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Autore: sleepingwithghosts    14/09/2013    2 recensioni
(...) mi ripetete come, di preciso, riusciremo a scovare Jared, Shannon e Tomo?»
Una malsana idea nata subito dopo aver visto Artifact. Tre amiche che partono alla ricerca dei loro eroi, prendendo un volo last minute per Los Angeles e che finiranno per mangiare tante ciambelle, questo è sicuro. Ma li incontreranno? Ci riusciranno davvero? Che l'avventura abbia inizio.
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio, Shannon Leto, Tomo Miličević, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La voce leggermente stridula di una hostess mi sveglia dal sonno tormentato in cui sono caduta, letteralmente, dato che ho sognato di precipitare dentro un buco, come Alice, ma senza coniglio bianco o porte minuscole; nel sogno mi limitavo a vegetare dentro quello che sembrava un pozzo molto fondo per il resto della mia vita, e non morivo cibandomi di strane rape blu che crescevano lì dentro. Non sono mai stata del tutto normale, in fatto di sogni. E no, non sono una consumatrice di LSD, se ve lo state chiedendo. Faccio solo sogni strani. Capita, è così che va la vita, alcune persone fanno sogni strani, altre li fanno nella norma, altre ancora non li fanno. Capita.

«Signorine, stiamo per atterrare, dovete allacciare le cinture», dice la hostess con la voce non poco irritante. Ancora intontita dal sonno, annuisco. devono farlo anche le mie amiche, perché lei ci avvolge con un sorriso rugoso – non sapevo che le hostess potessero avere più di trentacinque anni, sono contenta che la discriminazione non sia arrivata ancora a questi livelli – e se ne va ad avvertire qualche altro passeggero che come noi, durante il volo, si è addormentato.

«Quanto tempo abbiamo dormito?», chiedo alle altre.

«Tu sei crollata come un sasso finito il pranzo, con la pancia piena», risponde con un sorrisino Rain.

Non mi convince quel sorriso. «Perché sorridi?»

Tossichia. «Sei carina quando dormi»

«Non prendermi in giro», le dico puntandole un dito contro il petto. «Perché diavolo stai sorridendo in quel modo inquietante? Rispondi»

«Che maniere!», sbuffa. «Diciamo che, emh… ti ho aiutato a fare sogni tranquilli»

«Sono caduta dentro un fottuto buco buio a cibarmi di rape blu, nel mio sogno tranquillo». E in quel momento collego. È vero che faccio sogni strani, ma rape blu? «mi hai drogata?», boccheggio.

«Ti ho messo un tranquillante nell’acqua, giusto per farti addormentare. Frances, l’ha messo, per la precisione»

Guardo Frances che si stringe nelle spalle. «Mi spiace, ma noi abbiamo detto no agli attacchi di panico»

«Traditrice», sibilo guardandola in cagnesco.

Sento qualcuno che mi appoggia una mano sulla spalla e alzando gli occhi noto che è l’hostess di prima, un qualche sentimento negativo nei miei confronti mascherato da un sorriso in volto. «Sì, scusi», dico imbarazzata trafficando con la cintura e riuscendo, dopo svariati tentativi, ad allacciarla. Alzo la testa e le sorrido.

Sono quasi sicura di essermi meritata una maledizione da parte sua, quindi, sconsolata, mi accascio sul sedile, ancora con il torpore tipico del sonno in testa. Mi volto a guardare le mie amiche e le vedo molto prese a osservare qualcosa fuori dal finestrino. Da dove sono io, il sedile vicino al corridoio – condizione tassativamente imposta da me stessa in quanto 1) in caso di nausea posso correre in bagno, 2) meno vedo fuori dal finestrino meglio è, 3) alla mia sinistra non c’è nessuno, il che significa che rimane più ossigeno per la sottoscritta, 4) voglio essere la prima ad essere avvertita della propria imminente morte, in caso sia necessario – non riesco a vedere bene che cosa stiano indicando, ma non me ne curo (vedi punto 2 della soprastante lista) e invece chiudo gli occhi, sperando di sentire di meno tutti gli strani movimenti che l’aeroplano compie in fase di atterraggio, auto convincendomi che se non vedo allora andrà tutto bene.

E va tutto bene, effettivamente. Il problema è che qui, a New York, ci stiamo tre ore. Ci concediamo un caffè, una capatina al bagno a rinfrescarci la faccia che ha l’aspetto di un’esperienza post morte (la mia, almeno, Frances è perfetta come sempre) e poi un altro caffè, stavolta con la panna sopra, giusto perché tanto grazie all’ansia sono dimagrita di qualche chilo. E poi facciamo un altro check-in e ci imbarchiamo. Di nuovo.

Un’ora dopo mi ritrovo inevitabilmente a lamentarmi. È nella mia natura, non posso farci nulla. «Tutti questi aerei mi faranno venire i capelli bianchi», sbuffo.

«Mi spiace deluderti ma sono ancora deliziosamente fucsia», ribatte Frances.

«Non serve rimarcare il fatto che l’unica bionda, e quindi con qualche misera possibilità di far colpo su Jared, fra le tre, sei tu»

Sorride. «C’est la vie»

«Voi e il vostro francese del cavolo»

«Dovevi metterci più panna in quel caffè. Sai, magari ti addolciva», interviene Rain.

Bene, sono pure acida adesso. Sbuffo di nuovo, abbassandomi ad allacciare una scarpa. Casualmente, e i peli mi si rizzano sulle braccia, noto il tempo davvero poco carino fuori dal finestrino. «Di nuovo una tempesta? Io non ce la faccio!». Voglio morire prima che un lampo entri dentro questa macchina infernale e mi faccia diventare un mucchietto di cenere, è tanto da chiedere?

Rain alza gli occhi al cielo. «Non morirai»

«Tutti muoiono»

«Non morirai adesso»

Borbotto un «questo lo dici tu» che credo non senta, dato che non pervengo nessuna risposta scocciata. Con lo stomaco chiuso, comincio a grattarmi via lo smalto dalle unghie, tanto per passare il tempo. Infine sto andando a Los Angeles, non a farmi decapitare da un boia, un po’ di entusiasmo potrei ostentarlo, ogni tanto, no? Prendo un grosso respiro e decido che sì, la mia faccia potrebbe rilassarsi un pochino e che le probabilità che io muoia, in fine, non sono poi alte. Posso davvero calmare i nervi.

Posso eccome, ma l’aereo comincia a traballare, e lo stomaco mi finisce in gola. Vorrei urlare ma non ci riesco. «Che cazzo succede?», annaspo, chiedendolo a nessuno in particolare.

La voce di un’hostess esce dagli altoparlanti «Si avvisano i gentili passeggeri di mantenere la calma. Le turbolenze termineranno appena avremmo sorpassato la tempesta»

La voce di Hagrid che afferma “Arriva una tempesta Harry, proprio come l’ultima volta” mi rimbomba in testa. Moriremo tutti, e non per mano di Voldemort. Oh, quella sì, che sarebbe stata una morte degna. Moriremo tutti perché questo aereo perderà un ala, prenderà fuoco, e si schianterà al suolo. «Non ce la faccio»

Frances, al mio fianco, mi appoggia una mano sulla gamba. «Calmati. Sorpasseremo il temporale in fretta, vedrai»

Faccio dei grossi respiri, ma l’aria non vuole saperne di arrivare al polmoni. Ripeto l’operazione un paio di volte, prima di riuscire a sentire l’ossigeno arrivare al cervello di nuovo. E in quel momento, l’aereo si muove violentemente di nuovo. D’istinto, mi aggrappo a Frances. «Oh Dio»

«Calma»

«Vaffanculo. Come faccio a stare calma? Questo coso si muove!»

«Shh, abbassa la voce, stai urlando», mi intima Rain. Lei mi guarda e mi sorride. «Tesoro, calmati, ti prego. Va tutto bene»

Vorrei dire che me la sto facendo sotto dalla paura, non che non si capisca, ma il briciolo di dignità che mi rimane, mi sprona ad annuire. «Okay», è l’unica parola che riesco a sillabare.

Ritorno alla mia posizione originale, sebbene io sembri di più uno stoccafisso che un essere umano, e cerco di stabilizzare il mio respiro, focalizzando tutta l’attenzione sul battito del mio cuore e sull’alzarsi e l’abbassarsi del mio petto. Ce la puoi fare, mi ripeto. Va tutto bene, benissimo.

«Vedi? Le turbolenze sono finite», dice Frances con sorriso tenero in volto. Mi limito ad annuire.

Le turbolenze sono finite, ultime parole famose. Non so di preciso che cosa succeda, dato che accade tutto troppo velocemente, ma qualcosa, qualcuno, a causa dell’ennesimo assestamento del veicolo, ci piomba addosso. Finisce dritto disteso sulle nostre gambe e ci paralizza.  L’uomo – deduco sia di sesso maschile per l’altezza e per il modello di scarpe – rimane per qualche secondo in quella posizione imbarazzante, poi, agilmente si alza, borbotta qualche scusa, e se ne va.

 Mi volto verso Frances e Rain con espressione confusa. «Che cos’è appena successo?»

«Un tipo ci è caduto addosso», risponde Frances, corrucciata.

«Sbaglio o aveva una felpa, una giaccia e un’altra giacca legata alla vita?», dico.

«Sbaglio o era super muscoloso?», rincara Rain.

«Sbaglio o non l’ho visto in faccia perché aveva il cappuccio e degli occhiali da sole?», aggiunge Frances.

Tre giacche, quando la temperatura è decisamente gradevole. Occhiali da sole quando di sole non c’è neanche l’ombra. Cappuccio, quando non piove (per lo meno non dentro all’aereo). Muscoli. Il mio cervellino da criceto sta lavorando, e anche molto in fretta. «Voi non pensate sia…?»

Ci scambiamo uno sguardo d’intesa che dura un tempo infinito. «Nah, quello non può essere Jared», sentenzio alla fine, scuotendo la testa.

«No, non può essere», concorda Frances. «Questa cosa ci sta decisamente dando alla testa»

«Pazze per Jared Leto, chiamerò così la mia prima serie tv», affermo. L’ansia comincia a passarmi, anche grazie all’annuncio promulgato dagli altoparlanti il quale dice che la tempesta sembra essere passata.

Controllo l’ora sul telefono, calcolando circa mezz’ora all’atterraggio e mi collego prima a Twitter, ma non noto nessuna informazione interessante. Dunque passo a Tumblr, patria di noi lupi solitari e asociali. Delle foto mi saltano subito all’occhio. Delle foto di Terry Richardson. Delle foto di Jared Leto scattate da Terry.

«Si avvisano i gentili passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza per l’atterraggio e di spegnere ogni apparecchio che potrebbe disturbare le linee».

 Allaccio quell'imbracatura e butto il telefono nel bagagli a mano, con  un gesto meccanico, poi mi volto verso le mie amiche.  «Terry ha recentemente scattato delle foto di Jared».

Mi guardano perplesse. «Quindi?», chiede Frances.

«Quindi lo studio di Terry è a New York»

«…quindi?», ribadisce Rain.

«Quindi Jared era a New York. Recentemente. Quindi quell’uomo che prima ci è caduto addosso potrebbe…»

«Oh mio Dio», dice Rain.

«Ohh», dice Frances.

L’atterraggio inizia e io rimango incollata al sedile. La saliva, inoltre, mi si è seccata in bocca e non riesco a deglutire bene. Barcollando scendo dall’aereo, guardandomi invano intorno cercando il ragazzo con la felpa nera e gli occhiali da sole e le due giacche, il presunto Jared Leto, ma di lui nessuna traccia. Noto come Rain e Frances stiano facendo la stessa cosa; noto dalle loro facce deluse che nemmeno loro l’abbiano individuato.

Aspettiamo davanti al nastro trasportatore le nostre valige, che tardano ad arrivare. Per un momento dimentico Jared, le foto di Terry e tutto il resto perché Frances sta avendo un vero e proprio attacco isterico. A quanto pare la sua valigia, a contrario di quella mia e di Rain, non è arrivata a destinazione.

«Io li denuncio. Dove cazzo è la mia valigia? Cosa devo fare, adesso?», dice, le mani fra i capelli.

«Andiamo a chiedere a qualcuno, okay?». Ora che i miei piedi sono ben piantati a terra, personifico la calma. Ci incamminiamo verso quello che ci sembra il posto più indicato, ascoltando i borbottii irritati e arrabbiati di Frances. Chiede all’uomo burbero dietro il bancone che cosa deve fare per ritrovare la sua valigia, e lui, di rimando, le dice di aspettare.

Sto per alzare gli occhi al cielo indispettita in quanto dovremmo sicuramente aspettare un’eternità, quando vedo di nuovo quel cappuccio, quelle scarpe, quei pantaloni.

«Ragazze»

«Cosa?», chiedono in coro.

«Eccolo», esclamo. «Eccolo, è lui»

Ricominciamo a camminare, dimenticando la questione valigia, e seguendolo a distanza per poi fermarci all’improvviso quando lui si alza una manica della felpa. Un tatuaggio che conosco molto bene mi si para davanti agli occhi. Il respiro mi si mozza in gola. «Porca puttana»

«Oh cazzo», esclama Rain.

«Merda», dice invece Frances.

Le guardo. «Quello è Jared. Jared Leto è caduto sulle nostre gambe. Jared Sesso Leto è davanti a noi. Che cosa facciamo?»

«Porca miseria», dice di nuovo Rain.

«Ragazze, concentrazione. Che-cosa-cazzo-facciamo?»

«Corriamo», «Corriamo?», «Corriamo»

Quando però, a voto unanime, decidiamo che l’unica cosa da fare è correre e raggiungerlo, lui è già sparito dalla nostra visuale. «Era così vicino», piagnucolo sedendomi su una sedia.

«Lo sarà di nuovo», dice determinata Frances.

«Promesso?», chiediamo contemporaneamente io e Rain.

«Promesso. Ritroveremo Jared Sesso Leto, prima o poi. Ci riusciremo»

 

Sfortunate? un pochino, in effetti. Ma abbiate fede, sono determinatissime a trovarli, in qualsiasi modo. Deb.

 

  
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