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Autore: cantlovecanthurtcantlive    13/09/2013    0 recensioni
E' un fine-settimana come tutti gli altri.
E quella è la solita discoteca di ogni fine-settimana. Con la stessa musica che è più forte della voce dei tuoi pensieri, e gli stessi bellissimi ragazzi che hanno voglia di divertirsi, con quelle loro lingue che non sanno assolutamente di nulla. Ma mentre ti fermi a fare riposare le tue orecchie che fischiano, qualcuno ti trascina di nuovo a ballare. E tu non hai tempo di ragionare se è una cosa è giusta o sbagliata, che vi state già baciando.
«Sarà una cosa di una sera» pensi.
Ma ti ritrovi a nascondere qualcosa ad un padre alcolista e menefreghista e a una madre troppo impegnata ad amare Dio e il suo vangelo più che sua figlia.
L'unico che ti rimane è Dereck. Amico? ragazzo?
«Non hanno importanza le etichette» dici.
Eppure, sarà l'unica cosa a cui darai importanza da quella sera.
STORIA FEMSLASH NO OMOFOBI.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Robbery

Capitolo due.
La modella.


La mattina sucessiva,quando mi svegliai, mi ritrovai l'intero corpo fradicio. Così sudato che la maglietta che usavo per dormire mi si era incollata al petto.
«Cristo!» pensai,affondando la testa nel cuscino per soffocare un gemito,mentre la voce di mia madre,al piano di sotto,si faceva sempre più forte:
«Victoria, sono le sette!»
Scostai la testa dal cuscino e lanciai un' occhiata sul comodino di legno di fianco al mio letto. La sveglia rossa che mi aspettavo di trovare, era solo un lontano ricordo. Infatti, i suoi ingranaggi fatti a pezzi erano ancora lì,sul pavimento di marmo in un angolo della stanza. L'immagine di mio padre che brandiva una bottiglia di Scotch rotta in due,e uno sguardo severo e vitreo mi si infiltrò nella mente,e tutto mi ritornò chiaro. Scossi la testa,sperando che dalla forza con cui la scuotevo quel ricordo potesse uscirmi dalle orecchie, invano infilai le ciabatte e mi chiusi la porta del bagno alle spalle. Mi scollai la maglietta,che feci cadere insieme alla biancheria nella cesta, e entrai nella doccia. Aprii l'acqua del telefono, e mi schiacciai sui vetri aspettando che si riscaldasse.
«Non darmi dell'ubriacone...» la sua voce roca e contraffatta dall'alcool mi riecheggiò nella testa.
Quando i vetri si incominciarono ad appannare mi decisi a piombare sotto il getto della doccia.
«...Tu non sai nulla.» le sue parole mi erano scandite alla perfezione.
TU NON SAI NULLA.
Mi lavai in fretta, e quando ebbi finito,uscii e mi avvolsi con un grande asciugamano e tornai in camera. Mi infilai della biancheria pulita, un paio di jeans, e una maglietta a maniche lunghe rossa. Scesi le scale, ma di mia madre non c'era traccia. Lanciai un'occhiata all'orologio del forno,e nel mio volto comparve una smorfia quando capii che era già per strada .Afferrai dal tappetino di fronte la porta di casa le mie scarpe, e feci scivolare i miei piedi dentro,mi infilai la giacca di pelle nera, raccolsi la cartella, e quando me la misi in spalla uscii.

Miss.Moore non era più così giovane, e lo si capiva dalle piccole pieghe agli angoli degli occhi che le si formavano per ogni sua espressione,positiva o negativa che fosse. Portava un taglio a caschetto e i suoi capelli nero corvino ondeggiavano ogni volta che piegava o scuoteva la testa. Gran parte del viso era occupata dal suo naso aquilino e dal neo marroncino sulla punta. I suo occhi color caffé erano così piccoli e incavati che nemmeno in quell'aula così illuminata erano facili da notare.
Ma quella mattina i suoi occhi erano luminosi, e le sue mani con quelle dita lunghe tremavano leggermente.
«E' da tanto che la scuola risparmia per questo...cercate di sfruttarlo al meglio!»
Non appena sentii quelle parole, guardai le pareti dell'aula. Non era un'aula qualsiasi, infatti sulle pareti non c'erano appese cartine geografiche o quantomeno lavagne. Ma enormi fogli di carta da pacchi,con disegnate donne formose completamente nude, e da quei visi abbastanza vissuti e da quelle forme così prorompenti si poteva intuire che le modelle avessero avuto più o meno sui quarantacinque anni. Forse posavano per arrotondare lo stipendio. Ma con la crisi, la scuola non ha più potuto pagarle,e così gli studenti sono stati costretti a ritrarre busti di gesso che erano stati rinchiusi negli armadi color verde bottiglia addossati alle pareti.
«Perfetto,stamattina non si ritrarrà nessuna riproduzione di qualche imperatore romano, ma solamente una grossa donna, davvero entusiasmante.» mi sussurrò Dereck ironico.
In una mano impugnava il taglierino, e nell'altra stringeva saldamente una matita blu, e non appena la vidi mi chiesi se non fosse una delle tante che gli avevo prestato.
«Come diavolo si tempera..» non gli lasciai nemmeno il tempo di finire di imprecare che gli sfilai dalle mani sia il taglierino che la matita, e incominciai brutalmente a scavare il legno intorno alla mina.
Mentre temperavo mi chiesi se quella che posasse non fosse proprio la madre di Dereck, così altruista e sempre disponile,che avrebbe potuto posare gratis. Avevo ancora in mente il viso paffuto di sua madre, quando la porta del piccolo e polveroso spogliatoio di legno affianco alla cattedra di Miss. Moore si aprì.
La donna che uscì fuori era coperta da un asciugamano bianco, che per un primo momento confusi addirittura con la sua pelle quasi diafana. Non aveva nessuna curva, era esile come un grissino. La sua pelle era così levigata che non poteva di certo appartenere a una quarantacinquenne,e capii che aveva solamente qualche anno in più di me dal suo viso. Con labbra sottili, spesse sopracciglia e enormi occhi cerulei...
«Lei è Kara.»
Sentivo la voce di Miss. Moore arrivarmi ovattata alle orecchie, come quando esco da un locale e Dereck incomincia a raccontarmi delle ragazze con cui si è divertito, e le mie orecchie fischiano troppo per capire cosa stia dicendo. Vidi le labbra di Miss Moore muoversi, poi le indicò sollevando il mento un cubo grigio posto in mezzo all'aula. La modella si girò di schiena, lasciò scivolare a terra l'asciugamano e salì sul piedistallo. Miss.Moore si piegò per raccoglierlo e vidi la sua faccia scurirsi,come se fosse scocciata, il che succede veramente raramente, solo nel caso colga in flagrante qualcuno a disegnare sui cavalletti.Lei intanto era già in posa; messa di profilo, con la gamba sinistra che pendeva dall'estremità del cubo, e il ginocchio di quella destra che le sfiorava il mento. La testa china, forse vuole verificare se è tutto nella posizione che le ha richiesto Miss. Moore. Quando la mia insegnante batté le mani, per dare inizio la copia, lei sollevò la testa, e fu allora che i suoi occhi incrociarono i miei. Il suo sguardo da spensierato a sicuro cambiò in sorpreso,tanto che le sottili labbra si aprirono. Qualcosa mi si conficcò nel fianco, ci si misi un po' prima di capire che era stato il gomito di Dereck a colpirmi:
«Questa la valuta, quindi è meglio che disegni qualcosa..»
Diedi un'occhiata al mio foglio vuoto appiccato con dello scotch giallo al cavalletto, e poi riposi gli occhi su Kara,ancora immobile nella stessa medesima posizione, solo che i suoi occhi non fissavano più i miei, ma il muro dietro di me.
Rimisi il taglierino nell'astuccio e incomincia a disegnare.

Quando la campanella suonò, Miss. Moore ci ordinò di lasciare il foglio appiccicato sul cavalletto. Feci la cartella in fretta, mi rinfilai la giacca di pelle nera, e uscii dall'aula con Dereck alla calcagna senza posare i miei occhi su Kara. Sentivo il suo sguardo fisso sulla mia nuca. Scesi più in fretta che potevo le scale, e quando ci ritrovammo di fronte alla pasticceria vicino alla scuola mi ricordai di non aver preso la mia piccola cartellina,che avevo preso dalla cassettiera della scuola poche ore prima.
«Faccio presto» promisi a Dereck prima di rimettermi a correre. Raggiunsi la scuola,salii di nuovo le scale con il cuore che mi batteva anche nella gola, e sperai che lei se ne fosse andata,e che l'aula non fosse ancora stata chiusa a chiave. I miei progetti rinchiusi in quella piccola cartellina, mi passarono davanti come fotogrammi.
«Non posso perderla.» pensai,mentre un brivido mi scorreva sulla schiena.
Poggiai le mani sulla maniglia, e spinsi. La porta si aprì, e nel mio viso si formò un piccolo sorriso. Quando entrai nell'aula, la trovai vuota. C'era solo la luce accecante che filtrava dalle finestre.
Mi avvicinai al mio sgabello, dove su una delle gambe, poggiata c'era la mia cartellina, stesi la mano per prenderla, ma una voce alle mie spalle mi fece sussultare.
«Non ci siamo già viste?»
Avevo già sentito quella voce, ma era la prima volta che la sentivo senza qualche canzone di Lady Gaga di sottofondo.
Mi girai, e la vidi. I capelli lisci biondi sparpagliati su una camicetta bianca infilata in un paio di jeans blu scuro. La camicetta bianca era stata infilata di fretta perché un piccolo orlo ricamato usciva dal jeans. Quando notai questo dettaglio riprovai quella strana sensazione di caldo, come se il sole, tra tutte le cose in quell'aula avesse deciso di puntare i suoi raggi solo su di me. Afferrai la cartellina e risposi: «Ero una delle alunne che ti ha ritratto.»
Lei arricciò il naso e contrasse la bocca, come se non fosse d'accordo.
E mentre mi avviavo verso la porta, mi chiese:
«E' tuo?»
Mi girai e vidi che stava indicando il mio cavalletto.
Annuii.
«Devi essere una delle più brave.»
«Non dovresti stare così a lungo qui.» dissi,mentre i suoi occhi scrutavano il mio disegno.
«Nemmeno tu.»
Appena disse quelle parole, mi lanciò uno sguardo penetrante.
«Hai paura che si sciupi se ci do un'occhiata?»chiese lei ridacchiando, e riportando lo sguardo sul suo ritratto.
Mi chiesi se sulla fronte non mi si era ingrossata la mia piccola vena;succedeva sempre se ero infastidita o irritata.
«Puoi guardarlo quanto vuoi,io però non rimango.»
Stavo per richiudermi la porta alle spalle, quando lei, ancora con lo sguardo fisso sul foglio disse,quasi sussurrando:
«Già,hai qualcuno che ti aspetta.»

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