Anonymous
Indovina chi viene a cena?
Aomine
chiuse di scatto il diario e cercò di sistemarlo lì dove lo aveva trovato. Il
punto sotto il materasso non era proprio lo stesso, ma quanto meno non sarebbe
stato colto in flagrante. Nel momento esatto in cui si riaccomodò, Kise spalancò la porta agitato, con i capelli ancora zuppi
e solo un accappatoio addosso.
“Aominecchi?” domandò,
come se volesse accertarsi che la persona nella sua camera fosse proprio lui e
non il frutto di un’allucinazione o di uno scherzo di Kaori.
“Già” rispose laconico l’interpellato.
Il livido violaceo di Kise
era molto più evidente del suo, non solo per estensione ma anche per colore,
accentuato dalla carnagione più chiara. Aveva anche il labbro superiore
spaccato, ma la ferita si era già cicatrizzata.
L’istante in cui era salito sul tetto e aveva visto Kise in pericolo si stagliò prepotente nella mente di Aomine, facendogli riprovare in una frazione di secondo
quella che sembrava a tutti gli effetti una reazione di panico. Aveva avuto
paura per lui? Non sapeva dirlo. Tutto ciò a cui era riuscito a pensare in quel
frangente era salvare Kise e nient’altro.
Forse era solo stato influenzato da quello che aveva
appena letto. Ora che aveva esplorato, e violato, la parte più intima
dell’animo di Kise, questi non sarebbe stato più lo stesso
ai suoi occhi e ne aveva una prova tangibile in quel preciso momento.
Gli
farei senz’altro schifo, aveva scritto Kise.
No, Aomine non provava
alcun tipo di disgusto nei suoi confronti, ma qualcosa era cambiato.
Il ricordo della storia letta il giorno prima non
faceva altro che peggiorare le cose: Kisu che si
infortuna e Aimine che lo va a trovare alla casa, con
conseguente dichiarazione d’amore.
È
solo suggestione, si disse Aomine,
cercando di distogliere gli occhi dal volto tumefatto del compagno per impedire
alla mente di continuare a macinare pensieri inopportuni.
“Scusa se ti ho fatto aspettare, ma mia sorella mi
ha avvisato solo pochi secondi fa” spiegò Kise,
stringendosi automaticamente l’accappatoio contro il corpo. Un gesto innocente,
all’apparenza, qualcosa a cui Aomine, prima di
leggere il diario rivelatore , non avrebbe dato alcuna importanza, ma ora ogni azione,
ogni sguardo, ogni parola irradiava una luce diversa. Pudore, ecco come
interpretò l’atteggiamento di Kise.
“Nessun problema” lo rassicurò Aomine.
Di certo Kaori, dopo avergli messo la pulce nell’orecchio riguardo il diario del
fratello, aveva tardato ad avvisare il fratello per dargli il tempo di leggere.
Kise
si appoggiò alla sedia della scrivania. “È forse successo qualcosa?” disse un
po’ sospettoso.
“Si può dire di sì. In verità è stata Sastuki ad obbligarmi a venire.”
“Ah, capito.” Kise mostrò
una palese delusione nello scoprire che dietro quella visita di Aomine c’era la volontà di un’altra persona e ad Aomine il dettaglio non sfuggì. Ora che conosceva bene il
proprio valore agli occhi dell’altro, ogni sua singola reazione lo faceva
sentire sotto esame. Tentò di rimediare.
“Dice che è a causa del mio menefreghismo che tu,
all’improvviso, hai deciso di non parlarmi più. Mentre venivo qui, ho riflettuto
sulle sue parole e su quello che è successo negli ultimi giorni e…” Non poteva
certo dire che aveva letto il suo diario: aveva abbastanza buon senso da
comprendere la gravità del proprio misfatto. Tuttavia, quelle frasi scritte a
penna gli avevano aperto gli occhi su tante cose. Tanto valeva sfruttare le sue
nuove conoscenze per qualcosa di, a suo dire, positivo. “… ho capito di aver
sbagliato.”
Kise
sbarrò gli occhi a quella rivelazione. Sentire Aomine
ammettere di aver sbagliato su qualcosa era un evento più unico che raro, tanto
da meritare come minimo una registrazione con una videocamera. Ma non era
ancora arrivato il momento di cantare vittoria. Era di Aomine
che stava parlando e magari questi non aveva capito proprio un accidente. “A cosa
ti riferisci esattamente?”
“Ho capito che ci siamo trovati in una situazione di
merda, e io ho deciso di mollare tutto solo per avere un po’ di attenzioni da
parte delle ragazze. Che poi se avessi saputo cosa passava veramente per la
loro testa, col cavolo che avrei abbandonato le ricerche!”
“Che intendi dire?”
“Ho letto la storia del giornale… è una roba…
disgustosa! In pratica mi sono reso conto che le ragazze guardavano me, ma
immaginavano quelle cose vomitevoli!” Kise, un po’
come era successo con Momoi, ma in modo meno
plateale, si rabbuiò nell’udire quelle parole sprezzanti. Ma che cavolo aveva
quella storia da essere presa così a cuore da tutti? Aomine
proprio non riusciva a capire. Forse era meglio glissare la questione. “E poi,
be’, la storia della rissa…” Aomine indicò i propri
lividi con un vago cenno della mano. “Non pensavo si sarebbe arrivati a tal
punto.”
Kise
sembrò soddisfatto delle sue ultime parole, tanto che arrivò a sorridergli per
la prima volta dopo giorni.
Aomine
ne fu contento: finalmente tutto sembrava tornare nell’ordine naturale delle
cose, anche se, le scoperte di quel pomeriggio, gettavano nuova luce su
sentimenti nascosti.
“Quindi sei venuto per scusarti con me.”
“Che? Non sono venuto qui per farti delle scuse. Non
dimenticarti che sono stato io a salvarti il culo da quei quattro e lo vedi
bene sulla mia faccia: se mai, sei tu ad essermi debitore.”
“Io? Debitore? Ma hai appena detto che è colpa tua
se sono finito nei guai!”
“Non rigirare i fatti come ti fa più comodo!”
Il puerile battibecco andò avanti ancora per qualche
minuto, senza arrivare ad una vera e propria conclusione perché aa porta si
aprì di scatto e una radiosa Kaori si affacciò. Kise
conosceva la sorella abbastanza bene da sapere che aveva come minimo origliato
tutta la conversazione. Essendo delle due sorelle la più vicina a lui d’età,
spesso riusciva a comprenderlo meglio di chiunque altro. Sapeva quanto lo aveva
addolorato dover litigare con Aomine e dalla sua
espressione si notava la gioia nel rivedere il suo fratellino riappacificato, a
suo modo, con l’amico.
“Non si bussa prima di entrare?” la rimproverò Kise.
“Quando mai ho bussato per entrare in camera tua? E
poi, figurati, ti ricordo che ti ho visto crescere, quindi anche se eri nudo
non mi sarei certo scandalizzata. E comunque sono qui per un altro motivo: Daiki-kun, vorresti restare a cena da noi? Ho già detto che
eri venuto a trovare Ry-chan e sono tutti ansiosi di
conoscerti! Te l’ho detto che Ry-chan non fa altro
che parlare di te da quando ti conosce?”
“KAORI!” Kise divenne più
rosso di un pomodoro a quelle rivelazioni.
Aomine
pensò che se per così poco aveva una reazione tanto spropositata, sarebbe come
minimo svenuto dall’imbarazzo se solo avesse saputo del suo infame gesto e
delle informazioni che gli aveva fruttato. L’idea di affrontare una serata con
un Kise al femminile elevato alla quinta potenza, per
di più senza neanche sapere quali sorprese gli riserbavano gli altri membri
della famiglia, non allettava molto la mente di Aomine.
“Mi piacerebbe restare, ma…”
“Ottimo, allora vado di sotto a dire alla mamma che
abbiamo il famoso Aominecchi
per cena. Sbrigati a vestirti Ry-chan, che è quasi
pronto.”
Kise
le si avvicinò e le sbatté la porta in faccia con violenza, prima di girarsi
verso il compagno. Le guance stavano ritornando ad un colorito più naturale.
Aomine
rimase con la bocca aperta ancora un po’ prima di accorgersi che era appena
stato trattenuto in quella casa contro la sua volontà. “È la seconda volta che
tua sorella mi definisce ‘famoso’: ma non hai altro di cui parlare eccetto me?”
“Ma no, è Kaori che esagera sempre: ti avrò nominato
sì e no, un paio di volte…” Aomine lo guardò
sospettoso. “… ok, magari erano tre…” Il cipiglio non accennava ad andarsene.
“… forse erano quattro… comunque non più di cinque, ma lei ha questo vizio di
ingigantire le cose.” Stando a quanto aveva letto sul diario non era affatto
credibile che la sua fama fosse dovuta alla megalomania della sorella, quanto
piuttosto alla vera e propria ossessione di Kise per
lui.
D’un tratto Aomine
realizzò: si sarebbe trovato circondato da persone che non conosceva mentre lo
osservavano come un fenomeno da circo. La finestra gli apparve come un’ottima
via di fuga e di certo non sarebbe stato un salto dal secondo piano a
spaventarlo. Tuttavia, era impossibile declinare l’invito ora che Kaori lo aveva
annunciato a tutti.
“Immagino di non avere scelta” disse.
Osservò Kise per studiarne
le reazioni. Poteva leggere nei suoi occhi la gioia pura di averlo al suo
fianco quella sera; una gioia che, se non avesse letto il suo diario, non
sarebbe mai riuscito a scorgere. Chissà, forse lui e Aimine
si assomigliavano un po’ da quel punto di vista, giusto un po’ comunque, ma per
il resto non c’era altro che li accomunava.
“Ehm, mi dovrei vestire adesso” fece notare Kise, indicandosi l’accappatoio che ancora portava addosso.
Uscire dalla stanza per dargli la giusta privacy era
come buttarsi tra le fauci di una lupa affamata e farsi sbranare pezzo per
pezzo finché Kise non fosse sopraggiunto per
salvarlo. D’altro canto, restare equivaleva a vedere l’altro mostrarsi in tutta
la sua nudità: una scena che aveva avuto modo di vedere parecchie volte negli
spogliatoi al termine degli allenamenti, ma ora che sapeva cosa si agitava nel
cuore di Kise, tutto era diverso. Inoltre, la
palestra della scuola poteva essere considerata territorio neutrale, mentre lì
era nella sua personale stanza.
Si sentì in difficoltà: che fare?
La soluzione migliore era fare finta di nulla. “Che
c’è, ti vergogni di me?”
“Certo che no, non è questo, però…”
“Va bene, signorinA,
facciamo che mi volto da quella parte e non mi giro finché non hai finito.” La
situazione era tragicomica. Kise non trovò modo di
ribattere in modo convincente e alla fine dovette arrendersi a denudarsi e
vestirsi con Aomine ad appena un metro di distanza da
lui.
Come promesso, quest’ultimo tenne la testa girata
verso la finestra, un gomito poggiato sul ginocchio e la testa sulla mano. Udì
il fruscio dell’accappatoio che veniva posato sul letto, in un punto
imprecisato dietro di lui. In quel preciso istante, Kise
era completamente nudo. Non gli piaceva l’idea di avere qualcuno che si muoveva
alle sue spalle senza poterlo vedere. Avvertì l’impulso di girare il capo, come
se temesse che Kise potesse tendergli un agguato, e Aomine era un tipo che seguiva sempre i propri impulsi:
fino a quel giorno non lo avevano mai tradito.
Si voltò appena per far rientrare la sagoma di Kise, anche se sfocata, nella periferia del proprio campo
visivo. Non poteva mettere a fuoco i dettagli del suo corpo, ma il candore
della pelle era nitido e abbacinante. Aveva sempre pensato che Kise avesse una pelle fin troppo curata per essere quella
di un ragazzo, senza imperfezioni: di certo mantenersi così perfetto era una
necessità dettata dal suo lavoro. Aomine non si era
mai interessato più di tanto, ma si chiese se il modello avesse mai posato
svestito (magari per una marca di costumi da bagno).
Lo vide indossare un paio di slip con movimenti
bruschi e veloci, impaziente di mettersi qualcosa addosso. Poi, sparì dietro le
ante dell’armadio, lasciando esposta ai suoi occhi solo una porzione di
schiena.
Per istinto, Aomine si inclinò
all’indietro per riallacciare un contatto visivo, ma si riscosse subito dopo.
Che diavolo stava facendo? Spiare Kise mentre si
vestiva non solo era un cliché da maniaco degli anime, ma farlo proprio con
lui, un ragazzo, esulava da ogni sua tendenza sessuale. Era stata tutta colpa
di quel dannato diario e di quella maledetta storia yaoi.
Si era riempito la testa di cose assurde.
“Sono pronto” disse Kise,
prelevandolo dai suoi contorti pensieri.
Aomine
prese un bel respiro e si alzò in piedi. Si incamminarono verso il piano
inferiore, diretti al soggiorno, dove ad attenderli c’era la famiglia Kise al completo.
“Eccoci qua” annunciò Kise,
premurandosi di presentare a tutti il suo compagno di squadra.
Come aveva fatto Kaori a suo tempo, anche i genitori
e l’altra sorella di Kise ringraziarono calorosamente
Aomine per averlo difeso contro i quattro bulli.
La primogenita, Sakura, non assomigliava affatto
agli altri due figli. Di fatti, benché fosse una bella ragazza sui venticinque
anni, non possedeva il fascino esplicito del fratello o della sorella minore,
così come non era dotata della loro loquacità: parlava solo quando necessario e
senza arricchire le frasi con elementi inutili o futili, cosa che invece Kaori
adorava fare.
Ciò che più colpì Aomine
fu la straordinaria somiglianza tra Ryota e suo
padre. Il signor Kise era un uomo molto bello, le cui
rughe gli conferivano un fascino da uomo vissuto che ben pochi altri potevano
vantare: sembrava il classico attore da film in bianco e nero. La similitudine
però era circoscritta al solo aspetto fisico. Per tutto il tempo della cena si
era limitato ad ascoltare le incessanti chiacchiere di Ryota,
Kaori e sua moglie, con un’espressione comunque serena. Era chiaro che
l’abitudine aveva temprato la sua pazienza, fino a rendere per lui un piacere stare
con i propri cari che conversavano animatamente.
Aomine
invece riuscì a captare sì e no un quarto delle loro chiacchiere, tante erano
le parole che fuoriuscivano da quelle tre bocche senza la possibilità di
chiedere un minuto di time out.
Tra i tanti, l’argomento principale di conversazione
fu ovviamente il loro ospite e, in particolare, il legame che Ryota aveva instaurato con lui. Kaori non mancò di far
notare quanto il fratellino venerasse il suo Aominecchi
quasi ogni giorno da quando lo aveva conosciuto, e lo stesso Aomine, trascinato dall’ilarità generale, si beò di
raccontare i piagnistei di Ryota quando perdeva e
chiedeva in ginocchio di giocare una nuova sfida a due.
“Questi dettagli imbarazzanti si è sempre ben
mantenuto dal dirceli” intervenne Sakura prima di bere un sorso d’acqua.
“Infatti, non è necessario dirli” puntualizzò Ryota, lanciando un’occhiataccia ad Aomine.
“E perché no? È divertente!” Aomine
continuò a scimmiottarlo per altri dieci minuti buoni, suscitando risate di
scherno a carico del compagno.
Doveva ammettere che, per quanto rumorosa, la
famiglia Kise gli piaceva davvero, forse perché lui,
come figlio unico, non conosceva le gioie e i dolori di avere dei fratelli o
delle sorelle con cui conversare durante i pasti. Tutto sommato, la cena andò
meglio di quanto Aomine avesse previsto; per Kise, invece, era stato tutto l’opposto.
“Si è fatto tardi. È meglio che vada adesso” disse Aomine, pronto ad incamminarsi verso l’uscita.
“Perché non resti a dormire qui?” propose il signor Kise.
Aomine
lo guardò stupito e quasi implorante, quasi volesse dirgli di non suggerire
strane idee alle donne di casa.
“Non vorrei davvero disturbare ancora.”
“Possiamo mettere in camera di Ryota
un futon” intervenne la madre. “Ovviamente, Ryota ti
concederà il suo posto sul letto principale, vero?”
“Sì, mamma” rispose obbediente il figlio, quasi
rassegnato.
“Benissimo, vado a prendere il futon e le lenzuola
pulite, intanto Daiki usa pure il telefono per
avvisare tua madre che rimani qui. Se per caso volesse qualche rassicurazione
potrei anche parlare io con lei, nessun problema.”
Tale madre, tale figlia: per la seconda volta, nel
giro di poche ore, Aomine era stato obbligato a
restare in quella casa senza via di fuga alcuna.
Note dell’autrice
Nello scorso capitolo siete stati tutti
così generosi nel commentare e io vi ripago con questo mostruoso ritardo ç_ç *si fustiga*
No, ok, la verità è che ho avuto un fortissimo
calo emotivo in quest’ultima settimana a causa di problemi famigliari e
sentimentali, quindi efp e ogni altra forma di
divertimento sono stati i miei ultimi pensieri. Per fortuna questo periodo di
scoramento è durato poco e sono potuta tornare all’opera, ma mi scuso lo stesso
per il ritardo.
Lo stesso capitolo risente di questo calo: spero di poter fare meglio nel prossimo J Grazie ancora a tutti: ormai, il vostro sostegno è una delle poche cose che davvero mi rallegrano!