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Autore: Niere    21/08/2013    1 recensioni
Livia e Gianluca, in passato, erano una coppia affiatata, ma la vita li ha cambiati e tutto ciò che è rimasto del loro amore è un bambino di quattro anni e tanto rancore. Il rancore però annebbia la ragione ed entrambi si ritroveranno a mettere in dubbio le scelte fatte, le loro convinzioni e i loro sentimenti.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Incidente - POV Livia

“Mamma, quando si sveglia papà?”. Matteo mi fissava preoccupato, in attesa di una risposta positiva. Lo osservai attentamente, ero stanca, arrabbiata, spaventata.
Mi imposi di mostrarmi serena, era solo un bambino e non potevo soffocarlo con la mia negatività. Cercai di sorridere e, accarezzandogli i capelli, risposi: “I dottori hanno detto che si sveglierà tra poco. Se vuoi, possiamo entrare nella sua stanza e aspettare lì.”.
Matteo, il mio piccolo ometto di quattro anni, annuì soddisfatto. Ci alzammo dalle sedie grigie e fredde della sala di attesa e ci avviammo alla stanza 158, dove Gianluca era stato ricoverato due giorni prima. In quei due giorni, avevo passato più tempo in ospedale che in qualsiasi altro posto. Non ne potevo più di quelle pareti bianche, dei discorsi dei medici, sempre troppo complicati, dei genitori di Gianluca che erano tesi al massimo. Volevo solo che quell’ incubo finisse, che Gianluca venisse dimesso al più presto, che tutto tornasse come prima.
Entrammo nella stanza e Matteo prese posto sulla sedia accanto al letto, in attesa di non so cosa. Io mi avvicinai ai genitori di Gianluca, Anna e Giorgio, che se ne stavano in piedi, in silenzio, troppo presi dai loro pensieri. A vederli in quel momento, sembravano una coppia affiatata e solidale, nessun estraneo avrebbe potuto immaginare che in realtà erano divorziati da quindici anni. Anche dopo la rottura del loro matrimonio, erano sempre riusciti ad andare d’ accordo, non come me e Gianluca, che eravamo carichi di incomprensioni e che discutevamo per ogni cosa. Anna mi sorrise e quel sorriso mi fece gelare: potevo leggere tutta la sua paura, un terrore che voleva nascondere a tutti, per non sembrare troppo fragile. L’ unico che mostrava veramente la sua forza d’ animo era Giorgio. Indicò il monitor collegato a Gianluca e disse: “I battiti sono regolari e gli hanno tolto i respiratori. Tra poco aprirà gli occhi…”.
Ripeteva ciò che aveva sentito dire dai dottori, ma nella sua voce c’era la certezza che suo figlio ce l’ avrebbe fatta, che quella brutta caduta dalla moto non avrebbe spezzato la sua esistenza. Anna mi prese per mano ed io ricambiai la stretta, volevo farle coraggio.
Dopo minuti eterni di attesa, qualcosa cambiò. Gianluca mosse una mano. Matteo fu il primo ad accorgersene e si alzò di scatto dalla sedia: “Mamma, nonna, guardate…”.
Con il dito indicò la mano di suo padre e noi tre, come degli automi, seguimmo con lo sguardo ciò che il bambino ci voleva mostrare. Smisi di respirare per qualche istante. Avevo sperato per ore che tutto si risolvesse rapidamente e forse, per la prima volta in vita mia, le mie preghiere erano state ascoltate. Anna e Giorgio si avvicinarono, speranzosi. Gianluca aprì gli occhi e gli ci volle qualche secondo per abituarsi alla luce. Si guardò intorno: il suo primo sguardo fu per Matteo, poi osservò confuso i genitori ed infine i suoi occhi color nocciola si puntarono su di me, per degli istanti che mi sembrarono eterni. Per la prima volta dopo tanti anni, non mi squadrava con rancore.
La prima cosa che disse fu: “Cos’è successo?”.
Anna si avvicinò e cercò di riassumere brevemente gli eventi degli ultimi giorni: con voce rotta dall’ emozione gli raccontò dell’ incidente con la moto, della corsa in ospedale, delle analisi dei medici.
Gianluca ascoltò in silenzio ed io fui l’ unica ad accorgermi che tutti quei paroloni stavano turbando Matteo. Rivolsi uno sguardo a Giorgio: “Devo far allontanare Matteo… Non voglio che senta tutto nei dettagli”.
Giorgio capì all’ istante: “Se non ti dispiace, ci penso io... Lo porto a prendere qualcosa al bar…”. Si rivolse al nipote: “Matteo, hai voglia di un bel gelato? Così facciamo riposare un po’ tuo padre…”.
Matteo annuì e si rivolse a Gianluca: “Papà, ci vediamo dopo. Vado a fare merenda.”.
Sorrisi, commossa dalla forza di mio figlio. Anna e Gianluca parlarono ancora per qualche minuto, mentre io leggevo il modulo che il medico aveva lasciato sul tavolo verde e anonimo. C’erano riportati i nomi dei medicinali che avevano inserito nelle flebo, ma per me erano solo nomi indecifrabili. Anna, poi, improvvisamente se ne uscì: “Vado a chiamare un’ infermiera. Livia, rimani tu con lui?”.
Annuii, poco entusiasta all’ idea di rimanere da sola con l’ uomo che nel giro di qualche mese sarebbe diventato il mio ex marito. Anna uscì, chiudendo dietro di sé la porta. Poggiai il foglio nuovamente sul tavolo e Gianluca disse: “Puoi essere sincera con me… E’ tutto a posto o ho subito qualche danno?”.
Puntai il mio sguardo sul suo volto, bello e perfetto come sempre, nonostante il colorito pallido e delle occhiaie dovute alla debolezza. Risposi in modo irritato e deciso: “Sei stato molto fortunato. I medici dicono che cadere sull’ erba ha minimizzato i danni… La loro unica paura era che riscontrassi un’ amnesia causata dalla forte botta in testa. Nel giro di pochi giorni tornerai in splendida forma…”.
Gianluca sembrò sollevato, ma non disse nulla. Rimase a studiarmi, impassibile. Odiavo quando faceva così, la sua aria strafottente mi faceva innervosire. Così, nonostante i miei buoni propositi, sputai fuori quello che mi balenava per la testa da giorni interi: “Tu e quella dannata moto… Diamine, ti rendi conto di quello che hai rischiato? Potevi rimanere paralizzato, o, peggio ancora, potevi morire. E cosa ne sarebbe stato di Matteo? Tu non sai cosa significa crescere senza un padre, ma io si… Ed è uno schifo…”
Gianluca mi guardò disorientato: “Ehi, piccola… Mi dispiace…”.
Il mio sguardo si caricò di rabbia: “Sono stanca di sentire queste parole… Ti dispiace sempre, ma non cambi mai… Sei il solito irresponsabile ed egoista. L’ egoismo lo potrei anche capire, ma l’ irresponsabilità no… Non hai più quindici anni…”.
Il suo sguardo si fece duro: “Dannazione… Vuoi farmi la morale anche adesso? Non potresti aspettare almeno qualche giorno?”.
Incrociai le braccia, arrabbiata e nervosa: “Certo, adesso è colpa mia. Perché sono insensibile, vero? Sono sempre quella che rovina tutto, che non vuole capire… Avanti, puoi dirmi apertamente quello che pensi di me…”.
Avevo alzato la voce e avevo perso il controllo. Gianluca replicò: “Smettila di fare questa scenata… Siamo in un ospedale. Il litigio risparmiatelo per quando verrò dimesso e tornerò a casa mia…”.
Non dissi nulla, non volevo più aver niente a che fare con lui per quel giorno. Fortunatamente, Anna tornò subito dopo, seguita da un’ infermiera e un medico, che ci spiegò che tutto stava procedendo bene e che, dopo quattro o cinque visite d’ obbligo, Gianluca poteva lasciare la clinica.
Matteo ritornò in stanza quando il medico ci aveva già lasciati soli e la sua presenza si fece notare subito: doveva assolutamente raccontare a Gianluca degli ultimi giorni di scuola, del piccolo spettacolo che la sua maestra stava organizzando e della canzone in inglese che avrebbero cantato come gran finale.
  
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