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Autore: Blue Fruit    29/08/2013    4 recensioni
"Papà, perchè dovrei andarci?"
"E' solo per tuo bene Kurt, ma non ti costringerò a farlo"
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Un po' tutti | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buona sera a tutti :)
Sì, sono decisamente in ritardo con il capitolo, ma purtroppo anche questo è delicato e fondamentale per la storia. Non vi so dire con esattezza quanti capitoli ci saranno ancora, ma non manca molto alla fine.
Questo penso che sia uno dei capitoli meglio riusciti, giudicate voi :)

Buona lettura :)

Capitolo XIX

La mattina successiva Blaine si risvegliò con un forte mal di testa.
Era una di quelle emicranie che non pulsavano eccessivamente, ma che ti portavano a percepire un profondo senso di vertigini e di vomito imminente.
Come da bambino, quando per le troppe giravolte su se stesso finiva per buttarsi sul divano esausto e confuso.
Un forte odore di caffè e di qualcosa di dolce proveniente dal piano di sotto gli fece rivoltare ancora di più lo stomaco, costringendolo a sedersi sul letto.
Si diresse verso il bagno, in cerca di un po’ di acqua fresca.
Finì per rinfrescarsi più e più volte viso, sperando che l’acqua potesse cancellare quel malessere.
A poco a poco tutti i ricordi del giorno prima fecero capolino nella sua testa, facendogli salire ancor di più il dolore.
La notte precedente si era addormentato esausto, dopo aver versato un numero imprecisato di lacrime.
Cercò di scacciare ogni ricordo dalla mente per rimanere il più lucido possibile, ma questi purtroppo gli scorrevano uno ad uno davanti agli occhi, provocandogli una scarica di dolore ciascuno.
Abbassò le palpebre e respirò affondo un paio di volte, riuscendo finalmente a calmarsi.
Il giorno precedente si era lasciato prendere dalla situazione, dal dolore e dalla disperazione, ma oggi non sarebbe successo.
Non era finita. 
Non ancora, almeno.
Decise di scende in cucina dove, ne era certo, avrebbe trovato sua madre.
Infatti Fannie era proprio lì, intenta a preparare un’enorme colazione per Blaine.
Il giovane sapeva che quello era il suo modo per farsi perdonare. Anche quando Blaine era solo un bambino tendeva a preparargli i suoi i piatti preferiti, un dolce o qualsiasi altra cosa che il piccolo amasse per chiedergli scusa di una sua mancanza.
In pratica, tendeva a colmare i vuoti affettivi con il cibo.
Non aveva mai veramente funzionato perché Blaine si era accorto molto presto di questo trucchetto, ma nonostante ciò cercò sempre di perdonarla e assecondarla.
“Ciao.” Fannie gli sorrise in modo tirato.
Blaine si appoggiò allo stipite della porta e incrociò le braccia, aspettando che sua madre gli desse un minimo di spiegazione.
Doveva capire, e per farlo aveva bisogno di informazioni.
La donna appoggiò un piatto stracolmo di uova e bacon sul tavolo, seguito da un’enorme tazza di caffè.
Blaine afferrò la bevanda scura, sperando che potesse dargli un po’ di sollievo. 
Avvicinandosi così tanto al tavolo notò che tra le altre cose sua madre gli aveva preparato i pancakes.
La sua mente gli presentò a forza l’immagine di una Carole sorridente, illuminata dal sole tiepido della mattina.
L’ennesima scossa di dolore lo sorprese, facendolo vacillare.
Fannie nel vederlo senza difese si decise a parlare:
“Mi dispiace tanto, Blaine.
Parlare con tuo padre non ha funzionato e quel che è peggio è che io lo pensavo fin dall’inizio, ma ho voluto provare lo stesso, per te e per tuo padre.
Avrei dovuto chiamarti e dirtelo, ma non l’ho fatto perché sapevo che ti avrei rovinato la vacanza. Avrei voluto che ci fosse più tempo, pensavo di poter venire da te e parlartene una volta che fossi tornato, ma Richard mi ha preceduta.
E’ tutta colpa mia, perdonami.”
Fannie scoppiò a piangere, un pianto disperato e forte. 
Alla fin fu Blaine a doverla prendere tra le braccia per consolarla e per dirle che andava tutto bene e che quella storia in qualche modo si sarebbe sistemata.
Sospirò amareggiato, perché capì che anche lui avrebbe voluto qualcuno con cui sfogarsi, qualcuno da cui farsi consolare.
Blaine guardò di nuovo i pancakes pensando intensamente a chi avrebbe saputo trovare le parole giusto per confortarlo al meglio.
Si girò verso sua madre, con un sorriso sperso:
“Mi ricordano tanto Carole. Sai, lei ti sarebbe piaciuta.” Disse, indicando i dolci sul tavolo.
“Non ne dubito.” Rispose Fannie, asciugandosi le lacrime e stringendo forte suo figlio.
“Sei più forte di quanto credi, Blaine” Gli sussurrò all’orecchio.


Richard uscì di casa presto quella mattina, perché prima di andare al lavoro avrebbe dovuto far visita ancora ad una persona.
L’ultima della sua lista, in quel momento.
Entrò a passo sicuro per il portone verde e salì le scale molto velocemente, trovandosi davanti alla segretaria della studio. 
Aveva l’aria di essere una signora molto gentile e paziente, il tipo di persone che Richard non sopportava più di tanto.
Troppo passive, troppo compassionevoli per i suoi gusti.
“Buongiorno, signore. Ha preso un appuntamento con la dottoressa?”
“Buongiorno a lei. No in realtà, ma devo parlare con il suo capo il prima possibile. Si tratta di una argomento molto delicato che riguarda Blaine Anderson, lo conosce per caso?”
Margaret osservò con più attenzione l’uomo, notando i suoi ricci scuri e la mascella, così simile a quella del giovane stagista.
“Sì, certo che lo conosco. Gli è successo qualcosa?” Chiese la donna, preoccupata.
“Nulla di grave.” Sorrise Richard, sperando che quella donna non incominciasse a fare del sentimentalismo.
“Oh, che sollievo. Può entrare signor Anderson, prego.” Margaret gli indicò la porta con la mano.
“Grazie.” Rispose lui, precipitandosi nello studio della dottoressa.
“Salve!” 
Una voce giovane squillante lo accolse in una stanza troppo colorata per risultargli credibile.
Richard si era preparato ad incontrare una donna matura, non una giovane praticamente fresca di laurea.
Gli occhi nocciola di Mary lo squadrarono da capo a piedi, curiosi e attenti come sempre.
“Perdoni la franchezza, ma mi aspettavo di incontrare una psicoterapeuta molto più matura di lei. Come fa ad avere uno studio nel centro di Lima ed essere considerata una delle migliori in città, dottoressa?” Chiese Richard, sinceramente curioso. Il successo in giovane età nella sua professione era sempre stato il suo sogno, ma non era mai riuscito a raggiungerlo.
“La bravura non è sinonimo di vecchiaia, signor Anderson.” Rispose tranquillamente Mary.
Richard le sorrise, rivalutandola all’istante.
“Bene signorina, possiamo accomodarci per parlare di mio figlio? Sarò breve, non le ruberò molto tempo.” 
I due si sedettero l’uno vicino all’altro. Mary pareva tranquilla nei gesti, ma in realtà stava cominciando a preoccuparsi.
“Mi dica tutto.” Disse schiettamente.
“Mio figlio ha avuto una relazione con un suo paziente, dottoressa.” Richard lo disse in modo grave, parendo realmente dispiaciuto.
Mary spalancò gli occhi:
“No. Blaine è un ragazzo serio e coscienzioso, deve esserci un malinteso.”
“Nessun malinteso, signorina. Il ragazzo in questione è Hummel, Kurt Hummel.”
La giovane si portò la mano alla bocca, mentre la sua mente cominciò a collegare tutte le informazioni a sua disposizione.
Ecco perché Blaine si era fatto spostare il turno, ecco perché non voleva mai immischiarsi nel caso Hummel.
“Mi scusi, ma suo figlio non stava per sposare la sua ragazza?” Chiese Mary, siccome quello era l’unico punto della storia che ancora non le tornava.
“E in fatti lo farà, il 2 di Giugno per la precisione. Colgo l’occasione per invitarla ufficialmente alla cerimonia, dottoressa.
Ad ogni modo, spero convenga con me nel dire che Blaine si sia dimostrato decisamente inetto all’incarico che lei stessa gli aveva assegnato, perciò sono qui per dirle che d’ora in poi mio figlio porterà avanti il suo tirocinio in un altro studio.
Mi dispiace per tutti i problemi che Blaine le ha creato.” Richard fu così formale da sembrare completamente estraneo ai fatti, e non il padre del diretto interessato.
“Ha idea delle conseguenze che queste affermazioni possono avere sulla terapia del signor Hummel e sul futuro professionale di suo figlio? Io dovrò riportarlo alla scuola e mi creda, sarà un fatto che graverà sempre nel suo curriculum.” La dottoressa colse subito il distacco emotivo del signor Richard.
“Con tutto il bene che posso volere a mio figlio sono abbastanza onesto da dire che, questa volta, se la sia proprio andata a cercare. Faccia quello che ritiene giusto, signorina Renth.” 
Detto questo Richard si alzò, congedandosi in fretta con un sorriso di circostanza.
Mary si risedette subito alla sua poltrona, sprofondando nei suoi pensieri.
Blaine aveva sbagliato, e avrebbe di certo ricevuto una bella sgridata dalla sottoscritta per questo, ma quanto c’era di vero in tutta questa storia?
Cosa c’era sotto?
La Renth era sì giovane, ma per niente stupida.
Sapeva perfettamente che prima di trarre qualsiasi conclusione avrebbe dovuto interrogare le altre due parti, quelle più importanti e sentimentalmente coinvolte.
Voleva molto bene a Blaine, erano diventanti amici ormai, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per venirgli in contro.
Non pensava che fosse attratto dal sesso maschile però, questa era una novità assoluta e ancora tutta da verificare.
Hummel invece era un ragazzo intelligente, dolce e molto maturo per la sua età, tanto da riuscire a stupirla grazie al suo modo di raccontarsi e di esprimersi con la musica.
Era non solo interessante, ma anche un bravo ragazzo. Non c’erano dubbi sulla sua sessualità, siccome veniva preso di mira per questo a scuola.
Mary non ci pensò due volte: afferrò le chiavi della macchina, il giubbotto ormai primaverile e si precipitò giù per la scale, urlando a Margaret di disdire tutti gli appuntamenti e di prendersi una giornata libera.




Kurt si svegliò male, decisamente male.
Guardandosi allo specchio notò subito le grosse occhiaie che gli stavano incorniciando gli occhi.
Questa mattina il suo cielo era grigio, spento.
Sembrava quasi essersi dissolto.
Prima di scendere in cucina prese un grande respiro e sfoderò il suo miglior sorriso finto, pronto a mettere in scena una normalissima mattina di scuola davanti alla sua famiglia.
Non voleva far sapere a Burt, Carole e a Finn cosa fosse successo, non si sentiva ancora pronto per parlarne.
Non era da lui omettere qualcosa a suo padre e normalmente non lo avrebbe mai fatto, ma quella situazione era tutto fuorché che normale.
La notte precedente aveva pianto tanto e senza sosta, ma rigorosamente in silenzio.
Non un solo suono era uscito dal suo corpo quella notte, solo tanta tanta acqua salata.
Una volta in cucina salutò tutti e prese un po’ di tè, cercando di partecipare alle semplici e leggere chiacchiere mattutine.
Si sforzò anche di mangiare qualcosa, ma questo gli fece solo venire voglia di vomitare.
“Kurt!” Esordì felice suo padre.
“Sì?” Sfoderò un largo sorriso.
“Ho trovato questa nella buca delle lettere questa mattina.” Burt tirò fuori da dietro la schiena una grossa busta bianca, su cui primeggiava l’indirizzo di casa Hummel-Hudson.
Kurt all’inizio non capì.
Suo padre posò la busta sul tavolo accanto al figlio, così che egli potesse leggere chiaramente la sigla riportata sul davanti:
‘New York Drama Academy’
Kurt trattenne il respiro per la sorpresa, irrigidendosi e sbarrando gli occhi.
Era stato così immerso negli eventi di quel periodo da dimenticarsi che la riposta da parte della NYADA avrebbe dovuto proprio arrivare in quei giorni.
Si sentì perso, come se qualcuno lo avesse afferrato di peso e gettato nella realtà senza troppi complimenti.
“Che aspetti, aprila!” Urlò Finn, agitando il cucchiaio e lanciando latte e cereali un po’ ovunque.
“Io… Io ho bisogno di un momento.” 
Kurt afferrò la busta e corse in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle.
Posò la lettera sul comodino, proprio accanto al proprio cellulare.
Si sedette, prendendosi il volto tra le mani.
Non era così che doveva andare. 
Kurt sapeva che in quel momento avrebbe dovuto essere felice, esultare e urlare al mondo che nelle sue mani vi erano mischiati insieme la verità e il suo futuro, pronti ad essere finalmente svelati.
Avrebbe dovuto aprire quella busta con mani tremanti e impazienti, buttando il naso in tutte quelle scartoffie alla sola ricerca della risposta.
Sì o no, dentro o fuori.
In quel momento il suo cellulare vibrò, facendogli salire il cuore in gola.
Guardò il display lampeggiante mostrargli il nome di Blaine.
Gli scappò una risata amara perché certo, mancava giusto una sua chiamata per completare quel momento patetico.
Kurt sapeva che era troppo presto, che a Blaine serviva tempo e che soprattutto lui glielo doveva.
L’aveva concordato con Richard, e sicuramente meno di un giorno non era un lasso di tempo sufficiente per schiarirsi le idee.
Così Kurt si limitò ad osservare il cellulare squillare, e lì accanto la lettera ancora ben sigillata.
Lo lasciò vibrare a vuoto, e solo quando l’aggeggio ebbe finito Kurt afferrò con mano esitante la busta. Se la rigirò ancora e ancora tra le mani, come se non sapesse da che parte iniziare. 
Cominciò ad aprirla con una calma disarmante, attento a non rovinare  la carta immacolata con uno strappo troppo netto.
Quasi si spaventò nel vedere fuoriuscire da essa almeno sette o otto fogli, pieni di parole.
I suoi occhi non frugarono tra le righe in cerca della risposta, semplicemente essa gli finì davanti praticamente subito.
Sospirò, rilasciando i muscoli tesi per il nervosismo.
Kurt si alzò dalla sedia, andò allo specchio e provò per cinque minuti buoni di mettere in scena il migliore dei sorrisi finti del suo repertorio.
Era ufficialmente uno studente della NYADA, dopotutto.


Blaine dopo aver consolato sua madre cercò subito di mettersi in contatto con Kurt, anche se sapeva perfettamente che il ragazzo non gli avrebbe risposto.
Tentò comunque, incapace di arrendersi.
Trattenne il fiato finchè non partì la segreteria telefonica di Kurt, e a quel punto chiuse la chiamata.
Si rigirò il cellulare tra le mani per un po’, finchè quasi non balzò in piedi sentendolo vibrare.
Qualcuno gli aveva invitato un messaggio.
“Kurt!” Disse a bassa voce, rischiando di far scivolare il telefono per la sorpresa.
L’sms non era di certo del suo ragazzo, e Blaine si diede dello stupido per averlo anche solo ipotizzato, ma fu comunque incuriosito dal nome del mittente:

‘Dove sei? Ho bisogno di parlarti.’

Era la dottoressa Renth, la sua Mary.



“Sono stato ammesso!” Urlò Kurt saltando giù dalle scale, la voce decisamente meno squillante del solito.
Capì che le sue doti recitative avevano dato i loro frutti quando Finn e Carole gli saltarono addosso per abbracciarlo e congratularsi con lui.
Burt li osservò un secondo in disparte, per poi unirsi ai festeggiamenti.
Kurt si convinse di aver fatto la cosa giusta a tenersi tutto per sé e a fingere di essere entusiasta, perché la sua famiglia in quel momento era così felice e fiera di lui da riuscire a tirarlo un po’ su.
Aveva raggiunto il primo grande obiettivo della sua vita, e anche se quelli che stava sfoggiando erano sorrisi tirati dovevano comunque essere presenti e numerosi. Era giusto così, perché era così che le cose sarebbero dovute andare.
Aveva appena messo la tracolla e aperto la porta di casa per andare a scuola, quando Burt lo avvicinò:
“Kurt, sei felice?” Chiese sorridendo.
“Sì papà! Era il mio sogno ed ora non lo è più, è cresciuto e si è tramutato in un progetto concreto. E’ fantastico!” Sorrise, sforzandosi di coinvolgere anche gli occhi.
“Sono veramente fiero di te Kurt, ti meriti tutto questo e molto di più.” Burt abbracciò forte suo figlio, dandogli un bacio tra i capelli profumati e laccati.
Il clacson suonato da Finn fece sgusciare via Kurt dalle braccia di suo padre.
Il ragazzo era ormai prossimo a chiudere la porta, quando notò negli occhi di Burt una punta di dolore. 
L’uomo si fece mesto e sussurrando disse:
“Sarai un perfetto attore, Kurt.”
La porta d’entrata sbatté velocemente e con forza davanti al viso di Burt, seguita dal rumore di singhiozzo trattenuto.




Mezz’ora dopo aver ricevuto l’indirizzo di casa Anderson Mary si trovava già attaccata al campanello, più impaziente che mai.
Andò ad aprire Fannie, la quale rimase sbalordita nel vedere quella giovane ragazza alla porta.
“Buongiorno.” Disse la donna.
“Salve, sono la dottoressa Renth. Sono qui per vedere Blaine.” Mary porse la mano a Fannie in modo deciso e sbrigativo.
“Oh. Certo, entri pure.” La donna si fece da parte.
Blaine si trovava nel corridoio d’entrata, teso e anche lui decisamente impaziente.
“Accomodatevi pure in salotto, non vi disturberò. Se avete bisogno di qualcosa io sono in cucina.” Fannie capì di essere di troppo, così si dileguò velocemente.
“Grazie.” Risposero i due giovani all’unisono, senza staccarsi gli occhi di dosso.
Una volta seduti sul divano di casa Anderson fu Mary a prendere la parola:
“Sto cercando di mostrarmi il più calma possibile Blaine, ma ora da te esigo di sapere tutto, chiaro? Tuo padre è venuto da me questa mattina ed è stato molto sintetico, ma estremamente preciso.
Cosa diavolo sta succedendo?!” La voce di Mary era decisamente autoritaria.
“Mi dispiace.” Sospirò il moro.
Il racconto durò quasi una mezz’ora perché Blaine volle raccontare a Mary ogni cosa e ogni singolo dettaglio, desideroso di farle capire non solo la situazione, ma anche i suoi sentimenti nei confronti di Kurt.
Per assicurarsi che tutto ciò fosse chiaro prese tutto il suo coraggio e  disse:
“Io amo Kurt, lo amo veramente.” 
Mary si passò una mano sul volto, poi riprese:
“Suppongo che tu sappia dell’esistenza del transfert.*’
“Non è questo il caso, Mary. Quante volte l’ho visto nel tuo studio? Due, tre?” Rispose prontamente il giovane.
“Va bene, va bene!” La Renth alzò le mani in segno di resa.
“Allora, questo è quello che penso: Kurt può essere un amore duraturo come può non esserlo.” 
Blaine le rivolse uno sguardo gelido.
“Ma non metto in discussione il fatto che tu debba avere libertà di scelta in ogni campo della vita, da quello sessuale a quello lavorativo. Quindi ti aiuterò, Blaine. Che sia chiaro però: sei licenziato.”
La dottoressa sorrise e il riccio di rimando, rendendo l’atmosfera finalmente più amichevole.
Blaine prese la palla al balzo e cominciò a parlare velocemente:
“Non ti ringrazierò mai abbastanza.
Allora, io penso che affronterò ancora mio padre a viso aperto e gli dirò…”
Un cenno della mano da parte della ragazza lo fece zittire.
“Blaine, ma ancora non hai capito che è il caso di cambiare strategia?”
Il moro assunse un’espressione meravigliata e spaesata.
“Non è che ieri fossi dell’umore adatto per improvvisarmi stratega…” Disse, con lo sguardo perso nel vuoto.
“Cosa dovrei fare?” Riprese all’istante, scacciando via il dolore.
Mary si morse il labbro, perché anche se solo per un secondo aveva avuto la prova che i sentimenti di Blaine erano forti e che stava facendo una fatica terribile a starsene lì a discuterne, apparentemente lucido e combattivo.
“Dovresti entrare completamente nel personaggio, stare al gioco. Parla con le altre persone coinvolte in questa storia, cerca di capire cos’è che realmente cercano di ottenere e mostragli un altro modo per farlo.
Parla con tutti, sii uno psicoterapeuta per la miseria!” Mary stava cercando di smuoverlo un po’.
“Io ti darò una mano da fuori, ovviamente. Potrai contare su di me per qualsiasi cosa.” La Renth gli porse la mano.
“Grazie!” Blaine lasciò perdere le mani e l’abbracciò stretta, felice di avere finalmente una speranza.
“Figurati.”
“Blaine?” Chiese Mary mentre era appoggiata sulla spalla del moro.
“Sì?”
“Avevo in programma di andare a trovare anche Kurt, oggi.”
La dottoressa poté sentire chiaramente il cuore di Blaine premuto contro il suo petto esitare un secondo, per poi sbattere contro la cassa toracica con una strana forza.
Una forza nata dal dolore.
“No, penserò io a Kurt.”



“Blaine! Carl ci vuole mostrare il luogo dove si svolgerà la cerimonia e il ricevimento oggi.” Richard entrò in salotto con un gran sorriso.
“Bene, guido io!” Rispose il riccio, entrando perfettamente nella parte.
Suo padre rimase interdetto da quella presa d’iniziativa così forte, ma il suo ego gli suggerì che semplicemente la sua autorità stava avendo effetto.
Sulla porta di casa Blaine fece un’occhiolino a Fannie, ormai complice a pieno titolo.
La donna gli rispose sorridendo e mimando con le labbra un: “Stai attento.”



Il luogo in cui si sarebbe svolta la cerimonia era una tenuta in stile vittoriano.
Al centro del grande giardino si ergeva una casa tinta di un blu chiaro, anch’essa appartenente all’arte vittoriana. 
All’interno dell’abitazione si sarebbe svolto il ricevimento, mentre nel giardino esterno avrebbe avuto luogo la cerimonia e un primo rinfresco.
Blaine poté apprendere da suo padre che il piano superiore di quella casa avrebbe accolto la prima notte di nozze dei neo sposi.
Il moro dovette ammettere che l’esterno era stato preparato con una cura incredibile, tutto era perfetto e soprattutto molto, molto bello.
Già, peccato che lo sposo stesse immaginando di essere in quel luogo con un’altra persona.
Scosse la testa, e tornò a far finta di porre attenzione al monologo senza fine di suo padre.
Dopo aver potuto mirare l’altare da ogni possibile angolazione fu il turno dell’enorme spazio del giardino riservato al rinfresco. 
Era stato montato anche un impianto audio niente male, che riuscì subito a carpire l’attenzione di Blaine.
“Ce n’è uno anche all’interno della casa, naturalmente. Io e Carl ne abbiamo fatti montare appositamente due perché sappiamo quanto sia importante la musica per te, figliolo.
E poi, sia dal caso che il DJ abbia insistito molto per essere ingaggiato.”
Il moro lasciò perdere l’ennesima stupidaggine detta dal padre in quella giornata e si buttò tra le casse, desideroso di poter smanettare con la console.
Notò alcuni fogli su cui era stata scarabocchiata frettolosamente una scaletta e stranamente gli sembrò di conoscere la calligrafia, di averla già vista altre volte.
Molte altre volte, a dire il vero.
Ora sembrava più sicura e snella in confronto a qualche anno fa, ma il ricciolo riuscì a riconoscerla ugualmente.
Alzò gli occhi per guardarsi intorno, cercando tra i vari volti degli addetti ai lavori una faccia conosciuta.
D’un tratto Blaine perse l’equilibrio, finendo dietro alcune delle grandi casse. 
Si aspettò di sentire del dolore provenire da una delle gambe, ma ciò non avvenne perché un paio di braccia magre e sicure erano riuscite ad afferrarlo e a non farlo cascare a terra.
“Scusa se ti ho quasi fatto cadere, ma non hai prestato attenzione a nessuno dei miei segnali precedenti. Cavolo Anderson, sei rimasto il solito idiota di sempre.”
Il moro rimase a bocca aperta, stentando a credere ai suoi occhi.
“Oh, aspetta! C’è una cosa che devo assolutamente provare.” Disse, sfoderando un sorrisetto malizioso.
In men che non si dica quel giovane afferrò il viso di un Blaine completamente inerte, baciandolo senza esitazione.
Lo allontanò con la stessa velocità, per poi affermare:
“Oddio Anderson, ma allora è vero. Sei gay! Lo sapevo, l’ho sempre sostenuto quando eravamo alla Dalton.
Quale etero avrebbe potuto avere così tanti papillon?” Sorrise vittorioso.
“Sebastian, ma che cazzo ci fai tu qui?!” Furono le prime parole di Blaine.
“Sono venuto a salvarti il culo, bello mio. Matt e Mark mi hanno chiamato in preda alla disperazione, dopo che tuo padre li aveva minacciati di farli espellere se si fossero ancora avvicinati a te. Ho saputo del matrimonio, ho fatto un paio di telefonate, ho parlato con tuo padre ed eccomi qui, pronto a guadagnarmi una parte della rata per il prossimo semestre.” Gli occhi smeraldo del ragazzo stavano brillando gioiosi.
“Sono qui per assicurarmi che tu riesca ad uscire da questa situazione.”
“Sei un infiltrato.” Concluse il riccio.
“Una specie. Comunque baci proprio bene, Anderson.” 
“Ehm, grazie Seb.” Blaine divenne rosso all’istante.
“Abbiamo cinque minuti, se ti interessa saperlo. Queste casse possono nascondere molte cose.” Sebastian gli fece l’occhiolino, divertendosi a mettere in difficoltà il suo vecchio amico.
I due giovani si erano conosciuti alla Dalton ed erano stati grandi amici. I loro caratteri erano all’opposto, ma questo non fece altro che far crescere ancora di più l’alchimia reciproca.
Sebastian era quello che si cacciava nei guai, Blaine era quello che veniva convocato dal preside e faceva di tutto per tirarlo fuori.
Seb era sempre stato quello più libertino e dedito alla bella vita, mentre Blaine quello più calmo e riflessivo.
Non si vedevano da almeno 6 mesi.
“Ho un ragazzo.” Si limitò a rispondere.
“E una fidanzata, a quanto vedo.” 
“Seb, è una situazione seria.” Lo ammonì Blaine.
“Lo so, sto solo cercando di rendertela meno pesante.” Rispose Sebastian, appoggiandogli una mano sulla spalla.
“Come posso aiutarti?” Chiese il più alto.
“Distrai un po’ mio padre, io devo parlare con Alessia.”
“Nessun problema. Sono molto felice di rivederti, Blaine.”
“Anche io.” 
I due amici si abbracciarono sorridenti, felici di essersi ritrovati.
“Bene, ora vedrò di attirare l’attenzione di tuo padre.”
Sebastian si lisciò i pantaloni e saltò fuori dal loro nascondiglio, camminando a passo sicuro verso Richard.
“Richi, vecchio mio!” Esordì, battendo una pacca sulla spalla al signor Anderson.
“Che ne dice di aiutarmi a scegliere qualche brano? Dovrà ballare quel giorno, e molto anche.” Seb gli fece l’occhiolino.
Richard non perse l’occasione di sentirsi lusingato, importante e perché no? Anche molto acculturato dal punto di vista musicale.
Blaine si mise a correre, sapendo perfettamente di dovere un grosso favore a Sebastian.
Entrò nella villa vittoriana, sperando di trovare Alessia, ma rimase letteralmente a bocca aperta per la bellezza e l’accoglienza di quelle stanze.
Toccò le fresche pareti tinte di colori tenui, constatando che i muri dovevano essere veramente molto vecchi.
Salì le scale per sfuggire al piccolo via vai dello staff e si rifugiò in una camera da letto, bella tanto quanto le stanze al piano di sotto.
La grande finestra permetteva di avere un ambiente completamente illuminato, come anche una vista bellissima sul giardino sconfinato.
https://www.youtube.com/watch?v=VYM0oL6RPvg )
Blaine aprì la finestra e si affacciò, godendo la vista di quel verde e placido panorama.
Sospirò, avvertendo una calma che ormai credeva perduta.
La sua mente cominciò a vagare, ma questa volta i pensieri non sconfinarono verso i ricordi, ma verso le parole.
Tutti i sentimenti che gli erano saltati addosso in quelle ore, quelli che aveva respinto e ricacciato infondo all’animo, quelli che aveva subito suo malgrado e quelli positivi, ormai custoditi gelosamente stavano finalmente trovando un modo per esprimersi, con una voce diversa da quella della disperazione. 
Blaine capì all’istante che quelle parole non sarebbero andate sprecate.
Si guardò intorno, in cerca dei mezzi più utili per evitare che tutte quelle parole potessero scivolare via dalla sua mente e non fare più ritorno.
Aprì il grande cassetto della scrivania e vi trovò esattamente ciò di cui aveva bisogno, due degli strumenti più utili e potenti che l’umanità avesse mai avuto a disposizione:
Un leggero foglio di carta bianco e una penna, elegante e snella.
Blaine richiamò alla mente tutti quei sentimenti per dar loro un senso logico.
La penna cominciò a scivolare sulla carta, sicura e leggera, fissando su carta tutte le parole che i sentimenti di Blaine stavano sussurrando:

“Caro Kurt,
Spero in qualche modo di riuscire a farti arrivare questo pezzo di carta, e spero con tutto il cuore che tu possa trovare la pazienza di leggerlo.
Questa lettera contiene delle parole importantissime, perché parla di noi.
Io e te, Blaine e Kurt.
Ricordi?
So che mio padre è venuto a parlare con te, ma ignoro cosa possa averti raccontato.
In realtà, non mi interessa affatto.
Non mi interessa più nulla che abbia a che fare con lui, a dire il vero.
Ma il punto è: mio padre è riuscito ad allontanarmi da te. Ce l’ha fatta.
Mi dispiace tanto.
Non mi importa quali bugie ti abbia raccontato Kurt, perché io ti amo.
Sì Kurt: ho detto che ti amo.
Ti sto scrivendo quelle due parole che entrambi avremmo voluto pronunciare, ripetere e urlare al mondo per Dio solo sa quante volte, ma per cui non abbiamo mai trovato il coraggio.
Un po’ per timidezza, un po’ perché ci sembrava troppo presto, un po’ perché poteva sembrare stupido, da immaturi o da romanticoni.
Ora però io non ho più niente da perdere, per cui posso urlarlo a pieni polmoni.
Già, perché se tu non rispondi alle mie chiamate e non vuoi vedermi significa che ho già perso tutto ciò che di prezioso avevo al mondo.
Non è vero, Kurt. Non è vero niente di tutto quello che ti ha raccontato mio padre, qualunque idiozia essa sia.
Possiamo affrontare tutto insieme, dammi solo la possibilità di dimostrartelo.
Kurt, non ricordi?
Non ricordi il motivo per cui mi amavi?
Quando potrò rivederti di nuovo?
                                                                                                                                                              Il tuo Blaine”

Blaine non prestò neanche attenzione alle lacrime che lentamente avevano preso a scendere sul suo viso. Si asciugò semplicemente con la manica della camicia e poi piegò con cura la lettera, attento a non sgualcirla.
Avrebbe trovato il modo di farla arrivare a Kurt, ma a questo avrebbe pensato più tardi.
Ora aveva veramente bisogno di parlare con Alessia.
                                                  


 


* Il transfer è quella particolare relazione che si viene a creare tra paziente e psicoterapeuta, in cui entrambi sono portati a riversare l'uno sull'altro sentimenti o positivi o negativi che appartengono di solito all'infazia o comunque al passato di entrambi. In pratica, è come se si riversassero addosso sentimenti che in realtà erano indirizzati a qualcun altro nel passato.
Sono inclusi anche i sentimenti di amore, sia da parte di uno che dell'altro, quindi lo psicoterapeuta dovrebbe saper gestire questo legame senza lasciarsi influenzare dai sentimenti.
Se qualcosa non è chiaro chiedere pure :)


Allora, come vi è sembrato? :)
L'idea di inserire Sebastian mi stuzzicava già da un po', ma avevo paura di non saper gestire il personaggio. Alla fine però mi sono buttata, spero di essere riuscita nel mio intento :)
La musica la fa da padrona in questo capitolo, se non ci fosse stata Adele e questa sua canzone a presentarmi questa scena davanti agli occhi probabilmente non sarebbe stata la stessa cosa. Spero che la scena della lettera vi abbia trasmesso un po' di trasporto :)

Ringrazio molto: Charlot,  itsmeWallflower e Bay24 per aver recensito il capitolo precedente. E' stato molto bello conoscere le vostre impressioni, grazie mille per averle condivise con me :)

Grazie anche alla mia beta, che si preoccupa e si prende cura sia di me che della storia :)

Sono prorpio curiosa di sapere la vostra su questo capitolo che, come ho detto sopra, è uno di quelli che mi rende più fiera :)
Alla prossima, buona serata :)

   
 
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