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Autore: Eloise_Hawkins    29/08/2013    8 recensioni
La guerra non si è ancora conclusa: mentre Harry Potter cerca disperatamente gli ultimi Horcrux, Voldemort conquista Hogwarts, ora sua roccaforte. La popolazione magica vive nel terrore, nascondendosi in piccoli gruppi e cercando di sopravvivere nonostante le continue incursioni dei Mangiamorte.
In questo clima di terrore e violenza, l’Ordine della Fenice, o almeno ciò che ne rimane, come la creatura da cui prende il nome tenta di risorgere dalle sue ceneri, accogliendo sotto la sua ala protettiva chiunque ne abbia bisogno ma, soprattutto, chiunque sia disposto a combattere.
Hermione Granger milita tra le fila del Bene, prima combattente in ogni battaglia. La sua concentrazione, però, vacilla quando Draco Malfoy, pur avendola riconosciuta nonostante il suo travestimento, la lascia libera di scappare. Perchè? E cosa nasconde lo sguardo grigio di quel ragazzo?
La guerra è ormai alle porte: un'ultima possibilità, una sola speranza, per chi nella vita ha fatto solo scelte sbagliate. E, forse, per chi ha ancora la possibilità di commetterle.
Ispirato a "Espiazione", di Ian McEwan
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger, Luna Lovegood, Neville Paciock, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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4.


Ergastolo

 

 

 

Gli avevano detto che il primo amore non si scorda mai.

La prima a dirlo era stata sua madre, quando le aveva chiesto perché avesse sposato proprio suo padre, quand’era chiaro almeno quanto che lui fosse un Serpeverde che erano troppo diversi per stare insieme. Narcissa aveva risposto che le apparenze ingannano, e che gli occhi sono ciechi, bisogna cercare con il cuore.

Gliel’avevano ripetuto i suoi amici, quando l’età era diventata quella dei sospiri e dei primi affanni del cuore. L’amore aveva cominciato a bussare alla porta di qualcuno, i più temerari o forse solo i più folli; quelli che poi si erano sentiti in dovere e in diritto di spiegare come funzionava il mondo, cos’era l’amore.

Tutti, comunque, gli avevano detto che il primo amore non si scorda mai.

Avevano ragione.

Nonostante i suoi tentativi di liberarsi di quei ricordi, emozioni scomode ma intense che lo avevano seguito per tutta la sua vita, l’unica cosa che Draco era riuscito a fare era stata rinchiudere tutto in un angolo della sua mente. Questo non era servito a dimenticare, ma aveva imparato a pensarci solo quando ne aveva voglia, o bisogno, o quando era tanto debole da non riuscire a frenare le sue fantasie.

Hermione si era incollata alla sua anima come una mosca si invischia nella ragnatela del suo carnefice. Lui era la mosca; lei il ragno pronto a distruggerlo.

E in effetti l’aveva demolito, pur senza toccarlo. Con le mani o con il pensiero, Hermione non lo aveva mai sfiorato, eppure l’aveva dilaniato, senza saperlo.

Aveva divorato la sua anima, consegnandola nelle mani di un destino crudele e senza scampo: quello di un amore impossibile e colpevole di cui lei non aveva mai avuto sentore né conoscenza, ma che Draco si portava addosso da anni, con un turbamento ogni volta maggiore.

Aveva dilaniato il suo cuore con desideri inconfessabili che lo svegliavano la notte e lo tormentavano il giorno.

Aveva annullato la sua mente con la semplice forza della sua presenza. O ancor di più, con la sua assenza, che bruciava ogni giorno di più.

Gli avevano detto che il primo amore non si dimentica mai. Quello che non gli avevano detto, è che il più delle volte non lo riconosci, il primo amore, quando ti ghermisce senza più lasciarti via di fuga.

 

Draco aveva visto per la prima volta Hermione quando aveva undici anni. Hermione: ricci ribelli e denti da castoro. Però, addosso la fierezza di una Purosangue, il timore di una bambina e la determinazione di una donna. Il vapore l’aveva ingoiata dopo il primo sguardo: un secondo, un refolo di vento, e lei era scomparsa, inghiottita dal metallo di un treno scarlatto.

L’aveva incrociata poco più tardi nel corridoio di un treno, la divisa stirata e pulita addosso a quel corpo che, qualche anno più tardi, aveva occupato gran parte dei suoi sogni e dei suoi pensieri. Le aveva rivolto un sorriso che lei non aveva nemmeno visto.

Aveva scoperto poco dopo che lei era una Mudblood. La sua reazione naturale era stata quella di mostrare disgusto, come gli era stato insegnato, ma nella sua mente non era stato capace di ripudiare del tutto l’idea che aveva accarezzato il ragazzino che era dentro di lui. Hermione si era già incollata alla sua anima, con quella determinazione dignitosa e fiera che lui le aveva letto addosso in tutti gli anni di scuola; non se n’era più andata, perché lei era fatta così. E quando aveva provato a mandarla via, era già troppo tardi.

Non l’aveva mai detto ad alta voce, perché le parole hanno un’ineluttabilità che non lui non era capace di accettare, ma sapeva, già da quel momento, che non l’avrebbe dimenticata facilmente.

Hermione era sbagliata. Per questo Draco teneva per sé la verità di ciò che aveva capito. A undici anni si era domandato per poco se sarebbe stato poi un vero crimine fare amicizia con lei: lo sguardo di suo padre e le sue urla indignate erano state una risposta sufficiente.

A dodici anni era stato facile mascherare con l’arroganza e la crudeltà il suo piccolo segreto.

A tredici anni aveva tentato di nascondere malamente il suo desiderio, distraendosi con ragazzine che avevano, in qualche modo, un riflesso di lei. Il risultato era stato deludente e catastrofico, perché il bisogno di lei si era acuito a dismisura.

A quattordici anni, il desiderio si era fatto tanto bruciante da farlo svegliare la notte con gli occhi spalancati dal piacere e le coperte appiccicose di un bisogno represso.

Era stato allora che Narcissa l’aveva saputo. Vegliava sul sonno del figlio con la fedeltà di una donna e l’amore di una madre. La prima volta che aveva sentito quel nome tra le belle labbra di Draco aveva pensato di aver frainteso. La seconda si era convinta che quel nome era solo una coincidenza. Alla terza aveva cercato giustificazioni o rari casi di omonimia. Quando si era arresa all’evidenza, Draco si era svegliato: la vergogna ad accendergli le gote, la rabbia a saettargli negli occhi. Aveva urlato, aveva negato. Narcissa aveva taciuto.

Quando la Umbridge aveva fondato la Squadra d’Inquisizione, Draco aveva finalmente avuto la sua occasione di spiare Hermione con una scusa plausibile. Non era stupido: aveva capito da tempo che c’era qualcosa tra lei e il giovane Weasley, e il bisogno di controllarla, di frenare sul nascere quel germoglio da estirpare, aveva accresciuto la sua accecante gelosia e il suo desiderio di far più male possibile alla specie dei Weasley.

Compiere sedici anni era stato, per lui, l’avverarsi di un sogno e, al tempo stesso, l’ingresso in un incubo che aveva compreso solo più tardi. Accanto all’entusiasmo dell’adolescente c’era, infatti, il desiderio del bambino infine diventato uomo, e la consapevolezza che i suoi ideali andavano fin troppo contro il suo bruciante desiderio.

Hermione era stata causa ed effetto. Gli piaceva, anche se era una Sanguesporco, ma la disprezzava per lo stesso motivo. Quel marchio che gli aveva morso la pelle era lì solo perché lui, ragazzino, si era illuso di poter inquinare il suo cuore con obiettivi diversi da quelli che esso gli imponeva.

Ancora una volta, era stata Narcissa a prenderlo per mano e guidarlo verso la giusta direzione.

« Mi dispiace, mamma. Ho provato a impedirlo. Non ce l’ho fatta » Draco aveva il capo chino e il viso rosso di vergogna. Una rabbia latente incrinava la sua voce. Le mani tremavano; la mascella, contratta, si serrava stringendo tra i denti parole che lui non voleva pronunciare.

« Solo gli sciocchi chiedono scusa per i propri sentimenti » Narcissa era come sempre bellissima nella sua dignitosa eleganza. Le parole fluirono dalla bocca con una naturalezza sorprendente, la pacatezza di sempre a modulare un tono già dolcissimo. Draco l’aveva guardata con due occhi enormi da bambino.

« Ma lei… lei è… » Non era riuscito a terminare la frase: il dolore si era fatto tanto intenso che le parole gli erano mancate.

« Cosa? Cosa è Draco? » La donna aveva posato i suoi occhi, chiarissimi e del tutto identici ai suoi, nella forma e nel colore, sul figlio. L’aveva fatto con grazia, senza violenza, e quella carezza l’aveva sgonfiato di ogni timore, curando il suo male.

« Una Mudblood » aveva ammesso in un soffio.

« Intendo dire cosa è per te »

A sedici anni, Draco aveva finalmente imparato a convivere con il suo demone interiore.

A diciassette, aveva smesso di combatterlo e aveva deciso di farci la pace. O l’amore, a seconda delle circostanze.

 

***

 

Draco non era mai stato una persona buona. Ciononostante, non era nemmeno capace di autodefinirsi esattamente cattivo, perché non aveva mai fatto niente che lui potesse dire terribile. Dispetti e marachelle da adolescente, insulti sprezzanti o tiri mancini non rientravano nell’accezione del termine. Draco Malfoy sapeva che il suo cognome e, ancor di più, il suo sangue, gli conferivano privilegi di cui aveva tutta l’intenzione di godere, per cui non riteneva malvagie nemmeno le sue azioni volte a denigrare i più deboli o gli emarginati.

Draco, comunque, non era nemmeno lontanamente cattivo come lo era Hermione. Col passare del tempo, il giovane Serpeverde aveva sviluppato nei confronti di quella ragazza un’avversione talmente eccessiva che trasformare tutto l’odio in amore era stato un passo semplice e decisivo, naturale come l’arrendersi a quel sentimento devastante.

Hermione aveva mangiato il suo cuore e divorato la sua anima con la ferocia delle belve e la grazia di una donna.

Ogni tanto, Draco immaginava di strapparla ai suoi amici per farne ciò che voleva; ogni tanto, si ritrovava vicino a lei, nascosto nell’ombra di un corridoio, con la bacchetta in mano e uno Schiantesimo sulle labbra. L’avrebbe rapita, portata dove nessuno avrebbe potuto salvarla; lei sarebbe finalmente stata sua.

Non era mai riuscito a pronunciare l’incantesimo: sapeva che un’unica volta non gli sarebbe bastata, sapeva che la sottomissione e la violenza non erano ciò che desiderava davvero. Draco voleva divorarle l’anima come lei aveva fatto con lui.

Hermione era una condanna a vita: non poteva liberarsi di lei e non poteva appagare il suo desiderio.

Gli avevano detto che l’amore è un petalo delicato che ti accarezza con dolcezza, rapendo il cuore con pensieri solitari e bellissimi. Per Draco, l’amore ha sempre avuto la ferocia di un predatore solitario e paziente, resistente e ostinato. Perché Hermione era una condanna vita. Il suo ergastolo.

 

***

 

«Il cuore muore di morte lenta. Perdendo ogni speranza come foglie.

Finché un giorno non ce ne sono più.

Nessuna speranza. Non rimane nulla.

Se un albero non ha né foglie né rami, si può ancora chiamarlo albero?»

 

Draco aveva sperato fino all’ultimo, ed era il motivo per cui si trovava prigioniero, adesso. Ginevra Weasley poteva anche pensare che l’unico motivo per cui aveva accettato di farle la guardia fosse Harry Potter, e la gloria che avrebbe conseguito a una sua improbabile cattura, ma la verità era un’altra, e cioè che durante gli anni passati ad Hogwarts lui aveva spiato Hermione forse più del dovuto, e aveva capito di lei più di quanto gli piacesse ammettere, più di quanto lei avrebbe mai potuto immaginare.

Il legame di amicizia con la Weasley era uno dei suoi punti a favore; lo spirito Grifondoro – leale, coraggioso, imprudente – sarebbe stato la sua arma più grande. Draco Malfoy era sicuro che Hermione Granger avrebbe cercato di liberare la sua migliore amica, poco importava se sarebbe stato pericoloso, impossibile, sciocco, complicato. Si era sbagliato, ma ciò non gli aveva impedito di continuare a sperare.

Quando le sue difese erano crollate e Paciock era riuscito a forzare la sua mente e penetrare dentro i suoi ricordi, dentro i suoi pensieri, dentro le sue emozioni, per la prima volta da tanti, troppi anni, Draco si era sentito libero, e leggero. Non è per un Mangiamorte desiderare.
Non è per un Mangiamorte provare sentimenti. Lui aveva dovuto nascondere tutto, seppellire ogni cosa sotto strati di dolore e paura, rinforzare le difese, rinsaldare la convinzione che quell’ossessione fosse sbagliata, inutile, facilmente annientabile e assolutamente deplorevole. In quel momento, invece, oltre la vergogna, al di là del fastidio, c’era un piacevole tepore che aveva reso molli le gambe di Draco.

Forse era perché si stava abbandonando ai ricordi. Magari era la semplice presenza di Hermione nella sua testa. O semplicemente la leggerezza dell’arrendevolezza, e la consapevolezza di non dover per forza vivere nascosto, sempre con la paura che un passo falso o un attimo di disattenzione avrebbero potuto costargli la vita.

O, forse, era solo la battaglia finale di una guerra che durava da troppi anni.

 

***

 

Hermione.

Solo Hermione.

Sempre Hermione.

Hermione dappertutto.

Hermione in biblioteca, china sui libri, la luce pallida di un sole d’argento che le bacia la pelle chiara. Hermione che dorme, le ombre delle lunghe ciglia nere come pennellate di tenebre sugli zigomi eleganti. Hermione che cammina per i corridoi, i libri stretti contro il petto, come una fragile armatura alla sua essenza. Hermione in classe che alza la mano, con quelle dita piccole e pallide, palmi eleganti e dorsi da baciare. Hermione che ride a una battuta di Harry, che sfiora timidamente Ron, che inarca un sopracciglio quando Luna parla o che sospira pazientemente a un dubbio di Neville – sono i momenti in cui la luce impallidisce e nuvole di un temporale figlio di chissà che cielo oscurano la felicità che si avverte dentro la stanza.

Hermione ovunque – nel parco, su una sedia, per strada, a lezione – sempre bellissima. Neville non l’aveva mai vista sotto quella luce: gli occhi brillanti, le gote arrossate, un sorriso ad arcuarle le labbra, un ricciolo a solleticarle lo zigomo. Nei ricordi di Malfoy, quella ragazza bruttina con i denti da castori e i capelli indomabili aveva sempre un particolare incredibile, una fierezza fuori dal comune, una bellezza unica e preziosa. Non vistosa; non del genere che ti giri a guardarla. Più semplice. Ma aveva qualcosa che ti accalappiava, niente da dire, ce l’aveva. Come una specie di limpidezza, di trasparenza. E la cosa più bella, la più sorprendente in assoluto, era che lei era assolutamente inconsapevole dello splendore che si portava addosso. Di quella bellezza che ti spaccava il cuore.

 

Neville visse in un solo istante due vite: quella di Hermione e quella di Malfoy. Vite diverse, separate, eppure in qualche modo collegate. Draco era sempre presente, nascosto dietro l’ombra di un albero, oltre l’armatura di un angolo buio, sempre con occhi vigili e attenti. Hermione, la strega più brillante e promettente di Hogwarts, non se n’era mai accorta: forse perché non se lo sarebbe mai aspettato, magari perché lui era semplicemente troppo bravo a celare la verità.

Una cosa era certa: la verità di ciò che lui stava guardando era assolutamente incontrovertibile, e anche se Neville aveva avuto qualche dubbio, le fantasie che si inframmezzavano ai ricordi – avevano confini meno netti, margini sfocati; erano memorie accese da una luce accecante – avevano annientato ogni perplessità e confermato le sue prime ipotesi, per quanto assurde potessero sembrare.

 

Neville aprì gli occhi lentamente, il respiro affannato spezzato dalla sorpresa e dall’incredulità. Quando puntò lo sguardo sul viso di Malfoy, lui aveva la mascella serrata e lo sguardo irrigato d’odio, ma i suoi occhi erano limpidi, sembravano acqua profonda. L’imbarazzo delle emozioni scomode che lui aveva scoperto era una crepa visibile nella sua maschera di rigida imperturbabilità.

Lo sguardo di Neville era acuto e diretto, privo della vergogna che invece stava infiammando lo stomaco dell’altro. Se Draco non fosse stato tanto intento a provare una rabbia cieca, avrebbe visto l’ombra di un sorriso dietro quell’espressione quieta.

Il ragazzo si alzò, gli voltò le spalle ed uscì dalla tenda. Draco non ebbe il coraggio di aprire bocca, di implorargli di tacere: era già abbastanza umiliante dover sopportare il suo sguardo, sapere che quell’inutile essere, da sempre disprezzato, denigrato e deriso, era a conoscenza del suo segreto più intimo e profondo, del più importante, dell’unico che aveva il bisogno di tenere per sé, per non soccombere alla vergogna, al desiderio, all’amore.

 « È innocuo »

La sua voce, attutita dalla stoffa della tenda, fu un pugno allo stomaco che acuì ancora di più il senso di bruciore che provava.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eloise.

 

   
 
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