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Autore: FlyLoveBelieve    31/08/2013    0 recensioni
Quando era piccola sua madre le aveva insegnato a dire le preghiere prima di andare a dormire, la sua preferita era quella all'angelo custode..se lo era sempre immaginato con le ali e l'aureola, ma mai avrebbe creduto di poter vivere con un angelo vero al suo fianco..
[dal testo]
"Appoggiando entrambe le mani sul vetro si avvicinò ad esso per poter meglio osservare quella figura misteriosa,e ciò che vide al di là del vetro le fece battere il cuore a mille..due pozze d’ambra sciolta, due occhi color miele meravigliosi fissavano i suoi…erano due calamite irresistibili..non si accorse nemmeno di essersi spalmata sulla parete, come se stesse cercando di fondersi con essa per poterla oltrepassare ed avvicinarsi a quella figura angelica dalla bellezza sovrumana. I palmi delle loro mani si sarebbero potuti toccare se solo non fossero stati impediti dal vetro, e i loro corpi erano protesi l’uno verso l’altro."
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La donna si svegliò all’improvviso, le era sembrato di aver udito un tonfo sordo, come se qualcosa fosse caduto a terra…qualcosa, o qualcuno…si alzò di scatto dal letto e, dopo essersi infilata la vestaglia di fretta uscì dalla sua stanza e salì di corse le scale fino ad arrivare alla porta della camera della figlia; come al solito era chiusa, e il cartello appeso alla maniglia era girato in modo da mostrare a chiunque si fosse avvicinato una scritta rossa su fondo nero che recitava VIETATO ENTRARE .
Sebbene fossero passati 12 anni dal giorno in cui quel cartello era stato affisso alla porta, sua figlia (ormai diciottenne) non l’aveva più voluto togliere…quel cartello era il segno tangibile di come le loro vite fossero cambiate dal giorno in cui suo marito se ne era andato da quella casa, lasciando lei e sua figlia da sole…ma in quel momento non pensò a nulla, semplicemente agì e aprì piano la porta della stanza, con la tenerezza e la cautela tipiche di una madre.
Cece stava seduta sul morbido tappeto al lato del suo letto e si massaggiava dolorante una caviglia, contratta in viso, gli occhi lucidi, i capelli scompigliati e arruffati, il ciuffo a cui tanto teneva completamente fuori posto. Non appena la vide in quelle condizioni le comparve subito un sorriso sulle labbra, e si ricordò di tutte le volte che si era svegliata alle urla della figlia caduta dal letto, poi tornò seria e le si avvicinò per accertarsi che non si fosse fatta nulla di grave.
Quando Cece si accorse della sua presenza, non volendo la compassione della madre, si alzò subito da terra…mossa sbagliata, lo scatto repentino le fece annebbiare la vista, la caviglia cedette sotto il peso del suo corpo, ebbe un capogiro e cadde come un sacco di patate sul letto. Preoccupata, la donna le corse accanto sedendosi sul letto e facendole aria con un libro che aveva trovato sul comodino lì accanto, non preoccupandosi di come la figlia avrebbe reagito; quando la ragazza ebbe ripreso un po’ di colorito e si tirò su a sedere la donna scese in cucina e, tornata in camera, le porse un bicchiere d’acqua fresca perché potesse dissetarsi e riprendersi.
Mentre beveva, si ritrovò ad osservare sua figlia…la guardava sempre, ogni  giorno l’aveva sotto gli occhi, ma era da tanto che non la osservava più…Puoi guardare tutto ma non osservare niente...puoi guardare qualsiasi cosa, ma puoi comprenderne la parte più interna e meravigliosa di essa solo se la osservi attentamente. Si soffermò sulla linea delle sue labbra, sottili e rosee; sul taglio degli occhi, così simili a quelli del padre, di quel verde intenso che tanto l’aveva intrigata e allo stesso tempo intimorita; sui lineamenti dolci di una giovane donna, resi decisi dalle prove a cui la vita l’aveva messa davanti sin da piccola; sulle sue mani, strette intorno al bicchiere con una presa salda, quasi temesse che potesse sfuggirgli improvvisamente…sua figlia stava crescendo, e lei, troppo occupata a piangersi addosso, non se ne era resa conto fino a quel momento e si era rinchiusa in se stessa, lasciandola sola. Cominciò a singhiozzare senza controllo, si sentiva un disastro..tutto nella sua vita era un completo fallimento, tutto quanto aveva fatto non aveva prodotto nulla; si era costruita intorno un bellissimo castello, aveva creduto di avere tutto ciò di cui aveva bisogno, ma quello stesso castello di carte le stava crollando addosso e rischiava di travolgere anche lei nel crollo.
Da troppo tempo non aveva più la forza per reagire, per combattere, da quando si era ritrovata sola, dal giorno della telefonata che le aveva cambiato la vita …
 
[…] – E’ la signora Frey? -
- Si sono io, con chi parlo? -
- Sono l’agente Connor, la chiamo dal St. James Hospital…riguarda suo marito…-
 
Il telefono era squillato proprio nello stesso istante in cui lei stava facendo indossare il cappotto all’allora piccola Cece, il cappotto rosso che sua figlia aveva scelto appositamente per il suo debutto come cantante. Si ricordava perfettamente di quando erano andati a fare una gita a Toronto e di come Cece si fosse fermata di colpo davanti alla vetrina di uno dei negozi più costosi dell’intera città, di come avesse afferrato per mano lei e suo marito e li avesse trascinati dentro quel negozio senza parlare, di come si fosse diretta dalla prima commessa libera e di come le avesse detto, decisa e con educazione:
“Vorrei comprare il cappotto alamari che avete in vetrina, rosso e con il cappuccio”  Dopo appena venti minuti erano di nuovo in strada, con Cece che,soddisfatta del suo nuovo acquisto, aveva in volto un sorriso raggiante. A nulla erano valse le occhiate che il padre le aveva rivolto dopo aver visto il prezzo della giacca, né le parole della madre che tentava di farla ragionare…Cece voleva quel cappotto, e l’aveva ottenuto…ad una condizione, niente più richieste per tutto il resto della gita. Di giorni come quello non ne avevano più trascorsi da quella sera… Il rimorso di non averlo salutato quel giorno l’aveva sempre divorata, il dolore per non averlo potuto baciare per l’ultima volta la uccideva..se solo avesse potuto immaginare quello che sarebbe successo probabilmente non lo avrebbe lasciato andare via senza prima avergli ricordato di amarlo. Sarebbe dovuto tornare presto quella sera, ci sarebbe stato il saggio della piccola Cece, il loro grande amore avrebbe cantato per la prima volta davanti a molte persone e sapeva quanto ci tenesse ad arrivare presto per potersi sedere in prima fila accanto a lei e fare il tifo per la loro piccola stella…ma semplicemente tutto ciò non era successo….pioveva a dirotto e Cece era preoccupata che potessero rimandare lo spettacolo o che suo padre non facesse in tempo a tornare per la sua esibizione…era terrorizzata all’idea di dover cantare ma sapeva che suo padre ci sarebbe stato, glielo aveva promesso solennemente, come erano soliti fare, si erano fatti la croce sul cuore…non avrebbe potuto immaginare che quella croce l’avrebbe segnata nel profondo, per sempre. Tutto ciò che successe era nelle mente della povera donna soltanto un succedersi di immagini, come di flash che la accecavano…il telefono che le scivolava di mano, gli occhioni di Cece che si riempivano di lacrime al vedere quelle della madre, la  mano della piccola nella sua mentre correvano per il lungo corridoio dell’ospedale, le infermiere che le toglievano dalle braccia Cece, quella porta che non avrebbe mai voluto varcare, l’immagine di suo marito privo di vita, il viso rilassato e sereno nel suo ultimo sorriso. Rimase in quella stanza fredda e scura per molto tempo, seduta su una sedia di plastica rossa e scomoda a fissare il muro bianco davanti a sé, sul viso dipinta un’espressione rassegnata…non le era rimasto nulla…quello che i medici le dissero dopo non lo ricordava bene, le uniche parole che riuscì a fissare in mente furono “ incidente…strada bagnata…albero…collasso polmonare…” ; si ritrovò a casa senza sapere nemmeno come, con sua figlia addormentata in braccio e un vuoto di memoria incredibile…i giorni seguenti furono carichi di silenzio anche se tutti stavano urlando il loro dolore, e la sera stessa del funerale del padre Cece, non apenna tornò a casa, appese alla porta della camera quel cartello che era ancora lì.
Da quel giorno in poi non prese più lezioni di canto e per quattro mesi non rivolse la parola a nessuno, né a casa né a scuola…i dottori e gli psicologi a cui si erano rivolti parlavano di lutto traumatico…il non sapere cosa fosse successo, il vedere sua madre depressa e il non comprendere il perché di questa condizione le causavano confusione ed angoscia, il silenzio e l’impossibilità di parlare con qualcuno le rendevano difficile elaborare il lutto, era troppo piccola per poter rispondere da sola a tutte le domande che aveva in testa e il non avere nessuno con cui sfogarsi l’aveva fatta rinchiudere in se stessa. Tuttavia nemmeno i sensi di colpa nei confronti di sua figlia erano stati abbastanza forti da aiutarla ad uscire dalla profonda depressione in cui era caduta dopo la morte del marito, e per lungo tempo Cece era stata cresciuta da una donna congolese di nome Ujuauh che la accudiva e la coccolava come una madre, che le raccontava storie prima di addormentarsi e le spazzolava i capelli prima di andare a scuola prechè, come diceva sempre, “non si sa mai, forse oggi incontrerai il tuo bel principe che tanto sogni”.
Purtroppo però quel principe si faceva attendere e Cece si sentiva diversa dagli altri bambini della sua età…quando usciva da scuola non c’era mai nessuno ad attenderla sul cancello, nessuno a cui potesse correre incontro e a cui saltare in braccio; quando le poche amiche che aveva la invitavano a giocare nel pomeriggio, dopo i compiti, Cece rifiutava sempre a malincuore perché aveva la terapia con la psicologa e quando finalmente, dopo oltre un anno, le terapie si interruppero Cece si era ritrovata senza più amiche e, finiti i compiti, trascorreva i pomeriggi a disegnare o a cucinare con Ujuauh, l’unica che sembrava volerle bene. A causa del lavoro la donna non era molto presente nella vita di sua figlia...non voleva ammetterlo, ma il lavoro era un’ottima scusa per stare lontana da quella casa e da quella figlia che le ricordavano continuamente suo marito. Non aveva più organizzato le feste di compleano per Cece, aveva interrotto la passeggiata abituale che facevano  dopo il pranzo della Domenica e non le comprava più le caramelle le poche volte che andava a fare la spesa. Spesso, quando l’emicrania di cui soffriva era troppo forte e non riusciva ad alzarsi dal letto, la piccola Cece doveva arrangiarsi da sola e mangiare ciò che c’era in casa e più di una volta aveva dovuto sbrigare molte faccende da sola, così da lasciare troppo presto il posto ad una ragazza che di femminile aveva ben poco…aveva deciso di tagliarsi i capelli perché non voleva che i suoi bei boccoli castani fossero motivo di vanità, indossava solo jeans e felpone che nascondessero le sue forme, camminava sempre a testa bassa e con le cuffie nelle orecchie e non appena rientrava a casa da scuola doveva provvedere a preparare la cena per lei e la madre e a riassettare la casa.
Quella vita in fondo non le dispiaceva perché le permetteva di vivere nell’ombra, al riparo dagli occhi compassionevoli della gente, non le piaceva essere osservata…preferiva osservare. Non avrebbe mai saputo comportarsi come quelle stupide oche che frequentavano la sua classe al liceo e, anche se ne fosse stata in grado, non lo avrebbe mai fatto, non era da lei. Non le piaceva essere al centro dell’attenzione, ecco perché avrebbe tanto voluto poter sprofondare anche in quel momento, con sua madre che sedeva accanto a lei sul suo letto, con gli occhi lucidi e il volto mesto.
Quella situazione era alquanto imbarazzante..dopotutto era appena caduta dal letto come una bambina piccola e sua madre, accorsa per accertarsi di come stesse, era di nuovo piombata in quel suo mutismo che la terrorizzava, non sapeva cosa le potesse passare per la testa e, soprattutto, non sapeva cosa fare..
Erano passati molti anni dall’ incidente del padre ma Cece faceva ancora molta difficoltà a parlare con la madre, le loro conversazioni sebbene ormai fossero entrambe donne adulte non riuscivano ad andare oltre a quelle stupide frasi che si dicono quando si sa benissimo di cosa si vuole parlare ma semplicemente non si ha il coraggio di farlo..ogni sera a tavola si parlava della scuola o dei compagni di liceo o di ciò che succedeva fuori dalle mura di casa ma quello che succedeva dentro quelle mura, di quello non si riusciva a parlare. Cece non ricordava nemmeno più l’ultima volta che lei e la madre si erano abbracciate, baciate o semplicemente dette “TI VOGLIO BENE” .
Si era completamente scordata cosa si provasse ad essere cullata dalle braccia della madre, a stare sdraiate sul lettone una sopra l’altra respirando all’unisono e ascoltando i battiti dei loro cuori andare insieme, a trascorrere una serata insieme sedute davanti alla televisione guardando un film strappalacrime e mangiando una pizza…si risvegliò da quei pensieri solo quando avvertì qualcosa di morbido sfiorarle delicatamente le guancie…non appena alzò gli occhi lucidi di lacrime si accorse della mano di sua madre che le accarezzava il volto dolcemente, asciugandole le piccole lacrime che inconsapevolmente le stavano scendendo lungo le guancie…sua madre la stava osservando con una luce negli occhi nuova, come se fossero tornati a splendere dopo tanto tempo, come se il velo di tristezza che li aveva velati fino a quel momento stesse finalmente scomparendo per lasciare spazio agli occhi nuovi di una donna nuova a sua volta. Senza nemmeno sapere come Cece si ritrovò tra le braccia della madre, abbracciata a lei come da bambina…non sapeva cosa fosse quella sensazione di calore che sentiva irradiarsi dal petto per tutto il corpo ma le piaceva, e un sorriso le spuntò sul volto facendola illuminare mentre le lacrime riprendevano a rigarle le guancie…sapeva che anche sua madre provava le sue stesse emozioni perché si era accorta dei fremiti che percorrevano il suo corpo e si trasmettevano al suo..non erano i loro corpi a tremare, ma i loro cuori…Cece non seppe per quanto tempo rimasero così, l’unica cosa che sia lei sia sua madre sapevano era che non si sarebbero volute staccare mai da quell’abbraccio…da troppo tempo ne sentivano il bisogno, da troppo tempo non stavano così bene, conscie del loro essere fragili ma al tempo stesso consapevoli di potersi sostenere a vicenda…da troppo tempo non erano più madre e figlia…
 
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Ed eccoci al secondo capitolo di questa storia che da tanto tempo desideravo scrivere…a grandi linee è già tutta nella mia mente, il difficile è riuscire a trascriverlaJ Spero che fino ad ora vi sia piaciuta e che non sia risultata noiosa, soprattutto il racconto del passato che Cece e sua madre hanno alle spalle…ma credo che sia un tassello fondamentale per capire la vicenda perciò mi scuso se l’avete trovata poco interessante ma ci tenevo molto …grazie mille a tutte le 67 persone che hanno letto il primo capitolo, mi scuso vivamente per il ritardo ma durante queste vacanze non ho mai avuto un po di tempo per me tra il lavoro estivo, il campo scuola e gli amici J Sarò immensamente felice di leggere qualche recensione, se vorrete, perché essendo questa la mia prima FF (siate clementi perché sono consapevole di non essere una scrittrice fantasmagorica ma mi piace molto scrivere e vorrei migliorare) vorrei ricevere da chi è più esperto di me consigli e avvertenze per i prossimi capitoli che SPERO non tarderanno ad arrivare J Vi abbraccio forte, Sara x.
 
 
  
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