testo.
Capitolo
venti
"Look at me... trust me"
Aveva
un mal di testa feroce. Si massaggiò le tempie cercando di
trovare
sollievo.
Dopo
la notte sul divano, il risveglio all’alba dopo un sogno che
era a
dir poco meraviglioso e lo shock di scoprire che era stato, appunto
soltanto un sogno, non era riuscita più a prendere sonno.
Aveva
tolto il vestito blu e lo aveva rimesso sulla sua gruccia.
Aveva
conservato in freezer la cena che aveva preparato.
Aveva
rimesso a posto le lenzuola di seta di Nur e le candele,
ammucchiandole in una scatola di scarpe.
Il
tutto senza batter ciglio.
La
sensazione di qualcosa di strano, di un qualcosa che neanche lei
riusciva a capire da dove venisse fuori non l’aveva
abbandonata,
per cui si era rifugiata come al solito nella sua efficienza fredda e
metodica.
Aveva
fatto colazione con la mousse alla vaniglia e ciliegia, bevuto un
fortissimo caffè nero e si era guardata intorno.
Non
aveva nulla da fare: la casa era in perfetto ordine ed era domenica.
Aveva
voglia di urlare.
Ciabattò
in corridoio e si ricordò del ciondolo del Sig. K.
Aprì
la scatola di velluto consunto con un nodo alla gola.
“Lou...
smettila di fare le tragedie greche!”.
Sì,
poteva anche ripeterselo fino allo sfinimento: quando sembrava che
quella sensazione di un qualcosa di sbagliato stesse svanendo, quando
si era convinta da sola che era tutto ok, che erano solo sue
paranoie ecco che tornavano senza preavviso tutti i dubbi.
Fissò lo
sguardo all’interno della scatola.
Quanto le sarebbe
piaciuto
indossarla.
Per
Ville.
Ma
soprattutto per lei.
******
«Lou?
Sei con noi?»
La voce fredda di Matleena la
riscosse dai
pensieri.
La
sua draghessa la guardava con un sopracciglio alzato.
I
colleghi girarono come un sol uomo la testa nella sua direzione:
molti di loro aspettavano un passo falso da parte sua, un qualcosa
che la facesse uscire dalle grazie di Matleena.
Questa
appunto la richiamò immediatamente all’ordine,
senza però averle
lanciato uno sguardo interrogativo, prima di tornare a parlare.
Aveva
indetto una specie di riunione quel lunedì mattina, per
assegnare i
compiti delle successive esposizioni, mostre ed eventi della prossima
stagione estiva e autunnale.
Lou
tentava con tutta se stessa di prestare attenzione ma la sua mente
era altrove.
Finalmente
dopo un tempo che le parve interminabile, la draghessa li
congedò
tutti con un secco cenno della testa.
Stava
per filarsela nel suo angolino quando Mat la bloccò.
«Lou,
rimani. Devo parlarti.»
Ahia.
Ora le avrebbe dato una lavata di testa: se lo sentiva.
Certo
negli ultimi tempi era stata spesso distratta, con la testa fra le
nuvole più del solito... ma Mat non si era mai lamentata del
suo
operato.
Finora.
Attese
che tutti i colleghi spioni fossero lontani prima di parlare.
«Va
tutto bene?»- chiese Mat in fretta, diretta.
«C-certo
Matleena. Ho fatto qualcosa di sbagliato? Scusa, ho dormito poco
e male in questo weekend...»
Si
stava giustificando come una demente.
«Sì,
l’ho notato. Sei stanca, si vede. Da quanto non ti concedi
una
vacanza? E per vacanza intendo un lungo periodo, non il sabato e la
domenica.»
Matleena
batteva la penna ritmicamente sul tavolo: di solito lei non perdeva
tempo a chiedere ai suoi dipendenti o collaboratori, notizie sulla
salute o altro.
Lou
sapeva di essere una privilegiata: Mat era sinceramente preoccupata
per lei.
«Non
ricordo: forse un anno o poco più...» – la voce le
uscì
strozzata.
Aveva
improvvisamente voglia di piangere.
«Beh,
allora è tempo che tu te ne prenda una. E non sto scherzando
– la
interruppe quando Lou cercò di protestare debolmente
– sei un
aiuto prezioso, ma mi servi nel pieno delle tue forze e
facoltà e se
continui così temo che diverrai un peso per
tutti.»
Come
sempre Mat era lapidaria e diretta.
Lei
sapeva che era per il suo bene se le parlava in maniera così
rude.
«Ho
prenotato il viaggio per gli inizi d’agosto: torno a casa per
un
mese... pensi possa bastarmi come vacanza?» –
chiese cercando
inutilmente di sembrare spiritosa.
«Bene:
allora manca poco. Non so cosa stai combinando, –
inarcò entrambe
le sopracciglia perfettamente curate e disegnate – ma sei di
umore
ballerino. Un giorno sembri camminare sopra le nuvole, quello
successivo ti trascini dietro il peso del mondo.»
Sostenne
lo sguardo di Mat senza batter ciglio.
Stava
migliorando nel nascondere i suoi sentimenti? Ne dubitava.
«Matleena...
conosci un certo Aappo Korhonen?»- chiese Lou chiudendo lei
per una
volta il discorso.
Mat
sbatté le palpebre rapidamente confusa dal cambio
improvviso da un
argomento all'altro.
«Certo
che sì: è stato famoso per un certo periodo,
aveva amici
importanti... Una volta, da ragazza, sono stata ad una sua mostra.
Perché mi fai questa domanda?»
«È
il mio vicino di casa.» – rispose Lou con un
mezzo
sorriso.
«Abiti
in una zona affollata di artisti a quanto pare.»-
ribatté Mat con
un mezzo sorriso.
«Sì...
così pare.» – si morse
l’interno della guancia e deglutì a
vuoto.
“Non
osare metterti a piangere ora, brutta stupida!”.
«Sai,
è sparito dall’ambiente molti anni fa... correva
voce che fosse a
causa di una delusione d’amore... o roba simile.»
“Roba
simile...”.- pensò Lou
con una stretta al cuore.
*******
«Maili
era la donna più bella e interessante con cui avessi mai
parlato
prima di allora. Era una di quelle donne piene di idee strambe,
schietta e che prendeva la vita come se fosse ogni giorno
l’ultimo.
Io
al contrario ero un tranquillo topo di biblioteca: l’unica
nota di
colore della mia vita erano i miei quadri.
Era
anche la donna più difficile con cui avessi lavorato prima.
Durante
il primo giorno di lavoro in cui lei doveva semplicemente starsene al
suo posto e farmi da modella, abbiamo discusso e litigato svariate
volte.
Lasciava
il suo posto sullo sgabello e veniva a controllare che le dessi le
giuste proporzioni... – il Sig. Korhonen ridacchiò
– mi deconcentrava
non poco come puoi immaginare, poiché stava posando per un
nudo. E
lei aveva un corpo splendido.
E
sapeva perfettamente che effetto mi facesse.
Ero
innamorato di lei già a metà mattinata, ma ero
orgoglioso e anche
stupido all’epoca... lei era fidanzata con una specie
d’attoruncolo
di teatro e si divertiva a civettare un po'
con
tutti.
Mi
era stata presentata da un’amica in comune e ci siamo
detestati
immediatamente, a pelle.
La
trovavo irritante, arrogante e troppo, troppo bella per i miei gusti.
La
verità è che sapevo che mi avrebbe portato solo
guai... – tornò
a ridacchiare – sapevo che la mia vita non sarebbe stata
più
tranquilla come lo era stata fino a quel momento. Io volevo solo
dedicarmi alla mia pittura, a viaggiare e conoscere le città
europee.
Quando
ero giovane, Helsinki non era quella che è ora: soltanto
negli ultimi anni ci siamo liberati dall’influenza sovietica.
Quindi
appena ho potuto permettermi di pagare il biglietto per il viaggio,
sono andato a Parigi, per studiare e affinarmi “sul
campo”.
Non
immaginavo certo di trovare in Francia una donna finlandese.
Era
l’ultima cosa che mi aspettavo.»
Lou
sorrise divertita al suo amico, che bevve un sorso del
tè alla
menta, fermandosi per un istante dal racconto.
Sedevano
nel salotto di casa Korhonen, la domenica pomeriggio.
Lou
aveva riportato al suo vicino di casa il ciondolo.
Lui
lo aveva ripreso senza dire nulla o chiedere come fosse andata la
cena della sera precedente.
Probabilmente
per un innato sesto senso evitò di farle domande,
limitandosi a
sbirciarla di tanto in tanto curioso.
Ville
non si era fatto vivo.
Aveva
preso in mano il cellulare innumerevoli volte per chiamarlo.
Cosa
diavolo gli era successo?
Possibile
che non avesse trovato il tempo di mandarle un messaggio, di
chiamarla?
Perché
poi si preoccupava tanto neanche lei lo capiva: era già
capitato che
lui sparisse per intere giornate e a volte, anche più di una.
Lo
sapeva.
Era
stata avvertita.
Per
Ville c’era sempre la sua musica al primo posto, e lei non
voleva
che fosse diverso da com’era.
Ma
poi Ville tornava sempre da lei... sempre.
«Era
una rompipalle senza eguali. Quando decideva una cosa non c'era
verso di farle cambiare idea... s'incaponiva come una bambina
capricciosa!
Ma
era fantastica il più delle volte... non mi sono mai
annoiato con
lei.»
Lou
era felice che il suo vecchio amico stesse raccontandole la sua
storia con Maili: la distraeva dal pensiero costante di Ville.
Stranamente
quel giorno non aveva voglia di stare in casa da sola.
Pioveva
ancora, fuori c'era una nebbia fitta tanto da poterla tagliare con un
coltello.
Di
solito le piaceva passeggiare con il cattivo tempo; poteva in quel
modo starsene con i suoi pensieri, ma era proprio quello che voleva
evitare quel giorno: che i pensieri prendessero il sopravvento.
«Dopo
quel primo giorno disastroso non l'ho più rivista per mesi.
Lei
era fatta così: entrava ed usciva dalla vita delle persone
quando e
come le pareva.
Io
non approvavo questo modo di fare: ero... sono –
precisò - uno
metodico, noioso forse.
Ricomparve
come se nulla fosse nel cuore della notte, bussando alla porta della
soffitta dove vivevo.
Non
avevo soldi, ovviamente come tutti gli artisti: mi arrangiavo come
potevo ma ero felice perché facevo esattamente quello che
avevo
sempre sognato.
La
mia accoglienza non fu affatto calorosa: sono pur sempre finlandese,
per di più ero stupidamente orgoglioso, come solo i giovani
sanno
esserlo – le lanciò uno sguardo sibillino
– ed ero assurdamente
arrabbiato con lei per essere sparita.
Come
se dovesse darmene conto! Non era neanche la mia donna... e forse era
questo che mi rendeva assolutamente rabbioso nei suoi confronti.
La
cacciai via rimandandola dal suo attoruncolo da strapazzo.
Non
volevo avere rogne a causa sua.
Lei
mi mandò a quel paese, entrò nella stanza senza
tante cerimonie
sbattendo la porta dietro di sé e mi baciò. - gli
occhi azzurri del
Sig. Korhonen lampeggiarono – non sono più
riuscito a
liberarmi di lei,
da quel giorno in poi.»
Lou
scoppiò a ridere. «Accidenti!
Una donna che sapeva quel che voleva, sicuramente...»
«Puoi
dirlo forte... - il vecchio rise con lei – ma al di
là di questo
suo modo di fare così diverso dal mio e da chiunque avessi
mai
conosciuto prima, era una donna dolcissima.
Sapeva
creare intorno a sé un'atmosfera piacevole: chiunque
entrasse in
questa bolla ne rimaneva coinvolto, sentendosi amato. Sapeva
accogliere le persone, accettarle così com'erano, nei loro
difetti
così come nei pregi. Era
unica. Gli anni con lei sono stati magici.»
Il
Sig. Korhonen tornò a sorseggiare il suo tè e lei
attese che continuasse
il racconto.
«Abbiamo
viaggiato tanto, visitato posti meravigliosi: dopo Parigi, abbiamo
vissuto per qualche tempo a Roma, sai? Si era messa in testa di fare
il bagno nella Fontana di Trevi come la Ekberg, ma nuda... se non
fosse stato per il mio buonsenso l'avrebbero arrestata in diverse
occasioni!
Era
piena di vita, completamente pazza...» - sospirò.
«Quanto
tempo siete stati insieme? Vi siete sposati?» - Lou si
trattenne
dal chiedere altro, mordendosi la lingua.
«Siamo
stati insieme quindici anni e nessuno dei due credeva nel matrimonio
“classico
e religioso”...
se scambiarsi un anello nel posto che più amavamo al mondo,
da soli,
può essere considerato come un impegno per la vita, allora
sì... lo
eravamo.»
Il suo amico la fissò
negli occhi
scandagliandola a
fondo.
«Tu
pensi che il vero legame fra due persone possa essere sancito solo
davanti ad un altare? Non pensi che amare qualcuno e legarsi a lui
sia qualcosa che vada al di là della fede in una religione?
Non
credi che non ci sia bisogno che qualcuno ti dichiari che appartieni
a quella persona per renderlo ufficiale? Quando scegli qualcuno, lo
fai con il cuore e con l'anima... da solo.
Da
solo con lei. Siete
solo voi due. Voi due e il resto del mondo è
fuori.»
******
«Maledizione!»
– strattonò la zip della borsa incastrata.
Aveva
fatto gli ultimi 500 metri fino a casa sua di corsa, perché
aveva
iniziato a piovere forte e ovviamente lei non aveva nessun ombrello
con sé.
Si
stava inzuppando.
Finalmente
riuscì a trovare le chiavi e aprì in fretta
precipitandosi in casa,
all’asciutto.
Katty
le venne subito in contro
miagolando
festosa,
strusciandosi contro le sue gambe.
«Ciao
bella... sei di buon’umore oggi? Beata te...»
Scalciò
le scarpe da ginnastica nel corridoio, togliendo i vestiti bagnati
con Katty che le trotterellava dietro.
S’infilò
la sua vecchia tuta sbrindellata ma calda e si occupò di
Katty
dandole i suoi croccantini al pesce.
Scaldò
un pezzo di pizza, che fissò truce prima di addentarla:
doveva
essere la cena per lei e il suo finnico scomparso.
Una
fitta le ricordò che doveva prendere qualcosa per far
passare quel
mal di testa che si portava dietro dal giorno prima.
Si
versò un bicchiere di latte freddo e ingoiò una
compressa, prese
Katty con sé e s’infilò a letto,
coprendosi anche la testa con il
copriletto.
Finse
per tutto il tempo che andava tutto bene e non stava pensando a
Ville.
******
«Maili
è morta in uno stupido incidente.
Stava
tornando a casa in bicicletta ed è stata sbalzata via,
tamponata da
una macchina.
Non
si è accorta di nulla. Non ha sofferto. Ma io
sì.» – il Sig.
Korhonen sospirò rigirandosi tra le mani nodose la foto
nella
cornice d’argento.
«Sai,
mia cara... era uscita per farmi una sorpresa: era il nostro
quindicesimo anniversario e stava preparando qualcosa di speciale. Non
ho mai
saputo cosa stesse combinando in gran segreto: lei era fatta
così.
Dopo di lei non ho avuto mai un’altra compagna.
Oh,
sì certo: non mi mancava la compagnia femminile. Ma tutto si
riduceva a bisogno fisico e basta. Il mio cuore è stato
sbalzato
via, insieme a quello di Maili.»
******
Un
bussare insistente alla porta la svegliò.
Aveva
sognato l’ultima parte del racconto del Sig. K.: solo che nel
suo
sogno Maili non era morta e lei e il suo amore, vivevano ancora
insieme nella casetta di fronte alla sua.
Bussarono
ancora, battendo con maggior forza.
Non
aveva nessuna intenzione di andare ad aprire, chiunque fosse.
Si
tirò decisa il piumone sulla testa.
Non
voleva vedere nessuno.
Forse.
Katty
miagolò dal corridoio richiamandola e lei seppe chi era al
di
là della porta.
Si
alzò con un sospiro, marciando a passo di carica verso
l’ingresso:
Valo le doveva delle spiegazioni.
Aprì
di scatto la porta trovandosi un paio di occhi verdi che la fissavano
allarmati, per passare poi ad un’espressione decisamente
truce.
«Hai
intenzione di farmi prendere un colpo? Perché diavolo non
rispondi
al cellulare? Ti ho chiamata un centinaio di volte: dov’eri?!
Per
non parlare del fatto che mi sono attaccato al citofono per un tempo
infinito! Ora tutti quanti nel quartiere sanno di noi.»
Lou
ricambiò lo sguardo truce, incrociando le braccia sul petto.
“Fermi
tutti! Ora LUI le stava facendo una piazzata perché LEI non
gli
aveva risposto al cellulare?!”
.
Ebbe
improvvisamente voglia di prenderlo a calci.
Se
solo non fosse stato così bello e sexy, mentre la bocca
morbida si
piegava in un sorriso ironico.
Se
solo non l'avesse amato da morire.
«Ho
come l’impressione che tu non abbia nessuna voglia di farmi
entrare.» – disse infilando le
mani nelle tasche
dei jeans.
Guardandolo,
le sembrò passata un’infinità di tempo
dall’ultima volta che si
erano visti.
Lou
rimase chiusa nel suo mutismo, non muovendo neanche un muscolo.
«Sì,
sei decisamente arrabbiata. Cos’ho fatto stavolta?»
“Non
provare a fare il furbo facendomi quella faccia, Valo! Non osare
ridacchiare!”.
Ville
abbassò gli occhi a terra, ma non per imbarazzo: stava
reprimendo
l’impulso di riderle in faccia.
Lou
sentì le orecchie fumare.
«'Prinsessa', non vuoi farmi entrare?» – le chiese tornando a
guardarla dritto
negli occhi, causandole un momentaneo black out alle sinapsi.
Si
spostò di lato rimanendo in silenzio; lui le
passò vicino
sfiorandola appena tornando a ridacchiare sotto i baffi.
Lo
avrebbe strozzato, decise.
Avrebbe
usato quella maledetta sciarpina nera che faceva risaltare ancora di
più gli occhi verde chiaro.
Katty
fece le feste al ‘figliol
prodigo’
e non si
curarono più di lei e del suo broncio.
Lou
sentiva le orecchie sempre più calde.
“Prego,
fai come se fossi a casa tua!” –
pensò acida Lou vedendolo mettersi comodo togliendo le
scarpe,
allineandole vicine e precise accanto al divano verde; lo vide
togliersi la sciarpina e la giacca di pelle leggera e metterle
ordinate sulla sedia.
L’occhio
destro di Lou tremò leggermente all’angolo.
Maledetto
traditore: faceva così ogni volta che le saliva la pressione
improvvisamente.
«La
nostra 'Prinsessa' è di cattivo umore?»
Ville tubava e parlava con
Katty come se lei
non fosse presente e la felina gli rispondeva con un “maooo”
diverso da quello che usava con lei.
“Bagascia
di una gatta!”.
Lou
rimase rigida sulla soglia del salotto, sentendosi
un’intrusa.
In
casa sua!
Ville
alzò gli occhi per un momento e la guardò a
lungo.
Lei
non muoveva un muscolo e avrebbe fatto un’ottima figura di
impassibilità e freddezza... se il suo maledetto occhio
destro non
avesse iniziato a battere furioso!
Lui alzò
l’elegante, affusolata, enorme mano bianca e
le fece cenno di
avvicinarsi.
“Manco
morta!”.
Lou
ignorò lui e la sua mano tentatrice e si diresse verso
l’isola
cucina: lo sentì sospirare e sussurrare qualcosa a Katty.
Aprì
il frigorifero in cerca di qualcosa che avrebbe raffreddato i suoi
bollenti spiriti, le orecchie fumanti e l’occhio magari
avrebbe
smesso di agitarsi.
Prese
il cartone del succo d’ananas e lo sbatté
violentemente sul
ripiano, mentre cercava un bicchiere pulito, lo trovava, sbatteva
anche quello (rischiando di mandarlo in pezzi) e vi versava il succo.
La
sua rabbia e la preoccupazione, nonché la delusione della
sera
prima, di tutti i preparativi andati a monte, il vestito, la cena, il
ciondolo, le candele... ora le sembravano futili.
Ora
che lui era lì, che si alzava felino dal divano per
raggiungerla
nello spazio ristretto tra il lavello e il frigo.
Le
si piazzò di fronte sovrastandola.
«Guardami.»
– le ordinò a bassa voce.
“Fottiti.”
- pensò
fissando il
bicchiere.
«Lou?
– ripeté inclinando la testa di lato, sbirciandola
– che
succede? Avanti so che sei arrabbiata, ma non ne so il motivo:
parliamone. Ti va?»
“Perché
deve essere così calmo, così dolce,
così... così Ville?”.
E
perché lei era sull’orlo del pianto dirotto?
Maledizione
a lui.
Ville
la abbracciò improvvisamente, con un sospiro.
«Ecco, ora va meglio....uhmmm, mi
sei mancata.»
Il
suo occhio destro avrebbe fatto un triplo salto mortale se avesse
potuto.
«Posa
quel bicchiere, 'Prinsessa'...
o hai deciso di romperlo sulla mia testa? E... pensi di parlarmi
prima o poi?
Le
mani calde le accarezzavano piano la schiena rigida.
E
lei rinsaldò la presa intorno al bicchiere, valutando per un
istante
l’idea di tirarglielo dietro sul serio.
«Sai,
ricordo una situazione simile, in questo stesso posto... con te
arrabbiata e una tazzina in mano... sono sotto il costante tiro
nemico, a quanto pare...» – ridacchiò
lui baciandole piano i
capelli.
«Piantala
di baciarmi!»
La voce le uscì un po'
più dura di quanto
avrebbe voluto, tanto che lui si bloccò per qualche secondo.
«Ok,
dimmi che cosa c’è che non va.»
– le alzò il mento con un dito, obbligandola a
guardarlo.
La scrutava serio ora, quasi
preoccupato.
E
lei si sentì ancora più stupida per essersela
presa per una cosa
che non era così importante.
Faceva
sempre lo stesso errore.
Stavolta però non
poteva dirgli che aveva pensato a cose assurde come era
già successo la volta precedente con Amy.
Lui
le aveva chiesto di fidarsi e lei lo aveva promesso.
Le
aveva detto che ci sarebbero stati giorni difficili, in cui non
avrebbe potuto essere con lei.
Lo
sapeva.
«Sono
stanca. Ho avuto una pessima giornata al lavoro.» –
mentì con
voce piatta, svincolandosi dal suo abbraccio.
«Ok,
lo capisco... posso fare qualcosa per farti stare meglio?»
“Maledizione!”.
Fece
spallucce girandogli le spalle, trafficando con il cartone del succo
d’ananas.
Sentì
le braccia magre di Ville abbracciarla da dietro, la fronte che
poggiava sui suoi capelli.
Sentì
il suo corpo premerle contro, caldo e rassicurante.
«Ti
fidi di me, Lou?» – sussurrò
piano
vicino al suo orecchio.
Lei
rimase senza fiato.
La
sua perspicacia la lasciava senza parole.
«Vorrei
provare a farlo... ho solo paura di non... di non riuscire ad essere
quello che tu vuoi, quello che ti aspetti da me.»
Gli
fu grata che continuasse a tenerla stretta a sé, senza
provare a
girarla per guardarla in viso.
«Cosa
pensi che mi aspetti da te?»
«Non
lo so... penso di non esserlo e basta. Qualunque cosa tu voglia, io
non lo sono.»
«Di
non esserlo e basta? Di cosa stiamo parlando?»
La
cullava, sì la cullava tra le braccia, mentre avrebbe voluto
scuoterla probabilmente.
«Di
non essere abbastanza per te.»
Ecco.
Si
maledisse per la propria linguaccia, per la propria debolezza, per la
sua stupidità e capacità di complicare anche le
cose più semplici.
«Lou...»
“Non
'Prinsessa'”.
«Lo
so, Ville... so quello che stai per dirmi.»
«Cosa
sto per dirti?»
«Che
mi sbaglio: che non sono io a sapere cosa tu voglia.»
«Hai
ragione: ti sbagli. E ancora di più sbagli a dire che non
sei
abbastanza per me. Sei anche troppo... Lou, tu mi dai qualcosa che
non speravo di avere più.
Ho
amato tante donne nella mia vita, sono stato a letto con molte
più
donne di quante avrei mai pensato di poter avere; con qualcuna di
loro ne è valsa la pena, con qualcun’altra no; poi
ci sono state
quelle per le quali ho scritto canzoni.
E
poi ci sei tu. Che non sei uguale a nessun’altra. Che non
potevo
immaginare.
Che
mi fai entrare nella tua normalità, che mi tratti come uno
qualunque, che mi fai tornare ragazzo e avere voglia di qualcosa che
non sapevo di volere.»
Lou
trattenne il respiro per un tempo indefinito.
“SE
muoio è per colpa tua.”.
Lui
strinse le braccia ancora di più attorno a lei, sfiorandole
l’orecchio con la punta del naso.
«E
cosa vuoi?» – impiegò
molto
più tempo del dovuto per articolare
quelle tre parole.
«Questo...
io e te... così, come ora... per tutto il tempo che mi
vorrai.»
******
Le
mani scorrevano lungo le braccia, fermandosi sulle spalle nude e
tornavano indietro lentamente fino ai polsi di Lou.
«Mi
avresti tirato il bicchiere?» – le chiese
ridacchiando.
Lou
era incuneata fra le gambe di Ville, che la stringevano alla vita e
lei lo guardava seria, con il viso appoggiato sulla pancia di lui.
«No.
Avevo
in mente di strozzarti con la sciarpina.»
«Ahia.
Preferisco una morte rapida e violenta che una lenta agonia.»
«Non
è quello che canti.»
«A
voi donne piace immaginarmi così...» –
sospirò teatrale
alzando gli occhi al cielo.
«Umpfh.»
Ridacchiò
nuovamente, prendendole i capelli in entrambe le mani.
«Amo
i tuoi capelli che danzano intorno a noi, amo sentirli sfiorarmi
quando sono dentro di te, creando una cortina magica, dorata tra
noi...»
«Già,
già Valo, ma non attacca: non mi freghi sempre con questi
versi
poetici, come fai con tutte le tue prede.»
«Vero.
Tu non hai bisogno di chiacchiere. Tu vuoi i fatti. Sei una donna
materialista...» – spinse provocatorio
il bacino
contro di lei.
«Fottiti,
Valo.»
«Siamo
diventati sboccati, eh?»
«Già:
sai, frequento cattive compagnie.»
«Vero
anche questo...»
La
guardò negli occhi continuando a giocare con i suoi capelli,
intrecciandoli alle mani.
«Sei
seria. Più del solito, intendo.»
«Non
sono mai stata l’anima della festa se è per
questo.»
«E
siamo anche acidi, vedo... la mia cura non ha
avuto esiti
positivi.»
«Forse
la
tua cura fa cilecca.»
«Cilecca,
eh?»
Lou
alzò un sopracciglio come faceva lui.
Ville
rise con la sua risata a singhiozzi.
La
sua “Lambretta”:
ricordava la prima volta che l’aveva sentita, la notte che
avevano
trovato Katty.
La
notte che era cambiata la sua vita.
«Che
cosa hai fatto di bello in mia assenza?»
Lou
strinse gli occhi soffocando la rabbia per la cena mancata e la
sorpresa.
«Sono
stata qui, poi ho fatto visita al Sig. Korhonen; non mi sembrava in
forma
il giorno precedente e volevo assicurarmi che stesse bene.»
«E
ora sta bene?»
«Sì,
sta bene.»
«Non
hai molta voglia di fare conversazione, eh?»
«Tu
parli troppo, Valo... te lo dico sempre.»
Lou
si alzò a sedere sul letto sfuggendo alla presa di Ville.
«Ehi,
dove vai?»
«In
cucina, ho sete.»
E
prima che potesse aggiungere altro, lei scivolò via lesta.
Aveva
stranamente bisogno di qualche minuto da sola.
La
presenza dell'uomo alterava sempre il suo modo di vedere e
approcciarsi alle cose.
Doveva
impegnarsi a non dar troppo peso alle parole, a godersi il momento e
non lasciarsi andare eccessivamente.
Mara
aveva ragione. Con lei o era tutto o niente.
Doveva
imparare a gestire le cose con maggior consapevolezza, senza negarsi
la gioia di avere Ville nella sua vita.
Bevve
un bicchiere d’acqua, sperando che facesse chiarezza anche
dentro
la sua testa e rinfrescasse i pensieri confusi, dopo le parole dolci
di Ville.
Prese
al volo la bottiglia portandola in camera, pensando che anche lui
potesse aver sete.
Ville
non era più sul letto disfatto, ma curiosava guardando la
cornice in
plexiglas che raccoglieva tutte le sue foto dei ricordi.
Una
bella visione anche per lei, dato che era con le sue beltà
al vento.
Si
girò sorridendole, nel sentirla tornare in camera.
«Raccontami
di queste foto.»
«Cosa
vuoi sapere? Sono solo foto di ricordi...»
«So
cosa sono, voglio che mi dici cosa significano per te. Avanti, non
fare la scontrosa... vieni qui.» – la
tirò via dal letto,
piazzandola davanti a sé e tenendola stretta.
«Questa
– indicò una foto di lei e Mara in bianco e nero
- Qui dove sei?
Con chi eri e cosa stavi facendo?»
«Lei
è Mara, la mia più cara amica. Siamo a Roma,
durante il primo anno
di Accademia; non ricordo cosa stessimo facendo di preciso... la foto
l’ha scattata Simone. È un ottimo fotografo se
decide di stare
dietro la macchina e non davanti...»
«Sei
molto carina con i capelli corti.»
«Erano
corti perché Simone, voleva giocare all’Allegro
Hair-Stylist Gay e
sbagliò la tinta, su di me. Ovviamente. I capelli
diventarono di un
colore giallognolo tendente la verde. Così fui costretta a
tagliarli.»
Le
strinse le braccia intorno alla vita, distraendola.
«E
qui? Chi sono loro?»
«I
miei genitori e mio fratello Livio, manca l'altro mio fratello in
questa... e questa è casa mia...»
Indicò la sua famiglia,
immortalata nel piccolissimo giardino dietro casa. La foto era piena
di sole e ridevano tutti. Suo fratello faceva come al solito il
buffone e aveva detto una delle sue baggianate. Lou non ricordava
cosa disse in quell’occasione.
«Tu
non ci sei.»
«Ero
io a scattare: è una foto di qualche anno fa... ora mio
fratello è
cresciuto, ma è ugualmente idiota...»
«Ti
somiglia in qualche modo. Ha i tuoi stessi occhi, ma tu somigli a tuo
padre.»
«Sì,
come da manuale le donne somigliano di più al
papà e i maschietti
alla mamma, di solito; tu a chi somigli?»
«A
mia madre, per i tratti del viso... per il resto, a mio
padre.»
Si
chiese come dovesse essere bella la madre di Ville se il figlio aveva
preso da lei.
Il
pollice di Ville disegnava ghirigori sulla pancia di Lou.
«Questo
è Simone e lui chi è?»
Ville
indicò una foto dell'ultima volta
che era stata in Italia.
«Karl,
il marito di Mara... affascinante, non trovi?»
«Ummmm,
se ti piacciono gli spilungoni biondi ti presento qualche mio
amico.»
«No,
preferisco i mori.»
«Buongustaia.»
«E
questa?» - indicò l'ecografia
di Mara con tono
interrogativo e
preoccupato.
«Tranquillo,
non è mia. Mara me l'ha mandata ieri.»
«Io
sono tranquillo, tu molto meno... - aprì la mano sulla
pancia – Non vuoi avere bambini?»
Lou
si gelò immobile e si staccò da lui bruscamente.
«Non
è la mia priorità, ora.» - disse seccamente
infilandosi la t- shirt.
«Com'eri
da bambina?» - Ville cambiò
rapidamente discorso,
buttandosi sul
letto.
«Piccola.»
“Acidissima.
Limone. Pompelmi a vagonate.”.
Ville
ridacchiava dal letto.
«Lou?
Sputi bile da ogni poro stasera... vieni qui.»
«Non
ci penso neanche. Sono stata a letto tutto il giorno, voglio
sgranchirmi le gambe.»
«Ci
sono molti modi per sgranchirsi le gambe...» -
sussurrò allusivo.
Lei
si girò con un sopracciglio alzato.
Ormai
aveva affinato la tecnica: le veniva benissimo.
«Di
nuovo? Non farà male alla tua età strafare?»
Niente
da fare. L'allieva non poteva superare il maestro.
Le
sopracciglia di Ville fecero quasi il giro mortale all'indietro.
Entrambe.
Contemporaneamente
e con eleganza.
«Male?
A me?!»
Condensò
tutto il suo sdegno in due parole e tre sillabe.
Aveva
dimenticato il : “Come
osi, tu... plebea!?”.
Lou
si appoggiò mollemente alla scrivania guardandolo con aria
sufficiente.
Le
veniva da ridere e sotto sotto anche a lui.
Prese
la foto che Livio le aveva inviato e la mostrò a Ville,
sedendosi
lontana quanto basta da lui.
Meglio
non sfidare troppo la sorte.
«Ecco,
ero così.»
Ville
la prese e le sorrise con gli occhi, sbirciandola al di sopra della
foto.
«Sei
uguale: stessa espressione incavolata, stessa smorfia, stessi
capelli... marmellata a parte, non sei cambiata molto...»
“Sarebbe
bello, Ville... ma non sono più quella bambina.”
«Posso
tenerla?»
Lou
annuì, lusingata che lui volesse la sua foto da bambina...
era
così... dolce. E intimo.
«E
comunque... - continuò avvicinandosi a lei inchiodandola
sul posto
con la giada – ti vedo bene con un bambino. Saresti un'ottima
madre.»
Lei
tornò ad irrigidirsi.
«E
come fai a dirlo?»
«Perché
vedo come sei premurosa con il Sig. Korhonen: sei premurosa con tutti
e lo saresti ancora di più con un bambino.»
Lou
mordeva nervosa l'interno della guancia, massacrandosi la carne.
«E
tu? Tu ti vedi come padre?» - si pentì
immediatamente di quella
domanda.
Non
voleva saperlo. Non voleva una risposta.
Qualunque
cosa avesse detto lui, non avrebbe cambiato la realtà dei
fatti.
Doveva
dirglielo? Cosa avrebbe cambiato? Nulla.
Ville
ponderò bene la risposta non staccando gli occhi da lei.
«Potrei
vedermi bene, sì. Penso che sia la conseguenza normale se
trovi la
persona giusta, no?»
«Giusto.»
«Uhmmm...»
«Che
mugugni?»
«Devo
assolutamente trovare un modo per farti tornare di buonumore.
Adesso.»
La
bloccò con le lunghe gambe magre sotto di sé.
«Valo...» -
iniziò a borbottare.
«Zarda,
te l'hanno mai detto che a volte parli troppo?»
*******
"Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Sono salva! Dopo
aver rischiato di brutto per la fregatura dello scorso capitolo eccoci
qui con un altra dose di Pippe's Lou! ^^
Valo è tornato e come sempre la nostra amica non ha saputo
resistere al fascino del secco... u,u
Gli basta davvero poco per farla capitolare, ma è
innamorata: bisogna capirla, poraaaa stella!!
E nnnniente... spero che anche questo capitolo vi tenga compagnia per
un pò e vi piaccia... e spero anche che tutti i fantasmini (
e sono tanti) che leggono, prima o poi, lascino un loro commentino.
Tranquilli: non mordo! (forse) xD
Come sempre un grazie speciale alla mia Beta che si è persa
momentaneamente tra i trulli della Puglia:
Deilantha.
Spalla
e
roccia della mia vita insieme all'apinacuriosaEchelon.
<3
Ringrazio tutte
le affezionate lettrici che hanno lasciato un segno del loro passaggio
nel capitolo precedente:
katvil,
_TheDarkLadyV_, cla_mika, arwen85, Daelorin, Lady Angel 2002,
LaReginaAkasha, Enigmasenzarisposta, IlaOnMars6277,
Gone
with the sin, renyoldcrazy, LilyValo, _Venus_Doom_ , FrancyValo,
Izmargad, Emp_MJ.
Inolte
un grazie ad Ary
per la lettura a tempi di
record che sta facendo!
E un grazie anche ad Alessandra S., sorella dello "zoccolo duro"da
lunghissimo tempo che ha scoperto da poco Ville e gli HIM (per la
disperazione di Reny!XD).
:*
Alla
prossima!
*H_T*
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