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Autore: Nightshade_04    27/08/2013    19 recensioni
“Hai fegato, piccola. Mi piaci. Potresti anche esserci utile nella società.”
“Stai scherzando spero! Io non entrerei mai, e ripeto mai, a far parte della vostra banda!” Esclamai.
“Peccato, tanto talento sprecato.” Sussurrò, poggiandomi la mano sulla guancia e accarezzandomela con il pollice, prima di voltarsi ed andarsene.
Rimasi immobile sul posto, vedendolo allontanarsi. Prima che girasse l’angolo e sparisse in un altro corridoio però, si girò indietro “Comunque, stai bene con questo nuovo look.” E mi fece l’ occhiolino, sorridendomi. Ero confusa, ma non capivo il perché.
Genere: Azione, Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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 † CAPITOLO PRIMO †
 




Me ne stavo tornando a casa, dopo aver trascorso l’intero pomeriggio a casa della mia amica Ellen.
Era ormai sera, e camminavo lungo la strada buia, illuminata solo da qualche lampione qua e là, quando la mia attenzione fu catturata dall’ urlo supplichevole di un ragazzo.
Incuriosita, mi concentrai sulla direzione da cui proveniva quel lamento, lo seguii e giunsi nei pressi di un vicolo oscuro. Lì, vidi cinque figure che stavano in piedi attorno a qualcosa, o meglio, qualcuno.
Mi avvicinai senza farmi notare e mi nascosi dietro ad un cassonetto della spazzatura, nonostante lo sgradevole odore.
Due ragazzi tenevano fermo per le braccia un altro ragazzo, che dall’aspetto doveva essere uno di quei secchioni fastidiosi, mentre un terzo gli tirò un pugno in pieno viso.
“Basta, vi prego!” Implorava lo sventurato, mentre altri due ragazzi, in piedi di fronte a lui, si godevano la scena, soddisfatti.
“Te la sei voluta tu! Te lo avevamo detto che sarebbe finita così, se non ci avessi portato tutti i compiti scritti entro stamattina. Ma no, tu hai voluto fare di testa tua, non ti sei presentato oggi a scuola e la sai una cosa? La professoressa ci ha messo una valutazione negativa e questo per colpa tua.” Continuò lo stesso ragazzo di prima, assestandogli un gancio destro, stavolta nello stomaco.
Il poveretto si piegò in due, boccheggiando aria. Guardai colui che lo aveva colpito e lo riconobbi: era una delle reclute più giovani degli Skulls.
Gli Skulls erano l’altra banda al vertice del potere, qui a New York. Erano famosi per le loro azioni in tutta la città e le persone normali gli giravano alla larga, non volendo, per nessuna ragione, imbattersi in qualcuno di loro.
Quelli dovevano essere dei nuovi acquisti, solo degli sciocchi ragazzini di quindici anni, che non sapevano come la loro vita sarebbe cambiata entrando a far parte del clan e credevano soltanto che significasse farsi rispettare, ottenere tutto ciò che si voleva e poter vantarsene. Poveri illusi.
Non seppi perché, ma decisi di intervenire. Era troppo tempo che non facevo a botte con qualcuno, quasi dieci ore -cavolo!- ed avevo voglia di divertirmi.
Uscii da dietro quel maleodorante nascondiglio e con passo tranquillo, mi avvicinai a loro.
“Guarda, guarda chi mi tocca trovare in giro per le strade il martedì sera: delle reclute degli Skulls che se la prendono con un poveretto perché… non gli ha portato i compiti?” Dissi attirando i loro sguardi su di me, sollevando un sopracciglio, indignata. “Devo ammettere che mi sarei aspettata di meglio. Cinque contro uno, poi. Molto leale!” Li schernii, contrariata.
Il ragazzo più imponente tra quelli serrò la mascella, digrignandola. “E tu chi saresti, scusa?!” Mi domandò, con fare prepotente.
Non potei evitare di ridere. Ebbi quasi compassione di lui, così stupido ed ingenuo.
“Me lo stai chiedendo sul serio?” C’era molta ironia nel mio tono di voce. “Io sono Alexa, Alexa Jersey.”
Li vidi irrigidirsi; poi due di loro se la diedero a gambe levate, superandomi. Come avevo pensato, pivelli.
“Quindi tu s-sei …” Parlò ancora, ma lo precedetti. “Si, sono la sorella di Mason, capo dei Dangers e sinceramente sono molto sorpresa del fatto che tu me l’abbia chiesto.”
I Dangers, ossia la mia banda, erano i nemici più temibili degli Skulls. Eravamo più o meno allo stesso livello, anche se -ovviamente- noi eravamo  più forti. Volevamo prevalere gli uni sugli altri e per questo eravamo in continuo conflitto.
Mason Jersey era mio fratello e dirigeva tutta la società. Io perciò, facevo la sua stessa vita fin da quando ero piccola. Ero cresciuta in quella battaglia ed ero temuta dalla gente. Sinceramente facevano bene ad avere paura di me: ero la ragazza più conosciuta tra i componenti dei Dangers per le mie capacità. Ero abilissima con le armi da fuoco ed imbattibile nella lotta corpo a corpo, ma me la cavavo altrettanto bene con le spade ed i coltelli. Molte volte ero stata il perno fondamentale di molte missioni; se avessi sbagliato io -cosa che comunque non sarebbe mai successa-, sarebbe andato tutto a rotoli.
Sarebbe potuto sembrare strano dire tutto questo di me, dato che avevo solo sedici anni, ma tutti sapevano che ciò che si diceva in giro sul mio conto, era vero. Tranne il fatto che avessi ucciso qualcuno. Delle voci -false- raccontavano che avessi fatto fuori in totale una ventina di persone, cosa assolutamente non vera dato che, anche volendo, non sarei mai stata in grado di togliere la vita ad un essere umano. Potevo ferire, anche molto gravemente, ma l’omicidio andava contro i miei principi.
Nella scuola tutti tenevano si tenevano a distanza da me e quando camminavo per i corridoi, ero sempre al centro dell’ attenzione. Gli unici amici che avevo facevano parte della mia banda, poiché i genitori dei ragazzi “normali”, li obbligavano ad ignorarci. Oltretutto, non potevamo di certo essere amici dei membri degli Skulls. Era vietato e comunque incoerente.
La voce del ragazzo di fronte a me mi distolse dai miei pensieri. “Cosa vuoi? Perché sei qui? Stai fuori da questioni che non ti riguardano!” Mi urlò contro. Nessuno doveva permettersi di rivolgersi a me con quel tono, men che meno se avesse avuto qualche anno in meno di me.
“Questa frase è la dimostrazione che Jakob accetta nella sua banda anche stupidi, senza cervello come voi, senza metterli alla prova. Lo dicevo che era un ignorante!” Una delle regole basilari di ogni gruppo, era quello di non insultare mai i propri superiori ed impedire anche ad altri, di farlo. 
“Non parlare così del nostro capo!” Mi ringhiò contro. Era addirittura convinto di spaventarmi, cosa da non credere!
“Se no…?” Lo sfidai, sostenendo la tensione tra i nostri sguardi. Credo che, anche se non fossero visibili ad occhio nudo, tra le nostre iridi intercorressero delle scariche elettiche.
“Se no, dovrai vedertela con noi!” Esclamò.
“Uh, sono proprio spaventata.” Dissi, prendendoli in giro e portandomi le mani sulle guance, mimando un’ espressione terrorizzata. “Fatevi sotto!” Li istigai un istante dopo, facendogli cenno con l’indice di avvicinarsi.
Il moro si scroccò le dita delle mani, pronto ad attaccarmi, mentre i due ragazzi alle sue spalle lasciavano cadere a terra il ragazzo malmenato e si mettevano al suo fianco.
Ero pronta. Volevo anche battere il mio record, ossia metterli al tappeto in meno di cinque minuti. Guardai l’orologio al mio polso e sghignazzai, forse con un pizzico di malvagità. Non credevo che nessuno, oltre a me, avesse mai provato a fare una cosa del genere. Era arrivato il momento dello scontro -sfortunatamente per loro-, perciò, bando alle ciance! 
Il primo ragazzo avanzò verso di me e tentò di colpirmi con un pugno, che però afferrai prontamente. Senza il minimo sforzo gli roteai il braccio, facendogli fare un mezzo giro su se stesso per il dolore. Lo colpii alla schiena con un calcio, sferrato con grande forza.
Fuori uno.
Ci provò allora il secondo, che mi mise le mani sulle spalle, stringendo la presa, ma io risposi alla sua aggressione aggrappandomi a mia volta sulle sue muscose spalle, per poi colpirlo, con il ginocchio, nello stomaco. Mi lasciò, gettandosi sull'asfalto umido, sofferente.
Fuori due.
Ed ora restava l’ultimo. Mi tirò un calcio che evitai, poi un altro, ma mi mancò nuovamente. Allora fu il mio turno e quando gli tirai un calcio, insegnatomi dal mio maestro di arti marziali, lo misi KO.
Sorpresa di aver già finito, con anche un po' di rammatico, riguardai l’orologio. Erano trascorsi soltanto quattro minuti e dieci secondi -evviva!-. 
Andai dal ragazzo in fondo alla via, ancora seduto per terra, che aveva osservato la scena, atterrito.
“Tutto bene?” Gli domandai gentilmente, porgendogli la mano per aiutarlo a rialzarsi. Lui la prese, senza togliermi gli occhi di dosso.
“Si, grazie.” Rispose, un po’ titubante nei miei confronti.
“Meglio che ora tu te ne torni a casa. Loro ti lasceranno in pace per un po’, ma ti conviene comunque evitarli, per quanto ti possa essere possibile.” Gli consigliai, alludendo ai ragazzini degli Skulls.
Il ragazzo annuì e se ne andò, senza farselo ripetere una volta. Io rimasi nella via ad osservare i miei ‘nemici’, mentre a poco a poco si riprendevano e si ricomponevano.
Decisi di lasciar loro un messaggio per il loro capo, giusto per il gusto di farlo.
“Spero che questo vi sia servita da lezione. È stato sciocco da parte vostra voler affrontarmi, nonostante sapeste del mio livello di combattimento. Sono stata anche fin troppo buona, a dirla tutta. Comunque, ora, fatemi un favore: dite da parte mia a Jakob che è un incapace e che dovrebbe migliorare la selezione per l’ ingresso nella banda.” Conclusi, accennando un occhiolino e tornandomene a casa, da mio fratello.

La mattina seguente mi svegliai in orario e mi preparai per andare a scuola.
Quando arrivai al cancello d’ ingresso, vidi la mia amica Ellen corrermi incontro. I suoi lunghi capelli neri oscillavano a destra e a sinistra, mentre il suo corpo snello si muoveva nella mia direzione. Avevo sempre amato i suoi capelli, lunghi fino a metà schiena, leggermente ondulati e di quel color corvino lucente, che si addiceva proprio ai suoi bellissimi occhi verde smeraldo. Ellen era la mia migliore amica, anche se aveva un anno in più di me. La avevo conosciuta all’ interno della società ed eravamo divenute da subito inseparabili.
“Che hai fatto ai capelli?!” Mi domandò stranita.
Io avevo i capelli ondulati castani con dei riflessi più chiari. Ma a me non piacevano, perciò quella mattina, prima di andare a scuola, mi ero dipinta delle ciocche di blu, con una bomboletta spray apposita. Devo ammettere che erano uscite davvero bene e poi facevano risaltare i miei occhi azzurri.
“Era da un po’ che pensavo di farmele, solo che non ho mai avuto il coraggio, fino a stamattina.” Ammisi sorridendo. 
“Wow, non me l’aspettavo. Comunque devo dirtelo, stai davvero bene. Fai un giro su te stessa.” Mi disse e feci come aveva chiesto. “Si, mi piacciono un sacco!” Mi batté il cinque, felice per me.
Scoppiammo a ridere, per poi avviarci all’ interno della scuola.
“Ehi, ma che hai fatto ieri sera?” Se ne uscì all’ improvviso, curiosa. “Mi è giunta voce che hai steso dei poppanti degli Skulls.”
Le raccontai per filo e per segno come si era svolta la vicenda, senza tralasciare il minimo particolare. Quelle cose capitavano abbastanza frequentemente a gente come noi.
“Ecco, e questo è tutto.” Terminai il racconto, sollevata.
“Grande Alexa! Gli hai dato una bella lezione! Chissà Jakob come avrà reagito, quando lo è venuto a sapere! Sarà andato su tutte le furie.”
“Probabile!”
Affermai. Sinceramente, non avevo nemmeno preso in considerazione quella possibilità, non l'aveva mica fatto per infastidirlo! 
Lo squillare della campanella ci avvisò che le lezioni stavano per iniziare. Salutai Ellen e mi diressi nella mia aula. Quando entrai, presi posto negli ultimi banchi vicino alla finestra, che da qualche anno mi appartenevano. Guardai il cielo: era nuvoloso e minacciava seriamente di iniziare a piovere. Le foglie degli alberi erano colorate di rosso, arancio, giallo e marrone, colori caratteristici del mese di Ottobre.
Prestai poca attenzione alla spiegazione dell’ insegnante e il tempo sembrava non passare mai. Tirai fuori il cellulare dalla tasca della mia felpa e scrissi un messaggio a mio fratello, che a quest’ora sarebbe dovuto essere a casa. Lui non andava più a scuola da un pezzo, dato che aveva già vent’ anni ed era quasi sempre impegnato con gli affari della banda .
A: Mason
“Qui è una noia assoluta. Non capisco perché debba ancora andare a scuola”

Attesi solo pochi minuti prima di ricevere una sua risposta.
Da: Mason
“Perché altrimenti non farai mai niente nella vita. E poi, cerca di stare attenta alla lezione, non vorrai mica essere bocciata e ripetere l’anno!”

Come al solito, mio fratello doveva fare il moralista. Non riuscivo proprio a capire perchè si comportava così, dato che ai suoi tempi, era stato l'incubo di ogni professore. Sospirai e mi gettai all’ indietro sulla sedia, infastidita, mentre premevo i tastini.
A: Mason
“Va beh, lavorerò nella società! E poi non mi possono bocciare, siamo appena ad Ottobre.”
Non ricevetti più alcun sms. Tipico di lui: quando avevo ragione, lasciava sempre cadere l’argomento.
Le ore passarono, anche se con una lentezza lancinante, e finalmente venne l’intervallo. Uscii dall’ aula ed andai al mio armadietto, in fondo al corridoio. Lo aprii , inserendo nel lucchetto la combinazione e ci gettai dentro con poca cura, i libri di testo che per oggi non mi sarebbero più serviti. Quando richiusi l’anta metallica e mi voltai, mi trovai faccia a faccia con un ragazzo che conoscevo bene.
Alto, magro, muscoloso, capelli marrone scuro con sfumature più chiare, occhi color cioccolato fondente, che però si schiarivano avvicinandosi alla pupilla e il solito sorrisetto strafottente sulle labbra. Indossava jeans neri, una maglietta grigia attillata, che metteva in risalto i muscoli del suo petto e sopra, una giaccia nera di pelle.
“Alexa, che piacere vederti.” 
“Peccato che non possa dire la stessa cosa, Jakob.”
Replicai acida, notando il suo sorriso espandersi alla mia reazione.
“Così mi ferisci.” Ironizzò, mettendosi una mano sul cuore. “Pensavo di farti una bella sorpresa venendoti a parlare.”
“Mi spiace, evidentemente hai pensato male.”

“Sono venuto a sapere di cosa è successo ieri sera. E mi è stato anche riferito il messaggio.”
“Bene, non mi interessa minimamente.”
Fu tutto ciò che dissi.
Vidi la sua espressione incupirsi, poi fece un passo in avanti e dovetti indietreggiare. Mi trovai con le spalle contro il metallo freddo, ma non mi sentii in trappola finché non appoggiò anche le mani ai lati della mia testa, facendo peso sugli armadietti.
“Io non sono stupido, ok?” Si accigliò, guardandomi serio.
“Infatti ho detto che sei incapace, non stupido. In fondo, lo sai che è la verità.” Risposi, provocandolo.
In un primo momento rise, ma poi tornò serio.
“Piccola, apprezzo la tua tenacia, ma ti avverto che non dovresti sfidarmi così.”
“Non ho paura di te.”
“Dovresti invece.”

La sua posizione era opprimente e decisi di rimediare. Poggiai le mani sul suo petto e lo spinsi indietro.
“Sentimi, avrai anche due anni in più di me e sarai anche il capo degli Skulls, ma sappi che non mi spaventi. Puoi venir qua, ora, e fare l’arrogante e lo sbruffone finché vuoi, ma le cose non cambieranno. Ho detto che sei incapace e tutt’ora lo penso, basti guardare che pivelli hai reclutato.” Gli risposi a tono.
“Hai fegato, piccola. Mi piaci. Potresti anche esserci utile nella società.”
“Stai scherzando spero! Io non entrerei mai, e ripeto mai, a far parte della vostra banda!”
Esclamai.
“Peccato, tanto talento sprecato.” Sussurrò, poggiandomi la mano sulla guancia e accarezzandomela con il pollice, prima di voltarsi ed andarsene.
Rimasi immobile sul posto, vedendolo allontanarsi. Prima che girasse l’angolo e sparisse in un altro corridoio però, si girò indietro: “Comunque, stai bene con questo nuovo look.” E mi fece l’ occhiolino, sorridendomi. Ero confusa, ma non capivo il perché.

 
Eravamo quasi arrivate al capannone. Io ed Ellen lo avevamo fatto un’altra volta. Durante l’intervallo ce ne eravamo andate da scuola, senza dire niente a nessuno. Probabilmente qualcuno si sarebbe preoccupato o si sarebbe chiesto dove fossimo, ma, a dirla tutta, avevo dei dubbi al riguardo.
Arrivammo davanti all’ enorme portone d’ ingresso dell’ edificio, ormai in disuso. Con un po’ di fatica lo aprimmo ed entrammo.
Questo un tempo era stato la base d’ addestramento dei Dangers. Ampio, spazioso e ben nascosto tra gli alberi di una collinetta nella periferia della città, era stato poi trovato e preso d’assedio dagli Skulls.
Dal quel momento il centro era stato spostato in un luogo più sicuro e introvabile, ed era stato vietato a tutti tornare qui. Perciò stavamo nuovamente infrangendo le leggi della società.
Ma questo luogo ci piaceva da impazzire e teneva racchiuso in sé troppi ricordi. Inoltre ci serviva un posto in cui nessuno sarebbe andato e dove avremmo potuto tranquillamente lavorare al nostro nuovo esperimento: un piccolissimo insetto microchip con GPS incorporato, che sarebbe stato lanciato ad una velocità elevata da un’ apposita pistola, affinché sarebbe stato in grado di attaccarsi anche su obiettivi ad una certa distanza. Avevamo rubato l’idea in un laboratorio di scienziati specificati nel settore delle armi, ma essendo l’abbozzo molto vago, non eravamo ancora riuscite ad arrivare dove volevamo.
Ogni volta che lo testavamo, il microchip si frantumava venendo a contatto con il bersaglio, oppure, nel migliore dei casi, si attaccava all’ oggetto, ma dopo poco tempo cadeva a terra.
C’erano ancora tante cose da perfezionare e poco tempo per farlo, siccome questo doveva rimanere segreto a tutti e gli unici momenti in cui non eravamo impegnate con la banda era la mattina, quando avevamo però scuola. Certamente avremmo potuto dirlo a Mason, che ci avrebbe fatte aiutare dai suoi migliori tecnici, ma non volevano per due motivi. Il primo era che il progetto era stato preso in un luogo in cui ci era stato proibito di andare e ci avevamo lavorato in un altro posto, in cui egualmente non avremmo dovuto essere. Il secondo, invece, era che volevamo ultimare l’opera per conto nostro, così magari mio fratello si sarebbe reso conto di quanto valessimo e ci avrebbe finalmente mostrato quei file segreti della società, che si era sempre rifiutato di farci vedere.
Tolsi la valigetta grigia dal mio zaino e la aprii. Presi la pistola nera, avvolta nella custodia di pelle marrone e la posai con cura sul tavolo di legno davanti a me. Poi, riposi a fianco di quest’ ultima una scatoletta di ferro, contenente gli ultimi microchip rimasti e un’ altra più grande, con gli attrezzi da lavoro.
Dopo una ventina di minuti eravamo ancora al punto di partenza. Gli strumenti erano sparsi ovunque, la pistola stava nella mia mano già carica ed il manichino di fronte a me, era ancora lì a fissarmi. Avevo provato a sostituire una parte dell’ insetto, rendendola più resistente e questo aveva avuto come il risultato che, anche dopo l’impatto, rimanesse integro. Però aveva anche comportato che il peso fosse aumentato e, con ancora più fatica, tentava di rimanere aggrappato.
Mi stavo irritando, perché ogni qualvolta credevamo di avercela fatta, non era mai così.
Stavo ancora sbuffando, quando sentimmo delle voci provenire dall’ esterno. Corremmo subito alla finestra, ormai senza vetro, che puntava sul sentiero che riconduceva in centro città, e ciò che vidi mi fece imprecare.
“Dannazione! Tra tutti coloro che sarebbero potuti venire qui oggi, proprio gli Skulls!”
“Peggio! Quelli non sono degli Skulls qualunque…”
Iniziò la mia amica.
“Sono i bracci destri di Jakob!” Esclamai, intimorita.
“Dobbiamo andarcene e alla svelta!” Mi incitò El, muovendo freneticamente le braccia.
“Ma non possiamo lasciare le cose qui.” Dissi indicando il materiale sul tavolo di legno. “Dobbiamo mettere via tutto e portarcelo via.”
“Non faremmo mai in tempo, lascia perdere e andiamocene, adesso!”
Supplicò.
“No! Non ho lavorato mesi e mesi per dover poi abbandonare tutto il mio lavoro!” Protestai, in preda all’ ansia. Eravamo in un guaio enorme e se non avessimo trovato una soluzione al più presto, sarebbe finita molto male.
“Ok, allora tu metti via tutto il più velocemente possibile. Io uscirò allo scoperto e cercherò di tenerli impegnati, poi scapperò. Tu uscirai dalla porta su retro e andrai al bar del parco Ovest, dove ci rincontreremo.” Sentenziò la mora, sicura di sé. Sarebbe stato rischioso per entrambe, ma era l’unica possibilità che ci restava.
Annuii e velocemente iniziai a riporre tutta l’attrezzatura all’ interno della valigetta. Intanto Ellen era uscita e avevo potuto sentire le sue parole: “Salve! Come state? Che strano vedervi qui, vi siete per caso persi?”
I ragazzi, più grandi di lei di due o tre anni, le risposero bruscamente. “E tu che cavolo ci fai qui!? Lo sai che questa è la nostra proprietà vero?”
“Si, infatti me ne stavo giusto per andare.”
Rispose lei. La conosceva fin troppo bene e dal suo tono di voce, nonostante fosse all’esterno, capivo che era parecchio agitata e che presto non sarebbe più riuscita a sopportare tutta quella tensione.
“Non penso proprio.” Parlò uno, con una voce profonda.
Poi non sentii altre parole, probabilmente stavano cercando di prenderla, ed io mi imposi di darmi una mossa. Nel giro di pochi minuti stavo facendo scattare la serratura della valigetta. Avevo gettato dentro le cose un po’ alla rinfusa, data la situazione, ma finalmente potevo andarmene da lì.
Già qualche minuto prima, aveva sentito urlare: “Fermatela, non lasciatevela scappare!” e ciò stava a significare che Ellen non era più in zona e che era davvero una questione di secondi, per il buon esito della mia fuga.
Senza ulteriori indugi, corsi attraverso tutto il capannone ed aprii la porta su retro, con un calcio.
“Ce l’ho fatta, l’ho scampata un’ altra volta.” Mormorai a bassa voce a me stessa, quasi fosse una rassicurazione, gettandomi fuori, con lo sguardo chino sul pavimento.
Sentii qualcosa impedirmi di avanzare, mentre mi teneva ferma.
“Non credo te ne andrai facilmente.” Ghignò quella voce, troppo familiare.







Buonasera!

Ciao a tutti, questo è il primo capitolo della mia nuovissima storia originale.
Beh, che ne pensate?
Vi piace? O è meglio che vada a rifugiarmi sulla montagne innevate con l'uomo delle nevi? Hahaha!
Scrivetemi il vostro parere qui sotto, mi farebbe davvero piacere. 
A prestissimissimo. Vostra Nightshade_04 
  
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