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Autore: Blooming    26/08/2013    2 recensioni
Joe è il tipico ragazzo sfigato, gioca a giochi online e si chiude spesso in casa, a scuola è preso di mira dai bulli, lui è il più semplice obbiettivo su cui si concentrano. A suo favore si schiera Scott, il nuovo arrivato, lui è bello, ha un fisico da urlo e le ragazzine lo guardano ridacchiando in corridoio. I due fanno amicizia e cominciano a dipendere l'uno dall'altro come veri e propri amici. Parte importante della vita dei due è la madre single e trentenne di Scott che si tira dietro gli sguardi d'odio delle altre madri e gli sguardi 'eccitati' dei ragazzi.
Genere: Commedia, Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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-Primo anno




Torniamo indietro ai primi anni del liceo.
Scott ed io c’eravamo appena conosciuti e già mi piaceva.
Mi aveva chiesto di passare da casa sua prima di andare a scuola che ci saremmo andati insieme. Così mi alzai e strascinandomi verso il bagno mi chiusi nella doccia per cercare di svegliarmi con un ottimo risultato.
Mi vestii con una maglietta blu scuro, i soliti jeans e le converse ormai consumate. Mi sentivo stanchissimo e con non poca dose di fatica riuscii a scendere e ad aggrapparmi al tavolo della cucina dove mia mamma aveva lasciato il latte e una ciotola di cereali con un biglietto sulla scatola che diceva
-Scusa tesoro sono dovuta scappare al lavoro, i soldi per oggi sono sul mobiletto. Buona scuola bacio.- tutto scritto velocemente, non aveva mai tempo per me.
Correva al lavoro ogni mattina per tornare alla sera, preparava qualcosa da mangiare a me e a papà e poi diceva di essere troppo stanca per qualsiasi cosa. Non si accorgeva neanche dei miei lividi. Non che mio padre fosse più presente ma almeno c’era alla mattina quando mi svegliavo.
Infatti scese le scale già vestito, giacca, cravatta, pettinato; aprì il frigorifero e prese una mela, bevve un sorso di caffè e mi salutò con un –Ciao giovane-, prese la valigetta da sotto il mobiletto in corridoio e uscì sbattendo la porta.
Mi accasciai sul tavolo e sbuffai. Guardai l’orologio ed ero in ritardissimo per passare a prendere Scott. Lasciai tazza e latte sul tavolo, prese la cartella e corsi fuori casa.
Erano già le 7.30 e ora che arrivavo da Scott sarebbero già state le 8.00 e ora che arrivavamo a scuola eravamo già in ritardo.
Corsi a perdifiato e quando arrivai davanti alla porta di casa di Scott mi accasciai sullo stipite suonando il campanello, il cuore mi batteva forte, forse perché soffrivo anche un po’ di tachicardia.
Scott comparve sulla porta, come faceva a essere così pieno di vita a quell’ora non l’ho mai saputo
“Joe! Cosa fai lì fuori?” mi prese per la maglietta e mi tirò dentro
“Scott, dovremmo andare a scuola…” mi guardai intorno “facciamo tardi…” dentro la casa era bellissima
Per essersi appena trasferiti avevano già arredato tutto, le pareti in ogni stanza erano bianche e solo una colorata, quadri già appesi, un po’ naif. C’erano dei piccoli Buddha qua e là per la casa e altre varie divinità orientali, un Buddha gigante sotto la scala con piccoli incensi intorno. Scott andava verso la cucina
“Mamma!” urlò “C’è Joe!” svoltò l’angolo e ci trovammo in cucina
Sua mamma era lì che cucinava qualcosa. Una folta acconciatura biondo burro, vaporosa, stile anni 60. Aveva dei pantaloncini della tuta corti, i calzettoni di lana a righe e una canottiera rosa
“Tesoro, vi ho preparato i pancakes…” si voltò con in mano la padella e un sorriso sfolgorante
Era giovanissima, sui trent’anni, forse trentacinque. Era veramente bella. Profilo francese, occhi azzurri, un fisico da adolescente. Wow. Okay. WOW!
Sorrisi imbarazzato, Scott mi diede una spallata amichevole
“Siediti. Mamma ha detto che ci porta lei a scuola.” Rimasi un attimo perplesso “Scusa se non ti ho avvertito ma almeno così ci andiamo insieme no?” annuii
Sua mamma diede una mestolata al figlio sul braccio
“Scott!” rise “Metti almeno i piatti in tavola!” Scott rise e si alzò “E metti anche i bicchieri, fa il favore…”
Scott vagò un po’ per la stanza alla ricerca di piatti e bicchieri
“Ma’! Tu mangi?” si voltò verso di lei, erano alti uguali ma Scott continuava a crescere
Comunque no, lei non mangiava.
Scott si risedette davanti a me e cominciò a parlare
“Allora! Tutto a posto con i lividi?” mi chiese bevendo un bicchiere di latte
Non sapevo cosa rispondere. Ero destabilizzato da quelle domande che non mi facevano neanche i miei genitori
La mamma di Scott, che d’ora in poi chiameremo signora William, si voltò e ci verso tre pancakes a testa
“Quali lividi tesoro?” guardò il figlio
Scott stava per mettersi a parlare ma notò il mio sguardo di supplica che gli chiedeva di non dire niente e così lasciò cadere la frase urlando –Pollo fritto- la signora William rise e poi si sedette al tavolo con noi.
Vedere una mamma in cucina mi sembrava strano. La mia non ci stava quasi mai. E soprattutto non ci parlavamo quasi mai.
La signora William mi sorrise
“Allora, Scott mi ha detto che avete i corsi insieme, mi fa piacere che si sia trovato un amico. Fai qualche sport?” mi sorrise dolce, come se le importasse veramente la mia risposta
“No.” Risposi timidamente
Ci rimase male e intanto che noi finivamo la nostra abbondante colazione si alzò e per caso l’occhio le cadde sull’orologio e partì un urlo
“Ragazziragazziragazzi è tardi! Muovetevi a mangiare che se no arrivate tardi! Scott muoviti!” ingurgitammo l’ultimo boccone e ci precipitammo presi da non so quale foga, sul vialetto.
La signora William correva dietro di noi
“Su-su. Salite in macchina!” noi ci lanciammo letteralmente, Scott davanti e io dietro al suo sedile
La signora William salì e mise in moto, era ancora in pigiama, sì credo che quello fosse un pigiama, ma pigiò l’acceleratore e partimmo con una sgommata alla Fast & Furious.
Un po’ la signora William mi faceva paura alla guida. Spericolata.
Ci ‘parcheggiò’ davanti scuola e prima che Scott potesse scendere,  gli afferrò il mento tra le dita sottili
“Un bacio alla mamma non lo dai?” Scott arrossì violentemente diventando color della sua maglietta
“Mamma…” diventò ancora più rosso se possibile “Ti prego…” si incassò in sé stesso
Io cercavo di trattenere la risata imbarazzata, lei alzò le mani
“Okay, okay… va bene! Ho capito. Sei troppo grande per dare il bacino alla mamma.” La signora William mi guardò dallo specchietto retrovisore “Beh dai. Tempo di scuola.” Stavo già saltando giù e ero pronto ad aspettare Scott quando lo vidi sporgersi verso sua mamma e darle un bacio sulla guancia veloce e arrossire
Scese in fretta dall’auto, mi mise un braccio intorno al collo e rise
“Joe! Siamo un po’ in ritardo, nella vecchia scuola se facevi solo un minuto erano cazzi!” sorrisi
“Qua non è così, tranquillo.” Sono sempre stato un tipo puntuale e pignolo e essere ‘costretto’ al ritardo era una cosa che mi turbava
“Allora non c’è problema.” Forse si mise a camminare più lento
Lo spinsi a una piccola corsa per non arrivare in ritardo veramente. Arrivammo agli armadietti e ovviamente lui arrivò per primo. Non che fosse una gara ma Scott, appena arrivò fece –tok,tok- sull’alluminio urlando
“Wow! Primo!” rise “Dai muoviti se no siamo in ritardo veramente!”
Arrivai sapendo di avere ancora dieci minuti prima del secondo suono della campanella, tirai fuori l’orario da un libro.
In prima ora avevamo storia, sbattei lo sportello richiudendolo
“Dai. Muoviti Scott. Abbiamo storia adesso.” Lui sbuffò “Non ti piace come materia?” lo vidi prendere con infinita calma il libro dall’armadietto
“No! Non sono uno a cui piace studiare.” Fu una delle prime cose che imparai su quel ragazzo
Mentre camminavamo per arrivare in classe, riuscii a prendere coraggio e a fare la domanda che mi attanagliava da quando ero entrato in casa William
“Senti Scott…” nei corridoi c’era ancora qualche ritardatario come noi
Scott si volto e mi fissò col sorriso sulle labbra aspettando il resto della frase. Mi sentivo un po’ oppresso dalla sua altezza e avevo paura della sua reazione alla mia domanda.
Mio Dio! E si mi picchiava?
“Niente, niente.” Ma lui continuava a guardarmi
“Dai!” mi diede un piccolo pugno debole per convincermi “Ora me lo dici…” praticamente mi costrinse
“Okay.” Feci un profondo respiro “Non mi picchi vero?”
Lo sentii ridere fragorosamente
“Figurati se ti picchio! Siamo amici o no?” aveva un modo di fare rassicurante e dolce, piacevole
Annuii, non avevo mai avuto un amico
“Emh… okay. Senti…” respirai a fondo “Ma quanti anni ha tua mamma?”
Rise di nuovo, eravamo davanti alla porta dell’aula, aprì la porta  e mi fece passare tenendola la mano sulla maniglia.
Il professor Whang era già in classe e sfogliava un giornale, la lezione non era ancora iniziata e lui, come sempre, aspettava i ritardatari.
Era di origini asiatiche, cinese credo, o thailandese… boh. Era molto bravo e simpatico
Mi sorrise gentile salutandomi poi si fissò su Scott
“E tu chi saresti biondo?” disse con un sorriso cordiale
‘Il biondo’ sorrise dolce
“Scott. Scott William, quello nuovo.” Guardavo la scena dal mio banco
“Ah sì! Il preside me l’aveva detto ma ti immaginavo più gracilino, sicuro di essere del ’95?”
“Sicuro signore.” Sorrise Scott
“Va bene.” Il signor Whang si alzò in piedi “Ragazzi! Ascoltatemi tutti per favore.” Indicò il ragazzone accanto a sé “Questo è Scott, il vostro nuovo compagno di classe. Fate ciao a Scott.”
La classe divertita fece ciao a Scott ridendo “Okay ragazzone, trovati un posto. Posso chiamarti Scotty?” disse ridendo
Quella montagna di simpatia si voltò
“Certo. Basta che sia solo lei a chiamarmi così!”
Il professore rise
“D’accordo Scotty.” Si rivolse poi a tutta la classe “Iniziamo ragazzi?”
Ovviamente si sedette accanto a me, nessuno stava mai accanto a me perché ero sfigato o per qualche strano motivo. Ma lui si sedette vicino a me. E si sedette vicino a me per gli altri 3 anni di scuola. Ogni lezione, ogni ora era seduto vicino a me. A passarmi bigliettini con frasi stupide, a fare disegnini scemi o a chiacchierare sottovoce venendo ripetutamente richiamati.
Durante quell’ora di storia, lo vidi prendere appunti a un certo punto si sporse verso di me e continuando a tenere lo sguardo fisso verso la lavagna sussurrò
“La risposta è trentuno.” Rimasi un po’ perplesso senza capire il nesso finché non ci arrivai
Lui si voltò e mi sorrise guardandomi negli occhi verdi poi tornò a guardare la lavagna.
Spiando ciò che scriveva scoprii che non prendeva appunti ma scriveva i suoi pensieri sul quaderno. Lessi più volte il mio nome, non che volessi spiare, ma mi cadde l’occhio. Era come una specie di diario.
Suonata la campanella, la moltitudine di ragazzi corse fuori dall’aula. Io e Scott rimanemmo un attimo indietro perché fermati dal professore
“Ciao Scotty.” Mi sorrise “Joe, tutto bene?” annuii “Vedo che hai fatto conoscenza con il nostro Joe.” Si rivolgeva prevalentemente a Scott “Spero che ti trovi bene in questa scuola, il preside mi ha detto che hai avuto problemi nell’altra e per vari motivi avete deciso di trasferirvi, giusto?”
Scott annuii
“Giusto prof.” sorrise
“Beh magari tu e Joe potete vedervi fuori da scuola per studiare.” Ci diede a entrambi una pacca sulla spalla “Settimana prossima faremo un test a sorpresa.” Ci guardò un secondo “Ommioddio! Ora non è più a sorpresa. Va beh, non ditelo agli altri. Voglio fare un po’ il cattivo ma voi mi state particolarmente simpatici.” Faceva tutto da solo “Il test sarà sugli argomenti che ho spiegato in questo mese e anche quest’ultimo.” Si rivolse poi solo a Scott “Ho visto che hai preso molti appunti. Bravo. Continua così!” Scott trattenne la risata
Il signor Whang prese la valigetta da dietro la cattedra e uscì dalla porta dicendoci di metterci sotto e studiare per avere un ottimo voto. Lo sentimmo canticchiare nel corridoio.
Scott ed io andavamo verso gli armadietti, non sapevo bene come comportarmi a contatto con qualcuno. La mia cerchia di ‘amici’ era più che altro online, insomma, quelle amicizie che ti fai nei giochi su internet e non sai neanche che faccia hanno le persone con cui parli.
Ma con Scott era tutto diverso, lui rideva sempre, sorrideva sempre. Mi tirava le pacche sul petto o i pugni simpatici sul braccio. Odiavo il contatto con la gente ma lui era diverso, potevo sopportarlo perché qualcosa mi diceva che quel ragazzo mi avrebbe cambiato.
Arrivando all’armadietto incontrammo i bulli del giorno prima che vedendo Scott decisero di cambiare strada.
Il biondo tirò fuori il libro e il quaderno di matematica
“Ecco. Un’altra cosa che odio è la matematica.” Aspettò che prendessi le mie cose “Sono più un tipo da sport, se non si era capito. Cioè mi piace imparare qualcosa però non sotto obbligo, con l’ansia di essere valutato o bocciato. La cosa mi stressa alquanto…”
Replicai esponendo il mio punto di vista
“Beh a me non da fastidio studiare, cioè non che lo faccia con gioia e mi metta a saltare urlando come se fossi una ragazzina al concerto dei Jonas Brothers, però per me prendere un buono voto vuol dire sentirmi realizzato. Scommetto che per te è lo stesso quando vinci una gara di nuoto.”
Scott annuì sorridendomi
“Senti.” Respirò a fondo e si appoggiò allo sportello, lo guardai crucciato mentre tiravo fuori alcune cose che mi sarebbero potute servire “Non voglio che ti fai l’idea sbagliata, non sono tuo amico perché così mi fai i compiti o robe simili.” Continuavo a fissarlo senza capire, okay ci avevo pensato che poteva frequentarmi solo per quello “Voglio veramente essere tuo amico. Per davvero. Mi stai simpatico.” Sorrisi e io ricambiai “Veramente.”
Mi aveva già convinto al ‘voglio veramente essere tuo amico.’ Mi aveva convinto soltanto guardandolo negli occhi, sapevo che non mentiva
“Senti, guarda che te la do lo stesso una mano con i compiti di storia o con altro che hai bisogno.” Abbassai lo sguardo, sapevo che quel ragazzo non avrebbe studiato niente se non c’era qualcuno ad aiutarlo “E comunque voglio dirti anche io una cosa, non sono tuo amico perché mi proteggi dai bulli, lo voglio essere perché sei simpatico.” Scott rise
“Hey. Allora amici eh?” si allontanò per andare nell’aula di matematica
“Scott! Hey Scott!” urlai sbattendo lo sportello, si voltò e mi fisso allargando le braccia come per dire ‘cosa c’è’ risi “È la strada sbagliata!”



La lezione di matematica trascorse come quella prima, la presentazione di Scott, il professore che faceva il simpatico e subito si metteva a spiegare qualcosa di algebra che non capivo assolutamente ma sembrava che Scott la capisse. Forse l’unica materia che capiva dopo ginnastica.
Passammo una fantastica giornata, senza nessuno che mi pestasse o mi lanciasse per terra i libri. Scott serviva un po’ da guardia del corpo e sembrava non dispiacergli.



Il giorno dopo passai da Scott alle 8, lui si fece aspettare fuori sul portico, e facemmo il pezzo a piedi da casa sua alla scuola.
Alle prime due ore avevamo ginnastica.
Io non potevo fare ginnastica a causa del mio asma e di quella stupida tachicardia. Maledetto sfigato che non sono altro. Un’ora la passai a guardare Scott stracciare tutti durante gli allenamenti di nuoto poi mi stufai, gli feci un cenno e me ne andai. Avevo l’ora libera e la passai in cortile a studiare per la lezione successiva, ovviamente i bulli mi raggiunsero non appena mi videro
“Ciao sfigatello.” Tenevo la testa bassa
“Non hai più la tua guardia del corpo?” disse uno di loro, non osavo parlare
“Gli altri giorni non ti abbiamo pestato, sarà per oggi allora.”
Stranamente tutto intorno si era fatto il vuoto. Tutti quanti erano spariti e quelli cominciarono a picchiarmi.
Quando finì l’ora tornai al mio armadietto senza alzare gli occhi, la gente mi veniva addosso e mi urlava di stare attento seguito con appellativi veramente poco simpatici.
Scott arrivò quasi subito, i capelli bagnati legati in un codino, fischiettava allegramente. Aprì lo sportello e si sporse a guardarmi
“Cosa…” chiuse di botto l’armadietto “Per dio! Ma ti hanno picchiato ancora?” mi toccò lo zigomo arrossato
“Scott… lascia perdere.” Lo supplicai, infondo era ancora un estraneo, non potevo permettergli di finire nei casini a causa mia “Non è un tuo problema. Non ti sono amico perché mi proteggi o cose simili. Ormai ci sono abituato, tranquillo.”
Aveva una faccia preoccupata, si mordeva le labbra cercando di stare zitto
“Joe ma…”
“No Scott!” dissi quasi alzando la voce “Andiamo in classe. Muoviti.” Me ne andai senza aspettarlo
La lezione di biologia fu silenziosa, rimanevo concentrato sui miei appunti. Sapevo che Scott di quando in quando mi fissava ma ero arrabbiato con me stesso per quello che era successo, lui cercava di difendermi ma ero troppo orgoglioso per accettare un aiuto, mi veniva quasi da piangere al pensiero di essere me stesso.
A mensa mi sedetti in disparte ma Scott era sempre con me, quelli di pallanuoto gli avevano chiesto di andare al loro tavolo ma lui rifiutò per sedersi con me
“Joe, mi dispiace.” Aveva la voce abbattuta
“Scusami Scott. Non volevo essere stronzo ma non era proprio un bel momento.”
Scott cominciò a mangiare voracemente
“Non importa! Capito.” Lo guardai ingurgitare quello schifo di cibo “Ti saluta la mamma, questa mattina non l’hai vista.”
Sorrisi
“Ma veramente tua mamma ha trentun’anni?” lui mi fissò “Okay! Non voglio farmi i cazzi della tua famiglia, non sapevo cosa dire.” Volevo sotterrarmi
Mi rise in faccia
“Veramente? Ci hai pensato per, quanti giorni?” continuava a ridere, tutta la mensa ci fissava
“Smettila di ridere.” Gli tirai un calcio “Ci guardano tutti!” ma non smetteva
“Buon dio! Mi farai morire!” si guardò intorno vedendo gli sguardi interdetti degli altri “Mh… okay mi calmo. Comunque sì.” Ci sorridemmo “Mi ha avuto molto giovane ma non è che le è dispiaciuto. Dice sempre che se non mi avesse avuto la sua sarebbe stata una vita da schifo.”
Cominciò a raccontarmi un po’ della sua famiglia
“Andava al liceo, era al terzo anno e rimase incinta, mollò tutto. Almeno mi ha sempre raccontato così. Mi ha cresciuto a casa dei suoi ma poi boh, evidentemente i nonni la giudicavano o non so cosa e così è sparita, ha trovato un lavoro come parrucchiera e vivevamo a casa del suo capo, la signora Jocelyn, credo siano ancora in contatto. Poi mano a mano che crescevo combinavo sempre qualche casino ma lei mi voleva sempre bene.” Sorrise imbarazzato “È la mia mamma, le voglio bene come a nessun altro. Forse questo mi rende uno sfigato ma non mi importa. Non capisco la gente che dice che odia i suoi genitori, se vi hanno voluto bene è ovvio volergli bene.” Ragionava a voce alta
“Io credo di non voler bene ai miei genitori.” Non so perché gli dicevo queste cose di me, forse perché lui mi aveva detto cose di sé e perché sapevo di potermi fidare, perché sapevo che era un amico “Cioè, non ci sono mai e quando ci sono è come se non ci fossero. Quindi, forse, non gli voglio bene come tu ne vuoi a tua mamma.”
Scott non parlò, rimase a guardarmi comprensivo, mi piaceva parlare con lui, sapeva quando parlare e quando stare zitto.
 


Le nostre giornate scolastiche passavano tra bigliettini passati durante chimica o durante letteratura. Se ero con lui nessuno mi pestava, le ragazze cominciarono a guardarlo quasi subito, dalla prima settimana, passavano in gruppo davanti al suo armadietto quando lui era appoggiato lì, con la testa sull’alluminio freddo e aspettava che fossi pronto, ridacchiavano e quando lui apriva gli occhi e le guardava, queste scappavano via ridacchiando e urlando ‘mi ha visto, mi ha visto.” Nessuna di loro gli parlò mai veramente.
Io e Scott ci incontravamo nei pomeriggi per studiare. Qualche volta veniva lui a casa mia ma più spesso andavo io da lui.
Il compito “a sorpresa” di storia ci andò bene e Scott non sapeva come ringraziarmi per averlo aiutato, gli risposi che mi bastavano i pancakes di sua mamma.
Passammo un mese di scuola tranquilli. Nessuno mi pestava più o meglio, non mi pestavano più così spesso, solo di quando in quando. Ma il più delle volte Scott era con me.
Un giorno, tornando a casa a piedi, mi venne in mente una cosa
“Ma che casino hai combinato nell’altra scuola?” La giornata era bella e il solo splendeva, anche se era già novembre non faceva poi così freddo
Indossavamo lo stesso l’eskimo ma lasciato aperto, Scott aveva un maglione largo a righe blu e nero e i jeans, gli stivali. Io una felpa verde schifo e le solite converse.
Non sapevo molto del passato del mio amico, mi aveva detto lo stretto necessario, mi aveva raccontato di sua mamma, Fiona, ma del suo passato non sapevo praticamente niente, sapevo che nella vecchia scuola non aveva molti amici, frequentava un corso di pallanuoto serale ma poi era tutto sconosciuto.
Scott guardò il cielo
“Quando arriviamo a casa te lo racconto.”
Dio santo! Lo volevo veramente sapere! Maledetta curiosità. Maledetta. 
   
 
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