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Autore: kenjina    07/09/2013    2 recensioni
- Betulla sequel -
«Vedo che anche oggi ti sei dato da fare. Trascorri più tempo rinchiuso lì dentro, piuttosto che nella Sala del Trono, mio Re.»
Thorin fece una smorfia ironica. «Sai bene quanto non mi piaccia stare con le mani in mano.»
«Ebbene, non sarò certo io a trascinarti lontano dalla fucina tirandoti per un orecchio!» Balin strizzò un occhio, porgendogli una pergamena. «Ma forse c’è qualcuno, là fuori, che avrà il potere di osare ben oltre.»
L’altro si voltò per guardare l’anziano Nano, che aveva ora tutta la sua attenzione. Prese il rotolo di carta ancora chiuso ed osservò con interesse la cera che lo sigillava: era un albero incorniciato da sette stelle, con una corona alata in alto.
Era lo stemma di Gondor.

(tratto dal secondo capitolo)
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Buon sabato a tutti!

Aggiorno con un po’ più di anticipo perché questa è come la seconda parte del capitolo precedente, e non volevo lasciar trascorrere troppo tempo tra l’uno e l’altro.

A memoria credo che sia leggermente più corto degli altri – e questo perché in realtà era un unico capitolo con il sesto, ma ho preferito dividerli per non farvi leggere un mattone e ho ingrassato un po’ questo. :)

Spero vi piaccia – piacerà un po’ meno ai Nani, che si ritroveranno nell’ennesima dannata foresta. ;)

Grazie a tutti coloro che leggono, commentano, preferiscono, seguono e ricordano. :)

Buona lettura!

Marta.

 

 

Pietra

-  sequel di Betulla -

 

 

 

07.

 

13 Settembre 3019 T. E.

 

Boromir salì in groppa al suo cavallo e attese che anche gli ospiti che lo avrebbero seguito facessero altrettanto. Era felice all’idea di rivedere Faramir dopo parecchi mesi, così come era incuriosito dal lavoro che il fratello e gli Elfi stessero facendo in quella sua bella terra. Avrebbe voluto che al suo fianco ci fosse anche Brethil, che visitassero insieme le verdi foreste della sua regione; invece, al suo posto vi trovò Legolas e Gimli, e quasi gli venne da ridere.

«Che c’è di così divertente?» gli domandò il Nano, scettico.

Lui scosse il capo. «Sono felice che siate qui con me. Ma dovreste vedere gli occhi di chi vi sta guardando ora.»

Gimli osservò le occhiate della sua stirpe e si rese conto che l’essersi seduto sullo stesso destriero di Orecchie a Punta non si fosse rivelata un’ottima mossa. «Beh, intanto quello che è in bilico su uno stallone cavalcato da un Elfo sono io, ragazzo. Mi sembra tutto fuorché divertente. Vai e capisci l’umorismo di Gondor!»

«Non è che soffri di vertigini, messer Gimli?» domandò Fili, con un sorriso birichino in volto. «Nel caso, il segreto è il non guardare in basso.»

«E se l’Elfo dovesse correre troppo da farti sbalzare dalla sella, afferrati ai suoi capelli.» proseguì Fili.

Legolas si voltò, le labbra arricciate bonariamente verso l’alto. «Oppure posso afferrarlo io per la barba, giacché il Nano è abituato a salvataggi simili.»

Gimli divenne più rosso dei suoi capelli e di quelli dei gemelli, maledicendolo in Khuzdul e promettendogli di tagliargli la lingua a suon di ascia se non avesse smesso di metterlo in imbarazzo.

In quell’aria gioiosa e lieta, si recarono alle barche, che avrebbero percorso un breve tratto dell’Anduin verso sud, affinché raggiungessero celermente le colline degli Emyn Arnen, dove sire Faramir risiedeva con i Raminghi dell’Ithilien. Lì, avrebbero soggiornato una notte e due giorni, per poi spostarsi finalmente verso Minas Tirith.

«Non sono mai salita su una barca così grande.» ammise con timidezza Trán, osservando il grande veliero in legno che mostrava fieramente le vele spiegate al vento. «In realtà, non ero mai salita su una barca fino ad un mese fa.»

Gli Uomini sul ponte li salutarono con gioia e abbassarono la passerella che gli avrebbe permesso di salire a bordo, con cavalli e pony al seguito.

«Oh, noi invece abbiamo grande esperienza di fiumi e rapide, vero fratello?» domandò Kili.

«Certo, e chi se lo scorda! Non capita tutti i giorni di rotolare dentro delle botti di vino vuote, giù per le cascate e le rapide!»

Legolas, che li udì, si voltò verso di loro. «Ci coglieste tutti di sorpresa, quella volta. Lo Hobbit ebbe una grande idea, altrimenti sareste ancora nostri prigionieri. Ma fortunatamente siete coriacei, e ne usciste illesi.»

Thorin grugnì al ricordo di quella fuga rocambolesca messa in piedi dal loro scassinatore. «Se per illesi intendi il non riuscire a muovere gli arti per la settimana successiva, dovresti rivedere il tuo vocabolario.»

L’Elfo, in risposta, rise.

«Ricordate il povero Bombur? Era così esausto che lo trovammo svenuto nel suo tino.»

Kili annuì. «Sì, e ricordo anche che, essendo gli unici ancora in forze, fu nostro il compito di trascinarlo di peso sulla spiaggia.»

«Non ho mai sentito parole peggiori uscire dalla tua bocca come quelle che dissi quel giorno, zio.» rise l’altro.

Thorin si lasciò scappare un sorriso di divertimento e i suoi occhi brillarono per un istante. Trán, che se ne accorse, pensò che avrebbe dovuto farlo più spesso. Ma vide bene di tenere i suoi pensieri per sé.

Scesero dai loro destrieri, che fecero riposare all’interno della stiva dove erano state preparate le stalle; poi tornarono in superficie, affacciandosi al parapetto per godere lo spettacolo di quelle terre che avevano sognato da tanto tempo.

Un Uomo vestito di bianco, con il simbolo della casa di Gondor in blu, si avvicinò alla compagnia, seguito da altri quattro, e dopo un lieve inchino si presentò. «Benvenuti a bordo del veliero di Osgiliath. Io sono Beregond, un tempo soldato della Terza Compagnia della Cittadella di Minas Tirith, e ora Capitano della Bianca Compagnia di Faramir, Principe dell’Ithilien e Signore degli Emyn Arnen. Loro sono Elegost, Anborn, Damrod e Mablung, e anche loro fanno parte dei Dúnedain di questa regione. Vi condurremo personalmente alla dimora dei nostri signori. Sentitevi liberi di fare ciò che più vi aggrada durante questo breve viaggio sul fiume, e se necessitate di qualsiasi cosa sono al vostro servizio.»

Boromir abbracciò l’amico, che era stato allontanato da Minas Tirith per ordine del Re per aver ucciso due Guardiani dei Luoghi Proibiti; egli, così facendo, aveva contribuito a salvare la vita di suo fratello, e non lo avrebbe ringraziato mai abbastanza per ciò che fece e rischiò quel giorno.

Il veliero si mosse poco dopo, spostandosi placidamente sulle acque calme dell’Anduin, che in quella zona proseguiva verso il mare con lentezza. Più volte Legolas aveva allungato lo sguardo verso sud, cogliendo il suono dei gabbiani in lontananza e il profumo della salsedine, che lo richiamavano come una falena verso la luce. I Nani più anziani decisero di rimanere con i tre membri della Compagnia dell’Anello e Beregond, per discutere di come i lavori stessero procedendo in quella parte di Gondor; i più giovani, invece, rimasero a prua, spensierati e divertiti, per guardare i pesci che saltavano sul pelo dell’acqua o a mirare la Bianca Città di Minas Tirith che si faceva sempre più vicina.

«Non dovreste stare lì, è pericoloso.» fece Trán, osservando Fili e Kili seduti a cavalcioni sulla polena.

«Dai, raggiungici, ti aiuto.» le disse il secondo, tendendole una mano. Ma lei non cambiò idea e rimase saldamente ferma dov’era; non aveva alcuna intenzione di suicidarsi cadendo in acqua – e la lezione di Thorin non l’avrebbe certo aiutata in un momento di panico. Ovviamente, l’impavido ed incosciente gemello li raggiunse poco dopo, lasciandola in tensione finché non tornò con i piedi per terra; e dovette trattenere con forza il piccolo Trión, che altrimenti sarebbe volato giù con il fratello.

Il viaggio durò poco più di un’ora. La distanza che dovevano coprire non era tanta, ma il vento soffiava poco e la nave procedeva lentamente, tanto che una ventina di uomini avevano dovuto iniziare a remare, cantando e dandosi il ritmo. Giunsero ad Harlond, il porto di Minas Tirith, epicentro di un’altra grande battaglia durante la Guerra dell’Anello; Gimli e Legolas raccontarono al resto dei Nani di come loro, il Re e i loro Uomini avessero conquistato i velieri nemici prima che questi raggiungessero la Città di Pietra. Parevano trascorsi anni, invece si trattava solo di pochi mesi.

I marinai di Harlond accolsero i nuovi arrivati, che scesero dal veliero nuovamente in groppa ai loro destrieri. Boromir e Beregond aprivano la colonna della fila, seguiti da Legolas, Gimli, Thorin e il resto dei suoi compagni; i Raminghi, silenziosi e avvolti nei loro mantelli, chiudevano la coda in fondo al gruppo. Cavalcarono per qualche miglio, finché non raggiunsero le pendici delle colline. Imboccarono un sentiero largo e non troppo ripido, che si snodava in piccoli tornanti, facilmente praticabile anche a cavallo. Così si ritrovarono immersi nella foresta degli Emyn Arnen, e la civiltà umana fu presto dimenticata alle loro spalle. Di quando in quando i resti di qualche rovina facevano mostra di sé nelle piccole radure, ricordi di vecchi avamposti militari ormai in disuso. Beregond raccontò loro che alcuni di essi sarebbero stati ricostruiti, soprattutto lungo i confini e sulle vette, dove sorgeva la casa dei suoi signori. Presto si accorsero di non essere soli, tra quegli alberi, e il suono melodioso di canti Elfici giunse alle loro orecchie.

«Sono i canti della mia terra.» disse Legolas con un po’ di nostalgia, osservando tra i tronchi e scovando alcune piattaforme in legno nascoste tra le fronde verdi, su cui alcuni della sua specie li osservavano incuriositi.

L’umore di Thorin scese sotto terra – oh, avrebbe pagato oro e pietre preziose pur di trovarsi davvero sotto terra, in quel momento! Non gli piaceva l’idea di essere nuovamente circondato da Elfi in una foresta; conservava troppi brutti ricordi di un’esperienza simile. Per fortuna quel labirinto di alberi non era così oscuro come il maledetto Bosco Atro, sicché il respiro non gli mancò mai.

Il percorso attraverso il sentiero battuto secoli prima proseguiva lentamente e senza soste, ma non durò molto. Smontarono a qualche centinaia di piedi prima dell’accampamento dei Raminghi, poiché se avessero avanzato più in alto non avrebbero trovato posto per i loro cavalli e pony. Il sentiero divenne lastricato dopo che ebbero attraversato un arco di rami e foglie, ingresso della residenza dei Signori dell’Ithilien. Dopo qualche passo si ritrovarono in una radura ben curata, ornata di fontane e fiori, su cui si affacciava la modesta casa del loro Signore. Sui gradini d’ingresso di quest’ultima li attendevano i Principi dell’Ithilien, che camminarono verso gli ospiti e si chinarono al loro cospetto; così fecero i Dúnedain schierati in due file ordinate.

La fragile bellezza della Bianca Dama dell’Ithilien, Éowyn, era sbocciata nuovamente dopo l’oscurità che aveva visto e l’aveva appassita; ella ora pareva un fiore in primavera, vestita di un candido abito e i biondi capelli intrecciati di fiori profumati. Esile, eppure forte come nessun’altra donna, era ritta e dignitosa accanto al marito, e tutti notarono la sottile lama che le pendeva da un fianco. I Nani ne rimasero incantati e fecero la conoscenza di colei che sconfisse il Re Stregone di Angmar.

«Benvenuti, mie cari amici. Aspettavamo con impazienza il vostro arrivo, e finalmente eccovi qui.» esordì Faramir, bello e sorridente nel suo completo bianco e blu. «Ho fatto preparare dei letti per voi, e se necessitate di un bagno caldo non dovete far altro che chiedere. I miei uomini sono a vostra disposizione.»

Thorin osservò prima lui poi il fratello, che lo scrutava con fierezza, e si stupì di quanto quei due si somigliassero. «Ti ringrazio della tua ospitalità, mio signore. È il nostro secondo giorno a Gondor e, nonostante siamo ben lontani dalla nostra patria, è come sentirsi ancora a casa.»

«Ne sono felice, Thorin figlio di Thràin. È un onore per noi. Ma ora, se siete d’accordo, potete recarvi ai vostri alloggi, posare i vostri averi, e raggiungermi qui in una mezzora. Pranzeremo insieme e mi racconterete del lungo viaggio che avete dovuto affrontare. Dopo, vi porterò a visitare le nostre colline, che stanno ritrovando parte dello splendore di un tempo grazie soprattutto all’aiuto degli Elfi Silvani di Bosco Atro.» E così dicendo, spostò lo sguardo su Legolas, che sorrise e chinò il capo.

«Fantastico, siamo circondati da Elfi anche qui.» mormorò indispettito Dwalin; Thorin lo zittì con un colpo di tosse.

«Mia moglie Éowyn sarà felice di scortarvi ai vostri alloggi.» proseguì Faramir, rivolgendo un sorriso alla donna che amava.

Così, i Nani seguirono la splendida Dama Bianca, lasciandosi momentaneamente alle spalle i fratelli di Gondor, Gimli e Legolas. Éowyn li condusse verso il retro della loro abitazione e, sorpresa!, davanti a loro si aprì una terrazza su Gondor e il Grande Fiume, che pareva un nastro argenteo sotto la luce delle undici. Alcune robuste tende erano state montate sul belvedere, tutte rigorosamente bianche.

«Temo che non amiate dormire sugli alberi.» fece la donna, guadagnandosi l’approvazione di tutti. «Stiamo ancora costruendo l’ala per gli ospiti, quindi riposerete qui, se per voi non è un problema.»

Thorin scosse il capo. «Abbiamo dormito in situazioni ben peggiori, mia signora.»

«Molto bene, allora. Ma mi è giunta voce che ci siano una signora e un giovanotto, tra voi.»

La Nana arrossì. «Signorina, dama Éowyn.»

La bella di Rohan sorrise, e le porse una mano. «Per voi due ho preparato un letto separato. Si trova in una camera poco lontano dalla mia, e avrai anche la comodità di un bagno.»

«Tutto ciò è profondamente ingiusto!» si lagnò Fili. «Perché lei ha una stanza e un bagno tutto suo?»

Éowyn rise, chinandosi verso il Nano biondo e accarezzandogli una guancia. Quello divenne immediatamente paonazzo dall’imbarazzo. «Perché ella è una signorina, e come tale bisogna trattarla. Non vorrai farla dormire all’aperto, mastro Nano?»

«Beh, non sarebbe la prima volta.» ribatté infastidito Káel.

«E inoltre c’è un Re tra noi. Non merita forse il medesimo trattamento?» proseguì Kili, incrociando le braccia, e trattenendo a stento una risata. Poco dopo si beccò l’ennesimo colpo sulla nuca dallo zio.

«Dormirei perfettamente senza una tenda sopra la testa, mia signora. Perdona le lagne di mio nipote.» fece, con un inchino, e obbligando anche Kili ad inchinarsi con lui, afferrandogli un orecchio.

Le due donne risero, e così anche il resto della compagnia. Poi Éowyn si rivolse alla Nana e al fratello minore, e le porse una mano. «Ora, se volete seguirmi vi mostrerò la stanza.»

Trán annuì e accettò riluttante la mano della donna. Erano trascorsi parecchi anni senza che una figura femminile le mostrasse un gesto simile. Esattamente da quando la madre se n’era andata. Il calore che ne conseguì la fece rilassare, e con il cuore leggero stette al passo della Bianca Dama. Quando vide la sua camera per quella notte pensò che il fratello, Fili e Kili sarebbero stati ancora più scontenti: era ampia e arieggiata, con una grande finestra che si affacciava sullo stesso panorama che aveva ammirato solo qualche minuto prima; il letto era decisamente ampio per la statura di un Nano, e vi era una vasca dalla parte opposta, che attendeva solo di essere riempita di acqua calda. Si appuntò mentalmente che, prima della cena, si sarebbe rilassata un poco.

Éowyn la lasciò dopo averle ricordato di rivolgersi a lei per qualsiasi motivo; ma non ebbe tempo di godere di quel silenzio e quella pace, poiché la porta si spalancò ancora una volta, e Káel e i fratelli saltarono sul suo letto, rischiando di sfondarlo.

«Oh, ma guarda che posto! Possiamo dormire qui?»

«Ci sarebbe spazio per tutta la comitiva.»

«Ovviamente la vasca sarebbe per il Re.»

«E il letto per i nipoti e il loro amico.»

Trán incrociò le braccia al petto e li osservò indispettita e divertita. «Sapete che non è cortese entrare senza preavviso nella camera di una donna?»

Káel sorrise innocentemente. «Ma tu non sei una donna, sorellina. Sei un maschiaccio.»

La ragazza divenne paonazza, lanciandosi contro il fratello e picchiandolo come si confà ad una Nana – e, inutile dirlo, dando prova delle parole del ragazzo; Fili e Kili si unirono alla ressa, sentendosi doverosi di intervenire per difendere e aiutare la donzella in pericolo – che tanto in pericolo non era, in realtà.

Mezzora passò velocemente e i tempi dei giochi finirono. Il quartetto si recò alla piazza dove avevano fatto la conoscenza dei Signori dell’Ithilien e si accorsero di essere gli ultimi del gruppo. Thorin ebbe la mezza idea di rimproverarli, ma li vide sorridenti e spensierati, e ogni paternale gli morì in gola. Nonostante non approvasse quei comportamenti talvolta troppo infantili, per la loro età, vederli felici era una gioia per il suo cuore. E persino la Nana era incredibilmente euforica, ma ciò gli bastò per irritarlo nuovamente.

Vennero condotti all’interno della residenza padronale, in una grande sala per le riunioni. Lì pranzarono abbondantemente, con la cacciagione fresca di mattinata, ma furono costretti anche a mandar giù le verdi insalate preparate dagli Elfi. “L’erba è per le capre, non per i Nani!”, continuavano a borbottare. Faramir fu molto curioso di sapere del loro viaggio e della situazione al Nord, avido di conoscenza come sempre era stato; non osò, però, chiedere di raccontargli della venuta di Smaug e di ciò che successe dopo alle loro genti, poiché poteva solo immaginare il dolore che il solo ricordo avrebbe potuto causare. Dopo che lo stomaco fu pieno, i fratelli di Gondor li richiamarono, dando inizio alla visita delle rovine. Le fondamenta e qualche muro in pietra erano stati mantenuti, mentre ciò che era crollato era stato ricostruito in legno dalle sapienti mani degli Elfi. Ma, come gli venne spiegato, l’intero accampamento si sviluppava sugli alberi, con i classici flet elfici, piattaforme in legno più o meno grandi che ospitavano abitazioni e magazzini.

«Durante la Guerra queste colline brulicavano di Orchi.» stava spiegando Faramir, con dolore. «La desolazione che lasciarono, insieme alla terra bagnata di sangue, fu difficile da lavare via.»

«Mi sembra che stiate facendo un ottimo lavoro, invece.» dovette ammettere suo malgrado Thorin, guardandosi intorno. Detestava gli Elfi con tutto il suo cuore, ma un occhio critico non poteva sorvolare sulla loro abilità nel trasformare qualsiasi oggetto e luogo in qualcosa di bello e vivibile.

«Spero che possiate ammirare questo stesso luogo in primavera, quando i fiori saranno sbocciati e tutto profumerà e sarà più rigoglioso di ora. Ricordo che da ragazzi, quando le navi salpavano per la sponda opposta, io e Boromir cavalcavamo fin qui e passavamo intere giornate sdraiati sull’erba fresca o a cacciare. È uno dei luoghi della mia infanzia che preferisco.»

Boromir sorrise e il pensiero volò ad Aragorn, che aveva donato l’Ithilien al fratello, un regalo che per lui significava la sua anima stessa.

Si fermarono di fronte ai tumuli di guerra, dove riposavano alcuni tra i più valorosi soldati morti in battaglia nei mesi precedenti. Tra essi spiccava un nome che forse per i Nani non indicava niente, ma per Boromir e soprattutto per Brethil ed Aragorn significava tutto. Era stato spostato dai Campi del Pelennor, laddove era caduto, alla pace di quei colli del tutto simili a quelli che l’avevano visto crescere.

Qui riposa Halbarad, Dúnedain del Nord, fedele amico e compagno.”

«Ahimè, egli fu un Uomo degno del rispetto di chiunque.» fece Legolas, tristemente. «Fu il migliore amico di Re Elessar e della sua Prima Guardia, ed essi lo piangono ancora.»

Elegost, il Ramingo che li aveva seguiti silenziosamente, si fece avanti. «Fu una guida quando Aragorn era lontano. Ed ebbe l’onorevole compito di alzare lo stendardo del Re in battaglia. Cadde per salvare la vita di una cara persona.»

Boromir chiuse gli occhi e tentò di allontanare il dolore che aveva provato nell’aver visto Brethil distrutta da quella pesante perdita. Si era ridotta ad un corpo fatto di carne e poco spirito, che parlava poco e rimuginava troppo, addossandosi colpe che non esistevano e commiserandosi fino all’esasperazione. Solo la voglia di vendetta e la sua presenza accanto, avevano risvegliato la donna di cui si era innamorato.

«Riposi in pace e in gloria.» fece Thorin, inchinandosi davanti alla tomba e imitato dagli altri.

La comitiva proseguì, ora scendendo verso il fianco Est. Non molto in lontananza videro i monti di Mordor e un brivido li scosse. Sebbene il grande Male fosse sparito per sempre, quella terra sarebbe sempre stata intrisa di cattiveria, e neanche i millenni sarebbero riusciti a ripulirla.

Thorin si fermò ad osservare la sagoma del Monte Fato oltre la scura catena montuosa, dal quale fuoriuscivano solo fiochi fumi scuri. Non riusciva ad immaginare che coraggio e che forza avessero dovuto avere due piccoli Hobbit per attraversare quelle terre maledette e gettare l’Anello del Potere nella lava del vulcano. La vista di quella cima gli ricordò di quando scorse la sagoma della Montagna Solitaria, durante il lungo viaggio dalla Contea. Rivedere la sua casa dopo così tanti anni era stato come tornare a respirare dopo una lunga apnea; una reazione completamente opposta a quello che probabilmente avevano avuto i Mezzuomini vedendo quel monte avvicinarsi e farsi via via più grande. Quello era un luogo da cui scappare, non da raggiungere.

Quando riprese a camminare notò di essere finito in coda al gruppo. Si avviò per recuperarli e notò che anche la Nana avesse rallentato il passo. Probabilmente gli stessi suoi pensieri le avevano attraversato la mente. La affiancò in silenzio, osservandola per qualche tempo. «Se non conoscessi il coraggio degli Hobbit, dubiterei che siano stati loro a salvarci da Sauron.»

Era talmente assorta in quella verde vista di alberi e fiori che non lo aveva neppure sentito arrivare alle sue spalle, nonostante i suoi pesanti stivali schiacciassero rumorosamente qualsiasi cosa incontrassero. Trán non si aspettava che qualcuno le rivolgesse la parola senza prima annunciarsi; men che meno, si aspettava di trovare lui che tentava di conversare con lei. Quando lo percepì al suo fianco, che evitava di guardarla negli occhi parendo più interessato a dove metteva i piedi, Trán ebbe un inspiegabile tuffo al cuore, e non volle indagare sui motivi. Si rifiutò di dare la colpa al fascino misterioso del Nano, perché lei non si faceva incantare dalla mera fisicità di qualcuno; non da due occhi chiari eppure caldi come quelli, né da una voce bassa e roca come la sua. Ci voleva ben altro per affascinarla, e Thorin Scudodiquercia era tutto fuorché il Nano dei suoi sogni.

Almeno, era quello che continuava a ripetersi mentalmente per convincersene.

«Io non lo conosco, né riesco ad immaginarlo.» disse lei, ritornando al discorso. «Ho letto e udito tante di quelle orribili storie su Mordor che ho i brividi solo a ricordarle.»

«Non esattamente il genere di racconti adatto ad una femmina.»

«Sono nata in un ambiente maschile e non credo nelle fiabe. La realtà è ben altra cosa.»

Thorin, suo malgrado, si trovò d’accordo con lei. Si schiarì la gola, secca come la notte in riva al fiume. «Tu e tuo fratello non avete del lavoro da compiere?»

«Non mi troverei qui se il dovere mi chiamasse, mio signore.»

Camminarono uno affianco all’altra ancora per qualche minuto, senza parlare; ma fu nuovamente il Re a prendere parola. Nonostante si fosse detto di non badare a lei, c’era qualcosa che continuava ad attrarlo, e nonostante ciò lo infastidisse oltremodo, non riusciva neppure a controllarlo. Anche per questo la detestava, perché sentiva che ogni suo sforzo risultasse vano in sua presenza. Lo debilitava, e lui non poteva permettersi, di sentirsi debole, né lo voleva. «La foresta è di tuo gradimento?»

Trán esitò un attimo, prima di rispondere, ponderando le parole. «Molto, mio signore; ma non mi sentirò a mai a casa, a differenza di quando sono circondata dalle pietre di una montagna.» Si voltò a guardarlo, non riuscendo a resistere. Sorrise, con aria furba. «Era questo che volevi sentirmi dire, mio signore?» Si accorse troppo tardi di aver parlato senza prima pensare, come spesso le capitava. Avevano avuto una delle poche conversazioni civili dopo la partenza da Erebor, e aveva rovinato tutto solo a causa del suo dannato e sarcastico orgoglio, che quasi faceva concorrenza a quello del Nano. Socchiuse le labbra per scusarsi, ma il Re fu più lesto.

Thorin assottigliò gli occhi chiari; la rabbia che aveva lasciato in un angolo ora riprendeva ad ardere e si diede mentalmente dello stupido. Non ci sarebbe stato modo, né in quella vita né in un’altra, di poter conversare con lei senza che gli mancasse di rispetto. «No, mi attendevo una risposta sincera ad una semplice domanda. Ma a quanto pare hai più sangue di Elfo di quanto mi aspettassi.»

I buoni propositi che si era prefissata svanirono velocemente quando udì quelle parole e risentì mentalmente ciò che lui aveva detto solamente quella mattina e che aveva tentato di dimenticare con tutte le forze. Credeva che, dopo l’incidente della freccia e la tranquilla nottata a nuotare, le cose fossero cambiate tra loro, eppure apparentemente non era mutato niente. Le sue labbra e i suoi occhi sorrisero con troppa enfasi, per nascondere gli occhi lucidi per l’affronto. «Ma certamente, a noi meticci piace mentire. Ora, se non ti dispiace gradirei lasciarti; non vorrei che una creatura infima come me possa influenzarti negativamente, sire Thorin.»

Il Nano fermò i suoi passi, incredulo e schiaffeggiato da quel tono di voce stizzito e ferito, chiedendosi cosa diamine fosse successo in quei secondi. Lei ne approfittò per raggiungere il fratellino, che prese per mano per ritrovare un po’ di calma perduta.

Thorin si ritrovò a stringere i pugni con forza senza quasi accorgersene. Mai, mai nella sua lunga vita aveva incontrato una persona – una femmina – che osasse rispondergli e tenergli testa con così tanto orgoglio e così tanta calma. Solo Dwalin, Balin e Gandalf avevano il coraggio e l’autorità per farlo, i primi in quanto suoi migliori amici, il terzo in quanto saggio; chiunque altro sarebbe stato punito severamente per la propria impudenza.

Ma lei?

Lei non sembrava preoccuparsi delle conseguenze che le sue parole potevano avere. Quella ragazzina lo fronteggiava come faceva con il fratello, e questo non poteva accettarlo. Così come non poteva e non doveva trovarlo intrigante.

«Mi dispiace dirtelo, ma questa volta te la sei cercata.» gli disse Dwalin, quando lo raggiunse.

L’espressione di Thorin passò dallo stupore all’ira. «Io? Lei mi ha mancato di rispetto, per l’ennesima volta. E sarebbe colpa mia

«La ragazza ha carattere.» mormorò Dwalin, come se si vergognasse delle sue parole. «E per questo ti somiglia più di quanto non creda, Thorin. Ha solo l’udito è più fine del tuo.»

«Me ne sono accorto.» borbottò il Re. «Le farei tagliare la lingua, se solo fosse mia suddita.»

«Ah, non lo faresti.» Dwalin ghignò. «C’è finalmente una donna che è capace di metterti in riga, non lo permetterei.»

Thorin mandò gentilmente a quel paese l’amico e riprese a camminare, improvvisamente infastidito dall’aria umida della foresta, da quel profumo di fiori ed erba fresca, dagli insetti che gli ronzavano intorno, dalle voci degli Elfi che cantavano da qualche parte, nascosti tra gli alberi. Non vedeva l’ora di uscire da quell’infernale ammasso di piante, e maledì gli Uomini che avevano deciso di vivere lì come la razza che tanto odiava. Ma si rese conto che i Raminghi non avessero colpe, né tantomeno la foresta che li accoglieva; era colpa del suo umore nero se persino il suo stesso respiro lo stava irritando.

Doveva ammetterlo, le sue erano state parole velenose e la fortuna non lo aveva certo protetto, cosicché quella mattina lei lo aveva udito; chiamarla infima era stato forse un’esagerazione, ma temeva davvero che i nipoti potessero allontanarsi da lui, anche se persino il suo dannato egoismo si rendeva conto che il pensiero fosse alquanto infondato. Ma non si sarebbe scusato, men che meno si sarebbe rimangiato ciò che aveva insinuato sugli Elfi: non solo erano dei codardi, ma erano anche abiti mentitori. Finché lei non avesse mostrato un po’ più di riguardo nei suoi confronti, allora anche lui si sarebbe comportato di conseguenza.

Il pomeriggio trascorse troppo lentamente per i suoi gusti. Non prestava più attenzione a  quello che lo circondava, né alle parole dei due fratelli di Gondor mentre gli raccontavano la storia di quel posto. Tutto ciò che la sua immaginazione riusciva a pensare era un modo per farla pagare alla ragazza – e tutte le idee che gli venivano in mente non erano propriamente ortodosse.

Si ritrovò nella residenza dei Signori dell’Ithilien prima ancora che potesse rendersene conto, e tirò un sospiro di sollievo nel vedere che la Nana si allontanò verso la sua stanza. Fecero i turni per farsi un bagno ristoratore prima della cena, e sperò che la sensazione dell’acqua calda e profumata sulla pelle lo aiutasse a rilassare muscoli e mente; ma non ebbe l’effetto sperato, poiché l’unica cosa a cui riusciva a pensare era la sagoma di quella ragazzetta intirizzita che gli si avvicinava in acqua, imbarazzata ed infreddolita. Perché non poteva sempre essere così accomodante e vulnerabile? Gli avrebbe risparmiato parecchio nervoso.

Ma forse non l’avrebbe trovata così interessante.

La cena fu servita un’ora più tardi nella medesima stanza del pranzo, e per loro sfortuna dovettero accettare nuovamente le deliziose insalate degli Elfi; per fortuna i Raminghi avevano cacciato due bei cinghiali, cosicché il loro stomaco gioì e si riempì fino a scoppiare. I Nani erano sempre stati dei grandi compagni di bevute e mangiate, e l’aria si rallegrò velocemente, tra qualche boccale di vino e di birra. L’unica persona che pareva contare i minuti che la separavano verso una buona dormita era Trán, che non osò alzare lo sguardo dal piatto per paura di incontrare un paio di occhi azzurri e laceranti e permettergli così di vedere la tristezza che lui stesso le aveva causato. Ma ogni schiamazzo venne interrotto nel momento in cui Faramir si alzò dal suo posto e sollevò un calice al cielo.

Boromir osservò il fratello con curiosità, chiedendosi a cosa volesse brindare.

«Miei cari ospiti, come già feci questa mattina, vorrei rinnovare la grande gioia nell’avervi qui, nella mia bella terra; mi rincresce di aver scoperto la compagnia dei Nani solo ora, ma meglio tardi che mai.» Quelli applaudirono e brindarono alla sua salute, ma il Capitano dei Raminghi li zittì ancora una volta, sorridendo come se fosse la felicità in persona. «Vorrei inoltre condividere con voi una notizia che ho appreso solo qualche giorno fa, e che ho atteso con trepidazione di annunciare, poiché volevo che anche mio fratello fosse presente.» Al suo fianco, Éowyn arrossì ed accettò la mano del marito per sollevarsi e brindare con loro. «Mia moglie, la splendida Dama di Rohan, aspetta il nostro primogenito.»

L’espressione di Boromir fu impagabile, e il fratello scoppiò a ridere per la gioia. I Nani e i Raminghi, d’altro canto, esplosero in ovazioni e canti, brindando anche alla salute della donna e del loro futuro figlio.

«Sto per diventare zio?» domandò il Sovrintendente, scioccato. «Sto per avere un nipote?»

«Tecnicamente tra circa sette mesi, mio caro fratellone.»

Si abbracciarono con forza, ridendo. Boromir si congratulò con entrambi, baciando il dorso della mano della donna e alzando anch’egli il calice al cielo. «A mio nipote! Che nasca e cresca forte come i suoi genitori!»

Thorin spostò lo sguardo su Fili e Kili. Conosceva la gioia che provava Boromir in quel momento, poiché egli stesso l’aveva provata per ben due volte quando aveva scoperto che Dís fosse incinta. Aveva imparato ad amarli come se fossero stati figli suoi, e dopo la morte prematura del loro padre un poco lo erano diventati sul serio. Chiunque avrebbe potuto notare il modo in cui i suoi lineamenti severi si addolcissero ogni volta i suoi occhi si posavano sui suoi giovani eredi, di quanto la loro incolumità gli stesse a cuore e di quanto i loro modi chiassosi e allegri lo allietassero a sua volta, sebbene non lo desse a vedere molto spesso.

La festa continuò fino a tardi e i due fratelli di Gondor si allontanarono solo qualche minuto, per chiacchierare sulla novità della giornata.

«Non potevi darmi una notizia migliore, Faramir.» gli confessò il Sovrintendente, passandogli un braccio sulle spalle. «Sono orgoglioso di te, fratellino.»

«Grazie, Boromir. Avrei solo voluto che nostro padre provasse la gioia di diventare nonno.» Sospirò, ma allontanò i cattivi ricordi con una piccola provocazione. «Ma dimmi, sono il minore tra i due e sono il primo ad essersi sposato e il primo ad avere prole. Cosa stai aspettando?»

L’altro scosse il capo, conscio che si sarebbe dovuto aspettare una domanda simile. «Non è il momento adatto per mettere su famiglia.»

«No, dici? Siamo in tempo di pace, Boromir. Quando sarebbe il momento migliore?»

Si fermarono su una terrazza, osservando la foresta dei colli davanti a loro. Il pensiero di Boromir volò a Minas Tirith, dove Brethil probabilmente stava già riposando in vista della nuova e stancante giornata. L’immagine di una famiglia con lei era fin troppo bella per essere vera e gli pareva solo un sogno lontano. Era vero, la pace regnava su Gondor, anche se giungevano notizie inquietanti da Est; ma lui doveva occuparsi di Osgiliath e lei non aveva intenzione di diventare madre e lasciare il suo posto accanto ad Aragorn – di questo era più che certo. «Ci sono ancora troppi intoppi tra me e Brethil.»

«Vi amate, Boromir. Non ho mai visto una coppia più unita di voi. A cosa ti riferisci?»

«Siamo due soldati, io e lei.» mormorò. «Ci siamo promessi di sposarci, un giorno non troppo lontano. Ma i nostri impegni ci stanno tenendo distanti, così come distante mi sembra quel momento.» Poi sorrise. «Ma non oscuriamo la lieta notizia con i miei timori, fratellino. Dobbiamo festeggiare... sarai padre.»

Faramir rise, mentre tornavano al banchetto. «E che i Valar mi aiutino!»

 

 

*

Lo chiameremo Zio Boromir, infine! Ayeee!

E Thorin e Trán si ostinano a comportarsi come bambini. Io ve lo dico, occhio che tra poco i due scoppiano. ;)

Alla prossima settimana! Si va a Minas Tirith, finalmente!

Un abbraccio!

E buona domenica!

Marta.

   
 
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