aspetto.

Con quelle ferite, probabilmente non sarebbe resistita molto. E chissà quanto fumo aveva respirato...

-Dobbiamo avvertire subito papà, lui saprà cosa fare. Ha già avuto a che fare con gli alieni, e lei mi ha salvata, quindi... All'alieno e alla nave penseremo dopo.- disse rivolta a Shangri che la guardava un po' preoccupato. Okay, forse perché ciò che aveva appena detto suonava più come un ragionamento ad alta voce...

Prese la ragazza per i fianchi il più delicatamente possibile, anche se questa, inerme, non sembrava farci caso.

Con un rapido gesto se la caricò in spalla, richiamando a se il gorilla, per irrobustire e potenziare il suo corpo e poter passare da un albero all'altro velocemente verso casa.

Con la mano libera prese anche Shangri, iniziando una furiosa scalata da un albero all'altro, in direzione opposta a quella in cui si era diretta pochi minuti prima.

Attraversò la boscaglia così velocemente che in poco tempo fu a correre nella pianura, senza questa volta fermarsi, per poi prendere a saltare sugli altri alberi, finchè tra le fronde degli alberi non vide la casa fatta in gran parte in legno sua e di suo padre.

Intravedendo la finestra di camera sua al piano di sopra aperta, decise di passare per di lì, tanto per fare prima.

Poggiò la ragazza, sempre svenuta e sempre più pallida e sempre più grondante sangue di ogni colore sul suo letto, riprendendo la sua forma normale, non curandosi di essere sporca-anche se ciò la fece rabbrividire- e correndo al piano di sotto, sentendo la porta d'ingresso sbattere.

-Shangri, bada a lei!- urlò alla larva sul suo comodino, non stando ad osservare la sua reazione.

-Papà!- urlò balzando nel corridoio d'ingresso.

-Ehi! Ancora in casa a quest'ora? Non dovresti essere a scorrazzare nel bosco con Shangri?

Suo padre era in tenuta da corsa: shorts da uomo, felpa nera, scarpe da ginnastica e berretto, imperlato di sudore da ogni parte del corpo visibile e con sacchetti del take-away cinese tra le braccia. Probabilmente quello sarebbe diventato il loro pranzo.

Si diresse verso la cucina, seguito da lei, ansimante.

-Si, c'eravamo fino a poco fa, ma abbiamo trovato una cosa insolita per queste parti e siamo tornati indietro!- iniziò, cercando di riordinare i pensieri per spiegare nel modo migliore la situazione.

-Cos'è successo? Un albero ha preso a parlare, è arrivato un mago per far scomparire la natura o...?- le chiese ironico, non dando particolare ascolto al suo tono allarmato, mentre poggiava il tutto sul tavolo.

Quando alzò lo sguardo su di lei, il suo viso assunse una tonalità più bianca.

-Ma che ti è successo?- gli chiese allarmato.

Aveva notato solo in quel momento che aveva addosso un sacco di sangue e di liquido viola.

-E' proprio questo che intendevo. Ma prima di darti spiegazioni, dovremo evitare che il bosco venga incendiato.- decise infine.

 

Senza più esitazioni, con un bel po' di acqua del lago in secchi e nella proboscide da elefante di suo padre, i due erano andati a calmare le fiamme della navicella. Con questa collaborazione, non c'era voluto tanto.

A differenza sua, suo padre riusciva a trasformarsi completamente in animale, in qualsiasi volesse, terrestre o alieno che fosse.

Con l'unico dettaglio che gli animali di cui prendeva la forma fossero verdi.

In seguito ad una mutazione genetica, per una medicina sperimentata dopo il morso mortale di una particolare scimmia verde, il colore della pelle, dei capelli e degli occhi di suo padre erano diventati di quel colore, mentre le orecchie erano diventate appuntite e un dente di sotto si era pronunciato.

Da allora, dopo un incidente in barca dei suoi genitori, suo padre non era più stato Garfield Logan, il figlio di due studiosi, bensì Beast Boy, supereroe mutante prima della famosissima Doom Patrol e poi dei stimatissimi e grandiosi Teen Titans.

Secondo diversi racconti e foto, suo padre in quel periodo di adolescenza era stato molto minuto, come lei e sempre molto spiritoso, mentre adesso si era alzato, aveva messo su muscoli, il capelli erano diventati più folti ed era diventato quello che si poteva dire un bell'uomo. Era anche maturato come carattere, senza però perdere la sua allegria, che però ogni tanto scemava ancora, da quando sua madre era morta. Era successo dodici anni prima, poco tempo dopo la sua nascita, da quel che le avevano raccontato. Da allora suo padre non si era più risposato, tenendosi sempre la fede e dimostrandosi sempre forte e allegro, anche se alle volte aveva l'impressione che lo facesse solo per non farla preoccupare.

Di suo padre, lei, Reila Logan, aveva ereditato, anche se meno sviluppati, i suoi poteri mutanti, gli occhi verde muschio intensi e un dente, superiore , più pronunciato di altri, orecchie un po' a punta e la statura minuta che aveva lui alla sua età. Per il resto, poi, vedendo anche le foto, era tutta sua madre: capelli corti biondissimi, carnagione rosata, naso piccolo, fisico asciutto e acerbo con curve nemmeno vagamente accennate, che sperava però si sarebbero sviluppate in futuro.

Per non mancare un lato da maschiaccio nel vestirsi e nei gusti che forse aveva preso un po' da entrambi.

Finito di evitare un incendio e dopo aver nascosto temporaneamente tra i cespugli il cadavere alieno che aveva fatto impensierire suo padre, tornarono di corsa a casa, seguendo il resoconto rapido di Reila su quanto fosse successo poco prima.

La ragazza era ancora li nel letto, esattamente come l'aveva lasciata, con Shangri che cercava di leccarle via il sangue secco.

Garfield Logan aggrottò la fronte pensoso, quasi avesse già visto la ragazza.

Dopo un minuto buono passato a studiarla, parlò:

-E' una tamariana.

-Una che?- chiese Reila sedendosi sul bordo del letto.

-E' una razza aliena del pianeta Tamaran. Ci abbiamo avuto a che fare diverse volte, visto che la nostra compagna Starfire veniva da laggiù.

-E... credi che possa avere qualche legame con lei? Che il suo arrivo qui ferita indichi qualcosa?

Reila iniziava a preoccuparsi.

Suo padre passò le dita sul viso ferito, fino a soffermarsi sul taglio alla spalla.

-Beh, può darsi, dato che le somiglia molto, ma i tamariani si somigliano un po' tutti... Però credo che di questo ci occuperemo dopo, le sue ferite è meglio curarle al più presto.

Detto ciò andò a prendere il telefono di casa.

-La portiamo all'ospedale?

-No, meglio di no. Essendo di una razza aliena possiede qualche caratteristica che credo non riusciremo a spiegare con logica, come il fatto che possegga nove stomaci, o la lingua viola, o gli occhi completamente verdi... Va bene che la Terra è venuta a contatto diverse volte con gli alieni, però ci scommetto tutti i nostri beni che non esiterebbero un secondo a chiuderla in un laboratorio e studiarla.

-E allora a chi dovremo rivolgerci, scusa? Possiamo giusto fare un medicamento di fortuna, con la nostra esperienza e con ciò che abbiamo.

Garfield stava componendo un numero, mentre tornava con il kit di pronto soccorso sicuramente recuperato dal bagno.

-Intanto allora inizia con quello e con metterle dei vestiti nuovi, io chiamo Raven.

-Perché proprio Raven?- chiese mentre apriva il kit e meditava su che genere di medicamento adoperare. Ma ne conosceva così pochi...

-Ha ottimi poteri curativi, almeno con quelli potremo evitarle il peggio.

Si accostò il telefono all'orecchio e uscì dalla stanza per parlarle.

Lasciarmi da sola con una persona da curare, mentre lui chiama. Che padre esemplare che ho... pensò con aria sarcastica sbuffando.

Vabbè, ho rischiato di essere uccisa da un alieno e sono zuppa di sangue viola e rosso, quanto può essere impressionante tamponare via un po' di sangue?

-Shangri, vieni, dammi una mano.

 

Quando suo padre rientrò nella camera venti minuti dopo, con al seguito Rachel Roth, la ragazza aliena aveva le ferite disinfettate e fasciate, e al posto delle sue strane vesti- che ora erano a lavare- aveva una camicia da notte grigio cielo che a Reila stava larga.

E grazie al cielo aveva avuto il tempo di cambiarsi e di buttare i suoi vestiti che aveva prima.

-Ciao Reila.- la salutò con un piccolo sorriso.

Ormai conosceva bene quella donna, essendo una vecchia amica di suo padre e madre di Kureha, una delle sue migliori amiche, però riusciva comunque ad incuterle un certo timore, con quella sua aria severa e i tratti decisi, per non parlare dei capelli viola corti, la carnagione di un pallido irreale e quella camminata così leggera e regale dava quasi l'impressione che la donna toccasse appena il pavimento. Forse un po' il pancione le dava un'aria più dolce. E meno male che, come già detto, la conosceva bene.

-Rachel...- disse semplicemente con un cenno della mano, rispondendo al saluto.

La donna che un tempo si faceva chiamare Raven si fermò a studiare la ragazza aliena con molta attenzione, tacendo anche lei per un po'.

-Hai detto di averla trovata nel bosco?- chiese infine a Garfield.

-L'hanno trovata Reila e Shangri in una navicella bruciata, insieme ad uno strano mostro con cui credo non abbiamo mai avuto a che fare prima.

Lo sguardo deciso si addolcì un poco, con all'interno una nota quasi pensierosa.

-La somiglianza con Starfiare è incredibile...

Suo padre le mise una mano sulla spalla.

-Già, probabilmente è una sua parente.

-Credete sia successo qualcosa, visto che si trova qui in queste condizioni?- si intromise incerta Reila.

Nessuno dei due rispose subito.

-Spero con tutto il cuore di no...- disse piano suo padre.

-Ma è sempre meglio prepararsi al peggio.- concluse Rachel chinandosi sulla ragazza.

Le posò una mano sulla fronte e una sulla spalla ferita e entrambi i palmi irradiarono una luce azzurra, molto calda.

Finì in poco tempo e si risollevò.

-Sono riuscita a chiudere le ferite, ma credo che sulla spalla rimarrà una cicatrice, e per quanto riguarda la testa... la ferita si è chiusa del tutto, ma non posso garantire niente sulle condizioni della sua memoria o della sua sanità mentale. Ha preso un brutto colpo.

-Capisco. Grazie mille dell'aiuto, Rae.- disse suo padre con un sorriso stanco.

Reila, come i figli di tutti i vecchi Titans, sapeva che da ragazzi la squadra aveva una componente aliena, ma ormai nessuno amava parlarne tanto, da quando se ne era andata e non aveva più lasciato traccia di sé. Eppure a tutti si rabbuiava lo sguardo quando ci ripensavano, ma non si sapeva il perché.

Deve somigliarle davvero tanto questa ragazza...

 

Rachel rimase per un altro po' con loro per una tazza di tè, parlando di cose normalissime, della famiglia... fu solo quando stava per andarsene che ritornò in ballo l'argomento “Ragazza Aliena”:

-Cosa avete intenzione di fare con l'astronave e con l'altro corpo alieno?- chiese mentre prendeva la borsa.

-Non saprei, ma conviene farli sparire in fretta: tutto quel fumo e il frastuono non saranno di certo passati inosservati e i curiosi non tarderanno ad arrivare.

Rachel si passò l'indice sul mento pensando.

-La navicella la porterò domani a Cyborg. Per quanto possa essere ridotta male, credo che riuscirà a ricavare qualcosa che ci faccia capire di più cosa sia successo.

-Mi pare sensato. E che dovremo fare con l'alieno morto?

-Nascondilo da qualche parte, possibilmente in un punto abbastanza freddo da conservare il corpo. Porterò alcune foto alla Torre e le confronterò con gli archivi dei Titans. Magari li abbiamo già visti ma non li ricordiamo.

Suo padre sorrise.

-Sai sempre cosa fare. Non sei cambiata di una virgola.

Rachel inarcò un sopracciglio.

-Spero per te che sia un complimento.

Garfield rise.

Era sempre bello vedere suo padre a suo agio con la sua vecchia squadra. Del resto non c'era da meravigliarsi: erano tutte persone strabilianti!

Rachel se ne andò per tornare dalla sua famiglia, lasciandoli soli con la ragazza aliena.

Quando Reila tornò a toglierle le bende, in effetti non erano rimaste che due cicatrici delle due ferite mortali di prima. Una sottile linea rossa che passava dalla tempia e spariva tra i capelli rosso fiamma e una cicatrice spessa e corta, grande quanto un uovo, sulla spalla.

A tutto ciò si era aggiunto un dettaglio: la ragazza stava cuocendo dalla febbre.

Corse di nuovo da una parte all'altra della casa, in cerca di termometro, panno bagnato e tutto l'occorrente.

Sapeva già che non sarebbe riuscita a rilassarsi tanto facilmente.

 

Per tutto il pomeriggio Reila non aveva fatto altro che occuparsi della ragazza.

La febbre stava pian piano diventando più bassa, ma ogni tanto doveva scuotere l'aliena o darle qualche calmante: veniva continuamente perseguitata da incubi, perché, per quanto incosciente, ogni tanto prendeva a singhiozzare, stringeva convulsamente le lenzuola e mugugnava parole senza senso, con espressioni piene di terrori.

Beh, se non altro ciò significa che di questo passo si sveglierà presto... cercò di consolarsi da sola.

Garfield era andato a nascondere il cadavere alieno in un posto che presentasse le caratteristiche elencate da Rachel e a fare foto da inviare poi alla T Tower.

Cambiò la pezza bagnata e la rimise sulla fronte.

Al contatto la ragazza si mosse. Che si stesse svegliando?

Per risposta, l'aliena aprì gli occhi. Erano verdi smeraldo, anche la parte bianca, ma non così luminescente come ricordava, forse se lo era immaginata.

La fissarono un po' mettendola a fuoco, poi, in un millesimo di secondo, scostò la sua mano con forza e si appiccicò al muro, quasi potesse darle sicurezza.

Le puntò una mano contro, che in pochissimo tempo emise una forte luce verde smeraldo, mentre gli occhi si tingevano del medesimo colore.

-BLAKSTA ZDAOR RYNSA?- le urlò contro.

Reila era rimasta ancora li, con la mano con la pezza a mezz'aria. E sapeva di avere un'espressione super perplessa in volto.

Sollevò una mano, lasciando uno spazio tra mignolo e anulare e medio e indice.

-Ehm...Vengo in pace?- non trovò cosa più intelligente da dire.

La ragazza sollevò un sopracciglio, non perdendo però la posa pronta all'attacco.

Chissà perché, ma Reila non si sentiva affatto minacciata da ella.

-Chi sei?- ripetè la giovane, non con meno astio.

-Aaaaah...- commentò Reila:-Io sono Reila Logan. Ti ho curato per tutto il giorno. Ti ho trovato in un bosco svenuta, dentro un'astronave a fuoco.- Il minimo che puoi fare è smettere di puntarmi la tua mano luminosa contro, aggiunse mentalmente.

La ragazza la studiò ancora per un po', meditò un po' sulle sue parole e alla fine decise di abbassare il braccio.

-Dove siamo, di preciso?

-A Gotham Hill.

La ragazza inclinò di lato la testa.

-Negli Stati Uniti d'America.

Inarcò le sopracciglia.

-In America.- riprovò.

L'espressione dell'altra non cambiò.

-Sulla Terra.- tentò infine.

-Oh.- disse semplicemente.

Stai parlando con un'aliena, avresti dovuto dirle subito che si trova sulla Terra, si rimproverò.

-Allora ce l'ho fatta ad arrivare...- disse piano.

Decise che per il momento non avrebbe fatto domande, per farla abituare al luogo.

Guardò la sveglia sul comodino.

-Senti, è quasi ora di cena, ormai. Vuoi qualcosa da mangiare?

In tutta risposta lo stomaco della ragazza brontolò.

-Vado giù in cucina a prendere da mangiare, arrivo subito. Intanto siediti pure sul letto, non preoccuparti.

Si bloccò un secondo prima di imboccare la porta.

-A proposito, come ti chiami?

-Anisand'r. Ma per tutti io sono Anis.

 

Anis si avventò sul cibo che le aveva portato con una forza quasi brutale, ingurgitando tutto, indipendentemente se fosse da bere, da mangiare, un condimento... Infatti rimase sorpresa quando trangugiò tutta la bottiglietta della mostarda senza battere ciglio.

Non se la sentiva di correggerla su cosa mangiare e come mischiare.

Era seduta di fronte a lei sul letto, con Shangri in braccio che la guardava perplesso quanto lei.

-Ehm... Non mangiavi da tanto?- chiese incerta su come iniziare una conversazione.

-Da una giornata intera più o meno.- rispose senza smettere di mangiare.

Forse era vero che possedeva nove stomaci...

-Ma come fai a sapere l'inglese? Voglio dire, prima mi hai parlato in una lingua stranissima e poi sei passata a parlarmi con una pronuncia perfetta!

Anis si mise una ciocca ribelle dietro l'orecchio, forse in imbarazzo per averle puntato il braccio contro poco prima.

-Oh, beh, mia mamma è venuta qui quando era giovane e le è piaciuto tanto come posto che ha deciso di insegnarmela. Quando eravamo sole parlavamo in questa lingua.

Se sua mamma era venuta sulla Terra da giovane, forse era davvero la Starfire dei Titans. Forse però era meglio riservare l'argomento quando fossero entrate più in confidenza.

-Dista tanto il tuo pianeta?

-Abbastanza, ma ce l'ho fatta ad arrivare entro ventiquattro ore.

-Perché eri svenuta?- decise infine di chiedere, nel modo più gentile possibile.

Anis si strinse nelle spalle.

-Veramente... Non lo so. Hai detto che la mia navicella era in fiamme, giusto? Forse sarà stato per quello...

Sembra non ricordare molto. Non ha nemmeno accennato all'alieno che era con lei. Forse Rachel ha ragione: la botta in testa deve averle fatto perdere parzialmente la memoria... ragionò.

Alla fine decise di raccontarle di come l'aveva trovata, dell'alieno e di come lei l'aveva ucciso, senza omettere quanto fosse gravemente ferita ne come Rachel era riuscita a curarla. Le parlò anche degli incubi.

Alla fine del racconto, Anis rimase in silenzio. Sembrava così spaesata.

-Quindi... Sul serio non ricordi niente?

La ragazza scosse la testa.

-No, Reila, mi spiace, io non ricordo proprio niente. Non so nemmeno perché c'ero su quell'astronave... So che dovevo arrivare qui, ma non riesco a ricordarne il motivo. Sei sicura che abbia avuto degli incubi? Voglio dire, non ricordo nemmeno quelli!

Così non sarà di molto aiuto...

-Ma almeno il tuo pianeta lo ricordi? Ciò che c'era prima del viaggio, intendo?

Anis corrugò la fronte.

-Ricordo di venire da Tamaran, di essere di famiglia nobile, i volti di vecchi amici e di mia madre. Ma quello che è successo ultimamente... zero.

Accidenti...

Se stava per avvenire una catastrofe, non erano sulla buona strada per capire di cosa si trattasse.

  
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