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Fantasmi
Il
volto del nemico
La
polizia li accolse all’uscita successiva. Arrestò
i due delinquenti e fece
domande a tutti i passeggeri. Tutti diedero pressappoco la stessa
versione:
indicarono Scott come il loro eroe. Ma quasi nessuno gli si
avvicinò per
ringraziarlo. Molti avevano visto il suo sguardo, mentre guardava il
giovane.
Sei
un eroe, jushi.
Gli disse una
voce.
Mi
sembra di essere tornato ai vecchi
tempi!
Rispose un’altra.
Tu
non te li ricordi i vecchi tempi! Tu
non c’eri!
Si
che c’ero! Il jushi qui ha solo
bisogno di un po’ di esperienza, ma sento che…
Sta
zitto, ok?
Scott
li lasciò perdere. Un agente non la smetteva di fargli
domande, doveva stilare
il suo rapporto, forse l’avrebbe portato in centrale... non
sembrava sapere con
precisione quale fosse il suo compito. Era molto giovane.
“
Allora, ricapitolando, tu ti sei alzato e sei andato contro
l’uomo…” Scott si
limitò ad annuire per l’ennesima volta. Voleva
tornare a casa. C’erano tante
cose a cui doveva pensare.
Vide
un uomo in giacca e cravatta che parlava con il comandante, poi si
avvicinò a
loro. Aveva sulla faccia il sorriso falso di un diplomatico, ma il modo
in cui
camminava gli diceva tutt’altro. Doveva tenerlo
d’occhio.
“
Agente, ho appena parlato con il vostro comandante. Sono
l’agente Dillmore”
disse, mostrandogli il tesserino. Unità speciale Udsc. Non
l’aveva mai sentita.
“Non le dispiacerà se prendo in custodia il
ragazzo, vero?”
“
Ehm… no, certo. Ho finito con il rapporto. È
tutto suo l’eroe.” disse,
l’agente, allontanandosi.
L’agente
speciale gli riservò uno dei suoi migliori sorrisi.
“ Vuoi seguirmi, prego?”
“
Dove deve portarmi?” chiese Scott.
“
È
per il tuo bene, non preoccuparti. Ti porterò in un posto
sicuro.”
“
Posso trovarlo anche da solo un posto sicuro. Lei chi
è?”
“
Sono l’agente Dillmore. Abel. Unità
speciale…”
“
Unità davvero speciale, se prevede l’apprendimento
delle arti marziali.”
“
Come…?”
“
Lasci stare. Si limiti a dirmi la verità. So riconoscere una
menzogna.” Disse
calmo Scott, guardandolo adesso negli occhi.
L’uomo
sorrise. Scott ne rimase sconcertato.
“
Il
tuo sguardo non ha effetto su di me. Anche questo è previsto
nell’addestramento. Tu hai delle domande. Sto per portarti
alle risposte. Devi
solo seguirmi.”
“
Bene. Andiamo.”
Scott
guardò la strada per tutto il tragitto. Ci impiegarono
più di un’ora. Erano in
un posto che non aveva mai visto, ma avrebbe saputo tornarci ad occhi
chiusi.
Aveva già memorizzato la strada.
Era
un complesso di costruzioni squadrate, pieno di finestre e prati e
nemmeno una
macchina. Come aveva immaginato, i parcheggi erano sottoterra.
Posarono
la macchina e l’agente Dillmore lo guidò per
diversi corridoi, all’apparenza
tutti uguali.
Conosco
già questo posto, pensò
Certo
che lo conosci.
Disse una delle
voci.
Come
faccio a conoscerlo?
È
qui che hai passato gli ultimi quattro
anni. Coma hai fatto a dimenticare questa puzza!
Era
l’odore di disinfettanti. Oltre quello, sembrava non esserci
nient’altro.
Le
pareti erano immacolate, come se fossero state dipinte il giorno prima.
Tutto
era impeccabile, asettico. Osservando attentamente, scoprì
che le porte erano
distribuite secondo una precisa logica. Ne fece mentalmente una mappa.
Sulle
porte non c’erano targhe né indicazioni. Era un
posto irreale. Sembrava
immenso. Eppure per la prima volta da quando si era svegliato, ebbe la
sensazione di essere a casa. Aveva paura.
Dillmore
lo precedeva di qualche passo, evidentemente a suo agio in quei
corridoi.
Ce
ne dobbiamo andare, jushi!
Stai
zitto! Lo sapevi che saremmo tornati
qui.
Di
che state parlando?
Chiese Scott.
Ormai aveva preso coscienza che quelle voci non gli appartenevano.
Che
dobbiamo scappare, non c’è altro
tempo!
“
Qualcosa non va, Scott?” gli chiese Dillmore.
“
Cos’è questo posto?”
“
Qualche altro minuto di pazienza e avrai le tue risposte.”
Scott
si mosse fulmineo. Sferrò un pugno al fianco
dell’agente con tutta la forza che
aveva. Gli bastava rallentarlo per scappare di lì.
Ma
Dillmore fu più rapido. Si voltò, come
aspettandosi quell’attacco e lo parò con
facilità.
Scott
sentì un brivido lungo la schiena. Fissò di nuovo
l’agente negli occhi.
“
Ti
ho già detto che quella tecnica non funziona come,
stronzetto!” disse Dillmore
“
Io
non ci giurerei” sussurrò Scott. Non sapeva cosa
stesse succedendo. Sentiva gli
occhi ardere come stessero andando a fuoco. Non era come le altre
volte.
“
Ma
che diavolo…”
Dillomore
si allontanò da lui. Non poteva staccare gli occhi da quelli
di Scott. Anni di
addestramento erano del tutto inutili contro quel ragazzo.
Cercò di resistere,
ma inutilmente. Dopo qualche secondo, si accasciò a terra,
privo di sensi.
Ora
corri jushi, portaci fuori da qui!
Scott
non se lo fece ripetere. Sapeva come uscire.
Non
ebbe il tempo di fare due passi che scattò la sirena
dell’allarme. Come diavolo
avevano fatto a scoprirlo così in fretta?
Corse
per i corridoi senza esitazioni, l’uscita non era lontano da
lì.
Girò
l’angolo e si trovò improvvisamente contro sei
agenti. indossavano delle tute
bianche, quasi a volersi confondere con le pareti. Avevano delle
maschere. Con
loro il suo sguardo non avrebbe avuto effetto. E comunque, erano in
troppi.
Non
farti prendere!
Era
facile a dirsi. Non poteva lanciarsi contro di loro, né
tornare indietro: di
sicuro conoscevano quel posto molto meglio di lui. però
poteva provare a
dividerli! Avrebbe avuto qualche possibilità.
Ma
prima che potesse muoversi, altri 2 agenti sbucarono alle sue spalle.
Fece
un passo indietro. All’improvviso ricordò di
averli già visti! Quella stessa
formazione… era già successo… avevano
già cercato di braccarlo. Immagini si
imposero alla mente con forza. Non
è il momento!
Si disse, ma non poteva evitarlo.
Rivide
quegli agenti mascherati muoversi in una stanza, che cercavano di
catturarlo… e
di sfuggirgli.
Sentì
delle urla. Urla di bambini, da qualche parte. E corpi sul pavimento.
Sangue. E
le urla. Le urla erano anche peggio. Sentiva la mente scoppiare, come
allora.
Scott
era terrorizzato. Non aveva memoria di un terrore così
totale. La mente
pulsava, faceva male. Poi un volto si presentò davanti ai
suoi occhi. Un
vecchio. Capelli bianchi. Una cicatrice sull’occhio destro.
La mascella
pronunciata. Barba ispida. Il volto che lo rincorreva ogni notte nei
suoi
incubi!
Fu
allora che Scott non riuscì più a controllarsi.
Il terrore di quell’uomo abbatté
tutte le sue barriere.
Lo
sto facendo di nuovo!
Pensò, ma quel
pensiero si perde nel resto.
Chiuse
gli occhi. E sembrò la fine del mondo.
Rumori.
Urla. Le voci nella sua testa erano sparite. Intorno era solo nebbia.
Le urla
rimbalzavano sulle pareti. Scott non sapeva cosa stesse succedendo, ma
il suo
corpo sapeva come muoversi. Vide ombre nella nebbia. Ombre che non
toccavano il
suolo. E le urla degli agenti, urla di uomini che hanno perso ogni
appiglio.
Poi sentì le voci che aveva imparato a conoscere bene, le
voci che da mesi
sentiva nella sua testa. Ma adesso erano là fuori, tra gli
agenti. Le sue mani
sembravano controllare la nebbia.
All’improvviso
avvertì una presenza dietro di sé. Qualcosa che
riluceva attraverso la nebbia.
Era rosso, fiammeggiante.
Scott
si voltò e aprì gli occhi. Si trovò di
fronte un angelo. Dimenticò tutto il
resto. Davanti a lui c’era la ragazza più bella
che avesse mai visto. I suoi
capelli biondi sembravano mossi dal vento. E i suoi occhi, verdi,
luminosi, gli
impedivano di guardare altrove. Camminava verso di lui, con un sorriso
malizioso. Aveva un cappotto rosso, lungo, elegante. Arrivò
a qualche metro da
lui e aprì il cappotto. Sotto aveva una gonna nera, molto
corta, ma non fu
quello ad attirare il suo sguardo. Allacciate alla vita aveva due
pistole. La
ragazza le estrasse con una velocità sorprendente e le
puntò contro di lui. Non
smise di sorridere, mentre sussurrava: “Sogni
d’oro, bellezza”.
Due
spari. Lo colpirono al petto. La nebbia di dissolse. Le voci
ritornarono nella
sua testa. E tutto divenne nero.