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Autore: BlackEyedSheeps    05/09/2013    2 recensioni
Era lei.
Lei che cercava di confondersi fra la folla, di mimetizzarsi con la rumorosa fauna turistica, di seguire un gruppo di persone di cui aveva appena intuito le traiettorie, ma una volta che Clint aveva agganciato l'obiettivo, difficilmente se lo lasciava sfuggire.

[Clint/Natasha]
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Maria Hill, Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Compromised'
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Dovunque tu vada, ti sarà richiesto di fare cose che ritieni sbagliate. È una condizione costante della vita quella di essere costretti a violare la propria identità. Una volta o l'altra, ogni creatura vivente si trova costretta ad agire così. È l'ultima ombra, la disfatta della creazione. Questa è una maledizione che alimenta tutta la vita. Dappertutto nell'universo.

(Philip K. Dick - "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?")

 

 

 

New York City, USA
S.H.I.E.L.D. Central
Ore 13:52

 

Le luci al neon della stanza cominciavano a dargli fastidio.

Non un angolo buio, non un’ombra in cui trovare riposo. Si chiese se quello non fosse che l’inizio delle sue punizioni.

Valutò se gli fosse almeno concesso alzarsi, abbandonare quella scrivania asettica e muoversi per la stanza. Se non altro, gli avevano risparmiato la gabbia degli interrogatori.

Non era però del tutto certo che quello fosse un vantaggio o un buon segno.

Aveva visto uscire da lì persone che allo SHIELD non avevano più messo piede: ragazzoni integerrimi e donne d’acciaio, spezzati, screditati, ricollocati, rimossi.

Socchiuse gli occhi, sentendosi solo estremamente esausto. Jat lag, ore di sonno perse, scarsa alimentazione, eccessivo esercizio fisico. Gli stessi sintomi che lo affliggevano alla fine di ogni missione. Solo che stavolta non avvertiva lo stesso vago sentimento di stanca soddisfazione. Non si pentiva di quello che aveva fatto, quello no, ma il mal di stomaco che lo aveva tormentato a Lisbona, a Varsavia e che era riuscito a sedare per più di quarantotto ore, adesso era tornato, impietoso e dolorosamente familiare.

Non riusciva a contare solo sulle dita di una mano le volte che aveva riconosciuto in quel disagio fisico, il suo disagio mentale. Sperava di averlo recluso per sempre, ma si trovò a constatare che forse, non se ne sarebbe andato mai.

Presto si trovò a ripercorrere tutti gli avvenimenti che lo avevano condotto fin lì, su quella sedia, in quella stanza, di nuovo a New York.

 

Coulson non gli aveva rivolto la parola nemmeno una volta durante il trasferimento. E l’ultimo stralcio che aveva intravisto di Natalia era stato all’atterraggio del volo; la stavano scortando da qualche parte, lontano da occhi indiscreti.

Cercò di nuovo di comprendere le motivazioni del proprio gesto, di trovare le parole adatte per spiegare formalmente la sua decisione, ma sebbene si sforzasse, nulla riusciva a smuoverlo dalla convinzione che avesse agito per puro istinto. A causa di una sensazione.

E valla a spiegare quella sensazione al capo. Vagli a raccontare che Natalia gli ricordava te stesso, anni prima.

Fury non si faceva incantare da storielle emotive. O da presentimenti insensati.

 

La porta si aprì nel momento stesso in cui la luce tornò a ferire i suoi occhi.

Fecero il loro trionfale ingresso il direttore Fury e l’agente Maria Hill.

Non gli era andata poi tanto male, si trovò a pensare con sarcasmo. Non v’era traccia di Coulson. Troppa grazia sperare che inviassero una delle poche persone con cui aveva reale confidenza all’interno dell’organizzazione. Sciocco anche solo sperarlo: sapeva come andavano le cose nell’ambiente. Il fatto che fossero proprio le due maggiori autorità dello SHIELD a presenziale al cordiale dialogo lo lanciò nello sconforto. Difficile però che fosse percepito.

 

“Agente Barton.” Esordì Fury, voce all’apparenza pacata, ma sguardo duro, severo, animato da qualcosa di indefinibile. Nemmeno il minimo cenno a mettersi comodo. Altro segnale negativo.

Cercò di smettere di farne la somma.

“Signore.” Fu la secca risposta, mentre si rimetteva in piedi.

“Stia comodo, Barton”, fu la voce della Hill ad interrompere l’idillio. “Abbiamo diverse cose da chiarire.”

Davvero? Pensavo fossimo qui per giocare all’impiccato.

Fece quello che gli era stato chiesto, senza una protesta. Un po’ in attesa d’impiccagione, però, ci si sentiva davvero.

“Violazione del protocollo, negligenza, insubordinazione, insufficienti spiegazioni riguardo l’impiego di mezzi specifici dello SHIELD…”, l’elenco sembrava piuttosto lungo. “Le prove sembrano essere sufficienti per assicurarle una sospensione immediata.”

Se quella era una minaccia la faccia della Hill la rendeva anche peggio.

“Per non parlare del sospetto di un presunto tradimento ai danni dello SHIELD, che si concretizza con la collaborazione del soggetto che le era stato ordinato di eliminare.”

Gli ci volle un enorme sforzo di volontà per non contraddire quell’ultima affermazione.
Tradimento. Il mal di stomaco non fece che aumentare.

Si concentrò sulla parola soggetto. Si sorprese a pensare che Natalia tutto era, fuorché un semplice soggetto.

“Dovrà fornirci spiegazioni molto più che convincenti per evitare l’espulsione dall’organizzazione o… il carcere.”

Se non altro la gelida Hill gli aveva presentato le opzioni su un vassoio, in bella vista. Nessun giro di parole o false promesse.

Sentiva su di sé l’opprimente sguardo di Fury e, probabilmente, quello spietato e meccanico delle telecamere.

Non era sicuro di avere il permesso di parlare e tacque finché la donna non riprese.

“Qualsiasi informazione possa esserci utile a chiarire questa spiacevole situazione sarà apprezzata.”

Spiacevole situazione? Apprezzata? Si stava rivolgendo a lui così come ci si rivolge al cospetto di un misero testimone oculare? Con la differenza che, nel suo caso, non ci sarebbe stato alcun rilascio con tanto di pacche sulle spalle.

Lanciò uno sguardo a Fury e si pentì di averlo fatto. Parlare ora, sarebbe stato ancor più arduo.

“Si limiti a raccontare i fatti.”

I fatti… già, quali erano i fatti?

Si schiarì la voce e cercò una sistemazione meno scomoda sulla sedia. Cercò un punto nella stanza che non lo costringesse a guardare i suoi castigatori, senza darne l’impressione e recuperò il contengo.

“Ero stato incaricato di raggiungere Lisbona, dopo la comunicazione che la Vedova Nera aveva cambiato destinazione”, cominciò. “Sono riuscito a individuarla rapidamente, a pedinarla. Studiavo le sue mosse per evitare di commettere errori. Mi è sembrata stanca e sospettosa, ho immaginato ci fosse qualcosa di molto più concreto di un depistaggio per un così repentino cambio di rotta.”

Inspirò a fondo, sentendo il peso di quella confessione incombere su di lui. Le conseguenze avrebbero potuto rivelarsi molto più che disastrose. Stava mettendo in gioco non solo la sua carriera, ma la sua redenzione, la sua esistenza.

“Ho temuto di esser stato scoperto, ma le mie sensazioni si sono concretizzate con l’arrivo di una squadra di uomini. Probabilmente emissari dello stesso mandante che aveva incaricato Natalia di rubare i piani di San Paolo.” Deglutì a fatica, sentiva la gola secca. “E’ stata attaccata da una quindicina di uomini, ho pensato che forse non sarebbe stato necessario il mio intervento ma la donna è riuscita a sbaragliarli tutti. Non senza conseguenze, ma ancora abbastanza in forze per recuperare una macchina e scappare a Sintra.”

La Hill non sembrava impressionata, Fury manteneva il suo silenzioso, freddo contegno.

“Mi sono lanciato all’inseguimento, pronto a concludere la missione. Ammetto di essere rimasto impressionato. Ero curioso. Erano anni che non mi capitava di osservare un soggetto tanto preparato al combattimento corpo a corpo che possedesse una tale dimestichezza con le armi. Questo ha rallentato le mie mosse.”

“Sta dicendo, agente Barton, che le ha risparmiato la vita solo perché è rimasto colpito dai suoi talenti?” intervenne la Hill, frenando il suo fiume di parole. “Sarebbe servito ricordarle che si trovava al cospetto di una ex spia, che offriva le sue prestazioni ai servizi segreti russi?”

Se voleva farlo passare per uno stupido… ci stava riuscendo alla perfezione.

“Non ho detto questo, agente.”

“E allora cosa? Cosa le ha dato l’idea di prendere l’iniziativa e trasgredire un compito che le era stato assegnato?”

Il ronzio che avvertiva alle orecchie non era sufficiente a fornirgli una risposta soddisfacente.

Sospirò qualcosa, sentendosi completamente sopraffatto dagli eventi.

“Nondimeno a imbarcarsi in una missione parallela che prevedeva il recupero dei file sottratti a San Paolo.”

“Se sta insinuando che le mie intenzioni erano quelli di agevolare Natalia Romanova nella realizzazione del suo lavoro…”

“Non sto insinuando niente, agente Barton. Sto chiedendo. Avanti allora, mi spieghi. Mi spieghi perché non ha portato a termine il suo compito, mi spieghi perché si è lasciato coinvolgere nel recupero di quei piani.”

Di nuovo quel mal di stomaco, quel sentore di nausea, quello schiacciante senso di colpa e quella paura. Rialzò inaspettatamente lo sguardo su Fury. Il suo unico occhio, un dardo puntato nella sua direzione. Divertente associazione per un arciere.

“Perché Natalia Romanova potrebbe essere un valido elemento al servizio dello SHIELD. Perché recuperare quei piani per poi riconsegnarli alla nostra organizzazione avrebbe potuto rappresentare il primo passo per dimostrare le sue intenzioni. Non si è sottratta alla mia proposta.”

“Oh, capisco, una ladra, un’assassina, un sassolino nello stivale degli Stati Uniti… considerato un valido elemento al servizio dello SHIELD”, si intromise la donna. Il suo tono era volutamente canzonatorio. “E non ha pensato, che il fatto di mettersi nelle sue mani sia stato solo un modo per liberarsi degli uomini che la braccavano? La certezza di poter quantomeno sopravvivere all’ombra della promessa dello SHIELD?”

Lanciò alla donna uno sguardo ostile: “Magari sì. Sebbene proprio lo SHIELD le abbia sguinzagliato dietro un sicario. Magari si è sentita messa alle strette. Magari ha trovato l’alternativa più succulenta di una facile morte. Quali che siano le motivazioni che l’hanno spinta a farlo, non sta a me giudicarle, quello dovete chiederlo a lei.”

La Hill, per la prima volta, apparve confusa.

“Posso rispondere per quello che riguarda me solo.” Incalzò. “Vuole sapere perché l’ho risparmiata? Per gli stessi motivi per cui lo SHIELD ha pensato che io stesso fossi un elemento abbastanza valido da correre il rischio. Perché a volte qualcuno ha bisogno che gli vengano offerte seconde possibilità.”

“Oh, per l’amor del cielo, non siamo un’associazione di beneficienza, agente Barton!”

“Non sto parlando di beneficienza, agente Hill. Sto parlando della possibilità di reintegrare una persona che ha già lavorato per i servizi segreti. Sto parlando di una persona che ora è allo sbaraglio e, a causa di alcuni evidenti errori, si è inimicata troppi pezzi grossi. Che non è al servizio di nessuno e che probabilmente è attaccata alla vita più di quanto pensiate se ha deciso di non spezzarmi il collo e rinunciare a cedervi quei files, frutto del suo lavoro.”

“Il suo datore di lavoro l’ha tradita. Quei progetti sarebbero comunque andati persi.”

“Quei progetti avrebbero potuto essere valida merce di scambio per altri acquirenti, altrettanto interessati allo sviluppo di armi di nuova generazione”, la zittì e poi prese fiato.

Era esausto e il mal di stomaco si era tramutato in un malessere diffuso che ora gli comprimeva anche le tempie in una morsa nauseabonda.

“Non intendo continuare a difendere Natalia Romanova. Avete abbastanza elementi per valutare quali siano state le mie di motivazioni. Il resto sta a voi.”

Maria Hill serrò le labbra in una smorfia severa.

Il diretto Nick Fury non aveva smesso un solo istante di guardarlo.

 

 

Collocazione sconosciuta
Base dello S.H.I.E.L.D.
Ora indefinita

 

La luce al neon continuava a tremolare sopra la sua testa. La stanza era piccola, soffitto scuro, falsi specchi su ogni parete, mura isolanti: fuori, lontano dal suo sguardo, fuori dalla portata dei suoi orecchi, il mondo dello SHIELD si muoveva.

Non sapeva quanto tempo fosse trascorso dalla brusca conclusione della missione improvvisata a Varsavia: le ore si erano confusamente susseguite le une alle altre. Era quasi del tutto certa che le avessero somministrato un leggero sedativo, probabilmente per prevenire una qualsiasi ritorsione azzardata, per impedirle di capire dove fossero diretti. La paura e l'ansia stavano facendo il resto: la stretta allo stomaco non accennava a lasciarla andare, mentre scenari più o meno catastrofici si delineavano davanti ai suoi occhi.

La consapevolezza che non l'avrebbero uccisa – le pareva improbabile che lo SHIELD avrebbe optato per giustiziarla quando ormai l'avevano in custodia – invece che consolarla, finì solo per agitarla di più: se toglierla di mezzo non era più un'opzione, le alternative rimaste erano solo tre. Una, tenerla prigioniera e lontana dal mondo per evitare che tornasse a crear loro problemi; due, riprogrammarla per renderla più adatta ai loro scopi e assicurarsi la sua cieca lealtà, prima di rimandarla sul campo; tre, fidarsi di lei a prescindere, valutare la sua affidabilità, offrirle un lavoro.

Più pensava alla seconda, più rapidamente il panico le serpeggiava in petto.

A peggiorare le cose c'era il pensiero dell'agente Barton – così l'aveva chiamato l'ometto in completo elegante – al quale, per quanto avesse potuto constatare, non era stato riservato nessun trattamento preferenziale. L'avevano portato via proprio come avevano fatto con lei, con la sola differenza che uno era un loro agente, l'altra una spia nemica.

Si sentì terribilmente stupida per aver dubitato di lui. Fino all'ultimo minuto, aveva preso in considerazione ogni eventualità, rifiutando con ostinazione la più semplice di tutte: Barton era sincero, aveva disobbedito agli ordini, le aveva offerto un lavoro senza il permesso dei suoi superiori, e adesso ne avrebbe pagato le conseguenze.

Non importava quante volte si ripetesse che non era colpa sua, che l’uomo aveva agito di testa sua, che non era stata lei a supplicarlo di risparmiarla... il senso di colpa era lì, e nemmeno tutta l'angoscia che provava in quell'istante riusciva a soffocarlo.

Trasalì impercettibilmente quando la porta della stanza si aprì, lasciando entrare l'uomo che li aveva intercettati a Varsavia. Visto da vicino, gli occhi cerchiati al posto degli occhiali da sole, sembrava ancora meno offensivo. Portava con sé un grosso fascicolo. Natalia si mosse nervosamente sulla sedia alla quale le avevano immobilizzato le gambe, i polsi ammanettati ad una sbarra fissata sul tavolo che le stava davanti.

L'uomo non disse niente: scostò la sedia libera dall'altra parte, ma rimase in piedi. Aprì il fascicolo, cominciò a tirarne fuori una foto dopo l'altra, disponendole ordinatamente sul tavolo. Fu chiaro ad entrambi che ce ne sarebbe voluto uno molto più grande per contenere tutti quegli scatti. Prese, allora, a sistemare le foto le une sulle altre, finché il fascicolo non fu svuotato. Solo quando ebbe finito, l'agente prese posto davanti a lei.

Per quanto si stesse impegnando a mantenere la solita facciata gelida, Natalia fu costretta a trattenere il respiro: davanti ai suoi occhi si stendeva un mare di rosso, un macabro collage fatto di sangue, pupille pallide, corpi rigidi. Le sue vittime.

“Si è tenuta occupata, signorina Romanova”, esordì, lo sguardo placido, il tono tranquillo, quasi amichevole. Credevano seriamente che mandarle un ometto dall'aria simpatica l'avrebbe resa più incline a parlare? Gli rivolse un'occhiata vacua, rifiutandosi di commentare. Pensavano di destabilizzarla, forse, mettendola faccia a faccia col grottesco frutto delle sue azioni? Nessuno conosceva e ricordava quelle facce meglio di lei. Nessuno.

“Sappiamo che è in possesso di capacità ben precise”, riprese l'uomo. Una ruga di disappunto gli si aprì sulla fronte, i tendini del collo si tesero, chiaro segno che ciò che stava per dire lo repelleva. “Ci chiedevamo se non avesse utilizzato queste capacità sull'agente Barton”, riuscì a formulare, senza smettere di guardarla negli occhi. Non era uno sguardo sfrontato, solo... fastidiosamente calmo e cortese. Il che, considerata la domanda che le aveva appena fatto, era piuttosto impressionante.

Natalia fu sul punto di ribattere che l'agente Barton era vivo e vegeto quando li avevano trovati a Varsavia, ma si interruppe prima ancora di poter aprire bocca: non era questo che volevano sapere. Le venne inspiegabilmente da ridere.

“Mi stai chiedendo se ho corrotto l'agente Barton col sesso?”, non nascose né la nota di derisione nella voce, né rinunciò al dargli del tu, giusto per mettere in chiaro cosa ne pensasse esattamente di quella ridicola situazione e degli equilibri di potere in atto. L'uomo si limitò a guardarla, confermando tacitamente i suoi sospetti. Si rifece seria, sforzandosi di non dare a vedere quanto agitata e preoccupata fosse realmente.

“Se l'avessi fatto”, pronunciò a voce bassa. “A quest'ora non sarei qui a parlare con te.”

Il sesso – e soprattutto la promessa di quello – era uno strumento potente: da quando si era lasciata alle spalle gli anni della Red Room, anni in cui non aveva avuto voce in capitolo riguardo alle tecniche da usare per raggiungere gli scopi prefissatele da altri, era riuscita a farne a meno. Non era contraria al suo uso, tutt'altro: il suo corpo, ogni sua parte, era un'arma. Ciascuna con una funzione precisa. Per Natalia non c'era molta differenza tra il prendere a calci un uomo, o ingannarne un altro con la promessa del proprio corpo. In entrambi i casi, però, pretendeva di fare le proprie scelte, assecondare le proprie intuizioni.

“Agente Phil Coulson”, rispose l'uomo. “E' il mio nome”, specificò a titolo informativo, sovrappensiero, come per farle capire che sapeva che non le sarebbe interessato, ma che ci teneva a farglielo sapere comunque.

Coulson riprese il fascicolo, adesso semivuoto, sfogliandolo distrattamente.

“La sua è una situazione piuttosto singolare, signorina Romanova”, confessò. “Se decidesse di collaborare, sono sicuro che migliorerebbe sensibilmente.” Fece una breve pausa. “Sia per lei che per l'agente Barton.”

L'espressione disinteressata di Natalia mutò impercettibilmente alla menzione di Barton. Che ne avevano fatto? E in quanti guai si trovava, esattamente? Le pareva impossibile che fossero tanto duri con uno dei loro, di un uomo di cui evidentemente si fidavano a tal punto da affidargli un compito tanto delicato.

“Il comportamento di Barton confonde tanto me quanto voi”, decise di dire, ricacciando indietro quel principio di preoccupazione che non faceva altro che aggravare il suo stato mentale, già terribilmente precario. Continuava a lanciare occhiate sospette alla porta, come aspettandosi che, da un momento all'altro, uno squadrone di camici bianchi sarebbe arrivato a portarla via per farle dimenticare chi fosse, per renderla un'altra. Di nuovo.

Quando tornò su Coulson, l'uomo la stava osservando con espressione curiosa, il che non fece altro che agitarla di più.

“L'agente Barton tende ad essere imprevedibile”, sembrò concordare con lei, rivolgendole un vago sorriso.

“Non è un problema mio, se non riuscite a controllare i vostri”, si sentì dire, inorridendo al principio di terrore che riusciva a sentire, chiaro e lampante, nella propria voce.

Coulson fissò il suo sguardo su di lei: più che uno che scavava per trovare ciò di cui aveva bisogno, sembrava il tipo che aspettava che la verità venisse fuori da sola, pazientemente, quando meno te l'aspettavi.

“Qual è stata l'ultima volta che qualcuno ha fatto qualcosa per lei, signorina Romanova?”

Natalia sentì il proprio cuore perdere un battito. Mosse rabbiosamente i polsi, riempiendo la stanza del tintinnio metallico delle manette fissate alla sbarra.

“L'agente Barton ha agito per sedare la propria coscienza, non per salvare la mia”, sibilò, contenendo a malapena il nervosismo. Non l'aveva fatto per lei. Non l'ha fatto per me, si ripeté quasi ossessivamente.

“Posso assicurarle che l'agente Barton è perfettamente in grado di mettere da parte la propria coscienza quando le circostanze lo richiedono”, insistette lui, con calma, come se la situazione non lo turbasse minimamente.

“Che cosa vorrebbe dire?”

“Che quello che ha fatto, l'ha fatto per lei.”

“Non ho bisogno che mi si faccia alcun favore”, stabilì, assumendo un tono petulante che la fece suonare pericolosamente come una bambina.

“La situazione attuale racconta una storia diversa, signorina Romanova.” La mise di fronte alla verità con assoluta padronanza di sé. La cosa cominciava a darle sinceramente sui nervi. “Se è arrivata fin qui è perché si è fidata dell'agente Barton.”

Natalia si mise a ridere. Una risata scomoda, piena di disagio, che si spense subito.

“Non esiste un solo uomo su questa terra di cui mi fidi”, sputò le parole con rabbia e risentimento.

Coulson fece una breve pausa, muovendosi appena contro lo schienale della sedia.

“Mi rendo conto che il suo trascorso dev’essere stato piuttosto difficile, signorina Romanova. La prego di credermi quando le dico che non la biasimo affatto.”

Stavolta strattonò le manette con una foga tale da far cigolare i bulloni con cui la sbarra era fissata al tavolo.

“Il mio passato non la riguarda affatto”, ribatté.

L'agente non parve particolarmente impressionato dallo scoppio di rabbia.

“Quanti anni ha, signorina Romanova?” le chiese invece.

“Ha importanza?”

“A dir la verità no, non ne ha. Le confesso che ero solo curioso.”

Gli rivolse un'occhiata perplessa, trovando sempre più difficile nascondere il proprio nervosismo. Non aiutava il fatto che l'uomo le paresse sincero.

Piombò il silenzio per un lunghissimo attimo, durante il quale Natalia osservava le proprie mani con ossessiva attenzione, e Coulson rifletteva, prendendo in considerazione qualcosa di non meglio specificato.

“Non è troppo tardi per cambiare vita. Non dev'essere per forza così.” Fu lui a parlare per primo, un cambiamento appena riconoscibile nel suo modo di parlare. “Lo so che fa paura, ma non è impossibile.”

“Non ho paura”, sentì se stessa ribattere con urgenza. Una menzogna talmente evidente da farle provare una vergogna infinita. Coulson sorrise.

“Sarebbe un assetto interessante al servizio dell'organizzazione, signorina Romanova. Il suo curriculum è impressionante. Il reintegro, però, non è possibile se lei non decide di collaborare.”

Reintegro, pensò, come un malato mentale che viene rispedito in società?

“Senza contare che la sua collaborazione, come le ho già detto, dimostrerebbe che l'agente Barton non si è sbagliato sul suo conto... che non si è lasciato guidare da motivazioni meno valide.” Inspirò a fondo, intrecciando le braccia al petto. “Mi fido ciecamente dell'agente Barton, e non sono il solo a farlo. Purtroppo, però, c'è anche gente che la pensa diversamente.”

Si sporse leggermente sul tavolo, verso di lei: “Mi aiuti a convincerli che si sbagliano. Mi aiuti ad aiutarla, signorina Romanova.”

Tutte quelle offerte di aiuto nel giro di pochi giorni, la confondevano e insospettivano fino a farla sprofondare nella paranoia più assoluta. Aveva sempre dovuto fare tutto da sola: la cieca obbedienza alla Red Room prima, il dover pensare a tutto quando aveva deciso di liberarsene, il peso e la pressione di un gioco troppo difficile da giocare da sola. Non c'era molto lavoro per una spia provetta a cui piaceva lavorare in proprio. Avrebbe avuto bisogno di soldi e aiuto, avrebbe avuto bisogno di un sostegno, avrebbe avuto bisogno di informatori, avrebbe avuto bisogno di cose drasticamente fuori dalla sua portata. E se non avesse fatto quello, allora che altro?

Si torturò il labbro inferiore fino a sentire il sapore del sangue. Restò in silenzio a tormentarsi con mille possibilità e una sola via d'uscita, finché non fu troppo.

“Va bene”, esalò a voce bassissima, esausta, inudibile. “Ma alle mie condizioni.”

L'agente Phil Coulson sorrise.

 

 

 

New York, USA
S.H.I.E.L.D. Central
Ora indefinita

 

La stanza che gli avevano affibbiato gli ricordava una cella. Le guardie all’esterno facevano da cornice alla sua perversa quanto profetica fantasia.

Non aveva la più pallida idea di quanto tempo fosse passato dall’interrogatorio e forse nemmeno lo voleva sapere. Si era sdraiato sulla branda in preda a una spossatezza che non lo accoglieva da tanto, ed era crollato in un sonno senza sogni.

Ora fissava il soffitto, cercando di impedirsi di ripercorrere tutte le tappe più o meno scomode del suo colloquio.

L’implacabile rigore della Hill, il silenzio critico di Fury e le parole che gli uscivano, una dopo l’altra senza che fosse totalmente padrone della conversazione.

Sospirò qualcosa, domandandosi che cosa ne sarebbe stato di lui. Per ora, la staticità asettica della camera gli pareva perfetta per descrivere la sua situazione.

 

Era già successo che si trovasse in una situazione del genere. Anni prima, dopo che lo SHIELD aveva deciso di testare le sue capacità, la sua tolleranza alle regole, il suo equilibrio mentale.

In attesa di una valutazione. Sotto suggerimento dell’agente dello SHIELD che lo aveva ripulito dalla bassezza in cui era precipitato e riportato di nuovo alla luce.

 

I suoi ricordi furono interrotti dal rumore del chiavistello. La maniglia che veniva abbassata, la porta che si apriva.

Rialzò pigramente la testa, ancora abbastanza stordito da non registrare immediatamente chi era venuto a disturbare il riposo del guerriero.

Coulson.

Si issò sui gomiti, e non seppe dire per quanto tempo rimasero a fissarsi l’un l’altro, prima che uno dei due si decidesse a interrompere quella spessa coltre di silenzio.

“Ti hanno strappato la lingua, Barton?” esordì all’improvviso Coulson, mentre la porta si richiudeva silenziosamente alle sue spalle.

“Non ancora”, Clint scoprì di avere la voce ancora impastata di sonno. “Fosse stato per la Hill sarei passato direttamente alla gogna.”

Coulson non sorrise, ma si avvicinò di un passo, sistemando gli occhiali da sole, che ancora stringeva in mano, nel taschino della giacca.

Il silenzio dell’uomo era forse peggio di qualsiasi tortura avessero in mente per lui.

“Non giudicherei così duramente i tuoi superiori”, rispose dopo un lungo attimo d’attesa.

Era venuto a fargli la predica o a dargli la notizia che avrebbe passato il resto dei suoi giorni fra le quattro mura di una cella?

 

“Sei stato scagionato dai principali capi d’accusa.”

Clint si trovò a rimettersi seduto e lanciare a Coulson uno sguardo incredulo.

“Chi… ?”

“Fury.” Fu la secca risposta. “Ha appoggiato la tua versione con tanta convinzione che il consiglio ha ceduto.”

Il mal di stomaco, la spossatezza, il groviglio spasmodico che gli attanagliava le membra sembrò sciogliersi, allentare la presa.

“Come… ?”

“Hanno creduto alle tue motivazioni.”

“E… Natalia?”

“E’ entrata nel programma di reintegro. Previo accertamento.”

“S-Stai scherzando?”

“Ti sembro uno che ha l’aria di scherzare?”

“Tu non hai… mai l’aria di uno che scherza, anche quando lo fa.” Si concesse la prima battuta.

“Questo è un colpo basso.”

Barton scorse il primo baluginio d’intesa dall’inizio della loro conversazione, e si concesse un sorriso esausto.

“Coulson…” doveva dire qualcosa, e possibilmente qualcosa che non fosse una mezza frase stordita dall’incredulità. “Mi…”

“No.” Venne bruscamente interrotto “Non voglio sentire niente che assomigli a delle scuse.”

“Ma devo. Ho approfittato della tua fiducia e…”

“E il risultato è stato più che soddisfacente.”

Clint non poté far altro che rivolgergli l’ennesima occhiata colpita.

“Ho rischiato di venire espulso. Arrestato. Avrebbero potuto accusarti di complicità.”

“Ma non è successo.”

“Ce la stai mettendo tutta per zittirmi.”

“Sarebbe anche ora. Siamo qui per svolgere il nostro lavoro, Barton. Tu non hai fatto altro che portare a termine il tuo. Non con le direttive imposte dallo SHIELD, ma lo hai fatto. Abbiamo portato a casa capra e cavoli senza morti sulla coscienza, recuperato forse una pecorella smarrita, mi spieghi di che cosa vuoi incolparti ora?”

Clint ci mise un po’ troppo a rispondere ma alla fine lo fece: “Di nulla.”

“Bene”, concesse Coulson. Per la prima volta dal suo ingresso, anche lui apparve stanco. Clint era convinto che non solo Fury si fosse schierato a suo favore, in quella faccenda. “Sei libero di andare adesso. Ti hanno concesso tre settimane di congedo, c’è bisogno che gli animi si plachino allo SHIELD e che tu recuperi forze e lucidità mentale.”

Clint si rimise stancamente in piedi, recuperò la giacca, abbandonata sull’unica sedia della stanza e fece per seguire Coulson.

“Ehi Phil…”, l’uomo si voltò un po’ sorpreso da quell’attimo di improvvisa familiarità “Grazie.”

Gli lanciò uno sguardo interrogativo.

“E di cosa?”

“Per essere stato un buon maestro.”

 

 

 

 

 

~~~~~~~~~

 

 

**NEL PROSSIMO CAPITOLO**

 

Dagli stralci di conversazioni che aveva colto durante quel mese trascorso allo SHIELD Central, Natasha aveva capito che la maggior parte degli agenti credeva che fosse arrivata fin lì semplicemente perché aveva sedotto, ammaliato e manipolato l'agente Barton, con grande sorpresa e delusione dei sostenitori di lui: come poteva un agente tanto competente essersi lasciato giocare così da una ragazzina?

 

**

 

Ti diverti a spaventare le matricole?” l’arrivo di Coulson gli strappò un sorriso.

Non ho potuto farlo al liceo...”

Non starli ad ascoltare.”

 

**

 

Credo che tu gli piaccia”, riprese lui, girando il suo caffè con una lunga palettina di legno. “A Fury, intendo. Avete entrambi questo sguardo un po'...” Provò a mostrarle che razza di espressione avesse in mente. Fallì miseramente. “Solo che lui ha un occhio solo.”

 

 

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