4.
Ergastolo
Gli avevano detto che il primo amore
non si scorda mai.
La prima a dirlo era stata sua madre,
quando le aveva chiesto perché avesse sposato proprio suo padre, quand’era
chiaro almeno quanto che lui fosse un Serpeverde che erano
troppo diversi per stare insieme. Narcissa aveva
risposto che le apparenze ingannano, e che gli
occhi sono ciechi, bisogna cercare con il cuore.
Gliel’avevano ripetuto i suoi amici,
quando l’età era diventata quella dei sospiri e dei primi affanni del cuore.
L’amore aveva cominciato a bussare alla porta di qualcuno, i più temerari o
forse solo i più folli; quelli che poi si erano sentiti in dovere e in diritto
di spiegare come funzionava il mondo, cos’era l’amore.
Tutti, comunque, gli avevano detto che
il primo amore non si scorda mai.
Avevano
ragione.
Nonostante i suoi tentativi di
liberarsi di quei ricordi, emozioni scomode ma intense che lo avevano seguito
per tutta la sua vita, l’unica cosa che Draco era
riuscito a fare era stata rinchiudere tutto in un angolo della sua mente.
Questo non era servito a dimenticare, ma aveva imparato a pensarci solo quando
ne aveva voglia, o bisogno, o quando era tanto debole da non riuscire a frenare
le sue fantasie.
Hermione si era incollata alla sua anima come
una mosca si invischia nella ragnatela del suo carnefice. Lui era la mosca; lei
il ragno pronto a distruggerlo.
E in effetti l’aveva demolito, pur
senza toccarlo. Con le mani o con il pensiero, Hermione
non lo aveva mai sfiorato, eppure l’aveva dilaniato, senza saperlo.
Aveva divorato la sua anima,
consegnandola nelle mani di un destino crudele e senza scampo: quello di un
amore impossibile e colpevole di cui lei non aveva mai avuto sentore né
conoscenza, ma che Draco si portava addosso da anni,
con un turbamento ogni volta maggiore.
Aveva dilaniato il suo cuore con
desideri inconfessabili che lo svegliavano la notte e lo tormentavano il
giorno.
Aveva annullato la sua mente con la
semplice forza della sua presenza. O ancor di più, con la sua assenza, che
bruciava ogni giorno di più.
Gli avevano detto che il primo amore
non si dimentica mai. Quello che non gli avevano detto, è che il più delle
volte non lo riconosci, il primo amore, quando ti ghermisce senza più lasciarti
via di fuga.
Draco aveva visto per la prima volta Hermione quando aveva undici anni. Hermione:
ricci ribelli e denti da castoro. Però, addosso la fierezza di una Purosangue,
il timore di una bambina e la determinazione di una donna. Il vapore l’aveva
ingoiata dopo il primo sguardo: un secondo, un refolo di vento, e lei era
scomparsa, inghiottita dal metallo di un treno scarlatto.
L’aveva incrociata poco più tardi nel
corridoio di un treno, la divisa stirata e pulita addosso a quel corpo che,
qualche anno più tardi, aveva occupato gran parte dei suoi sogni e dei suoi
pensieri. Le aveva rivolto un sorriso che lei non aveva nemmeno visto.
Aveva scoperto poco dopo che lei era
una Mudblood. La sua reazione naturale era stata
quella di mostrare disgusto, come gli era stato insegnato, ma nella sua mente
non era stato capace di ripudiare del tutto l’idea che aveva accarezzato il
ragazzino che era dentro di lui. Hermione si era già
incollata alla sua anima, con quella determinazione dignitosa e fiera che lui
le aveva letto addosso in tutti gli anni di scuola; non se n’era più andata,
perché lei era fatta così. E quando aveva provato a mandarla via, era già
troppo tardi.
Non l’aveva mai detto ad alta voce,
perché le parole hanno un’ineluttabilità che non lui non era capace di
accettare, ma sapeva, già da quel momento, che non l’avrebbe dimenticata
facilmente.
Hermione era sbagliata. Per questo Draco teneva per sé la verità di ciò che aveva capito. A
undici anni si era domandato per poco se sarebbe stato poi un vero crimine fare
amicizia con lei: lo sguardo di suo padre e le sue urla indignate erano state
una risposta sufficiente.
A dodici anni era stato facile
mascherare con l’arroganza e la crudeltà il suo piccolo segreto.
A tredici anni aveva tentato di
nascondere malamente il suo desiderio, distraendosi con ragazzine che avevano, in
qualche modo, un riflesso di lei. Il risultato era stato deludente e
catastrofico, perché il bisogno di lei si era acuito a dismisura.
A quattordici anni, il desiderio si
era fatto tanto bruciante da farlo svegliare la notte con gli occhi spalancati
dal piacere e le coperte appiccicose di un bisogno represso.
Era stato allora che Narcissa l’aveva saputo. Vegliava sul sonno del figlio con
la fedeltà di una donna e l’amore di una madre. La prima volta che aveva
sentito quel nome tra le belle labbra di Draco aveva
pensato di aver frainteso. La seconda si era convinta che quel nome era solo
una coincidenza. Alla terza aveva cercato giustificazioni o rari casi di
omonimia. Quando si era arresa all’evidenza, Draco si
era svegliato: la vergogna ad accendergli le gote, la rabbia a saettargli negli
occhi. Aveva urlato, aveva negato. Narcissa aveva
taciuto.
Quando la Umbridge
aveva fondato la Squadra d’Inquisizione, Draco aveva
finalmente avuto la sua occasione di spiare Hermione
con una scusa plausibile. Non era stupido: aveva capito da tempo che c’era
qualcosa tra lei e il giovane Weasley, e il bisogno
di controllarla, di frenare sul nascere quel germoglio da estirpare, aveva
accresciuto la sua accecante gelosia e il suo desiderio di far più male
possibile alla specie dei Weasley.
Compiere sedici anni era stato, per
lui, l’avverarsi di un sogno e, al tempo stesso, l’ingresso in un incubo che
aveva compreso solo più tardi. Accanto all’entusiasmo dell’adolescente c’era,
infatti, il desiderio del bambino infine diventato uomo, e la consapevolezza
che i suoi ideali andavano fin troppo contro il suo bruciante desiderio.
Hermione era stata causa ed effetto. Gli piaceva, anche se era una Sanguesporco, ma la disprezzava per lo stesso motivo. Quel
marchio che gli aveva morso la pelle era lì solo perché lui, ragazzino, si era
illuso di poter inquinare il suo cuore con obiettivi diversi da quelli che esso
gli imponeva.
Ancora una volta, era stata Narcissa a prenderlo per mano e guidarlo verso la giusta
direzione.
« Mi dispiace, mamma. Ho provato a
impedirlo. Non ce l’ho fatta » Draco aveva il capo chino e il
viso rosso di vergogna. Una rabbia latente incrinava la sua voce. Le mani
tremavano; la mascella, contratta, si serrava stringendo tra i denti parole che
lui non voleva pronunciare.
« Solo gli sciocchi chiedono scusa per
i propri sentimenti »
Narcissa era come sempre bellissima nella sua
dignitosa eleganza. Le parole fluirono dalla bocca con una naturalezza
sorprendente, la pacatezza di sempre a modulare un tono già dolcissimo. Draco l’aveva guardata con due occhi enormi da bambino.
« Ma lei… lei è… » Non era riuscito a terminare la
frase: il dolore si era fatto tanto intenso che le parole gli erano mancate.
« Cosa? Cosa è Draco?
» La donna aveva posato i suoi occhi,
chiarissimi e del tutto identici ai suoi, nella forma e nel colore, sul figlio.
L’aveva fatto con grazia, senza violenza, e quella carezza l’aveva sgonfiato di
ogni timore, curando il suo male.
« Una Mudblood
» aveva ammesso in un soffio.
« Intendo dire cosa è per te »
A sedici anni, Draco aveva finalmente imparato a convivere con il suo
demone interiore.
A diciassette, aveva
smesso di combatterlo e aveva deciso di farci la pace. O l’amore, a seconda
delle circostanze.
***
Draco non era mai stato una persona buona. Ciononostante, non era
nemmeno capace di autodefinirsi esattamente cattivo,
perché non aveva mai fatto niente che lui potesse dire terribile. Dispetti e
marachelle da adolescente, insulti sprezzanti o tiri mancini non rientravano
nell’accezione del termine. Draco Malfoy
sapeva che il suo cognome e, ancor di più, il suo sangue, gli conferivano
privilegi di cui aveva tutta l’intenzione di godere, per cui non riteneva
malvagie nemmeno le sue azioni volte a denigrare i più deboli o gli emarginati.
Draco, comunque, non era nemmeno lontanamente cattivo come lo era Hermione. Col passare del tempo, il giovane Serpeverde aveva sviluppato nei confronti di quella ragazza
un’avversione talmente eccessiva che trasformare tutto l’odio in amore era
stato un passo semplice e decisivo, naturale come l’arrendersi a quel
sentimento devastante.
Hermione aveva mangiato il suo cuore e divorato la sua anima con la
ferocia delle belve e la grazia di una donna.
Ogni tanto, Draco
immaginava di strapparla ai suoi amici per farne ciò che voleva; ogni tanto, si
ritrovava vicino a lei, nascosto nell’ombra di un corridoio, con la bacchetta
in mano e uno Schiantesimo sulle labbra. L’avrebbe
rapita, portata dove nessuno avrebbe potuto salvarla; lei sarebbe finalmente
stata sua.
Non era mai riuscito a pronunciare
l’incantesimo: sapeva che un’unica volta non gli sarebbe bastata, sapeva che la
sottomissione e la violenza non erano ciò che desiderava davvero. Draco voleva divorarle l’anima come lei aveva fatto con lui.
Hermione era una condanna a vita: non poteva liberarsi di lei e non
poteva appagare il suo desiderio.
Gli avevano detto che l’amore è un
petalo delicato che ti accarezza con dolcezza, rapendo il cuore con pensieri
solitari e bellissimi. Per Draco, l’amore ha sempre
avuto la ferocia di un
predatore solitario e paziente, resistente e ostinato. Perché Hermione era una condanna vita. Il suo ergastolo.
***
«Il cuore muore di morte lenta. Perdendo
ogni speranza come foglie.
Finché un giorno non ce ne sono più.
Nessuna speranza. Non rimane nulla.
Se un albero non ha né foglie né rami,
si può ancora chiamarlo albero?»
Draco aveva sperato fino all’ultimo, ed era
il motivo per cui si trovava prigioniero, adesso. Ginevra Weasley
poteva anche pensare che l’unico motivo per cui aveva accettato di farle la
guardia fosse Harry Potter, e la gloria che avrebbe conseguito a una sua
improbabile cattura, ma la verità era un’altra, e cioè che durante gli anni
passati ad Hogwarts lui aveva spiato Hermione forse più del dovuto, e aveva capito di lei più di
quanto gli piacesse ammettere, più di quanto lei avrebbe mai potuto immaginare.
Il legame di amicizia con la Weasley era uno dei suoi punti a favore; lo spirito Grifondoro – leale, coraggioso, imprudente – sarebbe stato
la sua arma più grande. Draco Malfoy
era sicuro che Hermione Granger
avrebbe cercato di liberare la sua migliore amica, poco importava se sarebbe
stato pericoloso, impossibile, sciocco, complicato. Si era sbagliato, ma ciò
non gli aveva impedito di continuare a sperare.
Quando le sue difese erano crollate e Paciock era riuscito a forzare la sua mente e penetrare
dentro i suoi ricordi, dentro i suoi pensieri, dentro le sue emozioni, per la
prima volta da tanti, troppi anni, Draco si era
sentito libero, e leggero. Non è per un Mangiamorte
desiderare.
Non è per un Mangiamorte provare sentimenti. Lui
aveva dovuto nascondere tutto, seppellire ogni cosa sotto strati di dolore e
paura, rinforzare le difese, rinsaldare la convinzione che quell’ossessione
fosse sbagliata, inutile, facilmente annientabile e assolutamente deplorevole.
In quel momento, invece, oltre la vergogna, al di là del fastidio, c’era un
piacevole tepore che aveva reso molli le gambe di Draco.
Forse era perché si stava abbandonando
ai ricordi. Magari era la semplice presenza di Hermione
nella sua testa. O semplicemente la leggerezza dell’arrendevolezza, e la
consapevolezza di non dover per forza vivere nascosto, sempre con la paura che
un passo falso o un attimo di disattenzione avrebbero potuto costargli la vita.
O, forse, era solo la battaglia finale
di una guerra che durava da troppi anni.
***
Hermione.
Solo Hermione.
Sempre Hermione.
Hermione dappertutto.
Hermione in biblioteca, china sui libri, la luce pallida di un sole
d’argento che le bacia la pelle chiara. Hermione che
dorme, le ombre delle lunghe ciglia nere come pennellate di tenebre sugli
zigomi eleganti. Hermione che cammina per i corridoi,
i libri stretti contro il petto, come una fragile armatura alla sua essenza. Hermione in classe che alza la mano, con quelle dita
piccole e pallide, palmi eleganti e dorsi da baciare. Hermione
che ride a una battuta di Harry, che sfiora timidamente Ron,
che inarca un sopracciglio quando Luna parla o che sospira pazientemente a un
dubbio di Neville – sono i momenti in cui la luce impallidisce e nuvole di un
temporale figlio di chissà che cielo oscurano la felicità che si avverte dentro
la stanza.
Hermione ovunque – nel parco, su una sedia, per strada, a lezione –
sempre bellissima. Neville non l’aveva mai vista sotto quella luce: gli occhi
brillanti, le gote arrossate, un sorriso ad arcuarle le labbra, un ricciolo a
solleticarle lo zigomo. Nei ricordi di Malfoy, quella
ragazza bruttina con i denti da castori e i capelli indomabili aveva sempre un
particolare incredibile, una fierezza fuori dal comune, una bellezza unica e
preziosa. Non vistosa; non del genere che ti giri a guardarla. Più semplice. Ma
aveva qualcosa che ti accalappiava, niente da dire, ce l’aveva. Come una specie
di limpidezza, di trasparenza. E la cosa più bella, la più sorprendente in
assoluto, era che lei era assolutamente inconsapevole dello splendore che si
portava addosso. Di quella bellezza che ti spaccava il cuore.
Neville visse in un
solo istante due vite: quella di Hermione e quella di
Malfoy. Vite diverse, separate, eppure in qualche
modo collegate. Draco era sempre presente, nascosto
dietro l’ombra di un albero, oltre l’armatura di un angolo buio, sempre con
occhi vigili e attenti. Hermione, la strega più
brillante e promettente di Hogwarts, non se n’era mai
accorta: forse perché non se lo sarebbe mai aspettato, magari perché lui era
semplicemente troppo bravo a celare la verità.
Una cosa era certa: la
verità di ciò che lui stava guardando era assolutamente incontrovertibile, e
anche se Neville aveva avuto qualche dubbio, le fantasie che si inframmezzavano
ai ricordi – avevano confini meno netti, margini sfocati; erano memorie accese
da una luce accecante – avevano annientato ogni perplessità e confermato le sue
prime ipotesi, per quanto assurde potessero sembrare.
Neville aprì gli occhi lentamente, il
respiro affannato spezzato dalla sorpresa e dall’incredulità. Quando puntò lo
sguardo sul viso di Malfoy, lui aveva la mascella
serrata e lo sguardo irrigato d’odio, ma i suoi occhi erano limpidi, sembravano
acqua profonda. L’imbarazzo delle emozioni scomode che lui aveva scoperto era
una crepa visibile nella sua maschera di rigida imperturbabilità.
Lo sguardo di Neville era acuto e
diretto, privo della vergogna che invece stava infiammando lo stomaco
dell’altro. Se Draco non fosse stato tanto intento a
provare una rabbia cieca, avrebbe visto l’ombra di un sorriso dietro
quell’espressione quieta.
Il ragazzo si alzò, gli voltò le
spalle ed uscì dalla tenda. Draco non ebbe il
coraggio di aprire bocca, di implorargli di tacere: era già abbastanza
umiliante dover sopportare il suo sguardo, sapere che quell’inutile essere, da
sempre disprezzato, denigrato e deriso, era a conoscenza del suo segreto più
intimo e profondo, del più importante, dell’unico che aveva il bisogno di tenere
per sé, per non soccombere alla vergogna, al desiderio, all’amore.
« È innocuo »
La sua voce, attutita dalla stoffa
della tenda, fu un pugno allo stomaco che acuì ancora di più il senso di
bruciore che provava.