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Autore: MrsCrowley    27/08/2013    2 recensioni
Ognuno di noi ha un modo diverso di reagire alle situazioni. C’è chi semplicemente sprofonda in un oceano da dove non riesce più a risalire, chi cerca di vedere il lato migliore di tutto e poi ci sono quelli della peggior specie, chi contraccambia ogni cosa con la stessa moneta.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4

L'
odio è un tonico, fa vivere, ispira vendetta


- Mamma – chiamò una ragazzina, sbattendo violentemente il libro che aveva poggiato sulle ginocchia. Una donna le si avvicinò con un sorriso. Era raro che sua figlia la chiamasse con quel tono così flebile, di solito attirava l’attenzione urlando. La ragazza aveva gli occhi gonfi, arrossati e vuoti. La madre si sedette accanto a lei, poggiando la schiena contro la parete bianca e fredda e aspettando che parlasse. Serrando i pugni, con le nocche bianche, la ragazza alzò lo sguardo sconfitta.
- E’morto – sussurrò, le mani sul volto come a proteggersi da qualcosa di invisibile, o forse di visibile solo per lei. Non capendo, la madre la fissò attonita, sbarrando gli occhi.
- Fred.. Perché lui? Perché esseri inutili come la Umbridge no, e Fred sì? – la ragazza incrocia le braccia sul petto, e la donna sorride scompigliandole i capelli. A quel rifletto, la ragazza alzo lo sguardo verso la madre. Con un leggero sorriso, decide di farle provare un poco del male che lei sta provando in quel momento.
-  Sai, Fred aveva i capelli rossi. Rossi come papà – mormora, vedendo lo sguardo della donna spegnersi. Aveva bisogno di farle del male, per sminuire il suo dolore in quel momento. La ragazza serrò le braccia attorno alla vita, stringendosi a sé e raggomitolandosi su se stessa, come a volersi proteggere da quella morsa dolorosa. Con la consapevolezza che avrebbe cruciato chiunque le avesse detto che era solo un libro, si rintanò in camera sua, riprendendo quel prezioso cimelio che prima aveva scaraventato lontano. Non aveva più molta voglia di leggere adesso, però.

* * *

- Oliver! – urlò una ragazza, bussando forte sulle porta di casa sua.
E questa chi cazzo è adesso? Pensò lui stizzito, che si stava godendo un meritato riposo dopo una notte passata insonne. Andò ad aprire di malavoglia, e si trovò davanti una ragazza dai capelli castani, lucenti, che lo guardava intimorita. Come se avesse saputo di non dover essere lì. Si erano conosciuti due sere prima, Oliver era ancora se stesso all’epoca. Era un ragazzo normale, uno che si bucava ma che fondamentalmente stava bene, non era in dipendenza, non aveva dolore. Era uno a posto, nessuno sapeva del suo problema con la droga, neanche i suoi genitori. Era un manager di successo, agli occhi della gente.
Poi qualcosa era andata storta nella sua vita perfetta. La sua copertura stava per cadere e lui semplicemente non era pronto per affrontarlo.
Codardo.
Il pomeriggio prima si era sentito male, e si era trascinato fino all’ospedale. Dopo ore passato a fare esami, erano arrivati i risultati.
Era sieropositivo.
Cazzo, tra tutte le piaghe del mondo proprio quella doveva succedergli? Si era mantenuto piuttosto calmo, sorridendo freddamente e tornandosene a casa. Era malato, ma non ancora in pericolo di vita, e lui non aveva intenzione di morire facilmente. Avrebbe combattuto da eroe, e avrebbe portato con sé quanti più nemici possibili. Non sapeva se fosse stata una siringa infetta o un rapporto non protetto, la causa della contrazione.
Da sempre misogino, decise di dare tutta la colpa alle donne. Con loro se la sarebbe presa. Erano la loro cavia preferita, dopotutto. Quella biondina sarebbe stata la prima vittima, lo decise con freddezza calcolata.

* * *

Mesi dopo quell’incontro, Oliver aveva mietuto già molte vittime. Nessuna ovviamente sospettava di lui, nessuna sapeva che lui era malato. Dopo una settimana dall’incontro, chiamava sempre le fortunate ragazze che aveva scelto con cura. Bello e ricco com’era, nessuna sapeva dirgli di no.
Se le ragazze, dopo una settimana, rifiutavano.. era perché avevano contratto il virus.
Se non lo facevano era perché ancora non avevano sintomi, ed era necessario che li avessero. Nessuna doveva restare illesa.
Anche la prima ragazza, dopo quattro settimane non aveva più voluto vederlo. Si ricordava di lei, aveva una foto di tutte le sue vittime, un diario che aggiornava periodicamente con date e recapiti telefonici.
Era una tiepida giornata soleggiata, quando il suo cellulare squillò.
- Pronto? – disse annoiato, chiedendosi chi si prendesse la briga di chiamarlo a quell’ora. Erano ancora le nove del mattino.
- Oliver.. – una voce femminile, affannata, lo sorprese. Aggrottò il sopracciglio senza dire nulla, restando in ascolto. Ovviamente, non aveva riconosciuto la voce.
- Scusa per come ti ho scaricato, è che c’è una cosa che dovevo dirti e non sapevo come farlo. Adesso forse è troppo tardi, ma devi saperlo.. – disse con voce asciutta, ma spezzata. Sembrava che stesse soffrendo. Doveva dirgli che aveva contratto il virus? Oliver sorrise, quasi folle. Non vedeva l’ora.
- Sono in sala parto. Nostra figlia nascerà tra poche ore. – quella cosa lasciò di stucco il ragazzo. Deglutì pesantemente, e per qualche sadico motivo decise di recarsi a quel dannato ospedale. Fu la prima ed unica volta che vide sua figlia. Era identica a sua madre, di lui non aveva niente se non il sorriso.
Peccato.Avrebbe dovuto avere i miei capelli rossi. Sogghignò guardandola. La sua vita era sempre stata rossa. Prima era un ragazzo passionale, sentimentale, romantico e sensuale. Adesso era diventato un freddo e astuto calcolatore, freddo come i suoi occhi di ghiaccio e vendicativo come i suoi capelli rossi. Un contrasto spiazzante, sia a livello fisico sia nelle profondità della sua anima. Fuoco e ghiaccio si fondevano dentro di lui, pericolosamente. Era un pericolo per chiunque capitasse sulla sua strada.

* * *

Ovviamente, non aveva più visto quella bambina. Non ufficialmente almeno.
Da quando lei andava a scuola, la spiava tutti i giorni. Ormai faceva le superiori, era abbastanza grande. E lui era troppo stanco per continuare a trascinarsi. Doveva compiere la sua missione. Aveva ucciso fin anche troppe donne, ma non aveva perso la sete di vendetta.
- Devo trovare qualcun’altra – si disse, in tono pensieroso.
- Che ne pensi della tua stessa prole, Oliver? – rispose una vocina compiaciuta dentro la sua testa. Quella era forse l’idea più geniale che avesse mai avuto. E non erano state poche, a dire il vero.

* * *

La polizia lo stava cercando. O meglio, stava cercando il serial killer che trasmetteva a donne bellissime il virus dell’HIV. Nessuno avrebbe potuto sospettare di lui, mai. Era ancora un imprenditore geniale, e nessuno sapeva della sua malattia. Non l’aveva mai dichiarata. Era tutto calcolato, da sempre.
Una sirena passò davanti alla sua auto, era fermo immobile ad aspettare che le scolarette uscissero. Sua figlia avrebbe dovuto prendere il pullman, ma lui si sarebbe presentato a lei. E sapeva anche come attirarla.
- Non ho potuto fare a meno di sentirti discutere con la tua amica – le disse, mentre lei si dirigeva stanca e inferocita verso la fermata. Alzò gli occhi per guardarlo, e sorrise un secondo. Era ancora un bell’uomo, dopotutto. Quel pensiero gli scaldò il cuore, anche se solo per qualche secondo.
- Anche io ho preso troppo male la morte di Fred. E anche quella di Bellatrix. E di Sirius. E di Lupin. E di Dobby. E di Piton. Di tutti, a dire il vero – se c’era una cosa che apprezzava di sua figlia, era che adorasse Harry Potter. Questo però non l’avrebbe salvata. Prese per mano la ragazza, conducendola con sé.
- Che ne dici di fare infuriare tua madre e di farti accompagnare a casa da uno sconosciuto? – chiese, con un sorriso. La ragazza annuì ed estrasse il cellulare, componendo velocemente un messaggio. Forse stava raccontando alle sue amichette l’incredibile avventura, forse avvertiva sua madre di non andarla a prendere. Eravamo in macchina, eravamo già partiti quando lei mi squadrò profondamente.
- Io lo so chi sei – disse con lentezza, sfoderando il suo sorriso. Il mio sorriso. La guardai accigliato.
- Sei venuto a prendermi, vero?- chiese divertita, continuando a sorridere.
- Sono l’ultima che vuoi finire, prima di lasciarci la pelle, vero? – chiese ancora, senza perdere il suo sorriso. Il tono però le si era indurito, gli occhi erano diventati di ghiaccio.
- Vero, papà ? – ringhiò, facendomi frenare prepotentemente. Volevo chiederle come facesse a saperlo, ma non lo feci. Avrebbe detto tutto lei infondo.
- Sei fortunato. Sono già malata, perché mi hai trasmesso il virus da quando sono al mondo. Sono in cura da sempre. Remus mi ha insegnato a non vergognarmi di quello che sono, a essere forte e a cercare di essere felice lo stesso. A cercare l’amore, quello vero. Quello che ti accetta per come sei, senza paura. – disse tutto d’un fiato, gli occhi tristi. L’uoh
mo la fissò, e sentì il rosso del sangue imporporargli le guance.
- Io non ce l’ho con te. Volevo che lo sapessi. Ma vienimi a trovare più spesso. Potremmo leggere insieme. Potresti imparare anche tu.. – il suo tono adesso era quasi di preghiera. In che situazione del cazzo si era andato a ficcare? Quella ragazzina era un pericolo, avrebbe potuto rivelare tutto e io sarei stato nei guai. In guai grossi.
- Come hai fatto a scoprirmi? – fu tutto ciò che rispose, guardandola allibito. Non si sarebbe aspettato per nessuna ragione una reazione del genere da quella piccola.
- Sei mio padre, e anche se fisicamente non mi assomigli, hai il mio stesso cervello. Anche io per un istante ho desiderato di passare il virus a tutti, così forse me lo sarei tolta io. Ma sarebbe stato sciocco, e non volevo fare il tuo stesso errore. Pensavo fosse stato un errore. Poi dopo tutti i casi di donne che avevano contratto il virus in città, ho capito che non era così. Tu lo facevi volontariamente. – non c’era odio nella sua voce, non c’era nessun tipo di emozione. I suoi occhi erano spenti e vuoti. L’uomo ci si specchiò per un attimo. Erano vuoti come i suoi.
- Ho sempre pensato che avresti dovuto avere i miei capelli – le rispose, con un sorriso. Almeno aveva la sua testa, però.
- E adesso, correrai a denunciarmi vero? – chiese, senza timore. La ragazza scosse la testa, e lesse la muta domanda negli occhi dell’uomo. Si stava chiedendo per quale motivo non lo avrebbe denunciato.
- Sei mio padre. E ti piace Harry Potter. – disse con un largo sorriso, poi lo guardò stranita.
- Domani vieni a prendermi, alle tre di pomeriggio. Andiamo a prendere un gelato.  Per favore. – l’ordine all’inizio perentorio era diventata poi una richiesta supplichevole. Affascinato, l’uomo annuì.

* * *

Cazzo, ci sono restati tutti secchi. Disse, leggendo sul giornale della morte di Adrian e di Christian. Non ci riusciva quasi a credere. Lui invece era vivo, anche se non sapeva per quanto ancora. L’idea della vendetta lo aveva tenuto in piedi abbastanza a lungo. Erano già le tre, stava sfrecciando per andare a prendere sua figlia. Cosa che non era affatto da lui. Non sapeva il motivo per cui lo stava facendo.
- Papà.. credo che tra poco morirò – gli disse preoccupata. Lui non rispose, ma la accompagnò a casa sua. Lentamente, iniziarono a parlare. A conoscersi. Una sirena passò vicino casa sua, e la ragazza impallidì. Il respiro le venne a mancare, e le gote divennero di un tenue colore biancastro. Era fredda. Lo guardava, riuscendo appena a chiudere le palpebre. Oliver sapeva quello che stava succedendo. La sirena continuava a girare vicino casa sua. Erano una, due, tre macchine.
Lo avevano scoperto.
- La mamma.. ha capito.. tutto.. – disse la ragazza, chiudendo gli occhi. Non li riaprì mai più.
Oliver, con passo leggero, scansò quel corpicino a cui per qualche ora aveva voluto davvero bene e si diresse in bagno.
Non mi avrete, mai. Pensò. Si guardò allo specchio, e prese la siringa. La riempì di una dose di eroina fin troppo forte, e per precauzione sciolse nel cucchiaino qualche pillola in più. Aggiunse tutto al miscuglio.
Tornò accanto a sua figlia, stendendosi. Chiuse gli occhi, e si sparò nelle vene quel mix micidiale.
Una goccia di sangue colò lungo l’avambraccio, ma lui non la vide. Non vide più niente. Sentì una presa troppo forte, il cuore che sembrava esplodergli. Strinse la mano di sua figlia.
Sto per raggiungerti pensò, troppo debole per dirglielo ad alta voce. Lui sentì la stretta ricambiata, ma non seppe dire se fosse stata solo una sua fantasia. Poi, tutto iniziò a vorticare e a diventare rosso. Il sangue affluiva al cervello, troppo velocemente. Così come era iniziato, tutto finì.

* * *

L’odio è un tonico. Fa vivere. Ispira vendetta.
Quando la vendetta è compiuta e l’odio passa, passa anche la vita.
La sua vendetta non avrebbe più avuto senso. Anche lui, Oliver, il mostro, aveva scoperto di avere un cuore.
Aveva scoperto di averlo e poche ore dopo l’aveva perso. Meritava di finire nel più profondo degli Inferni.
Nel rosso scarlatto, rosso come i capelli che sua figlia avrebbe dovuto avere.
 
  
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