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Autore: musa07    23/08/2013    4 recensioni
" Quei capelli dorati gli apparvero come un faro nella notte. Una notte buia e tempestosa.
Poco importava che sopra di loro le stelle brillassero in cielo. Quello che non brillava affatto in quella sera era il suo sorriso."
Una 8059 che si discosta un pò dal mio solito genere. Alias: dopo tanta mia demenza, ci stava qualcosa di serio.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dino Cavallone, Hayato Gokudera, Ryohei Sasagawa, Takeshi Yamamoto, Tsunayoshi Sawada
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo dedicato ai miei angeli del focolare. Grazie per aver letto, commentato, inserito tra le preferite, le ricordate o le seguite. Grazie, dal profondo del cuore. Mi rendete davvero tanto contenta, se si può dire^^
 
 
 
Mattina – Gokudera Hayato
 
 

- Tsuna? – bisbigliò Takeshi incredulo quasi avesse avuto un miraggio davanti a sé in quel momento.  – Tsuna! – ripeté felice l’attimo immediatamente successivo quando invece realizzò che il suo caro amico era proprio lì davanti a lui. Il Juudaime gli regalò uno dei suoi sorrisi buoni che lui ricambiò mentre gli correva incontro e lo abbracciava. Il piccoletto capì perfettamente in quale stato d’animo il Guardiano si trovasse dalla stretta con la quale si era ancorato a lui in quell’abbraccio.
- Sono rientrato non appena Dino-san mi ha avvisato. Appena l’assemblea si è sciolta son partito. Ho cercato di far prima possibile. –
Takeshi sgranò gli occhi lanciando uno sguardo al biondo che si trovava di fronte a loro, mormorandogli un silenzioso “ grazie” a fior di labbra.
Tsuna si lasciò stritolare in quella morsa e quando l’abbraccio finì portò lo sguardo verso il volto dell’amico. Sorrise istintivamente perché dopo tutti quegli anni doveva ancora sollevare di molto gli occhi per raggiungere quelli dell’altro.
Lo spadaccino sorrise a sua volta piegando la testa di lato, notando chiaramente nel volto dell’altro il fatto che avesse guidato per buona parte della notte senza dormire o darsi riposo. I capelli arruffati, lo sguardo dolcemente assonnato, le maniche della camicia arrotolate, i primi bottoni slacciati.
- Tsuna, mi piaci con questo look ricercatamente dandy. – si divertì a prenderlo bonariamente in giro Takeshi battendogli la nocca dell’indice sulla cravatta scompostamente allentata. – Dovresti adottarlo più spesso quando vai a convegni o Consigli d’Amministrazione. – concluse ridendo e facendo scoppiare a ridere anche gli altri due.
- Sì certo, come no? E poi chi lo sente Gokuder … Scusa. – si affrettò a chieder perdono il Juudaime maledicendosi dentro di lui per quell’imperdonabile gaffe. D’altra parte, nella sua testa, Takeshi e Hayato formavano un’entità inscindibile da tempo immemore.
Il Guardiano scosse la testa sorridendo tranquillamente, ad indicargli di non preoccuparsi, che andava tutto bene.
- Allora: raccontami un po’ cos’è successo. - s’informò Tsuna prendendo per mano l’ex giocatore di baseball e invitandolo a sedersi di fianco a lui mentre nuovamente gli sorrideva dolcemente, cercando di infondergli tutto l’affetto che provava nei suoi confronti.
 
 
 
 
- Oh Testa a Polpo, la colazione è pronta! –
E dire che Ryohei c’aveva anche pensato. Aveva pensato di entrar in salotto il più delicatamente possibile, senza fare una delle sue solite entrate tipo irruzione degna del FBI. Aveva anche cercato di tenere il tono di voce più basso possibile ma quello che ottenne fu, al solito, una delle sue entrate in scena a dir poco plateali. Ma tanto Hayato era già sveglio, o meglio: sarebbe stato più corretto dire che non si era mai neanche addormentato quella notte. La sua mente non aveva fatto altro che lavorare alacremente in maniera machiavellica, al suo solito.
- Ma che ore sono? – gli grugnì contro, grato comunque all’amico perché in quella scenetta così abituale in loro, Hayato poteva mantenere una parvenza di normalità. Illudersi che anche quella giornata si sarebbe svolta come tutte le altre.
- Le sei. – fu la risposta galvanizzata e per nulla scomposta dell’altro.
- Della mattina?! – replicò incredulo. – No, io mi rifiuto di alzarmi alle sei della mattina. – proferì tirandosi su la coperta e girandosi nell’altro lato del divano facendo scoppiare a ridere il pugile nella sua risata fragorosa.
- Fa come credi. Io vado a correre, se ti va di alzarti la colazione è di là in cucina. – gli disse uscendo dopo aver lanciato un’occhiata alla sua figura di spalle. Stava per andarsene, quando la voce dell’altro lo richiamò indietro.
- Testa a Prato? –
- Hm? – lo interrogò dubbioso voltandosi.
- Grazie. – disse semplicemente Hayato rimanendo tuttavia con lo sguardo fisso sul muro senza girarsi a guardarlo. Sorrise Ryohei, scuotendo la testa e rimanendo ancora un attimo a fissarlo quasi soppesando se fosse il caso di lasciarlo lì da solo o meno. Ma il boxeur lo conosceva talmente bene che sapeva che Gokudera non era tipo da gesti inconsulti. Anche la notte prima non aveva detto che due parole in croce, giusto per chiedergli ospitalità. Sapeva che non era uno che si piangeva addosso, che a parte con Takeshi nessuno di loro aveva visto mai tutta la sua vera natura, la sua natura fragile, quella umana. Tuttavia, la sera prima Ryohei poteva affermare con sicurezza di aver visto uno squarcio nella sua solita corazza d’integerrimità che mai aveva visto prima. Aveva visto quanto dolore e sofferenza potesse provare uno come Hayato, forse anche più degli altri proprio perché sotto-sotto, la sua era un’anima profondamente sensibile e delicata che solo Takeshi era in grado di preservare e proteggere. Il Guardiano del Sole sospirò affranto. Voleva fare qualcosa per l’amico – possibilmente evitando di far danni - ed era certo che mentre si faceva la sua sana corsetta mattutina, qualche geniale idea gli sarebbe sicuramente venuta in mente.
 
Hayato ovviamente non fu in grado di addormentarsi. Si mise seduto sul divano, poggiandosi la coperta in grembo. Ascoltò il silenzio della casa e il silenzio che, in quell’ora mattutina, gli arrivava anche dalla città. Scandagliò il suo stato d’animo, scandagliò la sua anima, cercando dove si fosse nascosto il dolore che l’aveva attanagliato senza tregua da ieri sera. Fece un rapido check-up dei suoi segni vitali e fu allora che la percepì. Quel senso di lacerazione si presentò implacabile davanti a lui. Deglutì a fatica, portandosi la testa tra le mani scostandosi i capelli da davanti agli occhi acquamarina. Pensò, incredulo, a che gamma di sensazioni avesse provato in quelle ore. A quando aveva cercato disperatamente di fare il vuoto e il silenzio dentro di lui. Inutilmente.
Quasi avesse assistito alla scena come se si fosse trattato di uno spettatore, rivide per l’ennesima volta nella sua testa l’immagine di Takeshi che, dopo averlo fissato incredulo, angosciato ma anche incredibilmente amareggiato, gli aveva voltato le spalle e se n’era andato. L’aveva visto recuperare le chiavi della macchina dallo svuota-tasche in entrata per poi invece lanciarle sul divano lì affianco. L’ultima carineria nei suoi confronti. Non voleva se ne andasse in giro a piedi di notte. Nonostante fosse il temuto e rispettato braccio destro del Decimo Boss Vongola, per Takeshi Hayato rimaneva sempre il suo Hayato. Il suo cucciolo da proteggere. Aveva visto la sua figura di spalle uscire - quella schiena ampia e forte alla quale lui si aggrappava da sempre, semplicemente adorando che il suo adorato fosse più alto di lui perché quando lo abbracciava si sentiva protetto, al sicuro – andarsene da lui. Aveva sussultato quando la porta in entrata si era chiusa sbattendo. E non aveva fatto nulla …
Si dice che le antilopi siano così sensibili che anche un solo rumore forte e improvviso sia in grado di paralizzare e farle morire. Ed era così che si era sentito Hayato in quel momento. Se non era corso in strada da Takeshi, non era stato per orgoglio, no. Molto semplicemente era rimasto paralizzato. Incredulo e attonito.
“ Ho … ho veramente detto io quelle cose?” si era chiesto basito, rivivendo solo in quel momento tutti gli episodi di quegli ultimi tempi. Era come se non gli avesse veramente vissuti fino a quell’istante. Troppo preso dal dopo e incurante del qui e ora. Era così preso da quel progetto, dalla sua buona riuscita, che aveva completamente trascurato la sua quotidianità. Proiettato nel futuro, aveva lasciato andare il presente alla deriva.
Anche in quel preciso istante, seduto sul divano di casa Sasagawa, sì sentì mozzare il fiato. Quante volte, negli ultimi tempi, Takeshi gli aveva detto, fatto capire che lo vedeva scostante? Quante volte? E lui l’aveva sempre ascoltato, aveva capito, ma era come se ci fosse qualcun altro in quel momento.
- Takeshi, ti senti trascurato? – gli aveva chiesto, seriamente preoccupato e l’altro gli aveva sorriso ma non con uno dei suoi soliti sorrisi raggianti. No! Era un sorriso triste, stanco mentre gli rispondeva un terrificante e lapidario: - Un pò. - E lui era così preso da sé che aveva pensato che sarebbe comunque andato tutto bene, che bastava che si comportasse con lui come aveva sempre fatto.
“ Son dieci anni che stiamo insieme. Ormai ci capiamo, non abbiamo bisogno di niente altro.” continuava a ripetersi e si era adagiato. Pericolosamente e stupidamente adagiato. Takeshi continuava a dargli tutto se stesso e anche di più, mentre lui … Mentre lui dava tutto per scontato. Era certo che per il suo innamorato fosse scontato sentire che lui lo amava. Una parte di lui sapeva perfettamente che non era così, che non era così che andavano le cose. Che un rapporto di coppia è come una pianta, che va continuamente vezzeggiata e coltivata. Non puoi lasciarla lì e limitarti semplicemente a darle acqua quando serve. Ma era come se questa parte di lui fosse in una sorta di limbo, mezza addormentata. Ogni tanto riemergeva e allora le cose andavano divinamente, com’erano sempre andate. Ogni tanto quella parte autentica si assopiva e allora era come se il vero Hayato non fosse presente nella vita reale ma avesse messo una sorta di pilota automatico. Da piccolo gli capitava spesso di vivere così, era una sorta di muta protettiva, di corazza difensiva, come se si fosse trovato in un bozzolo: guardava la vita andare avanti e lui si lasciava trascinare da questa, nel suo flusso. Ma mai, mai l’aveva fatto con Takeshi. Perché Takeshi era la sua linfa, era il suo sole ma alla fine si era lasciato trasportare, quasi che fosse solo lo spadaccino a dover tirar avanti la carretta.
E allora il loro rapporto si era tramutato in una sorta di staffetta, un circolo vizioso. Più Takeshi lo pressava, più lui si scostava non capendo cosa non andasse. Lui lo amava, punto. Non bastava?
- Evidentemente no … - mormorò sconsolato. Dalla tasca dei jeans prese il foglio che si era portato via da casa loro la sera precedente. Lo aprì fissando quelle poche righe. E dire che …
Si alzò con uno sbuffo recuperando dalla tasca posteriore il suo fido pacchetto di sigarette. Pensare che voleva smettere.
- Ho scelto proprio il momento giusto, non c’è che dire. – ironizzò amaramente mentre si spostava verso la terrazza dopo essersi accesso la sigaretta usando il fornello del gas tirandosi indietro i capelli e socchiudendo leggermente gli occhi.
Rabbrividì una volta fuori mentre osservava l’inesorabile levata del sole. Chissà cosa stava facendo Takeshi in quel momento, pensò mentre aspirava il primo tiro.
Non poteva di certo dargli torto se ieri sera se n’era andato dopo quell’uscita a dir poco infelice da parte sua. Quell’orrendo: “ Se non ti va più bene, quella è la porta” continuava a rimbombargli nelle orecchie. Al suo posto molto probabilmente, prima di andarsene, gli avrebbe tirato un destro micidiale che l’avrebbe lasciato boccheggiante. Ma Takeshi, il suo Takeshi una cosa del genere non l’avrebbe detta mai. Takeshi era quello che parlava, che diceva le cose, che ascoltava e capiva. Era lui il cretino che si chiudeva a riccio ma che al contempo voleva che fosse tutto perfetto. Solo che in quel momento sentiva solo freddo, tanto freddo. Fuori e dentro di lui.
- Io lo amo … - disse semplicemente rannicchiandosi sulle ginocchia.
Rivisse per l’ennesima volta, al rallentatore, la scena della sera precedente quando era rimasto solo in casa. Di colpo intorno a lui per un lungo istante c'erano stati solo immobilità e silenzio. Poi il dolore era esploso, come una detonazione e il dolore sordo aveva fatto ridestare la sua parte autentica.
Come in trance si era portato sull’uscio della loro camera da letto. Le lenzuola erano ancora sfatte, segno della loro unione di quella mattina. Ecco l’unico momento in cui Hayato c’era sempre, era sempre presente: quando facevano l’amore. Allora si lasciava possedere dal suo adorato e lo possedeva, in un’unione perfetta, vera, vissuta e senza tempo, dove non c’era né un prima né un dopo ma solo quel preciso istante. Allora Hayato c’era e poteva tranquillamente richiamare alla memoria ogni singolo particolare. Gli odori, gli sfioramenti, i sospiri, il respiro di Takeshi su di sé, quell’aggrapparsi a lui mentre continuava a sussurrargli nell’orecchio quel Ti amo quasi in maniera disperata, come a volergli dire: “Takeshi sono qua, non mi abbandonare”. Solo allora si rese conto di quanto egoista fosse stato. Lui chiedeva tanto a Takeshi. Chiedeva, chiedeva e ancora chiedeva. Tutto il suo amore, la sua presenza, il suo Essere, convinto di dar altrettanto in cambio e invece … Così preso dalle sue ambizioni lavorative alle quali si stava dedicando anima e corpo, egoisticamente e scioccamente pensava che “Tanto Takeshi c’è, lui resterà sempre al mio fianco. Mi capirà e sosterrà sempre.” E invece Takeshi aveva iniziato a dar segni di cedimento, comprensibilmente tra l’altro. Anche lui non era umanamente indistruttibile, aveva dei sentimenti che sì gli stava donando con tutto se stesso, ma questo non voleva dire che non soffrisse nel vederlo così scostante, così distante da lui.
Pensare che tutto quel casino fosse sorto solo per colpa sua, lo faceva morire dentro. E a ben poco serviva cercare di raccontarsela, dicendosi che lui non sapeva gestire i rapporti, perché il suo adorato amore gli aveva insegnato cosa fosse il calore di una famiglia. Gli aveva insegnato ad amare.
Ecco per cosa valeva la pena di lottare. Per quelle sensazioni che l’altro gli donava che non sarebbero mai morte, per il suo amore, il suo calore avvolgente. Senza scorciatoie. In quel momento sapeva solo che non voleva parlare di sé e Takeshi usando il tempo passato, pensando a quello che avrebbe potuto essere perché molto semplicemente sapeva che solo con il suo adorato poteva essere felice. Solo con lui … E l’aveva sempre saputo solo che … solo che l’aveva dato per scontato. Credeva di essere sempre vicino all’altro, di fargli sentire che lo amava, che per lui era importante. Che quando Takeshi ricercava un contatto, una carezza, un bacio, una coccola non bastava ricambiare in maniera frugale e frettolosa, pensando che “Tanto sa che lo amo”.
Imprecò battendo un pugno sul muro, in preda alla frustrazione più estrema. Lui sapeva quello che voleva e avrebbe mentito a se stesso se non avesse detto che era rimasto a dir poco scioccato e incredulo quando aveva visto l’altro voltargli le spalle la sera prima. Non poteva credere di averlo fatto esasperare fino a quel punto. Si ricordava di come alla fine fosse entrato nella loro camera sedendosi ai piedi del letto appropriandosi della maglia che Takeshi usava per dormire, stringendola a sé e inspirandone avidamente l’odore.
- Merda! - Imprecò nuovamente a quel ricordo. Non voleva fosse l’ultimo. Non voleva fosse quella l’ultima cosa che avrebbe conservato di Takeshi.
Si alzò in piedi iniziando a camminare in tondo. Era uno portato all’azione ma voleva evitare di far ulteriori danni. Non voleva più far star male il suo adorato amore. Ferirlo come aveva fatto in quegli ultimi tempi non con cattiveria, ma peggio: con la sua indifferenza nel dar tutto per scontato. Di colpo ritornò lucido. Valutò che quello che non poteva sapere in quel momento era quanto dolore avesse procurato all’altro, quanto avesse tirato la corda. Quanti danni irreparabili potesse aver fatto. Ignorando che anche Takeshi stesse formulando lo stesso identico pensiero, non aveva neanche il coraggio di accendere il cellulare, dandosi mentalmente del cretino, ma il non vedere nessuno messaggio, nessuna telefonata da parte dell’altro, era certo che gli avrebbe impedito di pensare correttamente e lucidamente.
Certo che era proprio vero che si dà valore ad una cosa solo quando la si perde. Aveva sempre odiato quelle frasi fatte, scontate. Ovvio che quando si perde qualcosa si capisce il valore che ha, aveva sempre pensato. “Stolti!” aveva pensato con aria di superiorità quando era qualcosa che non l’aveva toccato da vicino. “ Se è qualcosa di prezioso, come si fa a perderla?”
Ma si era beffato con le sue stesse mani. Hayato in quel momento rifletteva sul fatto incredibile di quanto facilmente si potesse finire nelle mani del destino.
Per fortuna sua e di Takeshi le mani del destino in quel caso, erano le mani dei loro cari e fidati amici.
 
 
Continua …
 
 
Clau: Non credevate fosse possibile vero? Dite la verità^^ Un aggiornamento così veloce. Neanche io, se devo essere sincera ahahah. Hum, che debba iniziare a preoccuparmi che ultimamente riesco a mettermi così bene nei panni di Goku e di quell’altro sociopatico?
Hibari: Hn!
Yamamoto: Ah Clau, fintantoché non ti metti nei panni di Mukuro va ancora bene.
Clau: Vero anche questo.
Ryohei: Certo c’è da dire che, calandoti nei panni della Testa a Polpo e di quello schizzato di Hibari, sei già sulla buona strada per arrivare a Mukuro.
Clau: Sento un brivido ghiacciato attraversarmi la schiena …
Mukuro: Kufufu …
Clau: Oh Signore, eccolo!
Mukuro: E’ per questo signorinella che ti ho già prenotato una stanza, cara la mia quasi nuova vicina di camera. Kufufu.
Hibari: -__________-
Gokudera: Ohi, voi: ma non doveva essere una fic seria questa?
Clau: Goku, come sarebbe a dire “questa”? Sono tutte serie le mie fic!
Ryohei: Ahahah^////^ Clau: fai sempre la spiritosa. Che ridere quando cerchi di far la persona seria.
Clau: -_________- Sono seria. Vabbè lasciamo perdere. Il prossimo capitolo sarà l’ultimo …
Goku: Sia Lode e Gloria!
Clau: Ti ho sentito maledetto. Guarda che il capitolo risolutivo devo ancora scriverlo quindi non ti conviene fare tanto il galletto.
Ryohei: AHAHAH! Il galletto! Bella Clau: dammi il cinque!
Goku: Non si può mica continuare così …
Mukuro: Kufufu.
Hibari: Appunto!
   
 
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