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Autore: Niere    27/08/2013    2 recensioni
Livia e Gianluca, in passato, erano una coppia affiatata, ma la vita li ha cambiati e tutto ciò che è rimasto del loro amore è un bambino di quattro anni e tanto rancore. Il rancore però annebbia la ragione ed entrambi si ritroveranno a mettere in dubbio le scelte fatte, le loro convinzioni e i loro sentimenti.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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E' finita - POV Livia

Ero stanchissima, avevo solo voglia di sdraiarmi sul letto e addormentarmi. Era stata una giornata molto frenetica: la mattinata era stata particolarmente stressante perché in ufficio avevo dovuto terminare un lavoro che avevo trascurato nei giorni precedenti, nel pomeriggio avevo fatto un po’ di spesa, avevo portato Matteo in ospedale ed infine ero passata a casa di Anna, per vedere se aveva bisogno di qualcosa o se aveva voglia di parlare e sfogarsi con qualcuno. In quel momento, me ne stavo seduta sul divano , a casa mia, accanto a mia madre, che era venuta a trovare suo nipote.
Mia madre, Ines, era una donna difficilissima, che perfino io non riuscivo a comprendere. Da giovane aveva grandi aspettative, che si erano tramutate in cenere nel corso degli anni. La mamma era spagnola, era nata in uno dei quartieri più lussuosi di Madrid. Da ragazza era molto bella, vinse perfino un noto concorso di bellezza del suo paese. Quel concorso fu la sua rovina: si montò la testa, abbandonò gli studi universitari e si trasferì a Milano, in cerca di successo. Lì conobbe mio padre, Leonardo, un cameriere con la passione per la fotografia. Tra loro fu un colpo di fulmine e in breve tempo divennero inseparabili. Dopo pochi mesi, mia madre rimase incinta e decisero di trasferirsi a Roma. Per essere corretti, fu mio padre a prendere quella decisione e a trascinare con sé mia madre: lui voleva metter su famiglia, trovare un lavoro migliore, condurre una vita tranquilla. Mia madre non era entusiasta di tutto ciò: lei credeva ancora che potesse farsi un nome del campo della moda e la maternità era solo un ostacolo che rallentava i suoi sogni. Poi, nacqui io, e la situazione si fece ancora più complicata: mia madre iniziò a bere, mentre mio padre iniziò a non sopportare più i suoi capricci. Così, quando avevo solo cinque anni, ci abbandonò e sparì per sempre dalla nostra vita. Da quel giorno, mia madre mise la testa a posto, lasciò perdere l’ alcool e il mondo della moda, trovò lavoro presso un negozio di abbigliamento del centro. Era una brava madre, ma spesso mi soffocava con la sua invadenza.
Mi studiò attentamente, poi disse: “Adesso che Matteo si è addormentato, possiamo parlare tranquillamente.”.
Spensi la televisione e la guardai, accigliata: “Cosa devi dirmi, mamma?”.
Prese un bel respiro. Era pronta per le sue ‘perle di saggezza’: “Sembri distrutta… Non dovresti passare così tanto tempo in ospedale… Ti stressi solamente e non ne vale la pena per quello lì…”.
Alzai gli occhi al cielo: “Quello lì è il padre di Matteo e, che ti piaccia o no, ha tutto il diritto di vedere suo figlio.”.
Distolsi lo sguardo da mia madre, per osservare il salotto. Io e Gianluca avevamo comprato quella casa quando ero al quarto mese di gravidanza. Avevamo amato subito quel piccolo appartamento, luminoso e pieno d’ aria. All’ epoca non potevamo permetterci di meglio, perché Gianluca lavorava ancora al negozio di suo padre, mentre io frequentavo ancora l’ università, che lasciai l’ anno successivo, per occuparmi di Matteo. Da quando Gianluca se ne era andato via di casa, il salotto sembrava diverso: non c’era più la sua collezione di dischi e dvd, quell’ orrendo quadro che aveva comprato in Sicilia e le foto che lo ritraevano erano finite in uno scatolone sotto il letto. Era rimasto solo ciò che piaceva a me: le foto di Matteo appese alla parete chiara, il tavolo di legno scuro, la tenda color crema che si muoveva con il vento, il televisore che era diventato proprietà privata di mio figlio, la piccola vetrina con tutte le chincaglierie che avevo raccolto nel corso degli anni.
Mia madre, continuò: “Gianluca ti ha rovinato la vita… Se non lo avessi mai conosciuto, la tua vita sarebbe di certo migliore. Potevi avere di tutto: potevi terminare l’ università, trovare un lavoro ottimo, viaggiare, magari incontrare un uomo facoltoso…”.
La interruppi: “Mamma, questo è quello che desideravi tu per me. Non ho mai cercato tutto questo. Se potessi tornare indietro, rifarei tutto, anche se ormai non provo nulla per Gianluca.”.
“Dico solo che sei incappata nei miei stessi errori. Tra dieci o venti anni, vedrai le cose in modo diverso… E ti chiederai come diamine hai fatto a perdere la testa per un uomo del genere… Negli ultimi anni ti ha fatta solo soffrire: ti ha trascurata e probabilmente ti ha anche tradita svariate volte.”.
Le sue parole mi fecero tornare in mente il giorno in cui capii che non potevo più continuare a vivere con Gianluca.

Era una calda serata di giugno ed eravamo appena rientrati dal compleanno di un nostro caro amico. Alla festa c’era anche Eleonora, una nostra nuova conoscenza, che non faceva altro che girare intorno a mio marito e a provocarlo. Mi tolsi in fretta le scarpe che mi stavano stringendo i piedi in una morsa dolorosissima e mi avviai in camera. Volevo piangere, disperarmi, ma mi sentivo così vuota che perfino le emozioni mi scivolavano via. Fortunatamente Matteo non era con noi, era rimasto a dormire da mia madre. Gianluca mi seguì come un ombra: “Livia, quante volte te lo devo dire che mi dispiace? Ma fidati, hai frainteso: tra me e lei non c’è assolutamente nulla…”.
Mi voltai verso di lui. Era logico che Eleonora gli avesse messo gli occhi addosso già da diversi mesi: Gianluca era misterioso ed affascinate, con i suoi occhi color nocciola e profondi, i lineamenti virili, i capelli castani e mossi, una corporatura perfetta. Sorrisi, sarcastica: “Si, forse adesso è così, ma sappiamo entrambi come è fatta: non si arrende finchè non ottiene ciò che vuole. Prima o poi cadrai tra le sue braccia.”.
Distolsi lo sguardo dalla sua figura, mi sciolsi i capelli, mi avvicinai al mobile con lo specchio, tolsi gli orecchini e li posai nel portagioie . Gianluca alzò la voce: “Io e te non abbiamo ancora finito… Ma per te è un classico evitare i confronti. E lo sai perché? Perché ti piace pensare che sia sempre colpa mia… Perché io lavoro dieci ore al giorno, perché rientro la sera tardi, stanco e stressato, perché quando esco con gli amici bevo qualche bicchiere di troppo. Ma se le cose tra noi non vanno, è anche per colpa tua, che non mi consideri più alla tua altezza.”.
Scoppiai anche io, e girandomi verso di liu, replicai: “Hai forse il coraggio di affermare che tu sei perfetto? Ho almeno un paio di esempi che ti possono dimostrare il contrario: la discussione che hai avuto con mia madre questo Natale, oppure la terribile scenata che hai fatto due mesi fa al matrimonio di mia cugina in Spagna. Potrei continuare all’ infinito… ”.
Mi sedetti sul letto, mentre una lacrima scese solitaria sul mio volto. Presi un bel respiro: “Sai, penso proprio che dovremmo lasciarci… E’ inutile andare avanti in questo modo…”.
Una parte di me sperava che Gianluca si opponesse, che tentasse il tutto e per tutto per difendere quel briciolo di amore che era rimasto nel nostro rapporto. La sua reazione mi spiazzò e mi ferì profondamente: “Bene, sai cosa ti dico? Meglio così…”. Si avviò verso l’ armadio e lo aprì. Prese un borsone blu che iniziò a riempire con i suoi indumenti. “Sono sicuro che senza di te starò veramente bene.”. Dopo aver riempito al massimo la borsa, se ne andò via, promettendomi che sarebbe passato a prendere il resto delle sue cose quando non ero in casa.
  
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