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Autore: ambiguablr    29/08/2013    0 recensioni
Pareti bianche.
Tanto bianche, troppo bianche. La luce del neon – bianca – mi acceca dall'alto e mi costringe a chiudere gli occhi. Puntini luminosi ballano nel nero, rompendone la quiete.
Mi formicolano le dita delle mani, provo a muoverle: troppo rigide. Provo a piegare una gamba: troppo rigida anche quella. Mi rendo conto che qualcosa di ruvido mi preme contro il viso, all'altezza della bocca; mi circonda le labbra, e fa rumore a ogni mio respiro. Mi rendo anche conto che faccio fatica a respirare.
Apro di nuovo gli occhi; questa volta il bianco è leggermente meno accecante. Una mano fredda mi schiaffeggia piano e una voce mi invita a non agitarmi.

Sara ha 16 anni e vive a Milano, con troppe libertà e un padre assente, con una diagnosi di depressione sulle spalle che pesa sempre di più, con una madre che non capisce il problema fino in fondo, con degli amici che nel momento del bisogno scompaiono.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo V


Non ti è mai successo prima, di avere bisogno di aiuto, perché sei indipendente da anni, fai tutto da sola, sai badare a te stessa. Probabilmente saresti in grado di andare a vivere da sola già adesso, e riusciresti a studiare, pensare alla casa e a divertirti senza problemi.”
Spengo la sigaretta nel posacenere mentre guardo il cielo diventato ormai buio; vedere delle stelle è impossibile, perché ci sono troppe luci, troppi lampioni, troppo tutto. La temperatura si è abbassata e mentre rientro in casa tiro un sospiro nel sentire il calore invadermi la faccia. Riccardo è seduto al tavolo della cucina con uno dei suoi libri formato gigante davanti, e scrive qualcosa su un quaderno. Sembra così piccolo, mentre studia, e invece è grande, grandissimo. E' il mio gigante buono. Gli do un bacio sulla guancia e me ne vado in camera da letto, cercando di scacciare qualsiasi pensiero che mi possa riportare al colloquio di oggi con la dottoressa Sandrelli. Mi infilo sotto le coperte, le stesse coperte dove non molti giorni fa io e Riccardo abbiamo fatto l'amore; rotolo fino al suo cuscino e ne aspiro l'odore: è il profumo del suo bagnoschiuma e della sua pelle. Mi metto buona dalla sua parte rannicchiandomi e avvolgendomi nel lenzuolo che sa di pulito.
Però, hai un problema. Piccolo, stupido problema, che se non affrontato potrebbe diventare grande e pesante come un enorme macigno. Potresti dovertelo portare a dietro per sempre. E' questo, che vuoi? Portarti a dietro tutta la vita un peso così grosso, pur di non accettare un aiuto?” Apro gli occhi di scatto, scuoto la testa. La psicoterapia mi farà diventare pazza per davvero. Forse questo è quello che vogliono loro, i medici della mente: psichiatri, psicanalisti, psicologi. Forse hanno messo su tutte queste cose – terapie, sedute, analisi dei sogni e del tuo “io” più profondo – solo per far impazzire la gente. La gente impazzisce e così continua ad andare da loro, a tirare fuori soldi su soldi, fino alla morte. Fanno impazzire la gente perché così hanno qualcosa da fare. E quando si sono stufati di te, ti rispediscono nel mondo, dicendoti che sei guarito.
Rabbrividisco.
Potrebbero farlo? Lo fanno davvero?
Non lo so. Non ho una risposta a questa domanda, e probabilmente non la troverò di certo sta notte. Mi sporgo verso il comodino e prendo il telefono. Ho sentito mia mamma qualche ora fa e si è solo raccomandata di non saltare scuola domani, visto che Giulia ha questa fatidica interrogazione. E' un miracolo che io non sia scoppiata a riderle in faccia.
Cambio la sveglia, visto che Riccardo abita un po' più vicino a scuola e visto che domani mattina mi accompagnerà in macchina; invece che alle sei, mi sveglierò alle sette. Dopo aver guardato l'ora rimetto il cellulare dov'era prima. E' quasi mezzanotte e mezza, e forse sarebbe il caso che io mi metta a dormire. Ma appena chiudo gli occhi, mi rendo conto che mi è pressoché impossibile.
Le parole della dottoressa Sandrelli mi girano nella testa, quasi rimbombano: “problema, grande e pesante, per sempre.” Sbuffo, mi giro dall'altra parte. “E' questo che vuoi? Portarti a dietro tutta la vita un peso così grosso, pur di non accettare un aiuto?”
Dovrò dirle di non parlarmi mai più così. Suona come una minaccia, un ricatto quasi: se non mi lasci entrare nella tua testa, non ne uscirai mai, mai, mai.
Sento il nodo alla gola crescere.
Vorrei mettermi a piangere fino a che non finirò le lacrime, ma non è da me. Io non piango, non posso, non devo. E soprattutto non voglio. Se piango, sono debole.
Mentre sto per cedere la porta della camera da letto si apre; un fascio di luce è proiettato sul pavimento.
«Ehi? Dormi?» chiede Riccardo in un sussurro. Solo lui sa parlare in un tono così basso, talmente basso che lo senti solo se sei veramente sveglia; probabilmente non lo sentiresti nemmeno in dormi-veglia, ma solo quando hai la mente ancora ben lucida e le palpebre per niente pesanti.
Mi giro verso di lui e sorrido nella penombra. «Mai stata più sveglia»
Spegne la luce del corridoio e non vedo più niente, ma lo sento camminare nella stanza e infilarsi anche lui sotto le coperte. Posso sentire il calore della sua pelle, a pochi centimetri da me.
La prima volta che abbiamo fatto l'amore, non è stato veramente fare l'amore. Non era amore, era sesso. Io non capivo nulla, lui capiva poco. E da un'azione avventata come quella è nato tutto questo; è nato che ora io e lui siamo qui, distesi nello stesso letto a casa sua.
Allungo una mano e trovo il suo braccio nel buio; mi avvicino a lui. Trovo il suo viso e la sua bocca, stirata in un sorriso. Non resisto.
Mentre lo bacio lui si gira, e ora siamo uno sopra l'altra, e i pensieri finalmente se ne vanno, lasciando spazio alle sue mani esperte che mi sfilano i vestiti, facendomi rimanere inerme, indifesa, sotto di lui. Mi aggrappo ai suoi capelli e gemo più forte del voluto; lo sento ridere piano, e rido anche io con lui.

 

*

 

Riesco a sentire i battiti del suo cuore, mentre me ne sto sdraiata sul suo petto, lasciando che mi cinga la vita con un braccio. Ho sonno, devo dormire, ma non voglio perdermi quel momento, e ho paura che Riccardo possa di nuovo scomparire come suo solito. Voglio godermi ogni attimo che può dedicarmi.
«Sai... Oggi, dalla psicologa» dico. Forse parlarne con lui mi farebbe bene. Magari potrebbe consigliarmi, magari addirittura appoggiarmi, darmi una mano.
O forse no?
Mi blocco. E se pensasse che sono pazza? Se non volesse più avere niente a che fare con me? Rimango zitta. «Oggi dalla psicologa cosa?» mi chiede.
Prendo tempo, gli do un bacio sul petto e poi ci poggio di nuovo la testa.
«Si è accorta che ero distratta, sai, continuavi a passare davanti alla finestra»
«Ti faccio questo effetto? Ti distraggo?»
Sorrido. «E' che sei troppo bello»
«Beh, allora la prossima volta che nasco vedrò di nascere un po' più brutto, va bene?»
«D'accordo»
Mi da un bacio sulla testa e mi stringe ancora di più, vicino a lui. Sto bene. In questo momento, stiamo bene tutti e due. Potrei starmene sveglia tutta la notte ad ascoltarlo respirare, a sentire la sua pelle calda contro la mia e ad annusare il suo profumo, a baciarlo in tutti i posti possibili, a farci l'amore fino a quando non crolliamo entrambi esausti.
«Forse è ora che tu dorma un po'» mi dice.
Chiudo gli occhi «Già»
«Buonanotte»
«Notte»

 

*

 

Al mattino il risveglio è più piacevole del solito, con il profumo del caffè che mi si insinua nelle narici, assieme al profumo del dopobarba di Riccardo che mi schiaccia le sue labbra sulla fronte, le fa schioccare in un bacio rumoroso e poi sorride.
Ho dormito bene, tutto sommato, anche se non molto.
Mi alzo e accenno un sorriso, trangugio una tazza più piccola del solito di caffè non zuccherato e mi infilo in bagno con Riccardo. Gli rubo lo spazzolino perché mi rendo conto che ieri, quando sono passata da casa per prendere un cambio e i trucchi, me lo sono dimenticato.
Mi lavo la faccia, mi trucco più leggera del solito e senza voglia, e alle sette e mezza siamo già sulle scale; usciamo nell'aria quasi fredda e saliamo in macchina.
Quando arriviamo a scuola lui mi saluta come se dovessimo vederci da lì a dieci minuti, con un bacio e il suo solito sorriso, e di certo io non mi immaginavo che sarebbe sparito di nuovo. Come al solito.

  
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