Buon sabato a tutti!
Aggiorno con un po’ più di anticipo perché
questa è come la seconda parte del capitolo precedente, e non volevo lasciar
trascorrere troppo tempo tra l’uno e l’altro.
A memoria credo che sia leggermente più corto
degli altri – e questo perché in realtà era un unico capitolo con il sesto, ma
ho preferito dividerli per non farvi leggere un mattone e ho ingrassato un po’
questo. :)
Spero vi piaccia – piacerà un po’ meno ai Nani,
che si ritroveranno nell’ennesima dannata foresta. ;)
Grazie a tutti
coloro che leggono, commentano, preferiscono, seguono e ricordano. :)
Buona lettura!
Marta.
Pietra
- sequel di Betulla -
07.
13 Settembre 3019 T. E.
Boromir salì in groppa al suo cavallo e attese che anche gli
ospiti che lo avrebbero seguito facessero altrettanto. Era felice all’idea di
rivedere Faramir dopo parecchi mesi, così come era incuriosito dal lavoro che
il fratello e gli Elfi stessero facendo in quella sua bella terra. Avrebbe
voluto che al suo fianco ci fosse anche Brethil, che visitassero insieme le
verdi foreste della sua regione; invece, al suo posto vi trovò Legolas e Gimli,
e quasi gli venne da ridere.
«Che c’è di così divertente?» gli domandò il Nano, scettico.
Lui scosse il capo. «Sono felice che siate qui con me. Ma
dovreste vedere gli occhi di chi vi sta guardando ora.»
Gimli osservò le occhiate della sua stirpe e si rese conto che l’essersi seduto sullo stesso destriero di Orecchie a Punta non si fosse rivelata un’ottima mossa. «Beh, intanto quello che è in bilico su uno stallone cavalcato da un Elfo sono io, ragazzo. Mi sembra tutto fuorché divertente. Vai e capisci l’umorismo di Gondor!»
«Non è che soffri di vertigini, messer Gimli?» domandò Fili, con un sorriso birichino in volto. «Nel caso, il segreto è il non guardare in basso.»
«E se l’Elfo dovesse correre troppo da farti sbalzare dalla sella, afferrati ai suoi capelli.» proseguì Fili.
Legolas si voltò, le labbra arricciate bonariamente verso l’alto. «Oppure posso afferrarlo io per la barba, giacché il Nano è abituato a salvataggi simili.»
Gimli divenne più rosso dei suoi capelli e di quelli dei gemelli, maledicendolo in Khuzdul e promettendogli di tagliargli la lingua a suon di ascia se non avesse smesso di metterlo in imbarazzo.
In quell’aria gioiosa e lieta, si recarono alle barche, che
avrebbero percorso un breve tratto dell’Anduin verso sud, affinché
raggiungessero celermente le colline degli Emyn Arnen, dove sire Faramir
risiedeva con i Raminghi dell’Ithilien. Lì, avrebbero soggiornato una notte e
due giorni, per poi spostarsi finalmente verso Minas Tirith.
«Non sono mai salita su una barca così grande.» ammise con timidezza Trán, osservando il grande veliero in legno che mostrava fieramente le vele spiegate al vento. «In realtà, non ero mai salita su una barca fino ad un mese fa.»
Gli Uomini sul ponte li salutarono con gioia e abbassarono
la passerella che gli avrebbe permesso di salire a bordo, con cavalli e pony al
seguito.
«Oh, noi invece abbiamo grande esperienza di fiumi e rapide,
vero fratello?» domandò Kili.
«Certo, e chi se lo scorda! Non capita tutti i giorni di
rotolare dentro delle botti di vino vuote, giù per le cascate e le rapide!»
Legolas, che li udì, si voltò verso di loro. «Ci coglieste
tutti di sorpresa, quella volta. Lo Hobbit ebbe una grande idea, altrimenti
sareste ancora nostri prigionieri. Ma fortunatamente siete coriacei, e ne
usciste illesi.»
Thorin grugnì al ricordo di quella fuga rocambolesca messa
in piedi dal loro scassinatore. «Se per illesi
intendi il non riuscire a muovere gli arti per la settimana successiva,
dovresti rivedere il tuo vocabolario.»
L’Elfo, in risposta, rise.
«Ricordate il povero Bombur? Era così esausto che lo
trovammo svenuto nel suo tino.»
Kili annuì. «Sì, e ricordo anche che, essendo gli unici
ancora in forze, fu nostro il compito di trascinarlo di peso sulla spiaggia.»
«Non ho mai sentito parole peggiori uscire dalla tua bocca
come quelle che dissi quel giorno, zio.» rise l’altro.
Thorin si lasciò scappare un sorriso di divertimento e i
suoi occhi brillarono per un istante. Trán, che se ne accorse, pensò che
avrebbe dovuto farlo più spesso. Ma vide bene di tenere i suoi pensieri per sé.
Scesero dai loro destrieri, che fecero riposare all’interno
della stiva dove erano state preparate le stalle; poi tornarono in superficie,
affacciandosi al parapetto per godere lo spettacolo di quelle terre che avevano
sognato da tanto tempo.
Un Uomo vestito di bianco, con il simbolo della casa di
Gondor in blu, si avvicinò alla compagnia, seguito da altri quattro, e dopo un
lieve inchino si presentò. «Benvenuti a bordo del veliero di Osgiliath. Io sono
Beregond, un tempo soldato della Terza Compagnia della Cittadella di Minas
Tirith, e ora Capitano della Bianca Compagnia di Faramir, Principe
dell’Ithilien e Signore degli Emyn Arnen. Loro sono Elegost, Anborn, Damrod e
Mablung, e anche loro fanno parte dei Dúnedain di questa regione. Vi condurremo
personalmente alla dimora dei nostri signori. Sentitevi liberi di fare ciò che
più vi aggrada durante questo breve viaggio sul fiume, e se necessitate di
qualsiasi cosa sono al vostro servizio.»
Boromir abbracciò l’amico, che era stato allontanato da
Minas Tirith per ordine del Re per aver ucciso due Guardiani dei Luoghi
Proibiti; egli, così facendo, aveva contribuito a salvare la vita di suo
fratello, e non lo avrebbe ringraziato mai abbastanza per ciò che fece e
rischiò quel giorno.
Il veliero si mosse poco dopo, spostandosi placidamente
sulle acque calme dell’Anduin, che in quella zona proseguiva verso il mare con
lentezza. Più volte Legolas aveva allungato lo sguardo verso sud, cogliendo il
suono dei gabbiani in lontananza e il profumo della salsedine, che lo
richiamavano come una falena verso la luce. I Nani più anziani decisero di
rimanere con i tre membri della Compagnia dell’Anello e Beregond, per discutere
di come i lavori stessero procedendo in quella parte di Gondor; i più giovani,
invece, rimasero a prua, spensierati e divertiti, per guardare i pesci che
saltavano sul pelo dell’acqua o a mirare la Bianca Città di Minas Tirith che si
faceva sempre più vicina.
«Non dovreste stare lì, è pericoloso.» fece Trán, osservando
Fili e Kili seduti a cavalcioni sulla polena.
«Dai, raggiungici, ti aiuto.» le disse il secondo,
tendendole una mano. Ma lei non cambiò idea e rimase saldamente ferma dov’era;
non aveva alcuna intenzione di suicidarsi cadendo in acqua – e la lezione di
Thorin non l’avrebbe certo aiutata in un momento di panico. Ovviamente,
l’impavido ed incosciente gemello li raggiunse poco dopo, lasciandola in
tensione finché non tornò con i piedi per terra; e dovette trattenere con forza
il piccolo Trión, che altrimenti sarebbe volato giù con il fratello.
Il viaggio durò poco più di un’ora. La distanza che dovevano
coprire non era tanta, ma il vento soffiava poco e la nave procedeva lentamente,
tanto che una ventina di uomini avevano dovuto iniziare a remare, cantando e
dandosi il ritmo. Giunsero ad Harlond, il porto di Minas Tirith, epicentro di
un’altra grande battaglia durante la Guerra dell’Anello; Gimli e Legolas
raccontarono al resto dei Nani di come loro, il Re e i loro Uomini avessero conquistato
i velieri nemici prima che questi raggiungessero la Città di Pietra. Parevano trascorsi
anni, invece si trattava solo di pochi mesi.
I marinai di Harlond accolsero i nuovi arrivati, che scesero
dal veliero nuovamente in groppa ai loro destrieri. Boromir e Beregond aprivano
la colonna della fila, seguiti da Legolas, Gimli, Thorin e il resto dei suoi
compagni; i Raminghi, silenziosi e avvolti nei loro mantelli, chiudevano la
coda in fondo al gruppo. Cavalcarono per qualche miglio, finché non raggiunsero
le pendici delle colline. Imboccarono un sentiero largo e non troppo ripido,
che si snodava in piccoli tornanti, facilmente praticabile anche a cavallo.
Così si ritrovarono immersi nella foresta degli Emyn Arnen, e la civiltà umana
fu presto dimenticata alle loro spalle. Di quando in quando i resti di qualche
rovina facevano mostra di sé nelle piccole radure, ricordi di vecchi avamposti
militari ormai in disuso. Beregond raccontò loro che alcuni di essi sarebbero
stati ricostruiti, soprattutto lungo i confini e sulle vette, dove sorgeva la
casa dei suoi signori. Presto si accorsero di non essere soli, tra quegli
alberi, e il suono melodioso di canti Elfici giunse alle loro orecchie.
«Sono i canti della mia terra.» disse Legolas con un po’ di
nostalgia, osservando tra i tronchi e scovando alcune piattaforme in legno
nascoste tra le fronde verdi, su cui alcuni della sua specie li osservavano
incuriositi.
L’umore di Thorin scese sotto terra – oh, avrebbe pagato oro
e pietre preziose pur di trovarsi davvero
sotto terra, in quel momento! Non gli piaceva l’idea di essere nuovamente
circondato da Elfi in una foresta; conservava troppi brutti ricordi di
un’esperienza simile. Per fortuna quel labirinto di alberi non era così oscuro
come il maledetto Bosco Atro, sicché il respiro non gli mancò mai.
Il percorso attraverso il sentiero battuto secoli prima
proseguiva lentamente e senza soste, ma non durò molto. Smontarono a qualche
centinaia di piedi prima dell’accampamento dei Raminghi, poiché se avessero
avanzato più in alto non avrebbero trovato posto per i loro cavalli e pony. Il
sentiero divenne lastricato dopo che ebbero attraversato un arco di rami e
foglie, ingresso della residenza dei Signori dell’Ithilien. Dopo qualche passo
si ritrovarono in una radura ben curata, ornata di fontane e fiori, su cui si
affacciava la modesta casa del loro Signore. Sui gradini d’ingresso di
quest’ultima li attendevano i Principi dell’Ithilien, che camminarono verso gli
ospiti e si chinarono al loro cospetto; così fecero i Dúnedain schierati in due
file ordinate.
La fragile bellezza della Bianca Dama dell’Ithilien, Éowyn,
era sbocciata nuovamente dopo l’oscurità che aveva visto e l’aveva appassita; ella
ora pareva un fiore in primavera, vestita di un candido abito e i biondi capelli
intrecciati di fiori profumati. Esile, eppure forte come nessun’altra donna, era
ritta e dignitosa accanto al marito, e tutti notarono la sottile lama che le
pendeva da un fianco. I Nani ne rimasero incantati e fecero la conoscenza di
colei che sconfisse il Re Stregone di Angmar.
«Benvenuti, mie cari amici. Aspettavamo con impazienza il
vostro arrivo, e finalmente eccovi qui.» esordì Faramir, bello e sorridente nel
suo completo bianco e blu. «Ho fatto preparare dei letti per voi, e se
necessitate di un bagno caldo non dovete far altro che chiedere. I miei uomini
sono a vostra disposizione.»
Thorin osservò prima lui poi il fratello, che lo scrutava
con fierezza, e si stupì di quanto quei due si somigliassero. «Ti ringrazio
della tua ospitalità, mio signore. È il nostro secondo giorno a Gondor e,
nonostante siamo ben lontani dalla nostra patria, è come sentirsi ancora a
casa.»
«Ne sono felice, Thorin figlio di Thràin. È un onore per
noi. Ma ora, se siete d’accordo, potete recarvi ai vostri alloggi, posare i
vostri averi, e raggiungermi qui in una mezzora. Pranzeremo insieme e mi
racconterete del lungo viaggio che avete dovuto affrontare. Dopo, vi porterò a
visitare le nostre colline, che stanno ritrovando parte dello splendore di un
tempo grazie soprattutto all’aiuto degli Elfi Silvani di Bosco Atro.» E così
dicendo, spostò lo sguardo su Legolas, che sorrise e chinò il capo.
«Fantastico, siamo circondati da Elfi anche qui.» mormorò
indispettito Dwalin; Thorin lo zittì con un colpo di tosse.
«Mia moglie Éowyn sarà felice di scortarvi ai vostri
alloggi.» proseguì Faramir, rivolgendo un sorriso alla donna che amava.
Così, i Nani seguirono la splendida Dama Bianca, lasciandosi
momentaneamente alle spalle i fratelli di Gondor, Gimli e Legolas. Éowyn li
condusse verso il retro della loro abitazione e, sorpresa!, davanti a loro si
aprì una terrazza su Gondor e il Grande Fiume, che pareva un nastro argenteo
sotto la luce delle undici. Alcune robuste tende erano state montate sul
belvedere, tutte rigorosamente bianche.
«Temo che non amiate dormire sugli alberi.» fece la donna, guadagnandosi l’approvazione di tutti. «Stiamo ancora costruendo l’ala per gli ospiti, quindi riposerete qui, se per voi non è un problema.»
Thorin scosse il capo. «Abbiamo dormito in situazioni ben peggiori, mia signora.»
«Molto bene, allora. Ma mi è giunta voce che ci siano una
signora e un giovanotto, tra voi.»
La Nana arrossì. «Signorina,
dama Éowyn.»
La bella di Rohan sorrise, e le porse una mano. «Per voi due
ho preparato un letto separato. Si trova in una camera poco lontano dalla mia,
e avrai anche la comodità di un bagno.»
«Tutto ciò è profondamente ingiusto!» si lagnò Fili. «Perché
lei ha una stanza e un bagno tutto suo?»
Éowyn rise, chinandosi verso il Nano biondo e
accarezzandogli una guancia. Quello divenne immediatamente paonazzo
dall’imbarazzo. «Perché ella è una signorina,
e come tale bisogna trattarla. Non vorrai farla dormire all’aperto, mastro Nano?»
«Beh, non sarebbe la prima volta.» ribatté infastidito Káel.
«E inoltre c’è un Re tra noi. Non merita forse il medesimo
trattamento?» proseguì Kili, incrociando le braccia, e trattenendo a stento una
risata. Poco dopo si beccò l’ennesimo colpo sulla nuca dallo zio.
«Dormirei perfettamente senza una tenda sopra la testa, mia
signora. Perdona le lagne di mio nipote.» fece, con un inchino, e obbligando
anche Kili ad inchinarsi con lui, afferrandogli un orecchio.
Le due donne risero, e così anche il resto della compagnia.
Poi Éowyn si rivolse alla Nana e al fratello minore, e le porse una mano. «Ora,
se volete seguirmi vi mostrerò la stanza.»
Trán annuì e accettò riluttante la mano della donna. Erano
trascorsi parecchi anni senza che una figura femminile le mostrasse un gesto
simile. Esattamente da quando la madre se n’era andata. Il calore che ne
conseguì la fece rilassare, e con il cuore leggero stette al passo della Bianca
Dama. Quando vide la sua camera per quella notte pensò che il fratello, Fili e Kili
sarebbero stati ancora più scontenti: era ampia e arieggiata, con una grande
finestra che si affacciava sullo stesso panorama che aveva ammirato solo
qualche minuto prima; il letto era decisamente ampio per la statura di un Nano,
e vi era una vasca dalla parte opposta, che attendeva solo di essere riempita
di acqua calda. Si appuntò mentalmente che, prima della cena, si sarebbe
rilassata un poco.
Éowyn la lasciò dopo averle ricordato di rivolgersi a lei per
qualsiasi motivo; ma non ebbe tempo di godere di quel silenzio e quella pace,
poiché la porta si spalancò ancora una volta, e Káel e i fratelli saltarono sul
suo letto, rischiando di sfondarlo.
«Oh, ma guarda che posto! Possiamo dormire qui?»
«Ci sarebbe spazio per tutta la comitiva.»
«Ovviamente la vasca sarebbe per il Re.»
«E il letto per i nipoti e il loro amico.»
Trán incrociò le braccia al petto e li osservò indispettita
e divertita. «Sapete che non è cortese entrare senza preavviso nella camera di
una donna?»
Káel sorrise innocentemente. «Ma tu non sei una donna,
sorellina. Sei un maschiaccio.»
La ragazza divenne paonazza, lanciandosi contro il fratello
e picchiandolo come si confà ad una Nana – e, inutile dirlo, dando prova delle
parole del ragazzo; Fili e Kili si unirono alla ressa, sentendosi doverosi di
intervenire per difendere e aiutare la donzella in pericolo – che tanto in
pericolo non era, in realtà.
Mezzora passò velocemente e i tempi dei giochi finirono. Il
quartetto si recò alla piazza dove avevano fatto la conoscenza dei Signori
dell’Ithilien e si accorsero di essere gli ultimi del gruppo. Thorin ebbe la
mezza idea di rimproverarli, ma li vide sorridenti e spensierati, e ogni
paternale gli morì in gola. Nonostante non approvasse quei comportamenti
talvolta troppo infantili, per la loro età, vederli felici era una gioia per il
suo cuore. E persino la Nana era incredibilmente euforica, ma ciò gli bastò per
irritarlo nuovamente.
Vennero condotti all’interno della residenza padronale, in
una grande sala per le riunioni. Lì pranzarono abbondantemente, con la cacciagione
fresca di mattinata, ma furono costretti anche a mandar giù le verdi insalate
preparate dagli Elfi. “L’erba è per le
capre, non per i Nani!”, continuavano a borbottare. Faramir fu molto
curioso di sapere del loro viaggio e della situazione al Nord, avido di conoscenza
come sempre era stato; non osò, però, chiedere di raccontargli della venuta di
Smaug e di ciò che successe dopo alle loro genti, poiché poteva solo immaginare
il dolore che il solo ricordo avrebbe potuto causare. Dopo che lo stomaco fu
pieno, i fratelli di Gondor li richiamarono, dando inizio alla visita delle
rovine. Le fondamenta e qualche muro in pietra erano stati mantenuti, mentre
ciò che era crollato era stato ricostruito in legno dalle sapienti mani degli
Elfi. Ma, come gli venne spiegato, l’intero accampamento si sviluppava sugli
alberi, con i classici flet elfici,
piattaforme in legno più o meno grandi che ospitavano abitazioni e magazzini.
«Durante la Guerra queste colline brulicavano di Orchi.»
stava spiegando Faramir, con dolore. «La desolazione che lasciarono, insieme
alla terra bagnata di sangue, fu difficile da lavare via.»
«Mi sembra che stiate facendo un ottimo lavoro, invece.»
dovette ammettere suo malgrado Thorin, guardandosi intorno. Detestava gli Elfi
con tutto il suo cuore, ma un occhio critico non poteva sorvolare sulla loro
abilità nel trasformare qualsiasi oggetto e luogo in qualcosa di bello e
vivibile.
«Spero che possiate ammirare questo stesso luogo in
primavera, quando i fiori saranno sbocciati e tutto profumerà e sarà più
rigoglioso di ora. Ricordo che da ragazzi, quando le navi salpavano per la
sponda opposta, io e Boromir cavalcavamo fin qui e passavamo intere giornate
sdraiati sull’erba fresca o a cacciare. È uno dei luoghi della mia infanzia che
preferisco.»
Boromir sorrise e il pensiero volò ad Aragorn, che aveva
donato l’Ithilien al fratello, un regalo che per lui significava la sua anima
stessa.
Si fermarono di fronte ai tumuli di guerra, dove riposavano
alcuni tra i più valorosi soldati morti in battaglia nei mesi precedenti. Tra
essi spiccava un nome che forse per i Nani non indicava niente, ma per Boromir
e soprattutto per Brethil ed Aragorn significava tutto. Era stato spostato dai
Campi del Pelennor, laddove era caduto, alla pace di quei colli del tutto
simili a quelli che l’avevano visto crescere.
“Qui riposa Halbarad,
Dúnedain del Nord, fedele amico e compagno.”
«Ahimè, egli fu un Uomo degno del rispetto di chiunque.»
fece Legolas, tristemente. «Fu il migliore amico di Re Elessar e della sua
Prima Guardia, ed essi lo piangono ancora.»
Elegost, il Ramingo che li aveva seguiti silenziosamente, si
fece avanti. «Fu una guida quando Aragorn era lontano. Ed ebbe l’onorevole
compito di alzare lo stendardo del Re in battaglia. Cadde per salvare la vita
di una cara persona.»
Boromir chiuse gli occhi e tentò di allontanare il dolore
che aveva provato nell’aver visto Brethil distrutta da quella pesante perdita.
Si era ridotta ad un corpo fatto di carne e poco spirito, che parlava poco e
rimuginava troppo, addossandosi colpe che non esistevano e commiserandosi fino all’esasperazione.
Solo la voglia di vendetta e la sua presenza accanto, avevano risvegliato la
donna di cui si era innamorato.
«Riposi in pace e in gloria.» fece Thorin, inchinandosi
davanti alla tomba e imitato dagli altri.
La comitiva proseguì, ora scendendo verso il fianco Est. Non
molto in lontananza videro i monti di Mordor e un brivido li scosse. Sebbene il
grande Male fosse sparito per sempre, quella terra sarebbe sempre stata intrisa
di cattiveria, e neanche i millenni sarebbero riusciti a ripulirla.
Thorin si fermò ad osservare la sagoma del Monte Fato oltre
la scura catena montuosa, dal quale fuoriuscivano solo fiochi fumi scuri. Non
riusciva ad immaginare che coraggio e che forza avessero dovuto avere due
piccoli Hobbit per attraversare quelle terre maledette e gettare l’Anello del
Potere nella lava del vulcano. La vista di quella cima gli ricordò di quando
scorse la sagoma della Montagna Solitaria, durante il lungo viaggio dalla
Contea. Rivedere la sua casa dopo così tanti anni era stato come tornare a
respirare dopo una lunga apnea; una reazione completamente opposta a quello che
probabilmente avevano avuto i Mezzuomini vedendo quel monte avvicinarsi e farsi
via via più grande. Quello era un luogo da cui scappare, non da raggiungere.
Quando riprese a camminare notò di essere finito in coda al
gruppo. Si avviò per recuperarli e notò che anche la Nana avesse rallentato il
passo. Probabilmente gli stessi suoi pensieri le avevano attraversato la mente.
La affiancò in silenzio, osservandola per qualche tempo. «Se non conoscessi il
coraggio degli Hobbit, dubiterei che siano stati loro a salvarci da Sauron.»
Era talmente assorta in quella verde vista di alberi e fiori
che non lo aveva neppure sentito arrivare alle sue spalle, nonostante i suoi
pesanti stivali schiacciassero rumorosamente qualsiasi cosa incontrassero. Trán
non si aspettava che qualcuno le rivolgesse la parola senza prima annunciarsi;
men che meno, si aspettava di trovare lui
che tentava di conversare con lei. Quando
lo percepì al suo fianco, che evitava di guardarla negli occhi parendo più
interessato a dove metteva i piedi, Trán ebbe un inspiegabile tuffo al cuore, e
non volle indagare sui motivi. Si rifiutò di dare la colpa al fascino
misterioso del Nano, perché lei non si faceva incantare dalla mera fisicità di
qualcuno; non da due occhi chiari eppure caldi come quelli, né da una voce
bassa e roca come la sua. Ci voleva ben altro per affascinarla, e Thorin Scudodiquercia
era tutto fuorché il Nano dei suoi sogni.
Almeno, era quello che continuava a ripetersi mentalmente
per convincersene.
«Io non lo conosco, né riesco ad immaginarlo.» disse lei, ritornando
al discorso. «Ho letto e udito tante di quelle orribili storie su Mordor che ho
i brividi solo a ricordarle.»
«Non esattamente il genere di racconti adatto ad una
femmina.»
«Sono nata in un ambiente maschile e non credo nelle fiabe.
La realtà è ben altra cosa.»
Thorin, suo malgrado, si trovò d’accordo con lei. Si schiarì
la gola, secca come la notte in riva al fiume. «Tu e tuo fratello non avete del
lavoro da compiere?»
«Non mi troverei qui se il dovere mi chiamasse, mio signore.»
Camminarono uno affianco all’altra ancora per qualche
minuto, senza parlare; ma fu nuovamente il Re a prendere parola. Nonostante si
fosse detto di non badare a lei, c’era qualcosa che continuava ad attrarlo, e
nonostante ciò lo infastidisse oltremodo, non riusciva neppure a controllarlo. Anche
per questo la detestava, perché sentiva che ogni suo sforzo risultasse vano in
sua presenza. Lo debilitava, e lui non poteva permettersi, di sentirsi debole, né
lo voleva. «La foresta è di tuo gradimento?»
Trán esitò un attimo, prima di rispondere, ponderando le
parole. «Molto, mio signore; ma non mi sentirò a mai a casa, a differenza di
quando sono circondata dalle pietre di una montagna.» Si voltò a guardarlo, non
riuscendo a resistere. Sorrise, con aria furba. «Era questo che volevi sentirmi
dire, mio signore?» Si accorse troppo tardi di aver parlato senza prima
pensare, come spesso le capitava. Avevano avuto una delle poche conversazioni
civili dopo la partenza da Erebor, e aveva rovinato tutto solo a causa del suo
dannato e sarcastico orgoglio, che quasi faceva concorrenza a quello del Nano.
Socchiuse le labbra per scusarsi, ma il Re fu più lesto.
Thorin assottigliò gli occhi chiari; la rabbia che aveva
lasciato in un angolo ora riprendeva ad ardere e si diede mentalmente dello
stupido. Non ci sarebbe stato modo, né in quella vita né in un’altra, di poter
conversare con lei senza che gli mancasse di rispetto. «No, mi attendevo una
risposta sincera ad una semplice domanda. Ma a quanto pare hai più sangue di
Elfo di quanto mi aspettassi.»
I buoni propositi che si era prefissata svanirono
velocemente quando udì quelle parole e risentì mentalmente ciò che lui aveva
detto solamente quella mattina e che aveva tentato di dimenticare con tutte le
forze. Credeva che, dopo l’incidente della freccia e la tranquilla nottata a
nuotare, le cose fossero cambiate tra loro, eppure apparentemente non era
mutato niente. Le sue labbra e i suoi occhi sorrisero con troppa enfasi, per
nascondere gli occhi lucidi per l’affronto. «Ma certamente, a noi meticci piace
mentire. Ora, se non ti dispiace gradirei lasciarti; non vorrei che una
creatura infima come me possa
influenzarti negativamente, sire Thorin.»
Il Nano fermò i suoi passi, incredulo e schiaffeggiato da
quel tono di voce stizzito e ferito, chiedendosi cosa diamine fosse successo in
quei secondi. Lei ne approfittò per raggiungere il fratellino, che prese per
mano per ritrovare un po’ di calma perduta.
Thorin si ritrovò a stringere i pugni con forza senza quasi
accorgersene. Mai, mai nella sua lunga
vita aveva incontrato una persona – una
femmina – che osasse rispondergli e
tenergli testa con così tanto orgoglio e così tanta calma. Solo Dwalin, Balin e
Gandalf avevano il coraggio e l’autorità per farlo, i primi in quanto suoi
migliori amici, il terzo in quanto saggio; chiunque altro sarebbe stato punito
severamente per la propria impudenza.
Ma lei?
Lei non sembrava preoccuparsi delle conseguenze che le sue
parole potevano avere. Quella ragazzina lo fronteggiava come faceva con il
fratello, e questo non poteva accettarlo. Così come non poteva e non doveva trovarlo
intrigante.
«Mi dispiace dirtelo, ma questa volta te la sei cercata.» gli disse Dwalin, quando lo raggiunse.
L’espressione di Thorin passò dallo stupore all’ira. «Io? Lei mi ha mancato di rispetto, per l’ennesima volta. E sarebbe colpa mia?»
«La ragazza ha carattere.» mormorò Dwalin, come se si
vergognasse delle sue parole. «E per questo ti somiglia più di quanto non
creda, Thorin. Ha solo l’udito è più fine del tuo.»
«Me ne sono accorto.» borbottò il Re. «Le farei tagliare la lingua, se solo fosse mia suddita.»
«Ah, non lo faresti.» Dwalin ghignò. «C’è finalmente una
donna che è capace di metterti in riga, non lo permetterei.»
Thorin mandò gentilmente a quel paese l’amico e riprese a
camminare, improvvisamente infastidito dall’aria umida della foresta, da quel
profumo di fiori ed erba fresca, dagli insetti che gli ronzavano intorno, dalle
voci degli Elfi che cantavano da qualche parte, nascosti tra gli alberi. Non
vedeva l’ora di uscire da quell’infernale ammasso di piante, e maledì gli
Uomini che avevano deciso di vivere lì come la razza che tanto odiava. Ma si
rese conto che i Raminghi non avessero colpe, né tantomeno la foresta che li
accoglieva; era colpa del suo umore nero se persino il suo stesso respiro lo
stava irritando.
Doveva ammetterlo, le sue erano state parole velenose e la
fortuna non lo aveva certo protetto, cosicché quella mattina lei lo aveva
udito; chiamarla infima era stato
forse un’esagerazione, ma temeva davvero che i nipoti potessero allontanarsi da
lui, anche se persino il suo dannato egoismo si rendeva conto che il pensiero
fosse alquanto infondato. Ma non si sarebbe scusato, men che meno si sarebbe rimangiato
ciò che aveva insinuato sugli Elfi: non solo erano dei codardi, ma erano anche
abiti mentitori. Finché lei non avesse mostrato un po’ più di riguardo nei suoi
confronti, allora anche lui si sarebbe comportato di conseguenza.
Il pomeriggio trascorse troppo lentamente per i suoi gusti.
Non prestava più attenzione a quello che
lo circondava, né alle parole dei due fratelli di Gondor mentre gli
raccontavano la storia di quel posto. Tutto ciò che la sua immaginazione
riusciva a pensare era un modo per farla pagare alla ragazza – e tutte le idee
che gli venivano in mente non erano propriamente ortodosse.
Si ritrovò nella residenza dei Signori dell’Ithilien prima
ancora che potesse rendersene conto, e tirò un sospiro di sollievo nel vedere
che la Nana si allontanò verso la sua stanza. Fecero i turni per farsi un bagno
ristoratore prima della cena, e sperò che la sensazione dell’acqua calda e
profumata sulla pelle lo aiutasse a rilassare muscoli e mente; ma non ebbe
l’effetto sperato, poiché l’unica cosa a cui riusciva a pensare era la sagoma
di quella ragazzetta intirizzita che gli si avvicinava in acqua, imbarazzata ed
infreddolita. Perché non poteva sempre essere così accomodante e vulnerabile?
Gli avrebbe risparmiato parecchio nervoso.
Ma forse non l’avrebbe trovata così interessante.
La cena fu servita un’ora più tardi nella medesima stanza
del pranzo, e per loro sfortuna dovettero accettare nuovamente le deliziose
insalate degli Elfi; per fortuna i Raminghi avevano cacciato due bei cinghiali,
cosicché il loro stomaco gioì e si riempì fino a scoppiare. I Nani erano sempre
stati dei grandi compagni di bevute e mangiate, e l’aria si rallegrò
velocemente, tra qualche boccale di vino e di birra. L’unica persona che pareva
contare i minuti che la separavano verso una buona dormita era Trán, che non
osò alzare lo sguardo dal piatto per paura di incontrare un paio di occhi
azzurri e laceranti e permettergli così di vedere la tristezza che lui stesso
le aveva causato. Ma ogni schiamazzo venne interrotto nel momento in cui
Faramir si alzò dal suo posto e sollevò un calice al cielo.
Boromir osservò il fratello con curiosità, chiedendosi a
cosa volesse brindare.
«Miei cari ospiti, come già feci questa mattina, vorrei
rinnovare la grande gioia nell’avervi qui, nella mia bella terra; mi rincresce
di aver scoperto la compagnia dei Nani solo ora, ma meglio tardi che mai.»
Quelli applaudirono e brindarono alla sua salute, ma il Capitano dei Raminghi
li zittì ancora una volta, sorridendo come se fosse la felicità in persona.
«Vorrei inoltre condividere con voi una notizia che ho appreso solo qualche
giorno fa, e che ho atteso con trepidazione di annunciare, poiché volevo che
anche mio fratello fosse presente.» Al suo fianco, Éowyn arrossì ed accettò la
mano del marito per sollevarsi e brindare con loro. «Mia moglie, la splendida
Dama di Rohan, aspetta il nostro primogenito.»
L’espressione di Boromir fu impagabile, e il fratello
scoppiò a ridere per la gioia. I Nani e i Raminghi, d’altro canto, esplosero in
ovazioni e canti, brindando anche alla salute della donna e del loro futuro
figlio.
«Sto per diventare zio?» domandò il Sovrintendente,
scioccato. «Sto per avere un nipote?»
«Tecnicamente tra circa sette mesi, mio caro fratellone.»
Si abbracciarono con forza, ridendo. Boromir si congratulò con
entrambi, baciando il dorso della mano della donna e alzando anch’egli il
calice al cielo. «A mio nipote! Che nasca e cresca forte come i suoi genitori!»
Thorin spostò lo sguardo su Fili e Kili. Conosceva la gioia
che provava Boromir in quel momento, poiché egli stesso l’aveva provata per ben
due volte quando aveva scoperto che Dís fosse incinta. Aveva imparato ad amarli
come se fossero stati figli suoi, e dopo la morte prematura del loro padre un
poco lo erano diventati sul serio. Chiunque avrebbe potuto notare il modo in
cui i suoi lineamenti severi si addolcissero ogni volta i suoi occhi si
posavano sui suoi giovani eredi, di quanto la loro incolumità gli stesse a
cuore e di quanto i loro modi chiassosi e allegri lo allietassero a sua volta,
sebbene non lo desse a vedere molto spesso.
La festa continuò fino a tardi e i due fratelli di Gondor si
allontanarono solo qualche minuto, per chiacchierare sulla novità della
giornata.
«Non potevi darmi una notizia migliore, Faramir.» gli
confessò il Sovrintendente, passandogli un braccio sulle spalle. «Sono
orgoglioso di te, fratellino.»
«Grazie, Boromir. Avrei solo voluto che nostro padre
provasse la gioia di diventare nonno.» Sospirò, ma allontanò i cattivi ricordi
con una piccola provocazione. «Ma dimmi, sono il minore tra i due e sono il
primo ad essersi sposato e il primo ad avere prole. Cosa stai aspettando?»
L’altro scosse il capo, conscio che si sarebbe dovuto
aspettare una domanda simile. «Non è il momento adatto per mettere su
famiglia.»
«No, dici? Siamo in tempo di pace, Boromir. Quando sarebbe
il momento migliore?»
Si fermarono su una terrazza, osservando la foresta dei
colli davanti a loro. Il pensiero di Boromir volò a Minas Tirith, dove Brethil
probabilmente stava già riposando in vista della nuova e stancante giornata.
L’immagine di una famiglia con lei era fin troppo bella per essere vera e gli
pareva solo un sogno lontano. Era vero, la pace regnava su Gondor, anche se
giungevano notizie inquietanti da Est; ma lui doveva occuparsi di Osgiliath e
lei non aveva intenzione di diventare madre e lasciare il suo posto accanto ad
Aragorn – di questo era più che certo. «Ci sono ancora troppi intoppi tra me e
Brethil.»
«Vi amate, Boromir. Non ho mai visto una coppia più unita di
voi. A cosa ti riferisci?»
«Siamo due soldati, io e lei.» mormorò. «Ci siamo promessi
di sposarci, un giorno non troppo lontano. Ma i nostri impegni ci stanno
tenendo distanti, così come distante mi sembra quel momento.» Poi sorrise. «Ma
non oscuriamo la lieta notizia con i miei timori, fratellino. Dobbiamo
festeggiare... sarai padre.»
Faramir rise, mentre tornavano al banchetto. «E che i Valar
mi aiutino!»
*
Lo
chiameremo Zio Boromir, infine! Ayeee!
E
Thorin e Trán si ostinano a comportarsi come bambini. Io ve lo dico, occhio che
tra poco i due scoppiano. ;)
Alla
prossima settimana! Si va a Minas Tirith, finalmente!
Un
abbraccio!
E
buona domenica!
Marta.