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Autore: JustNiki    01/09/2013    1 recensioni
*ATTENZIONE: questa storia è il sequel di "Un amore in prima pagina" *
Hope e Niall erano distanti. Sempre più distanti. Era stata Hope a volere che ciò accadesse. Ma Niall?! Lui cosa voleva?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un amore in prima pagina '
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Ci sono persone che sono legate da un elastico e non lo sanno.
Ad un certo punto prendono e partono, ognuna per la sua strada, ognuna per fatti suoi, e l’elastico le lascia fare, le asseconda, al punto che di quell’elastico alla fine quasi ci si dimentica.
Poi però, arriva il momento estremo, quello al limite dello strappo, e l’elastico reagisce, non si spezza, anzi, piuttosto, con un colpo solo, violentissimo, le fa ritrovare di nuovo faccia a faccia.
 
 


 
 
Hope poggiò le sue valigie sul pianerottolo di casa e subito si sentì in pace. Le piaceva molto viaggiare ma la parte più bella di un viaggio, secondo lei, era tornare a casa. Davanti a lei, quei deficienti dei suoi due fratelli stavano litigando perché non si ricordarono chi aveva le chiavi di casa. Prima di partire avevano deciso di portare un solo mazzo di chiavi con loro ma ora non le trovavano. Hope si chiese come mai era stata così sprovveduta da lasciare che le chiavi le tenessero uno di loro due. Jack continuava a tastare l’interno delle tasche dei suoi jeans e del giubbotto. Prima i jeans, poi il giubbotto, poi ancora i jeans e così via… Come se le chiavi potessero comparire da un momento all’altro. Finn, invece aveva aperto le sue valigie e stava controllando all’interno se ci fossero le chiavi. Alzava le mutande e ci guardava dentro come se ci fosse un doppio fondo. Guardandoli ammutolita Hope si chiese “Perché? Perché proprio a lei?”
D’un tratto una chiave iniziò a girare la serratura dall’interno dell’appartamento e la porta si aprì.

<< Allora siete arrivati, finalmente! >> esclamò suo padre guardando prima i due gemelli, più vicini a lui, poi i suoi occhi si piantarono in quelli di Hope, nascosta dietro ai gemelli.
Lo sguardo di suo padre era indecifrabile, duro e fintamente dolce nello stesso tempo. Hope non si sentì più in pace e contenta di essere a casa. Ora le sue mani fremevano per la voglia di prendere in mano le sue valigie, scendere dalle scale e andarsene il più lontano da lì. Non era più in pace, un turbinio di emozioni le pervadeva il corpo.

<< Papà! >> disse Jack sorpreso << Non ci aspettavamo che fossi in casa, se no avremmo suonato il campanello! >>

George Harris si scostò dalla porta per lasciar entrare i propri figli e si avviò lungo il corridoio. << Oggi ho deciso di lavorare in casa visto che non c’era nessuno a disturbarmi. >> disse poi, schiarendosi la gola alla fine della frase.

George aveva un vocione rauco e forte e due gelidi occhi azzurri, che ci si aspetta da un generale tedesco. Però era un uomo sulla cinquantina, di bell’aspetto e curato, sempre vestito in giacca e cravatta poiché il suo lavoro lo richiedeva, e con banconote da 100 sempre presenti nel suo portafoglio, accanto alle immancabili 6 carte di credito. Hope conosceva bene quel portafoglio, poiché nei due anni che aveva passato in casa con suo padre e quella sottospecie di barbie che si ritrovava per moglie, ci aveva messo mano di nascosto parecchie volte, ritrovandosi poi nei casini con suo padre. In quei due anni, di cui a Hope non piaceva parlare, si era comportata da vera e propria figlia ricca e strafottente ma, come la psicologa lo aveva chiamato, quello era “ un periodo di richiesta di attenzioni” mentre per Hope era solo un modo per farla pagare a quello stronzo di suo padre che non l’aveva minimamente
calcolata per bene dieci anni.

Hope e George non si degnarono della minima attenzione per tutta la giornata. “Ti pareva” pensò Hope. Cosa si aspettava che la degnasse di qualche attenzione? E poi davvero Hope voleva delle attenzioni da parte di suo padre?
Quando Hope scese per cena trovò Jack e Finn intenti come al solito a fare il nuovo video per youtube, di suo padre in sala non c’era traccia.

<< Io vado di là a cucinare qualcosa. Chi ha fame? >> i due trogloditi seduti davanti alla scrivania alzarono le mani immediatamente.
Dirigendosi in cucina, Hope sentì un profumino pervaderle le narici e vide suo padre davanti ai fornelli con un grembiulino da donna di casa.

<< Non ti avevo mai visto sotto queste spoglie. >> gli disse Hope, cogliendolo di sorpresa.
George non si era accorto che sua figlia era lì. Appoggiata allo stipite della porta con le braccia conserte e gli occhi puntati su di lui. << E’ una cosa nuova! >> disse lui.

<< Come mai? Quando stavo da te, la cucina era solo un elemento d’arredo. Mi ricordo che non ho mai visto cucinare te e tanto meno la barbie. >> disse acida.

<< Non chiamarla barbie! Comunque è proprio grazie a lei se ho cominciato a cucinare. >>

<< Ah! Ti sta mettendo in riga! >> disse Hope gustandosi la scena di suo padre che cercava maldestramente di girare la frittata nella padella.

<< Più che altro è per la bambina… >> disse sovrappensiero George, ricordandosi poi che sua figlia non ne sapeva nulla. Si maledì mentalmente per aver aperto bocca senza pensare. Si girò a guardare Hope terrorizzato dalla reazione che avrebbe avuto.

Hope si staccò dalla parete a cui era appoggiata e avvicinandosi a George disse << Quale bambina? >>

<< Hope… non avevo intenzione di fartelo sapere così! Sono venuto qui a Londra apposta per dirvelo ma pensavo di farlo in un altro modo…. >> disse George cercando di giustificarsi e prendere tempo per gestire la reazione di Hope, che sapeva non sarebbe stata contenta.

<< Quale bambina?? >> lo interruppe Hope alzando il tono della voce. Cazzo, odiava quando gli faceva delle domande e lui la ignorava. Jack e Finn, intanto, allertati dal tono alto della sorella, corsero a vedere cosa stava succedendo.
George trovandosi di fronte tutti e tre i suoi figli non riuscì a proferire parola. Aveva un aspetto da dure (?) generale ma di fronte a quei tre si sentiva una piccola formichina bloccata in una scatola tenuta in mano da tre giganti, pronti a fargli del male. Ma sapeva che in fondo quel male se lo meritava, soprattutto da Hope.

<< Quale bambina??? >> chiese nuovamente Hope di fronte al silenzio di George, e il tono della sua voce si alzò ancora di più. Fu ciò che indusse Jack a metterle una mano sulla spalla cercando di calmarla. Jack e Finn ancora non capivano. Di cosa stavano parlando quei due? Quale bambina? Non poteva essere che…

<< Emily è incinta! >> disse finalmente George, facendo un bel respiro per trovare il coraggio.

Gli occhi di tutti e tre i suoi figli si spalancarono increduli della notizia appena ricevuta. << Incinta? >> chiesero all’unisono Jack e Finn mentre Hope non aveva parole. Semplicemente era incredula che quell’uomo avrebbe avuto un’altra figlia e l’avrebbe trattata come aveva fatto con i tre precedenti. Non era capace di fare il padre e non meritava di esserlo. Non voleva che sua sorella soffrisse come aveva sofferto lei. Non voleva una sorella in questo modo.
Hope non resistette più e se ne andò. Non aveva più fame, aveva solo un gran mal di testa e sentiva che stava per scoppiare a piangere. Mille interrogativi offuscarono la sua mente. George voleva un’altra figlia? Perché? Voleva rimediare a come aveva trattato lei e i gemelli? Come poteva pensare che si sarebbe comportato in modo diverso con questa nuova figlia? Come? Forse si sarebbe comportato diversamente perché questa nuova figlia non era Hope! Non l’aveva avuta con sua madre ma con la barbie. E l’odio e la rabbia offuscarono ancora di più la mente di Hope. Perciò si chiuse in camera, si buttò sul letto e iniziò a urlare contro il cuscino mentre le lacrime rigavano il suo viso. Il mal di testa pian piano diminuì così come si fecero sempre più leggeri e radi i pensieri nella sua testa e Morfeo le diede il benvenuto nel suo mondo.
 




Quando quella mattina si svegliò con i capelli appiccicati sul viso e sopra le coperte, Hope si sentiva tutta indolenzita. Era caduta nel sonno ma non si poteva dire che aveva dormito bene. Si alzò contro voglia, avrebbe voluto rimanere a letto tutto il giorno ma purtroppo doveva lavorare. In quei giorni rimpiangeva i tempi in cui andava al liceo e poteva decidere di restare a casa e darsi malata per un giorno. Si lavò e si  vestì contro voglia. Ora aveva solo bisogno di una grande tazza di caffè.

George era in cucina, poggiato contro il lavandino a bere la sua calda tazza di caffè. La sera prima era stata uno schifo. Dopo Hope anche i gemelli se ne erano andati senza proferire parola, lasciandolo solo con la sua frittata. Aveva fatto una frittata sia letteralmente che retoricamente parlando. Aveva combinato un bel casino. Era così bravo al lavoro e nella vita sentimentale a gestire le persone e parlarci ma quando si parlava dei suoi figli era un completo disastro. Vide Hope entrare assonnata in cucina con i capelli scompigliati. Indossava una grande felpa che la copriva fino alle ginocchia, sembrava pronta per andare a fare jogging non per andare al lavoro.

<< Hai intenzione di andare al lavoro conciata così? Poi non ti lamentare se ti licenziano! >> disse scrutandola dall’alto verso il basso.
In quel momento Hope aveva solo voglia di avventarsi addosso a quell’uomo odioso e strappargli tutti i capelli grigi e ben pettinati che si ritrovava.

<< Hai intenzione di iniziare a fare il padre dopo così tanto tempo? Poi non lamentarti se i tuoi figli non sono euforici all’idea di vederti! >> disse sarcastica. Poi uscì furiosamente dalla cucina e si sbatté la porta di casa alla spalle. Si sarebbe fermata da qualche parte a prendere un caffè.
 
<< Allora quando ci vediamo? >> chiese Perrie dall’altro capo del telefono.
 
<< Aspetta un attimo, Pez! >> disse Hope poggiando il cellulare sul tavolino di Starbucks e mettendo lo zucchero nel bicchiere. Poi riprese il cellulare lo mise tra l’orecchio e la spalla e con in mano il bicchiere uscì dal bar. << Cosa stavi dicendo scusa? >> disse aumentando il passo, altrimenti sarebbe arrivata tardi al giornale.

<< Quando ci vediamo? Oggi tornano i ragazzi e stasera Zayn mi ha promesso una serata a lume di candela. >> disse Perrie addolcendo il tono. Hope si staccò disgustata il bicchiere dalla bocca, improvvisamente sentiva di avere il diabete.

<< Beh… se vuoi oggi pomeriggio. Meno sto in casa, meglio è! >> rispose immediatamente dopo.

<< Da quando ti fa così schifo stare in casa? >> chiese Perrie.

<< Ti spiego dopo. Alle quattro, stesso posto! >> disse entrando nella sede del Times.

<< Ok, acida! A dopo! >> disse Perrie prima di darle un bacio rumoroso attraverso il telefono. Il fischio che arrivò alle orecchie di Hope le diede fastidio facendola rabbrividire e poi chiuse la chiamata.
 




 
Quando finalmente arrivò a casa si buttò sul divano. Le piaceva stare con Perrie ma quella ragazza la stancava da morire, soprattutto quando le parlava di Niall. Al solo pronunciare il suo nome Hope si sentiva tremendamente agitata e stanca di sentire quel nome che le dava emozioni che doveva nascondere prima agli altri e poi a se stessa. Perrie le aveva detto che si erano visti ai Teen Choice Awards e lui le aveva chiesto di Hope. Insomma si erano visti appena due giorni prima e chiedeva di lei? Per infierire il sorriso di Perrie mentre la guardava agitarsi e far di tutto per nascondere le sue emozioni la faceva innervosire. Hope non capiva cosa le succedeva. Com’era possibile provare così tante emozioni una dietro l’altra. Era come se la sua anima si dividesse in tante parti e ognuna cercava di emergere sopra l’altra. Non si sentiva libera ma costretta ad essere razionale. Le sue emozioni cercavano di affogare la sua razionalità come dei naufraghi in mare durante una tempesta che spaventati cercano di appoggiarsi l’uno all’altro cercando la salvezza ma ottenendo solo confusione e rischiando di affogare.

Ora, sdraiata sul divano, Hope si sentiva, invece, come se tutta quella confusione fosse svanita e le sue emozioni galleggiavano senza vita trascinate dalla corrente che quella tempesta aveva scatenato. Quella “pace” – se così la possiamo chiamare – durò poco. Giusto qualche minuto. Giusto il tempo che separò il ritorno a casa di Hope dal ritorno a casa di suo padre.

George si chiuse la porta alle spalle e lasciando la sua ventiquattrore nel corridoio si avvicino al divano dove Hope si era sdraiata. Posizionandosi davanti le disse << Hope, dobbiamo parlare! >>

Hope aprì gli occhi che aveva chiuso nella speranza che suo padre credesse che stava dormendo e decidesse di non svegliarla e mettersi a discutere. Perché sapeva che prima o poi sarebbe arrivato quel momento. George era un tipo pratico, o almeno ci provava, e ogni santa volta doveva mettere in chiaro le cose anche se con Hope non ci era mai riuscito. Tutti i loro litigi iniziavano con delle urla e finivano con delle porte che sbattevano consentendo ai due di tornare a far finta di niente. Non c’erano mai state delle scuse o degli abbracci rincuoranti tra padre e figlia. Mai.

<< Non voglio parlare. Ho mal di testa! >> rispose Hope.

<< Non mi interessa! Io devo dirti delle cose e tu mi stai a sentire! >>

<< Infatti! A te non interessa mai di quello che voglio o non voglio io! Quindi mi sembra logico dirti che a me non interessa sentire le cose che hai da dirmi! Finiamola di far finta di interessarci l’uno all’altra! >> rispose lei alzandosi dal divano pronta a chiudersi l’ennesima porta alle spalle, quella della sua camera.

<< No! >> il tono di voce di suo padre si fece forte e Hope si bloccò per lo spavento. Non era abituata a sentire il tono autoritario di un padre e quelle poche volte che lo sentiva, le gambe le tremavano e non riusciva a far un passo in più. Perciò, dando le spalle a suo padre chiuse gli occhi e cercò di trovare il coraggio per andare avanti. Ma George continuò  << Questa è casa mia, quindi fai quello che ti dico io! >>

Questo fu troppo per Hope. George aveva ragione. Quella era casa sua. L’aveva pagata lui. Quindi lei doveva stare ad ascoltarlo oppure andarsene. La seconda opzione fu quella definitiva. Ignorando le continue urla di suo padre che la seguiva, entrò nella sua stanza, raccolse qualche vestito che mise in borsa e questa volta si chiuse un’altra porta alle spalle. Quella di casa. Finché l’uomo si fosse trovato lì, lei non ci avrebbe più messo piede.
 
 
 


Mentre camminava per le strade di Londra sotto un cielo sempre più scuro continuava a pensare a quello che suo padre le aveva detto la sera prima e un’ora prima. Ormai era quasi un’ora che camminava con le cuffiette dell’ipod nelle orecchie. Non sapeva dove stava andando, ma i suoi piedi continuavano a porsi uno di fronte a l’altro. Erano loro a guidarla. Si stava facendo buio, era stanca e doveva trovare un posto per andare a dormire. Fece un veloce calcolo mentalmente dei soldi che aveva dietro con se e capì che non ne aveva abbastanza per pagarsi una stanza d’albergo, non in quella zona, almeno. Dove poteva andare? In un ostello, no certamente. Le faceva ribrezzo dover passare la notte con gente che non conosceva e chissà che abitudini aveva o cosa poteva fare o farle. Da Perrie, non poteva assolutamente andare. Non le avrebbe rovinato la cena con Zayn. Pensò agli amici di suo fratello ma aveva il numero solo di Marcus e Zoe, ed entrambi non erano a Londra, sarebbero tornati solo il giorno dopo. Improvvisamente si fermò di camminare, si girò a destra e riconobbe quella casa. Forse lui era la sua unica opportunità al momento. Poteva chiedergli un favore anche se non era sicura che avrebbe accettato. Salì le scale e quando arrivò davanti alla porta fece per suonare ma ritrasse subito il dito. Non poteva andare da lui. Sarebbe stata una situazione imbarazzante. Ecco perché si girò e mentre stava per scendere le scale, quella voce famigliare la bloccò.

<< Hope! >> disse Niall, con un po’ di fiatone. Stava passando vicino alla finestra quando vide Hope di fronte alla porta di casa sua e si mise a correre, pronto ad aprirle.
Hope si girò. Le lacrime iniziarono a pizzicarle gli occhi in quel momento. Ma perché?

<< Ciao! >> rispose Hope girandosi verso Niall e abbassando la testa. Gli occhi le pizzicavano sempre di più.
Niall le si avvicinò e quando erano a pochi centimetri l’uno dall’altra le mise due dita sotto il mento e le alzò il viso, nonostante la forza che Hope metteva nel contrastarlo.

Eccola la forza dell’elastico che era stato tirato troppo. All’inizio si era abbandonato alla loro volontà e gli aveva permesso di tirare e tirare ma ora aveva reagito. Aveva reagito e le due calamite ora erano faccia a faccia, più strette che mai.
Vedendo gli occhi gonfi di lacrime di Hope, Niall non potè fare altro che stringerla forte a se. Così forte che il corpo di Hope si annullò quasi in quello di Niall. Come la pelle ricopre i muscoli per proteggerli, Niall ricoprì Hope.

 
 
 
 
 
Angolo autrice.... 
Ciaooooooo meraviglie? Come va? Todo bien? 
Io sto aggiornando da "incazzata nera" e tra l'altro tra dieci minuti dovrei uscire di casa per andare a bere qualcosa con degli amici ma visto che piove mi sa che la serata salta ( ed io sono anche già vestita! )
Anyway, a voi non interessa! 
Cosa ne pensate del capitolo????????? 
FINALMENTE questo elastico ha riavvicinato i NOPE!!! ( Yuppiii! *esulta* ) Siete contente? 
Invece avete visto il rapporto tra Hope e George?! Come ve lo immaginavate George? 
Fatemi sapere ....... 


*Angolo pubblicità! 
Vorrei consigliarvi una OS molto bella. Si chiama "She will be loved", è ispirata ad una canzone dei Maron5 (nel caso non lo sapeste) ed è anche una delle mie canzoni preferite.
Qui il link alla storia: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2102459&i=1

Poi c'è una mia nuova long su Louis che si chiama "Perfect oddities" ( che significa stranezze perfette)! Ne sono molto orgogliosa, sinceramente quindi PASSATEEEE! 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2099222&i=1

UN BACIONE!! 
- Nicholl 



 
   
 
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