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Autore: Clarice Hai    27/08/2013    1 recensioni
Mi chiamo Noomi e sono l'assassina, il sicario e la ladra più ricercata di tutta Oteph. Non sono solamente i soldati di tutto il regno che da anni cercano di catturarmi o i manifesti appesi per tutte le città con uno scarabocchio mal riuscito del mio lungo mantello nero a dimostrarlo; lo è il mio lungo pugnale nero, che tengo legato con una cintola al mio braccio sinistro, lì, vicino al cuore, come se fosse lui quella parte anatomica che mi fa rimanere in vita, che fa pulsare il mio corpo.
Vivo sulla sofferenza degli altri.
Nessuno sa chi sono veramente. Solo io lo so. Sono un'ombra. Tutti mi conosco ma nemmeno uno sa che faccia ho. Hanno paura di quel mantello nero eppure quando gli passo affianco non una persona fa caso a me.
Si barricano nelle loro case la notte, per scongiurare il terrore che io possa entrare, eppure, alla luce del giorno, ricevo sempre sorrisi e buone parole dalle persone che mi circondano.
Sono un'ombra. L'ombra più oscura alla luce del giorno.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Poeta – Trentesimo giorno lunare, decimo mese


Le tre navate della sala principale di Poeta si stagliarono davanti a lui con tutta la loro maestosa bellezza. Archenan deglutì, accarezzandosi l’ombra dell’ispida barba che piano iniziava a ricrescere sulle guance. Portò una mano alla spada che teneva stretta al cintola. Stringere la mano attorno all’elsa lo fece sentire subito meglio. Era nato per la battaglia. Il suo maestro glielo aveva sempre ripetuto, fin da quando era un bambino e il ferro pesante delle armi lo sovrastava ogni volta che provava a brandire un’ascia o una lancia. Aveva dedicato la sua intera vita alla guerra, alla difesa del suo popolo, al mantenimento del buon nome che portava la capitale Crono, la sua Crono, la madre patria degli uomini.
Aveva fallito, miseramente. L’attacco era arrivato improvviso e violento. Li aveva piegati tutti quanti. Aveva mandato diversi corrieri a cercare aiuto dagli elfi, ma nessuno era riuscito a portare a compimento la missione. Fu così che decise lui stesso di mettersi all’opera. Abbandonare l’armatura e andare a chiedere ausilio. Il viaggio a quel galoppo sostenuto, portando il cavallo al limite della proprio forza fisica, era riuscito a scalfire quella corazza di orgoglio che aveva come una seconda pelle. Il suo popolo aveva bisogno di lui.
Aveva percorso i boschi a ovest, per passare inosservato. I terreni che aveva calpestato erano ancora vergini, nessuno aveva ancora visto l’ombra della guerra. La macchia a ovest era ancora protetta. Solo avvicinandosi ancor di più alla capitale elfica notò come i rigogliosi boschi in cui vivevano gli abitanti avevano ceduto il posto a chilometri di erba secca e alberi caduti. Il sole picchiava forte sulla testa calva di Archenan, che nonostante fosse abituato a le alte temperature fu costretto a proseguire a torso nudo e a razionare le dosi di acqua. Gli abitanti di quelle foreste erano migrati verso la capitale e i villaggi vicini ancora riparati, per cercare di sfuggire a una morte imminente. Ora Poeta pullulava di vagabondi e senza tetto, tutti sotto le cure dei sacerdoti del tempio. Il nemico attaccava Poeta dal versante est. La regnante in carica, Kayleen, rispondeva con le sue armate di Guardie Invisibili e Cavalieri del Giglio opponendo una strenua resistenza che oramai andava avanti già da diversi mesi.
 
Il generale di Crono si sistemò il colletto della sua camicia di lino che portava sotto la giacca blu con ricami dorati. L’attendente che l’aveva accompagnato fin li era scomparsa, leggera e silenziosa come vento, avvolta nel suo abito rosa pallido.
Il portone davanti a lui era alto diverse braccia, in legno con dei bassorilievi. Davanti a lui due guardie in armature verdi stavano immobili, con le loro alabarde in mano. Sembravano due statue di sale.
 
L’attendente dal vestito rosa entrò nella sala del trono da un passaggio secondario. Solo lei ne era a conoscenza e solo lei ne poteva usufruire. Uno dei privilegi che le era concesso, essendo l’attendente personale della regnante.
“Regina Kayleen, il generale Archenan è qui fuori”

Quando le enormi porte si aprirono, Archenan trattenne per un attimo il respiro. Una luce bianca gli abbagliò per un attimo la vista, poi lentamente la forma del trono incominciò a prendere forma nitidamente davanti a lui. Sopra di esso, una figura esile stava seduta composta. Il braccio destro poggiato sul bracciolo e il meno appoggiato sulla mano. Gli occhi color ambra leggermente a mandorla e incorniciati da folte ciglia nere lo squadravano con sincera curiosità.
L’uomo si inginocchiò davanti a lei. Portando le labbra quasi a sfiorare il pavimento in marmo bianco che ricopriva la sala. Archenan imbarazzato dalla sua persona, continuò a tenere gli occhi fissi a terra. Riuscì a scorgere il suo riflesso nella pietra: Il viso spigoloso, gli occhi neri pieni di emozione. Aveva visto di tutto, stando sempre a combattere su frontiere diverse, ma un viso di così tale bellezza no. Lo metteva terribilmente in imbarazzo.
Trovò la forza di alzare il capo solo quando sentì i passi di Kayleen avvicinarsi e fermarsi a pochi centimetri dalle sue mani protese davanti al capo.
“Alzati Archenan, sono io che dovrei inginocchiarmi dinanzi a te”
La voce bassa della regina risuonò a eco in tutta la stanza. Archenan provò a immaginarsi la musica che si disperdeva in quella sala durante le feste. Le note che si alzavano fino alla cupola sotto al tetto per poi ricadere sulle teste dei festeggiatori.

 “Come procedono le cose, sul versante est di Poeta?” domandò lui cercando di suggellare il suo imbarazzo.
“Le guardie invisibili sono riuscite a colpire una base nemica, ma non poche sono state le perdite” Si fermò un istante, in segno di commemorazione “I Vacui arrivano più a sud, dalle porte dell’inferno, come sospettavano i nani; ho mandato in ricognizione una mia civetta, ma anche questa, purtroppo, non è tornata”
“Parlami di Crono, Archenan. Ho saputo che è caduta, com’è stato possibile?” La regina riprese a parlare, abbassando lo sguardo. Il generale avrebbe potuto giurare di aver visto le tracce di alcune lacrime intrappolarsi tra le sue ciglia.
“E’ successo all’improvviso. Un attacco a sorpresa, alle prime luci dell’alba. Io e i miei guerrieri non eravamo preparati. Ci hanno piegato. Il re e la regina sono caduti. I loro figli, scomparsi” Mentre parlava stringeva convulsamente i pugni, conficcandosi le corte unghie nella carne.
“L’Al’ thazia quindi è caduta. Una nuova pedina per Aldor” nonostante cercasse di mantenere un atteggiamento freddo e calcolatore, la voce di Kayleen era incrinata da una nota di agitazione, quasi paura.
“La prossima città che probabilmente il nemico andrà ad attaccare sarà Zelo” continuò Archenan tirando fuori dalla tasca una mappa di Othep. Era raggrinzita e sciupata. Consumata dai numerosi tratti di matita disegnati sopra, calcoli, note. Il nome della città di Zelo, a confine con la terra degli umani e quella degli elfi, era sottolineato più volte, la matita aveva quasi bucato il foglio.
“Evacuiamola, salviamo più persone possibili” propose la regina che intanto aveva preso un cipiglio da comandante, abbandonando la frustrazione di poco prima.
Prese la mappa dalle mani del generale, esaminandola da diversi lati, mentre camminava avanti e indietro per la sala.
Lo strascico bianco che portava cucito attorno alla casacca viola si muoveva sinuoso dietro di lei, scivolando sul pavimento e producendo un leggero suono.
“Una spedizione Archenan, una spedizione! Raggrupperò alcuni dei miei più fidati Cavalieri del Giglio e alcune Guardie Invisibili” si voltò verso l’uomo e lo guardò come se non l’avesse notato prima d’ora. I suoi occhi ambrati erano pieni di stupore.
“Conduci i superstiti di Crono e i tuoi soldati qui, manderò una civetta ad avvertirli. Il tempo di raggruppare le mie scorte, un gruppo piccolo e partiremo”
“Avrei piacere di far unire ai vostri guerrieri anche i miei, i meno provati, i più forti”

Kayleen annuì vigorosamente: “Passeremo nel canale al di sotto dell’Eledhwen, l’aria è angusta la sotto, ma saremo protetti dagli attacchi nemici.”

Archenan aveva sentito parlare del canale dell’Eledhwen, alcune leggende ci giravano attorno. Si diceva che fosse un antico passaggio costruito dagli elfi per spostarsi da Poeta durante le invasioni. Non ne avevano fatto più uso dopo la morte del precedente regnante. Kayleen preferiva combattere, far vedere e riconoscere la potenza del suo popolo, anche se tutto ciò stava mandando la sua popolazione verso un genocidio cercato. Il generale si riconobbe in questa maschera di convinzione e freddo orgoglio della regina. Sorrise al pensiero di questa cosa che pareva così piccola che li accumunava.
“Mia signora, sta parlando al plurale”
“Troppo tempo sono stata qui a progettare e basta. Verrò con voi. Voglio assicurarmi che tutto vada al meglio. E’ congedato Archenan, Taira la accompagnerà nelle tue stanze”

L’aria tra loro due si era rifatta improvvisamente di nuovo fredda e imbarazzata. Kayleen si girò per tornare al suo posto, la mappa stretta ancora in pungo, la testa traboccante di pensieri.
Taira, l’attendente dal vestito rosa, ricomparve come una nuvola alle spalle del generale. Il capo chino e le mani giunte in grembo. Gli fece cenno di seguirla e solo quando lasciarono la stanza del trono, Archenan sentì il suo respiro tornare normale.


NOTA: scusate se non ho più aggiunto capitoli, ma sono appena tornata dalle vancaze e tra poco ripartirò ancora :) In questi giorni cercherò di scrivere e pubblicare più cose possibili. Un bacio. Clarice Hai.
  
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