Perché mi sono
stancata di aspettare, perché leggere troppo Dan Brown
e Ken Follet lascia il
segno, perché amo i Beatles e il nostro sociopatico iperattivo, perché Doyle mi ha ispirato notevolmente e perché amo Londra, che
ancora per un anno non visiterò.
Insomma, una post-Reichnbach di diciassette capitoli molto fantasiosa.
Ci sarà tutto e tutti, teoria di salvataggio Sherlock
compresa. Ed è un thriller, e tutto ciò che questo titolo comporta. *uomo
avvisato mezzo salvato*
È nata come storia
romantica di qualche capitolo, ma si sa cosa succede fantasticandoci sopra
troppo. Ergo, è un thriller-romantico(?). Ci sarà anche un po’ di Johnlock (una volta nel giro non si esce più), e anche
qualcosa John/Mary, ma il pairing principale è un
altro.
Avviso subito che
mi sono tuffata in un mondo (l’MI5) che conoscevo a
malapena, quindi è tutto molto romanzato.
Dimentico qualcosa?
Ah sì, la cosa più importante, forse. La storia si svolge attorno a un enigma
che il nuovo (bah, chissà) cattivo di turno propinerà a Sherlock. Spero di aver
costruito bene la storia e che qualcuno riesca a risolverlo anche prima della
spiegazione finale.
Detto questo non mi resta che augurarvi una
buona lettura.
A voi l’ardua sentenza,
Gage.
A Sofia, perché c’è,
A Giulia, perché ama Londra anche
più di quanto la ami io,
A Michela, perché senza di lei
probabilmente non avrei mai visto questa serie,
E a Bibi, perché…
perché sì.
Because I’m only a crack in this castle of glass
Hardly anything left for you
to see
For you to
see
(Castle of
Glass, Linkin Park) [1]
HACKER
Prologo
«Ciao, Molly...»
La ragazza, che stava
tranquillamente uscendo dopo un’altra giornata di duro lavoro, per poco non
sbatté la testa al muro per lo spavento. Si girò di scatto verso la voce e
inorridì. «Che cosa...? Io... Che
cosa ci fai tu qui?» balbettò.
«Ho bisogno del tuo
aiuto...»
Molly si passò una
mano sulla fronte pallida. «Del-del mio aiuto?»
«Sì... per Sherlock...»
A quel nome Molly
sembrò illuminarsi. «Sherlock... Dovrebbe volere il mio aiuto?»
«Per favore, Molly. È in
pericolo...»
La ragazza sembrava
essersi improvvisamente pietrificata.
«...di vita.»
***
Il buio opprimeva la
strada al di là del vetro appannato dal suo alito, ma
Sherlock non stava guardando fuori. Aveva gli occhi chiusi, e pensava. Pensava
a tutto quello che stava accadendo là fuori e a quello che poco prima aveva
capito. Moriarty voleva ucciderlo.
Si malediva per non
averci pensato subito, era talmente ovvio. Se solo avesse avuto quell’intuizione un po’ prima, magari avrebbe avuto molto
più tempo per organizzare tutto e molte più possibilità di rendere quel piano
sicuro, assicurandosi una vincita. Ma ora, la sua vita
stava giungendo a un termine troppo velocemente e il tempo scarseggiava. Se
solo un piccolissimo particolare del suo piano andava storto, poteva rimetterci
la vita. E lui non doveva morire. Il perché di quella convinzione non lo
sapeva, ma sapeva per certo che non avrebbe consegnato
la vittoria a Moriarty su un piatto d’argento.
Un altro pensiero che
continuava a ronzargli in testa era John. Cosa doveva
fare con lui? Tirarlo in mezzo o lasciarlo andare per la sua strada? Avrebbe
saputo mentire?
Avrebbe
potuto sparire per
mesi, anni… forse non sarebbe mai tornato. Fu proprio quel pensiero a fargli
capire cosa doveva fare. Non lo avrebbe tirato in
mezzo. John lo avrebbe ucciso se mai un giorno sarebbe
tornato, lo sapeva, ma quella era la scelta più saggia, più logica.
Respirò a fondo.
Mycroft avrebbe
assicurato la riuscita del suo piano, lui poteva farlo. Non avrebbe rifiutato
la sua richiesta di aiuto: Sherlock ne avrebbe volentieri fatto a meno di
Mycroft, ma non poteva negare che con il suo appoggio avrebbe avuto un asso
nella manica. Il fratello era l’unico che avesse modo di aiutarlo, in quel
momento. E, anche se odiava ammetterlo, lui aveva bisogno di aiuto in quel
momento. Avrebbe odiato il suo sorrisetto di “te lo avevo detto che prima o poi avresti avuto bisogno di me” che sarebbe
comparso sul volto del fratello. Ma non poteva farne a
meno, come non poteva fare a meno di Molly. Ma dopotutto era stata lei ad offrirgli il suo aiuto, no?
Un suono spezzò il
silenzio, ma non erano i passi che Sherlock stava aspettando. Era l’ultima cosa
che aspettava di sentire: il suo cellulare.
Con un gesto spazientito lo tirò
fuori dal cappotto, aspettandosi un messaggio di John, forse di Lestrade, al
peggio di Moriarty, ma quello che vide lo lasciò per un attimo perplesso.
(8:23 pm)
Hai
bisogno di aiuto? A
Qualcosa di indefinibile
gli strinse lo stomaco in una lieve morsa che il detective riuscì subito ad
allontanare, ormai abituatoci. Si costrinse a concentrarsi sulle parole del
messaggio, allontanando a forza i ricordi che minacciavano di prendere possesso
della sua mente. Lui aveva bisogno dell’aiuto di Mycroft, nessun altro.
(8:24 pm)
Io
penso di sì. A
Il cellulare suonò
nuovamente nella sua mano.
Strinse l’apparecchio
con forza, forse per non vedere il tremore alla mano, per illudersi che fosse
solo un brutto scherzo della sua mente.
Per una delle poche
volte in vita sua Sherlock non sapeva cosa fare. Il suo istinto gli diceva di
rispondere affermativamente, la logica di ignorare i
messaggi; qualcosa di indefinito gli diceva che era quello che aspettava da
quasi due anni.
E alla fine fu l’istinto a prevalere,
insieme alla logica che, alla fine, aveva formulato il pensiero che il suo
aiuto era utile.
(8:26
pm)
Ok
Per la seconda volta
in pochi minuti si sorprese, perché il suono che aveva appena sentito non
veniva dalla sua mano, non era un messaggio indirizzato a lui dopo la sua
risposta, no, quel suono veniva da dietro di lui.
Si girò lentamente per
poi posare gli occhi su ciò che già sapeva avrebbe
visto.
Lei era lì, accanto
alla porta chiusa: aveva ancora il cellulare in mano e aveva appena finito di vedere
la risposta alla sua domanda. Doveva essere scivolata all’interno della stanza
mentre era immerso nei suoi pensieri, e lui non l’aveva sentita.
Un lieve sorriso comparve sulle labbra
della donna, poi mise il cellulare nella tasca dei pantaloni. Alzò lo sguardo
su di lui e i suoi occhi castano scuro incontrarono
quelli azzurri e attenti di lui. «Qual è il tuo
piano, Sherlock?»
***
“One, Two, Three, Four
Can I have
a little more?
Five, Six, Seven, Eight, Nine, Ten
I love you.
A, B, C, D
Can I bring
my friend to tea?
E, F, G, H, I, J
I love you.
Sail the ship, Jump the tree
Skip the rope,
Look at me
All together now....” [2]
Sherlock si chiuse la porta alle spalle, mentre udiva per la
prima volta in vita sua quella canzone.
«Oh... eccoci qui, finalmente!». Moriarty sedeva sul
cornicione, il cellulare in mano e la canzone a tutto volume. «Io e te Sherlock... e il nostro problema, il problema
finale...»
Alice si rigirava con trepidazione
il cellulare tra le mani, appoggiata tranquillamente alla portiera di un camion
rosso della lavanderia. Osservava alcuni uomini caricare su di esso sacchi di
coperte e lenzuoli sporchi provenienti direttamente dall’ospedale.
Era nervosa, non poteva
negarlo, ma anche estremamente eccitata.
Aveva pensato a tutto
per mesi e ora stava per iniziare la parte più divertente di
quel folle piano.
Sherlock si avvicinò lentamente.
«All together now! È così noiosa... no?»
Sherlock non rispose, limitandosi a guardarsi intorno.
«È qualcosa di piatto...» Come a enfatizzare le sue parole, Moriarty tese una mano in avanti.
Poi
se la passò sul viso.
Un nuovo messaggio.
(7:22
pm)
Il
cadavere è pronto.
«Per tutta la mia vita ho cercato delle distrazioni...» continuò Moriarty, «Tu eri quella migliore, e ora non
ho più neanche quella! Perché ti ho battuto...!»
Sherlock lo guardò vagamente stupito.
«E la sai una cosa? Alla fine è stato abbastanza semplice...
elementare... ora devo tornare a giocare con le persone comuni... e a quanto
pare anche tu sei come loro!»
Alice abbandonò il
camion e varcò l’ingresso del pronto soccorso, dirigendosi poi a passo
cadenzato lungo il marciapiede.
La gente camminava
tranquilla lungo la strada, per la maggior parte ignara di ciò che stava per
accadere.
Alzò per un attimo lo
sguardo al tetto. Vide distintamente la figura in controluce di un uomo seduto
sul parapetto. Strinse i pugni con forza.
Sherlock tamburellò con le dita sul dorso della mano.
«Bene... hai capito anche quello»
«I colpi sono cifre, ogni colpo è un uno, quando stai fermo è
uno zero, è un codice binario. Per
questo quegli assassini volevano salvarmi la vita. Era nascosto in me, nella
mia testa. Semplici stringhe di codice informatico che si introducono
in qualsiasi sistema».
«L’ho detto ai miei clienti, l’ultimo che arriva è una
femminuccia».
«Sì... è ora che l’ho capito posso usarlo per alterare i registri.
Posso uccidere Richard Brook e riportare in vita Jim
Moriarty!»
L’uomo lo osservò, forse in attesa di una continuazione.
Quando questa non venne scosse la testa sconsolato.
«No, no, no... è troppo semplice, troppo semplice!»
Sherlock sembrò non capire.
«Non c’è nessuna chiave... SEI UN IDIOTA!» urlò.
«Quelle cifre non hanno significato, nessun valore!»
Il cellulare suonò
nuovamente all’arrivo di un altro messaggio.
Alice scaricò velocemente le
immagini riconoscendo subito dopo il volto dell’uomo a bordo del taxi.
(7:30
am)
Non
ancora a Baker Street
diceva poi l’sms.
«Allora come hai fatto...»
«...ad entrare in banca nella torre
e in prigione? Un furto alla luce del sole!» Alzò la
voce, spazientito. «Bisogna trovare dei collaboratori!
Sapevo che avresti abboccato... È la tua debolezza. Vuoi che tutto sia
intelligente. Finiamo il gioco a questo punto, un ultimo atto finale. Hai
scelto un edificio alto, è un bel modo per farlo.»
«Farlo...? fare
che cosa...» poi capì. Si girò lentamente verso Moriarty. «Massì certo...
il mio suicidio.»
«Geniale detective si rivela essere un impostore, l’ho letto sul giornale,
quindi deve essere vero. Adoro i giornali. Così come le favole...»
Sherlock salì sul cornicione e guardò di sotto.
«...anche quelle più spaventose...»
Moriarty gli si avvicinò.
Due figure si sporsero
dal cornicione.
Alice attraversò la
strada portandosi al marciapiede opposto. A quel punto, tenendo d’occhio
contemporaneamente il tetto e l’ingresso del pronto soccorso, indietreggiò. Era
ancora presto e non c’erano molte macchine in giro, così attraversò
tranquillamente la strada. Si fermò pochi metri dopo, in un punto
dove riusciva a vedere il tetto del Barts, il
marciapiede sotto di esso, l’ingresso del pronto soccorso e la strada dietro la
palazzina bassa di fronte all’ospedale. Un luogo semplicemente perfetto.
«Posso ancora provare che hai creato un’identità̀ del
tutto falsa...»
«Oh, buttati e basta, faresti molta meno fatica.»
Sherlock si agitò sul posto.
«Su forza... fallo per me.»
Sherlock si gettò su di lui, lo afferrò e lo tese nel vuoto.
«Tu sei pazzo...»
«E lo hai capito solo adesso... oh! Ok... lascia che ti dia un piccolo
incentivo. I tuoi amici moriranno se non lo farai».
«John...»
«Non solo John... no... uno per uno!»
«La signora Hudson...»
«Tutti quanti...»
«Lestrade.»
«Tre proiettili, tre assassini, tre vittime, e non è
possibile fermarli ora.»
Ennesimo messaggio.
(7:34
am)
Appena
uscito da Baker Street.
Sherlock lo tirò su di scatto.
«A meno che non ti vedano saltare.
Puoi anche farmi arrestare, puoi anche torturarmi.
Puoi fare tutto ciò che vuoi con me. Ma niente li fermerà dal
premere il grilletto. I tuoi unici amici al mondo moriranno. A
meno che...»
«A meno che non mi tolga la vita,
per completare la tua storia.» concluse Sherlock per lui. Moriarty annuì.
«Bisogna dirlo... è molto sexy.»
«Morirò nella vergogna.»
«Beh certo, lo scopo è questo. Guarda... hai anche il pubblico!
Dai... salta giù! Coraggio...»
E Sherlock salì sul
cornicione.
Alice alzò una mano e
fece un gesto come per scacciare una mosca.
Doveva trattenersi
ancora un po’: il dottore stava arrivando.
La tua morte è l’unica cosa che fermerà gli
assassini... e io non ho intenzione di fermarli.»
«Puoi darmi... un momento per favore?» chiese Sherlock.
(7:44
am)
Siamo
pronti.
(7:44
am)
Al
mio secondo squillo.
«Fai solo lo sbruffone... sei così ordinario. Sei una persona ordinaria
dalla parte degli angeli.»
«Oh... sarò anche dalla parte degli angeli, ma non pensare
neanche per un secondo che io sia uno di loro, Moriarty.» sibilò Sherlock.
«No... non lo sei!» esclamò d’un
tratto Moriarty. «Ora capisco, non sei ordinario!
No... tu sei me...» ridacchiò, «sei me! Grazie...
Sherlock Holmes...» gli tese una mano, con il sorriso
che gli si allargava sul volto.
Sherlock la strinse, lentamente, con esitazione.
«Grazie...» continuò Moriarty,
«Grazie! Dio ti benedica...»
Rimasero entrambi immobili, ancora un po’ in silenzio. Poi l’espressione
di Moriarty si fece triste.
«Fin quando sarò in vita potrai
salvare i tuoi amici, hai una via d’uscita...» Annuì, sovrappensiero.
Poi sorrise. «Allora buona fortuna!»
Nell’aria risuonò uno
sparo.
Pochi attimi dopo
Sherlock era sul cornicione, e guardava di sotto.
Un taxi si fermò a
pochi passi da Alice. La donna fissò impassibile un uomo scendere dall’auto e
rispondere a una chiamata sul cellulare.
Guardò in su verso Sherlock e lo vide con una mano all’orecchio.
Perfetto.
John avanzò verso l’ospedale
ma si bloccò e tornò indietro nel punto in cui Sherlock gli aveva indicato.
«Sherlock!» lo sentì dire.
Alice incrociò le
braccia al petto, mentre un uomo con addosso un
cappotto le si avvicinava. Lei gli indicò con un cenno della testa il dottore e
l’altro annuì, camminando poi con aria distratta verso di lui.
Intanto John si era
accorto dell’amico sul tetto e lo guardava.
Alice fece il primo
squillo.
«Io ho fatto delle ricerche... prima di incontrarti ho scoperto tutto il
possibile per impressionarti. Era un trucco, un semplice trucco...»
Il camion si affacciò
dall’uscita del pronto soccorso, come per accertarsi di avere la via libera per uscire.
Alice lo tenne d’occhio,
per poi spostare lo sguardo sui due uomini, alternativamente, chiedendosi se il
dolore che vedeva sul volto di John fosse lo stesso che provava Sherlock. E
sentì un’odiosa fitta al petto.
«Addio John.»
«No... non...»
Sherlock buttò il
cellulare alla sua destra.
Il segnale.
Alice fece il secondo
squillo.
«SHERLOCK!»
Ma l’urlo di John servì a poco.
Sherlock si buttò, e
Alice osservò i fili del piano ricucirsi insieme come al rallentatore.
Il camion rosso della
lavanderia passò, e Sherlock ci cadde sopra perfettamente sincronizzato. Nel
frattempo John aveva cominciato a correre quando l’uomo col cappotto gli si
avvicinò e lo prese per le spalle. John cadde a terra, privo di sensi.
Dalla vicina porta del
Barts uscirono di corsa tre
uomini, trascinando un cadavere con le esatte sembianze di Sherlock. Lo
sdraiarono nel punto in cui avrebbe dovuto cadere e
gli versarono addosso del sangue, poi si dileguarono come erano arrivati.
Gli infermieri già
pronti accorsero, insieme alla folla, tutti uomini e donne organizzati precedentemente.
John si risvegliò e
ricominciò a correre verso Sherlock. Le persone cercarono di trattenerlo, ma
lui riuscì a chinarsi sul cadavere e a sentirgli il polso. Ovviamente era
fermo, e John si lasciò andare all’indietro, barcollando.
Alice portò il
cellulare all’orecchio con un lieve sorriso sul volto. «È tutto tuo,
Molly...»
La ragazza dall’altro
capo della cornetta era agitata e rispose con parole frettolose e sconclusionate.
«Grazie. Accertati che ci credano
tutti, soprattutto Mycroft. Poi fai la tua parte.»
«Sì, Alice, so cosa
devo fare.»
Alice sorrise, «Ne
sono certa...» e chiuse la comunicazione. Oltrepassò
la palazzina e camminò sul marciapiede verso il punto prefissato, quando il
cellulare squillò ancora una volta. L’ultima.
«Jim Moriarty è morto…
ora il gioco si fa avvincente.» commentò sarcasticamente la voce.
«È tutto a posto. Sherlock
è qui.» disse Alice, ignorando completamente la
frase dell’uomo. «Buona fortuna...» aggiunse con una
smorfia.
La comunicazione si
spense, ma non prima che Alice potesse avere modo di sentire una risata sommessa.
Con un sospiro affrettò
il passo e si avvicinò alla macchina che la aspettava poco lontano, alla quale
si appoggiava l’uomo dal cappotto blu scuro. Alla sua vista aprì lo sportello
ed entrò.
Alice andò al lato
sinistro del veicolo ed entrò al posto di guida. Mise in moto l’auto e passò un
piccolo fagotto a Sherlock, silenzioso al suo fianco. Questi lo prese con una
smorfia. Sembrava voler dire qualcosa, ma non lo fece. Al contrario, con uno
sbuffo, si mise il cappello da caccia in testa.
Alice sorrise
sommessamente e premette col piede sull’acceleratore.
Mentre partiva, però,
alzò ancora una volta lo sguardo al tetto del Barts.
Non poté non notare il punto nero su di esso.
Fece marcia indietro e si allontanò a
velocità calcolata, con la certezza che un paio di occhi castano chiaro la
stessero fissando dall’alto.
***
La chiamata arrivò all’improvviso.
«Sì... ho capito sì...» borbottò Mycroft Holmes al cellulare. Chiuse la
comunicazione e si lasciò cadere sulla poltrona.
Si passò una mano sul volto: aveva
sbagliato tutto.
Note:
[1] Perché sono l’unica
crepa in questo castello di vetro
Non c’è
quasi nient’altro che tu riesca a vedere
Che tu
riesca a vedere
Consideratela la colonna sonora del racconto.
[2] Uno, due, tre,
quattro
Posso averne un po’
di più?
Cinque, sei, sette,
otto, nove, dieci
Ti amo.
A, B, C, D,
Posso portare un
mio amico a prendere il the?
E, F, G, H, I, J
Ti amo.
Naviga con la nave,
salta sull’albero
Salta la corda
Guardami
Tutti insieme adesso...
All together now,
Beatles. (No, non è Staying alive *risata malefica*)
Dialogo tra Moriarty e
Sherlock e tra John e Sherlock preso dalla 2x03 – The Reichenbach
Fall.