I |
giorni successivi passarono in un
lampo, alternandosi tra duri
addestramenti e intensi momenti di tenerezza tra me e Freya. Dopo aver
dichiarato i nostri sentimenti reciproci, in un modo o
nell’altro, diventammo
in fretta una coppia unita e affiatata. Passavamo le nostre giornate
insieme,
trascorrendole nel suo grazioso appartamento oppure in giro per
Stoccolma a
passeggiare nel parco e fare shopping come una qualsiasi coppia,
innamorati
persi l’uno dell’altra.
Ma la nostra vita aveva anche un
altro rovescio della medaglia
fatto di magia, allenamenti con le armi e indagini alla ricerca dei
nostri nemici.
Sembrava che dopo il fallito attacco nel bosco fossero spariti nel
nulla.
Avevano nascosto ogni traccia e ci fecero sperare che avessero
abbandonato i
loro piani di dominio. Ma sapevamo che era solo un’illusione,
che stavano
semplicemente agendo nell’ombra e che presto sarebbero
tornati all’attacco. La
conferma di questo arrivò fin troppo presto, il sabato
successivo, esattamente
una settimana dopo l’imboscata in cui ero stato ferito.
Quel mattino, appena svegli, Thor
si presentò alla porta e, con
una grande dimostrazione di tatto da parte sua, suonò il
campanello invece di
comparire dal nulla direttamente dentro casa. Questo suo inusuale gesto
ci
salvò da un certo imbarazzo, perché quando il
trillo riecheggiò
nell’appartamento io e Freya eravamo seduti sul suo letto,
l’una nelle braccia
dell’altro, impegnati a darci il buongiorno con un lungo
bacio. Che dolce risveglio, stavo
pensando beato
quando sentii il suono di quel campanello che tanto avevamo atteso e al
contempo temuto.
Mentre ci scioglievamo
dall’abbraccio e accoglievamo il Dio,
capimmo dalla sua espressione che l’idillio era finito.
Presto, troppo presto,
sarebbe giunta l’ora di combattere. Tuttavia nemmeno in quel
momento desiderai
che fossimo semplicemente una coppia di ragazzi normali. Ormai
c’eravamo
dentro, quella era la natura di Freya, la nostra natura, la nostra
vita, nelle
situazioni belle come in quelle brutte, e non l’avrei
cambiata per niente al
mondo. Con Freya al mio fianco sentivo che avrei potuto affrontare
qualsiasi
cosa, e insieme ne saremmo usciti vittoriosi.
Thor si sedette pesantemente su una
sedia e ci guardò un momento
in silenzio prima di spiegarci il motivo della sua visita. Sembrava
esausto,
provato dalla guerra che stava combattendo ad Asgard, ma al contempo
appariva
di buonumore. Probabilmente non ci aspettavano cattive notizie
dopotutto.
«Allora…»
esordì calmo, con la sua voce profonda.
«Innanzitutto vi
porto notizie della guerra nella mia patria, buone notizie direi. Tutto
procede
bene, nonostante tutti gli Dei siano provati e indeboliti dai continui
combattimenti siamo riusciti a respingere le armate di Loki dal
Walhalla e a
farle ritirare fino quasi al Bifrost, il Ponte
dell’Arcobaleno che collega i
Mondi, infliggendo loro numerose perdite.»
«Ottima
notizia!» esclamò Freya rallegrata, e io mi
dichiarai
d’accordo con lei.
«Già, ma non
è l’unica. Anche per quanto riguarda i movimenti
di
Loki qui sulla Terra ho alcune novità. Hugin, il corvo di
Odino, è riuscito a
scoprire il nome del luogotenente in Svezia del Traditore.
Si chiama Daoc, ha
l’aspetto di un normale essere umano ma è
dotato di poteri spaventosi, compresa la capacità di
cambiare forma e mostrarsi
nel suo aspetto originale, quello di un mostro proveniente da uno dei
Nove
Mondi, anche se nessuno sa quale sia la sua forma mostruosa. Di certo
si sa
solo che è molto potente.
L’altra notizia
è che Muninn è riuscito a intercettare un
messaggero
e scoprire una parte dei piani del nemico. Sappiamo che cercheranno di
assassinare il Re Gustavo Adolfo e il resto della famiglia reale. Non
hanno
intenzione di andare tanto per il sottile, vogliono prendere il potere
con un
colpo di stato, e una volta che ci saranno riusciti si assicureranno il
controllo incondizionato del Regno grazie alla magia di Loki.
E sappiamo anche
dov’è il loro quartier generale. Si sono
stabiliti in un vecchio magazzino abbandonato alla periferia
occidentale di
Stoccolma. A quanto pare Daoc si nasconde lì, insieme alla
sua guardia
personale, circa una cinquantina di guerrieri. L’edificio
è protetto da diversi
incantesimi, tra cui uno per tenere alla larga gli estranei, ma nulla
che non
siate in grado di affrontare.
Dovete andare lì e
catturare Daoc, Odino lo vuole vivo se
possibile. Gli altri uccideteli, non fate prigionieri.»
Concluso il suo
discorso Thor si rilassò sulla sedia, lasciandoci il tempo
di elaborare quello
che ci aveva detto.
Io fui il primo a prendere la
parola.
«Beh, come sapete non
sono esperto nel pianificare gli attacchi,
quindi ti lascio campo libero sulle decisioni tattiche,
Freya.»
Lei annuì e
rifletté per qualche istante, poi espresse il suo
piano.
«Bene, grazie per le
informazioni, le sapremo sfruttare. Georg
ormai è abbastanza addestrato per entrare in azione.
Agiremo domani, in mattinata faremo
un sopralluogo per capire com’è
l’ambiente e come sono disposte le guardie, poi torneremo
qui, decideremo come
muoverci, ci armeremo e sferreremo il nostro attacco domani sera verso
il
tramonto, per non attirare troppo l’attenzione dei cittadini
sulla battaglia.»
Affermò, poi mi guardò negli occhi e mi sorrise
dolcemente, con aria decisa.
«Insieme ce la faremo, Odino sarà fiero di noi,
non è vero Georg?»
Io le risposi stringendola a me e
rubandole la bocca in un tenero
bacio, dimostrandole così la mia piena fiducia. Il calore mi
avvolse, ma ci
separammo presto, più di quanto avremmo voluto, consapevoli
dello sguardo di
Thor su di noi.
Il Dio appariva perfino un
po’ imbarazzato, ma sorrise
soddisfatto.
«Ahahah, a quanto pare
avevo visto giusto su di te Georg! Sei
riuscito a conquistare il cuore di una Valchiria, un’impresa
di cui andare
fieri.»
Grazie a lui l’atmosfera
si rilassò e il resto della mattinata
trascorse in allegria. Avere un Dio come ospite a pranzo non
è una cosa che
capita tutti i giorni ai comuni mortali, ma a noi non pareva poi
così strano.
Ormai per noi Thor era un amico.
Nel primo pomeriggio se ne
andò, dopo averci dato le ultime
indicazioni riguardo alla base di Daoc, e promise che ci avrebbe tenuti
informati tramite i Corvi di Odino se avesse scoperto altro.
Non appena la sua figura svani nel
nulla, Freya si volse verso di
me e, dal luccicare malizioso del suo sguardo capii che aveva qualcosa
in mente.
Mi si avvicinò e teneramente mi abbracciò posando
la testa sulla mia spalla.
Iniziai a darle tanti lenti bacini tra i capelli, aspettando che mi
dicesse
cosa le passava per la mente.
«Stavo pensando che non
sappiamo come andranno le cose domani,
potremmo essere impegnati in questa guerra per diverso tempo una volta
iniziato, e mi è venuta un’idea. Questa potrebbe
essere l’ultima giornata
normale per noi, almeno per qualche giorno, quindi che ne dici di
sfruttarla al
meglio e uscire a cena insieme stasera?» mi propose.
Inutile dire che accettai
entusiasta.
Non sapevo che le sue parole
sarebbero state profetiche, e che per
noi non ci sarebbero state giornate normali nel futuro più
prossimo.
Le dimostrai la mia
felicità per quello che sarebbe stato il nostro
vero e proprio “primo appuntamento” meglio che
potevo. Mi lasciai cadere
sdraiato sul divano, sempre stringendola in un caldo abbraccio, e i
miei baci
scesero dai capelli fino alla tempia e da lì fino al collo,
mentre la sentivo
fremere per il piacere, per poi avvicinarmi sempre più alla
sua bocca in
attesa.
Il resto del pomeriggio trascorse
così nell’attesa che giungesse
l’ora per uscire finalmente insieme.
*****
E così si fece sera e
uscimmo nella fresca aria invernale, diretti
al ristorante che avevamo scelto. Era un locale carino, vicino al
centro e
abbastanza distante dal nostro appartamento, così potevamo
goderci anche la
passeggiata tra la neve fresca che copriva le strade di un manto bianco
e
uniforme donando alla città un aspetto puro e pulito, molto
diverso dal caos
estivo.
Prendemmo posto in un tavolo per
due appartato in un angolo della
sala, a cui due piccoli separé concedevano una certa
privacy, e ci godemmo
l’atmosfera romantica delle candele, dei fiori e della
leggera penombra mentre
ci veniva servita una cena davvero squisita.
Ma in assoluto ciò che
più apprezzai fu la compagnia della prima e
unica ragazza che amavo con tutto il cuore.
Sfruttammo al meglio quella serata
che potemmo trascorrere come
una coppia normale, e non mancarono i baci, il tenersi per mano e tante
altre
piccole cose che rendevano quei momenti veramente magici.
Troppo presto la cena
finì e uscendo dal locale decidemmo di fare
il giro lungo attraverso la città per tornare a casa, per
poter ammirare
Stoccolma innevata, senza i rumori e le distrazioni di tutti quelli che
la
affollavano di giorno. Camminavamo lentamente nel buio spostandoci da
una pozza
di luce di un lampione alla seguente, mano nella mano, stringendoci
l’uno
all’altra per respingere il freddo. Il cielo sereno era uno
spettacolo di
stelle, ma nemmeno quelle riuscivano a distogliere la mia attenzione da
Freya.
I suoi occhi che luccicavano per la
felicità erano le mie stelle, molto
più dolci e ammalianti di quelle sospese nel firmamento; il
suo sorriso
splendeva più della luna piena sopra le nostre teste, molto
più tenero e
affascinante; la sua mano nella mia mi dava una sensazione di sicurezza
e di
affetto in quel mare di neve; il suo corpo caldo stretto contro di me
mi
riscaldava più di un fuoco scoppiettante nel gelo nordico;
il battito del suo
cuore che sentivo accanto a me era un suono più bello e
armonioso del canto dei
grilli e delle cicale che proveniva dagli alberi intorno.
Perso in quei pensieri, mi resi
conto che per me era davvero la
ragazza più bella del mondo, e che niente avrebbe potuto
cambiare questa mia
opinione.
Ci trovavamo a pochi isolati da
casa mia quando lentamente Freya
si fermò, proprio nel cono di luce proiettato da un
lampione, e si girò verso
di me prendendomi anche l’altra mano e avvicinando il viso al
mio.
«Ti amo Georg. Ti amo da
impazzire e non vorrei mai al mio fianco
nessun’altro che te.» sussurrò
dolcemente, le labbra a un soffio dalle mie.
«Anch’io ti amo
Freya. Più di quanto avrei mai potuto immaginare.
Sono felice di poter essere al tuo fianco in tutto questo, e voglio
passare il
resto della mia vita insieme a te. Grazie per questa bellissima serata,
avrei
voluto che non finisse mai.»
Ci baciammo, e fu un bacio lungo e
intenso, tanto che mi aspettavo
che la neve attorno a noi non si sciogliesse per il calore che
generavamo.
Dopo quella che sembrava
un’eternità ci separammo e lei mi
abbracciò posando la testa sul mio petto. La strinsi a me
affondando il viso
tra i suoi morbidi capelli e restammo così, avvinti
l’uno all’altra. Dopo un
po’ la sentii muovere le labbra.
«Sono felice di averti
conosciuto, tu sei la cosa più bella che mi
sia mai capitata. Qualunque cosa succederà domani,
l’affronteremo insieme. E
insieme saremo vittoriosi. Qualsiasi cosa succeda, questi giorni
insieme
resteranno per sempre nel mio cuore.»
«E anche nel mio. Vedrai,
quando tutto questo sarà finito avremo
ancora molti altri giorni come questi, una vita intera. E la vivremo
insieme.
Nessuno potrà mai separarci.» le risposi, commosso
dall’amore che sentivo
trasparire dalla sua voce.
E fu allora che accadde. Forse fu
perché eravamo stati incauti a
fermarci lì, da soli in piena luce, o forse era
semplicemente colpa del destino.
Comunque fosse, non avrei mai più dimenticato quello che
successe in quel
momento.
Un rumore, come lo scricchiolio
della neve ghiacciata che viene
calpestata.
Un fruscio, come un’arma
che viene estratta dal fodero.
Un tintinnio, come gli anelli di
una cotta di maglia che battono
gli uni contro gli altri.
Subito Freya scattò,
sguainando rapidamente la spada nascosta che
portava sempre con sé. Si pose tra me e la fonte di quei
suoni per proteggermi,
perché imprudentemente non avevamo pensato di uscire armati
ed io ero inerme, indifeso
di fronte a un attacco.
Che stupidi eravamo stati, eravamo
talmente concentrati su di noi
che non ci eravamo accorti di essere seguiti.
Cercò di sollevare
l’arma tentando una parata, talmente veloce da
essere quasi impossibile da seguire per l’occhio umano, ma
era già troppo
tardi. Una figura
uscì dall’ombra, un
soldato in armatura, e un fendente del suo spadone fece volare la spada
via
dalle mani di Freya. La lama compì una parabola in aria e
svanì nell’oscurità.
Eravamo indifesi e inermi.
Indietreggiammo, fianco a fianco,
schivando i colpi, ma non
potevamo fuggire. Sapevamo di essere circondati. Freya si
lanciò in avanti,
tentando di passare sotto la guardia dell’avversario e
colpirlo a mani nude, ma
un altro enorme guerriero entrò nel cono di luce,
intercettò il movimento con
la sua mazza e la colpì a una tempia. Lei si
accasciò a terra immobile, senza
un gemito, mentre per la seconda volta in una settimana mi ritrovavo ad
urlare
disperato e impotente il suo nome.
«FREYAAAAA!»
gridai gettandomi su di lei nel tentativo di
proteggerla, ma il colosso mi colpì allo stomaco con la
mazza, facendomi volare
a diversi metri di distanza. Mentre il colpo mi scaraventava via, vidi
qualcosa
luccicare appeso al collo della Valchiria caduta. Sembrava una moneta
d’argento
appesa ad una catenella. Riuscii ad afferrarla e strappargliela dal
collo,
mentre la mazza mi colpiva.
Si!
Esultai. Era l’amuleto che le aveva dato Thor, in modo che
potessimo chiedergli
aiuto in caso di bisogno. Lo strinsi forte tra le mani mentre atterravo
sulla
schiena, e sentivo tutta l’aria uscirmi dai polmoni per il
tremendo impatto. Thor! Chiamai
con tutte le mie forze.
La vista mi si oscurò,
ma riuscii lo stesso a vedere uno dei
soldati nemici sollevare il corpo esanime di Freya e allontanarsi nel
buio.
«NOOOO!» urlai,
e con uno sforzo immane riuscii a tirarmi in piedi
e a cercare di seguirli.
Un guerriero mi si parò
davanti nel tentativo di fermarmi, ma mi
lanciai su di lui gettandolo a terra, gli strappai la spada che
impugnava e
gliela conficcai nel collo uccidendolo all’istante. Mentre il
sangue sgorgava a
fiotti dalla gola squarciata investendomi, scattai di nuovo in piedi e
menai un
fendente furibondo ad un altro avversario che si era avvicinato
staccandogli di
netto la testa che rotolò a terra. Insieme ad essa
finì anche la spada che mi
sfuggì dalle dita rese viscide dal sangue. Ripresi
l’inseguimento nel disperato
tentativo di salvare la mia ragazza, ma una mazza mi colpì
con violenza alla
nuca gettandomi di nuovo disteso nella neve.
L’ultima cosa che vidi fu
l’immagine del Dio Thor, terribile nel
suo assetto da battaglia, che compariva dal nulla con un enorme lupo al
suo
fianco e si gettava nella mischia facendo strage di nemici con il suo
martello
Mjollnir, spaccando crani e sfondando corazze.
Ma era troppo tardi.
I soldati erano morti, ma noi
avevamo perso.
Era troppo tardi.
Eravamo caduti
nell’imboscata come due sciocchi. Eravamo stati
imprudenti a uscire praticamente disarmati, e ne avevamo pagato le
conseguenze.
Era troppo tardi.
Avevano preso Freya.
Poi tutto fu nero, e svenni.
*****
Aprii gli occhi e per la seconda
volta in pochi giorni mi ritrovai
in un luogo sconosciuto. Freya! Fu il mio primo pensiero. Hanno preso Freya! Poi mi costrinsi a
ricompormi e cercai di capire dove fossi.
Era una camera da letto, ma le
pareti sembravano scolpite
direttamente nella roccia, erano nude e lisce, senza alcuna
decorazione. Il
letto in cui ero sdraiato era morbido e circondato da un baldacchino
aperto, e
nella stanza c’erano solo un comodino e un piccolo tavolo con
una sedia fatti
di legno scuro e decorati da elaborate incisioni. Non c’erano
finestre, e la
luce proveniva da alcuni globi appesi alle pareti che emanavano un
intenso
chiarore bianco-azzurrino. Ero completamente disorientato, sembrava la
stanza
di un castello medievale.
Questa volta non avevo ferite
né dolori, e i miei vestiti ripuliti
dal sangue erano accanto a me. Mi alzai e mi vestii intenzionato a
cercare
qualcuno che mi spiegasse dove mi trovavo, quando fu quel qualcuno a
venire da
me. Thor entrò improvvisamente nella stanza, e parve
sollevato di vedermi.
«Georg, sei sveglio
finalmente. Come ti senti?» chiese subito.
Ignorai la sua domanda e diedi voce al mio quesito più
importante.
«Dov’è
Freya? Come sta? È ferita?» domandai a raffica.
L’espressione di Thor si
rabbuiò mentre si lasciava cadere
pesantemente sulla sedia.
«L’hanno presa
Georg. Gli scagnozzi di Daoc l’hanno fatta
prigioniera.» mi confessò brutalmente ma con
sincerità. «Li ho inseguiti, ma si
sono nascosti nell’oscurità e non sono riuscito a
ritrovarla. Mi dispiace.
Dopo avere perso le loro tracce
sono tornato da te, eri svenuto e
avevi bisogno di riprenderti, ma non potevo portarti a casa tua
né all’appartamento
di Freya perché erano sorvegliati dal nemico. Quindi ti ho
portato nell’unico
posto sicuro che conoscessi, nel mio mondo, ad Asgard.»
E così ero nel
Valskjalf, il Palazzo di Odino al centro del
Walhalla, la città-regno dei morti degli antichi Vichinghi.
In quel momento mi sembrava
un’informazione assolutamente
insignificante.
«Dobbiamo
salvarla.» affermai deciso.
«E come pensi di
fare?» m’interruppe subito. «Odino mi ha
proibito
di tentare un salvataggio, dice che non avrei possibilità di
farcela. Tutte le
altre Valchirie sulla Terra sono troppo lontane per arrivare a
Stoccolma in
breve tempo, e gli Dei sono impegnati a combattere la Guerra. E poi non
sappiamo dove la tengano prigioniera.»
«Non m’importa.
Andrò da solo se devo, ma la salverò. Non posso
lasciarla nelle loro mani, devo farla fuggire, a qualunque costo.
Indagherò,
scoprirò dove si trova e la libererò. Quanto
tempo è passato dall’attacco?»
domandai.
«Un giorno.
L’hanno catturata ieri sera. Non hai idea di quello
che stai dicendo, come farai a sconfiggere i guerrieri di Daoc per
liberarla? È
un’impresa persa in partenza.» La mia mente
lavorava a ritmo frenetico,
pensando a come potevo salvare Freya.
«Ho un piano. Ce la
farò, ma ora mi serve il tuo aiuto.» dissi
quando finalmente mi venne un’idea.
«E quale sarebbe questo
piano, sentiamo?» fece scettico. «Credimi
Georg, anch’io vorrei aiutare Freya, ma non ci sono speranze.
Devi
rassegnarti.»
«No, non mi
arrenderò senza prima aver fatto tutto il possibile
per salvarla. Il piano lo saprai a tempo debito. Per ora devi portarmi
da
Odino, ho bisogno di parlare con lui.» ordinai.
«Non posso portarti da
lui. È rischioso, ho già dovuto faticare
per convincerlo a tenerti qui mentre ti riprendevi. Otterresti solo di
farlo
infuriare, e allora niente e nessuno potrebbe salvarti dalla sua
ira.»
«Non m’importa,
il rischio è mio, mi assumo ogni responsabilità.
Portami da lui.» pretesi imperiosamente. La preoccupazione
per la mia ragazza
inibiva qualsiasi timore potessi provare nel rivolgermi in quel modo ad
un Dio.
Thor sospirò sconfitto,
poi si alzò e mi fece strada conducendomi
alla sala del trono. Durante il breve tragitto ebbi appena il tempo di
osservare il maestoso palazzo, e lentamente capii che
l’immenso edificio era
stato interamente scolpito da un gigantesco blocco di roccia delle
dimensioni
di una montagna.
Thor spalancò le porte e
mi annunciò a suo padre mentre avanzavamo.
La sala del trono era sicuramente enorme e magnifica, ma in quel
momento non la
degnai nemmeno di un’occhiata, ero troppo in ansia per Freya
e per quello che
stavo per fare.
Sull’imponente trono
d’oro era seduto Odino, un uomo ancor più
alto e massiccio di Thor, con i capelli biondi leggermente ingrigiti,
il corpo
possente di un guerriero e una cicatrice che gli sfigurava il viso
là dove un
occhio gli era stato strappato da un colpo di spada. Sulle sue spalle
era
posato un corvo, Hugin o Muninn probabilmente, e accanto al trono si
trovava un
enorme lupo, forse lo stesso che aveva accompagnato Thor la sera prima.
Il giovane Dio aprì la
bocca, probabilmente per spiegare a suo
padre il motivo della nostra apparizione, ma non gliene diedi il tempo
e mi rivolsi
direttamente a Odino.
«Mio signore.»
esordii cauto. Meglio
mostrarmi un po’ deferente, dopotutto sono al cospetto di un
Dio potentissimo. «Ho
una proposta da farvi. Mi rendo conto che può sembrare
arrogante da parte mia,
ma vi prego di ascoltarmi. Si tratta di Freya, la Valchiria che
è stata
catturata da Lord Daoc.»
«Avanti parla, ti
ascolto.» rispose, e fortunatamente non sembrava
nemmeno troppo seccato. Solo a
sufficienza da frantumare una roccia con lo sguardo.
«Thor mi ha spiegato che
non c’è nessuno disponibile per tentare
di salvarla. Capisco che siate tutti molto impegnati, ma non
è giusto lasciarla
nelle loro mani. Freya ha combattuto per voi e vi ha servito lealmente,
e non
potete abbandonarla.» continuai, e come avevo previsto Odino
si arrabbiò.
«Chi sei tu per dirmi
cosa posso o non posso fare, umano?» domandò
freddamente.
«Sono il suo
ragazzo.» risposi semplicemente. «Voi non potete abbandonarla, non dopo quello
che ha fatto per voi. Ma comprendo che avete i vostri problemi, con la
Guerra
in corso, per cui mi offro volontario per una missione di salvataggio.
Troverò
Freya e la libererò.»
«E come credi di fare? Tu
sei un semplice umano, e sei solo,
mentre loro sono centinaia. E non sai nemmeno dove la tengano
prigioniera.»
Capii che non vedeva l’ora che me ne andassi, e se non
l’avessi fatto alla
svelta mi avrebbe cacciato fuori lui. E non con le buone maniere. Ma
non potevo
mollare. Non ora, dovevo convincerlo a qualsiasi costo.
«Avete ragione mio
signore, da solo non posso salvarla. Per questo
sono qui, per chiedere il vostro aiuto. Vi prego, concedetemi dei
poteri
speciali come quelli delle Valchirie. Concedetemi la forza e la
velocità di cui
ho bisogno, datemi l’abilità di individuare e
spezzare gli incantesimi del
nemico, ed io salverò Freya.» Ecco, avevo osato,
avevo fatto la mia richiesta,
ora potevo solo pregare che Odino non mi fulminasse lì
dov’ero.
«Io dovrei concedere dei
poteri semi-divini a un semplice umano?
Come osi farmi una richiesta simile? Dovrei ucciderti immediatamente
per la tua
sfacciataggine. La Valchiria ha fatto solo il suo dovere, e se
è stata
catturata è stato solo per la sua negligenza, quindi
dovrà cavarsela da sola!»
tuonò il Dio furibondo. Adesso il suo sguardo pareva quasi
infuocato. Abbastanza da frantumare una
montagna, non
una roccia, mi corressi.
Il mio cuore sprofondò.
Se non fossi riuscito a convincerlo Freya
sarebbe morta. No! Non potevo
permetterlo. Decisi di osare ancora di più. Dovevo tentare
il tutto per tutto.
Senza quei poteri non sarei mai stato in grado di salvarla, e non
potevo
sopportare di vivere senza di lei, quindi tanto valeva che mi uccidesse
adesso.
«Freya non è
stata catturata per la sua negligenza, è stata
catturata perché tu l’hai mandata allo sbaraglio
da sola e senza alcun aiuto
contro nemici molto più forti di lei! È colpa tua
se ora è prigioniera, e se la
uccideranno sarà solo perché sei troppo arrogante
per ammettere di avere
sbagliato e aiutarla! Dammi quei poteri dannazione, ed io la
salverò!
Ma se non me li darai allora ti
conviene uccidermi all’istante,
altrimenti giuro che non avrò pace finché il tuo
cadavere non sarà ai miei
piedi e il tuo palazzo non sarà raso al suolo!» lo
minacciai urlando
selvaggiamente in faccia al Re degli Dei. Il suo viso divenne paonazzo
per
l’ira, e pensai che forse avevo commesso un errore, e che
dopotutto mi avrebbe
davvero ucciso seduta stante. Con la coda dell’occhio vidi
Thor impallidire
vistosamente alle mie parole. Brutto
segno quando perfino un Dio ha paura della persona che stai minacciando.
Odino respirava affannosamente, e
rimase in silenzio mentre con
lentezza il suo viso tornava del colore normale. Infine,
inaspettatamente,
scoppiò in una sonora risata.
Sospirai sollevato, sorpreso di
essere ancora vivo, mentre il Dio
si ricomponeva e sorrideva.
«Nessuno mi aveva
più parlato in questo modo da millenni ormai,
non ricordo nemmeno più quando sia stata l’ultima
volta. Hai coraggio Georg, lo
devo ammettere. La ami tanto da aver rischiato di provocare
l’ira del Re degli
Dei pur di salvarla, e sei pronto a mettere la tua vita in pericolo per
lei. E
io apprezzo il coraggio, quando qualcuno ne dà prova in modo
così sconsiderato.
Le tue parole, per quanto irrispettose, sono veritiere, in parte
è colpa mia se
è prigioniera. Per questo ho deciso di concederti i poteri
che mi hai chiesto,
e potrai andare a cercarla.»
«Ti ringrazio mio
signore.» dissi inginocchiandomi davanti al
trono. Il Dio fece un gesto con la mano, provocando un lampo di luce
verde.
«Ecco, ora sei dotato di
forza e velocità superiori a quelle degli
umani, di un udito più fine e di una vista più
acuta. Potrai indossare
qualsiasi armatura e portare qualsiasi arma senza che gli umani siano
in grado
di vederle, a meno che non sia tu a volerlo. Potrai guarire
più in fretta dalle
ferite e con la tua presenza sarai capace di neutralizzare gli
incantesimi di
Daoc e dei suoi seguaci.»
«Grazie, Sire.»
mi alzai lentamente e mi guardai intorno, e
inizialmente non mi parve di notare nulla di diverso dal solito.
Lentamente
però mi accorsi di suoni che prima non avevo sentito,
mormorii di voci nelle
stanze adiacenti, il suono del vento tra i merli del castello e una
miriade di
altri rumori altrimenti impercettibili per l’orecchio umano.
E i miei occhi
erano senza dubbio più penetranti, tutto mi appariva
più nitido e definito, gli
angoli della stanza che prima erano nascosti nell’ombra ora
mi apparivano meno
oscuri e riuscivo a intravedere le sagome di oggetti che prima erano
celati.
Odino mi aveva davvero concesso i poteri di una Valchiria. Ora sono in grado di salvare Freya. Presto
sarà libera e di nuovo al
mio fianco! Pensai esultante.
Poi il Dio parlò di
nuovo, e la notizia che mi diede mi risollevò
ulteriormente il morale.
«Ho anche un altro dono
per te, che ti sarà molto utile. Il mio
amico Hugin…» e indicò il corvo
appollaiato sulla sua spalla. «…mi stava
dicendo, prima che tu facessi selvaggiamente irruzione qui, che ha
scoperto il
nuovo nascondiglio di Daoc in cui la tua amata è
prigioniera. Sono accampati in
un bosco poco distante da Stoccolma. Ora vai a dormire, recupera le
forze.
Domattina ti sarà concesso di armarti nella mia armeria qui
ad Asgard, e poi
Thor ti condurrà alla base nemica. Addio, umano.»
annunciò congedandomi. Lo
ringraziai di nuovo e poi, al fianco di Thor, mi avviai verso
l’uscita. Mentre
le porte si chiudevano alle nostre spalle, con il mio nuovo udito, mi
parve di sentire
il Re degli Dei sussurrare qualcosa che somigliava a un:
«Buona fortuna Georg.»
Ma forse era solo la mia
immaginazione.
«A quanto pare sei
riuscito a intenerire il cuore di mio padre, i
miei complimenti. In pochi sono riusciti a tenere la testa attaccata al
collo
dopo essersi rivolti a lui come hai fatto tu.» rise Thor
sulla soglia della mia
camera, prima di darmi appuntamento per la mattina dopo e allontanarsi.
Raggiante per il mio successo nella
sala del trono ma preoccupato
per la riuscita della mia impresa dell’indomani, mi misi a
letto e cercai di
dormire, ma il sonno tardò a venire, e quando giunse fu
popolato per gran parte
della notte da incubi alternati a visioni di Freya torturata o ferita.
Perfino
nel mondo dei sogni ero certo di una cosa: non avrei permesso che le
facessero
del male, non fin che avevo fiato in corpo per impedirlo.
*****
Mi svegliai e seppi immediatamente
che era mattino, anche se non
c’erano finestre per potermene accertare. Mi alzai trepidante
per l’attesa e mi
vestii mentre Thor, puntualissimo, bussava alla porta. Gli aprii e
insieme ci
dirigemmo verso l’armeria reale, un enorme stanza piena di
armi di qualsiasi
tipo, forma e dimensione. Il Dio mi disse di prendere pure qualsiasi
cosa
volessi, poi si mise a girovagare a sua volta per la stanza.
Mi guardai intorno per bene prima
di scegliere. Per prima cosa
indossai un leggero giubbotto antiproiettile, sopra il quale mi infilai
una
cotta di maglia completa di bracciali, schinieri ed elmo a forma di
testa di
drago.
Mi strinsi una pesante cintura in
vita a cui appesi un’ascia
bipenne da combattimento e una spada a due mani che, mi resi conto
sorpreso,
grazie alla mia nuova forza ero in grado di impugnare con una mano sola.
Mi misi un paio di pesanti stivali
in stile militare, dentro i
quali infilai due pugnali affilatissimi. Mi assicurai una fondina sulla
coscia,
in cui misi una pistola automatica con silenziatore, e
m’infilai una bandoliera
carica di proiettili di traverso sul petto, dalla spalla destra al
fianco
sinistro.
Sulla schiena assicurai una faretra
piena di frecce e un lungo
arco ricurvo. Terminata la mia preparazione mi guardai riflesso in uno
specchio
e quasi non mi riconobbi. Sembravo in tutto e per tutto un guerriero,
terrificante quanto il Dio Thor, e così armato somigliavo a
un arsenale
vivente, carico di letali armi da combattimento antiche e moderne in un
mix
letale.
Mi volsi, sorridendo alla vista
della mia immagine, e mi diressi
verso il Dio che mi aspettava. Contrariamente a tutte le mie
aspettative
l’armatura non sferragliava con un baccano infernale come
avrebbe dovuto, non
produceva il benché minimo suono. Magica,
pensai, contento di quella piccola ma utile sorpresa. Quando fui
abbastanza
vicino vidi che anche Thor era armato di tutto punto.
«Come mai sembra che
anche tu ti sia preparato per una battaglia?»
domandai incuriosito.
«Ma perché
vengo con te a salvare Freya, mi pare ovvio.»
affermò
lui convinto.
«Ma… e tuo
padre? Odino non ti aveva proibito di venire?»
«Oh, al diavolo, non me
ne importa un accidente dei suoi ordini,
io sono un Dio e farò come mi pare, non oserà
impedirmelo. Ha bisogno di me,
non può permettersi di farmi infuriare.»
esclamò con una risata mentre mi
faceva strada.
«Dopotutto se sei stato
in grado di sfidarlo tu, perché non dovrei
poterlo fare anche io? Non ho intenzione di obbedire ai suoi comandi,
non se a
pagarne il prezzo è una ragazza che ha reso fedelmente dei
grandi servigi ad
Asgard. Una Valchiria. E un’amica.» aggiunse dopo
un po’.
Usciti dall’armeria mi
afferrò per un braccio e, senza alcun preavviso,
sentii come uno strappo mentre mi mancava la terra sotto i piedi e il
Dio ci
teletrasportava nel bosco a pochi chilometri a Nord-Est di Stoccolma di
cui
aveva parlato Odino.