- Mad Tea Party -
ATTO PRIMO, SCENA UNDECIMA
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I Sogni di una Rosa
Era stato sul punto di credere che gli avrebbe
detto di no, ammise di averlo fatto mentre finiva di struccarsi col latte
detergente e un batuffolo di cotone in mano, e ammise anche di avere sperato
che gli dicesse subito di sì invece di tergiversare.
Invece quello aveva proprio tergiversato,
accidentaccio a lui.
Si picchiettò il viso tamburellando col cotone
sulle dita e quasi rabbrividì per la piccola sensazione di freddo che gli
trasmise il liquido profumato sulla pelle candida. Annusò un poco l’aria, quel
coso sapeva di narciso e gli pareva un pelo troppo dolce, ma era troppo preso a
pensare ad altro per badarci e sospirò mentre si passava il batuffolo sul
volto.
C’era un che di incredibilmente molesto e
seccante in quella faccenda, se erano quelli i due aggettivi buoni per
descrivere Satoru Okabe.
In quel momento l’immagine di quel ragazzo gli
stava schiantata dietro agli occhi come se ce l’avesse avuto davanti e la cosa
gli metteva un inesauribile nervoso. Mai avrebbe detto di poter essere schiavo
di un’immagine che non fosse stata la propria.
Be’, forse schiavo era una parola un po’
grossolana che mal descriveva il suo pensiero. Non ci poteva fare molto, però.
Passò al tonico, che gli faceva pizzicare un
poco gli occhi ma gli rinfrescava la pelle come un balsamo, e intanto
continuava a dialogare fra sé e sé mormorando e mugugnando come un fanciullo
che sogna.
Non aveva fallito, assolutamente no, ossessivamente
ne rimuginava mentre guardava il suo riflesso allo specchio coi suoi occhi neri
e scintillanti.
C’era infatti un sorriso stampato sulle sue labbra,
un sorriso di puro trionfo.
Curiosamente sapeva di esserci riuscito e di
avere accalappiato quella preda con la stessa facilità con cui avrebbe saputo
di riuscire a vederci.
Tornò con la mente alla sera prima, a quando
gli aveva detto quelle parole che erano suonate a lui come una profezia e che l’avevano
costretto a sputarsi un pezzo di cuore mentre le pronunciava. Gli aveva detto
che la musica l’avrebbero fatta loro, insieme. E Satoru
lo aveva guardato con gli occhi larghi e il respiro rotto, quasi che non avesse
saputo come replicare. Era rimasto in silenzio, a lungo, mentre il vento che s’era
alzato pareva giocare a portarsi via i capelli di Mana, confusi nella nera
notte del cielo e guizzanti dell’argento dei lampioni. E poi… lasciami qualche
giorno per pensarci, gli aveva detto, solo qualche giorno.
E l’aveva lasciato dicendogli che sarebbe stato
lui a farsi vivo.
Mana esalò un breve sospiro, perché quella
mezza giornata che l’aveva separato dal momento della dipartita di Camui era stata segnata per lui da uno stato di attesa che
aveva dell’elettrico.
Aspettava la conferma definitiva, e andò in
cucina a mangiarsi un biscottino al cioccolato con ancora la fascia per capelli
sulla testa e la bottiglia di tonico in mano. Se la stava portando a spasso
come un animaletto domestico e la mollò solo quando crollò giù stravaccato sul
divano stile manichino coi piedi che gli penzolavano giù dalla sponda.
Guardò il telefono e storse gli occhi. Aveva
una mezza idea di telefonare a lui sapeva chi, ma… forse non era il caso.
Tirò su il telecomando dal tavolino e fece un
po’ di zapping a tempo perso perché non c’era niente che gli interessasse
guardare, poi finalmente si tirò su di nuovo e compose un numero
all’apparecchio telefonico.
Era sera sì, ma poco importava.
Tanto chi sapeva lui era sveglio di sicuro… un
ghignetto sardonico gli attraversò le labbra rosa in un breve lampo di
divertimento.
« Pronto? »
Come s’aspettava aveva parlato una voce
maschile, più alta e sottile della sua.
« Comandante Oscar François
De Jarjayes, è desiderato a Versailles. »
« …ma vaffanculo! »
Mana scoppiò a ridere. Quel cretino non s’era
ancora abituato alle sue prese in giro.
« E dai, Kacchan!
Scherzo, lo sai! »
Un istante di silenzio all’altro capo del filo.
« E non mi chiamare Kacchan!
»
« Ma se ti chiamo Kami-chan
ti confondo con Kami-chan! »
Uno sbuffo, un piccolo sbuffo a metà tra lo
scocciato e il deliziato.
« Sì, va bene… che cosa desiderate a quest’ora, Mia Adorata Principessa? »
« Desidero che tu mi stia a sentire, Lady
Oscar: ho il vocalist! »
« Ma dai? E chi avresti reclutato stavolta?
Pensavo che dopo Takano ci avessi messo una pietra
sopra! »
Non poté trattenere un brivido d’irritazione
nel sentire quel nome che di lì a qualche mese era stato in grado di fargli
venire più di un’orticaria nervosa da arrabbiatura non sfogata.
« Tetsu è acqua
completamente passata morta ed evaporata. Questo è forte sul serio! »
« E sentiamo, che avrebbe di speciale? »
Ci pensò su e gliene vennero tre.
« Primo: è fuori come un balcone. Secondo:
canta bene. Terzo: è pure belloccio. »
« E suppongo che per te quella interessante sia
la prima… »
Quello scriteriato con cui stava parlando era
uno dei suoi pochi e migliori amici, un ragazzo che sembrava idiota ma non lo
era affatto. O quasi. Si chiamava Yuuji Kamijo o Kamijo e basta, e aveva
qualche anno meno di lui. S’erano incrociati per caso dopo una serata dei Malice Mizer in una livehouse, e lui era una sua sottospecie di fan… un fan coi
capelli tinti di biondo e pieni di boccoli in perenne estensione e un visetto
che se si truccava pareva tutto meno che giapponese.
La cosa interessante è che anche lui aveva buone
possibilità come vocalist ma s’era sempre rifiutato di lavorare con Manabu, con un faccino sorridente e un pelo di strafottenza
di troppo. Voleva creare una band sua, aveva sempre detto, perché a lavorare
con Mana avrebbe finito per odiarlo e quindi era meglio che tenessero le loro
strade ben separate almeno su quel frangente. A Mana quella schiettezza era
piaciuta ed aveva sorvolato perfino sulla velata offesa circa i suoi metodi che
ci stava spalmata dentro. Non era mica colpa sua se quando lavorava era
perfezionista dittatoriale e voleva averla sempre vinta…
Pertanto, Kamijo si
era accontentato di essere solo il roadie dei Malice Mizer e Mana non gli aveva
chiesto di fare altro. Solo che ora che non erano più in attività lui aveva
perso il lavoro e ogni santo giorno non mancava di ricordargli che dal suo
rendimento dipendeva la vita da povero di un diciannovenne. Avrebbe fatto prima
ad assumerlo come galoppino, già che c’era, ma lui si sarebbe rifiutato con
quel suo sorriso sulle labbra senza manco dargli il tempo di finire la frase.
Lo faceva morire dal ridere.
« Perché parlare con te è sempre così
potentemente inutile? »
Ancora un istante di quel silenzio da
tragicommedia che stava rischiando di fargli scoppiare una vena.
« Perché le tue parole sono legge, Mia Adorata
Principessa. »
Ogni tanto pensava che sarebbe stato il caso di
farlo tacere per sempre.
« In ogni caso, caro il mio Lady Oscar, vieni
qui subito! »
« Esci tu. »
Era il caso di farlo tacere per sempre.
« Ma mi sono appena struccato, non rompere! »
« E allora infilati quello schifo di occhiali
da sole che ti ritrovi ed esci! Andiamo a farci un sushi per festeggiare! »
« Se non la pianti di offendere gli occhiali da
sole te li caccio in gola! »
Ma era uscito davvero, alla fine. Era insospettabilmente incapace di opporsi alla verve di quel
moccioso e tollerava la situazione in certa misura, perché erano più uniche che
rare le persone che riuscivano a tenergli testa.
Si incontrarono alla solita stazione di Shinjuku e mentre passeggiavano Kamijo
non gli chiese nulla circa quel nuovo vocalist che sosteneva di avere trovato.
Gli camminava vicino vestito praticamente in tuta pure se era sera, coi boccoli
biondi raccolti sulla testa con un mollettone che dio solo sa dove l’aveva
pescato, sempre col sorriso sulle labbra.
C’era un locale di sua conoscenza dove
servivano ottimo sushi, a quanto pareva ci lavorava un suo amico, quindi lo
costrinse a scarpinare finché non furono arrivati proprio lì.
Entrarono, si sedettero e ordinarono nella più
totale compostezza, pur se Kamijo dovette
accontentarsi di una ben misera Coca-Cola e non smise un secondo di guardare
gelosamente la birra di Mana – che dal canto suo si divertì a sfottere quel
“bambino” finché non ne poté più.
« Siamo sotto al limite d’età per gli alcolici,
eh, caro il mio cuccioletto? »
« Se non la pianti io in gola ti ci caccio
quella birra e te ne faccio scolare a litri finché non crolli per terra ubriaco
e rantolante come un disperato con la cirrosi all’ultimo stadio. »
E poi, lui l’alcol lo beveva eccome, sai che
gli fregava di essere minorenne? Mana comunque non pareva volerne sapere di
smetterla di sventolargli la bottiglia di birra sotto al naso.
« E quindi? Dai Principessa, racconta, che
povero sventurato hai irretito stavolta? »
« Un vampiro. »
Mana lo guardò mentre strabuzzava incredulo gli
occhi scuri, falsamente ingenuo quanto spudoratamente divertente.
« Cazzo! Roba di
lusso! »
« Non usare simili termini volgari, bimbetto. »
« Ma se li usi pure tu! Guarda che ti ho
sentito! »
« Io sono un adulto e posso sproloquiare quanto
voglio. »
Mana distolse lo sguardo, talmente intento a
sistemarsi le lunghe chiome nere mentre parlava che non s’accorse neppure di Kamijo che rapidissimo gli fregò un sorso di birra dalla
bottiglia.
« Comunque avanti, racconta! Chi è il Principe
stavolta? »
Manabu parve pensarci un po’ prima di rispondere,
come se stesse vagliando il modo adatto per presentare la nuova conquista.
« Oddio, non mi ha ancora dato la risposta
definitiva, veramente… ma quasi certamente sarà un sì. »
« Cioè vi siete scambiati una promessa di
matrimonio? Che carini! »
Il sorriso sornione che permeava il volto di Yuuji Kamijo non si mosse di un
millimetro mentre osservava beato gli occhi neri e lucenti di Manabu puntarsi su di lui guardandolo come se avesse appena
bestemmiato.
« Si chiama Satoru Okabe, in arte Gackt Camui, e
vive a Kyoto. »
« Ed è un vampiro? »
« Così dice lui. »
« Ecco un altro bel tomo, insomma… e sentiamo,
cos’ha di tanto speciale? Per avere interessato te che sei il campione
dell’indifferenza, qualcosa sotto deve starci di certo. »
« Ecco… l’ho conosciuto tramite quel mio amico,
Takeshi, che mi ha fatto ascoltare una sua demo. Bisognerà lavorare sulla sua voce e sulla sua
immagine, ma ha potenzialità e un grande carisma e sono convinto di poterlo
sgrezzare quel che basta per farlo diventare un diamante. »
« Oh-oh, siamo sicuri
di noi, eh Mia Adorata Principessa? »
« Io non
mi sbaglio mai, Kacchan. Ricordatelo sempre. »
E Kacchan sorrise, di
nuovo.
« E di te che mi dici? » gli domandò Mana,
mentre veniva loro servito il sushi.
Kamijo sembrò pensarci seriamente, e rispose solo
dopo aver masticato accuratamente un pezzetto di sushi di tonno e averne
inzuppato l’altro nella salsa di soia.
« Dunque… a parte che ho diciannove anni e per
colpa tua che hai silurato Tetsu Takano
mi sono ridotto a campare facendo consegne a domicilio, tutto come al solito.
Sto cercando componenti per la mia band e metto annunci su annunci, visto che
non ho la tua fortuna nell’acchiappare al volo nuovi elementi. »
« Io ho il destino dalla mia! E poi scusa… a te
piaceva Tetsu? »
« Non particolarmente. »
« E allora perché te la prendi tanto a cuore la
sua sorte scusa? »
« Se lui era rimasto io non ero disoccupato. »
« Se vuoi ti prendo come vocalist, sei ancora
in tempo. »
Lady Oscar lo ringraziò con un elegante
gestaccio del dito medio.
« Lo sai come la penso al riguardo, no? Dimmi
quello che vuoi ma io con te sul palco non ci salgo manco morto. Mi spremeresti
come un limone senza lasciare manco la buccia. »
« Avanti, non la fare così lunga… »
Mana addentò una fettina di salmone, per un
istante sopraffatto dal gusto delicato del pesce crudo.
« Se mi andrà bene, non sarai disoccupato
ancora per molto. »
Poi il suo sguardo si fece lontano, non prestò
più attenzione neppure al sapore del sushi che aveva in bocca, evitò di
incrociare gli occhi scuri di Kamijo e perse il volto
nella luce arancione di una lampada appesa lì vicino, mentre ne leggeva gli
ideogrammi senza quasi riuscire a capirli.
« Tu sai che cosa voglio io… lo sai meglio di
chiunque altro, Yuuji. »
Sì, Yuuji poteva
immaginarlo. Mana gliel’aveva detto tante e tante volte cos’era quello che desiderava
eppure lui non si sarebbe mai stancato di sentirglielo ripetere.
« Voglio che il mio sogno… possa diventare il
sogno di tutti. Voglio ricrearmi il mondo come lo desidero, e per farlo devo
arrivare il più in alto possibile. E quel tipo… Gackt, intendo… lui può essere
le mie ali e io le sue. E se siamo giunti entrambi a questa conclusione… perché
non provarci, allora? Assieme a lui i Malice Mizer possono arrivare a livelli che con Tetsu avrebbero potuto solo sognare, io lo so. Lo sento
incredibilmente bene e non ho intenzione di arrendermi ora. Non getterò la
spugna mai, poco importa quante volte dovrò cadere. »
Già, non gli interessava, eppure Kamijo riusciva a capire che per uno col carattere di Mana
non sarebbe stato affatto semplice se le cose si fossero davvero messe male. Non
dubitava comunque che quel ragazzo avrebbe avuto la forza di rialzarsi
qualunque cosa gli fosse accaduta. Non era davvero spavaldo come appariva, ma
aveva un carisma fuori dal comune. Per quello i suoi compagni lo rispettavano anche
se quando lavorava era un despota che metteva bocca su tutto. Perché era uno
che aveva un sogno, era uno che per quel sogno lottava, che avrebbe dato ogni
cosa in nome loro e che senza sarebbe stato morto come una bambola uccisa.
« Ieri sera… quando gli ho chiesto di diventare
dei nostri… avevo la voce che mi tremava. »
E anche in quel momento la voce gli tremava, a Manabu Satou che se ne stava con
la testa poggiata mollemente sulle braccia come ubriaco e gli occhi lontani
accanto a un sushi che forse non aveva più voglia di consumare. No, Mana non
era un robot. Era una persona meravigliosa. Era una persona che amava e
soffriva come e più di un essere comune, perché lui riusciva a vedere il vero
delle cose e non sempre quelle che scorgeva erano cose belle. Era una persona
che amava la vita, e che in fondo in fondo amava pure le persone.
Per questo Yuuji Kamijo lo guardava, e sorrideva.
- continua -
N.d.A.
Bene… se dio vuole, con un po’ di anticipo Mad Tea
Party è ripartita e potrà proseguire con una certa regolarità. Io come al
solito mi esprimo poco, perché ormai saprete che non sono mai o quasi convinta
di quel che scrivo. Il capitolo è un po’ breve, e avrei voluto forse dare più
spazio a certe cose. Comunque… presumo vada bene così. Vi faccio notare inoltre
la guest star d’eccezione: Kamijo dei Lareine, amicone storico di Mana, che comparirà in Mad Tea spesso e volentieri e mi è diventato il re dei
fetenti! Mana lo chiama Lady Oscar perché lui è la sua reincarnazione! :P (E
non so se avete notato quanto gli somiglia…)
Vitani