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Autore: pdantzler    22/03/2008    13 recensioni
Harry capita per sbaglio in casa di Piton nell'estate del quinto anno, dopo la morte di Sirius. Costretti a una convivenza forzata, i due scopriranno molte cose l'uno dell'altro. Traduzione a opera di Starliam ed Allison91
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Grazie a tutti per le recensioni.
Sì, Appletree, mi piacerebbe tradurla, se l'autrice mi darà il permesso.
Divertitevi!



Il sole del pomeriggio era caldo sulla schiena di Harry, mentre si chinava danti a una fila di piante di rosmarino e iniziava a strappare le erbacce attorno alle piante. Si era tolto il mantello un’ora prima, e non aveva intenzione di rimetterselo, non importava quello che avrebbe detto Piton. Il professore sarebbe stato capace di fargli indossare il mantello con quel caldo, per poi lamentarsi che il suo pupillo era un idiota senza speranza, una volta che Harry avrebbe preso un colpo di sole. Se lo immaginava: Piton era felice solo quanto puntava l’attenzione sulle colpe degli altri, specialmente quelle di Harry.

Una brezza soffiò nel giardino, scompigliando i capelli di Harry e facendo tremolare le piante. Le sue mani erano sporche di terra, e i pantaloni erano impiastricciati di fango sulle ginocchia. Eh, beh, se Piton non gli dava dei vestiti adatti al giardinaggio, non era colpa sua.

“Hai saltato un punto”, disse una voce dietro di lui.

Harry voltò la testa dietro la spalla e vide Piton che lo osservava lavorare, con le braccia incrociate e l’espressione severa mentre sorvegliava il lavoro del suo pupillo.
“Non ho ancora finito”, protestò Harry, ricominciando a strappare le erbacce. “Ci tornerò sopra dopo”.
“Sei qua fuori da due ore, e sei andato avanti solo di tre piedi. Le stai strappando usando i denti, o ti diverti a procedere a passo di lumaca?”

Il sarcasmo derisorio nella voce di Piton fece venire a Harry la voglia di lanciargli una zolla di terra.

“Ci arrivo, la smetta di urlarmi contro”, ringhiò Harry, tirando un’erbaccia particolarmente resistente. Si rifiutava di venire via, rimanendo ostinatamente ancorata alla terra. La prese con entrambe le mani e tirò con tutta la sua forza. La terra finalmente la lasciò andare, e l’erbaccia venne via, tirandosi dietro una delle piante di rosmarino. Harry si passò una mano sul volto, lasciando una scia di sporco e aspettando il commento aspro di Piton riguardo a piccoli marmocchi che insistevano a rovinare giardini e a causare più problemi di quelli che valessero.

“Piano, Potter”, disse gentilmente Piton. “Alcune erbacce non vengono via la prima volta che le tiri, e devi fare attenzione per non strappare le altre piante”.

Harry sbuffò, lanciando l’erbaccia sul mucchio doveva aveva buttato le altre, mucchio che era diventato sempre più grande con il trascorrere del pomeriggio. “Sarebbe molto più facile con una bacchetta. Potrei farlo in pochi minuti, e poi dedicarmi a qualcos’altro invece di frugare nella terra. Fa caldo e sto sudando, e non ne sto facendo abbastanza, e niente sembra andare bene”.

“Il duro lavoro fortifica il carattere”, rispose Piton in tono da predica mentre si voltava. “Qualcosa da cui puoi ottenere grossi benefici. Il lungo, duro lavoro è quello che ti serve, più di qualunque altra cosa. E da buon tutore, ho in programma di far fronte a questa necessità più spesso che posso”.

Harry non riuscì a trattenersi. Lanciò una zolla di terra a Piton. La terra colpì la veste di Piton, ma cadde senza lasciare tracce. Piton si voltò lentamente a fronteggiare Harry.
“Signor Potter, mi hai appena lanciato della terra perché insistevo a dire la verità?”
Harry si accigliò e prese un’altra erbaccia, rifiutandosi di dare a Piton la soddisfazione di una risposta. Poi si trovò a sfrecciare in aria, oltre le aiuole, e cadde nel lago con uno splash.Un momento più tardi, il suo sedere sbatté sul fondo del lago, l’acqua fredda che gli arrivava alle spalle. Trattenendo il respiro per lo shock dell’acqua fredda dopo il calore del sole, iniziò ad agitarsi per alzarsi, alghe e rami si avvolgevano alle sue braccia e gli facevano perdere l’equilibrio.

Quando finalmente Harry riuscì a mettersi in piedi, si voltò nell’acqua alta fino al ginocchio per vedere Piton in piedi sull’orlo del lago, che sogghignava.

“Cielo, Potter, un bagno così all’inizio della stagione? Non potresti prima cambiarti nell’abbigliamento adatto? E avrei apprezzato se mi avessi chiesto il permesso”.
“Ah-ha, è così dannatamente divertente”, Harry saltò fuori dall’acqua, facendo cadere gocce d’acqua mentre si muoveva. “Grazie mille per avermi gettato nel lago. Ora, non posso più strappare le erbacce”.

Piton si limitò a sollevare un sopracciglio con aria interrogativa.

“Andiamo”, protestò Harry, resistendo all’impulso si saltare addosso a Piton e strangolarlo. “Sono zuppo. Non posso lavorare così. Ho freddo, anche”.
“Allora mettiti il mantello”, consigliò Piton con l’atteggiamento freddo e controllato che Harry odiava. “Quello dovrebbe scaldarti”.
“Brutto idiota”, mormorò Harry mentre si avviava verso l’aiuola.
“Penso che qualcuno abbia bisogno di un sonnellino”, osservò Piton. “e di farsi lavare la bocca con il sapone prima di cena. Ho una nuova saponetta che entrerebbe alla perfezione dentro la tua bocca, lavanda e respiro di neonato, mai usata prima”.
Harry si fermò, facendo un profondo respiro per calmarsi. Arrabbiarsi non lo avrebbe aiutato, in quel momento. “Mi dispiace per averla chiamata in quel modo. E non avrei dovuto lanciarle la terra. Per favore, non mi lavi la bocca con il sapone”.

Sapeva che Piton non lo avrebbe ascoltato: il professore faceva quello che voleva senza preoccuparsi delle richieste di Harry. Era il modo in cui si comportava: deciso a dimostrare che non si faceva impressionare da niente di quello che faceva il Bambino Sopravvissuto. Niente di ciò che Harry diceva poteva fare la differenza; anche quando si comportava al meglio che poteva, Piton trovava sempre qualcosa da criticare, qualche piccolo dettaglio insignificante che Harry aveva dimenticato.

“Raccogli il mantello”, ordinò Piton. “Entra in casa e di sopra a cambiarti. Questo pomeriggio puoi studiare in biblioteca fino all’ora di cena. Ma se ti sento dire un’altra parolaccia, ti troverai con la bocca lavata e in piedi nell’angolo per un’ora”.

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Una volta in biblioteca, Harry si mise al lavoro sul suo piano. Iniziò a scrivere una lista di cose che doveva fare prima di entrare a Malfoy Manor. Avrebbe dovuto sapere il layout della casa, dove era più facile che fossero nascosti oggetti di valore o illegali. In più, avrebbe avuto bisogno di una lista delle persone o delle creature che vivevano in quella casa. L’ultima volta che Harry ne aveva sentito parlare, Lucius era ancora in prigione ad Azkaban; ma c’era una possibilità che il malvagio Mangiamorte fosse scappato. Narcissa probabilmente era lì, mantenendo un basso profilo dopo la disgrazia capitata al marito. E per Draco… beh, poteva essere ovunque: in viaggio, in visita a malevoli parenti o amici, alle riunioni dei Mangiamorte; o semplicemente a bighellonare per la casa come un principino viziato.

E i Malfoy probabilmente avevano diversi elfi domestici. Considerato che Piton ne aveva due, Harry non sarebbe stato sorpreso se i Malfoy ne avessero quattro o cinque, dopo aver perso Dobby.

Dobby? Dov’era? Forse poteva parlare a Harry della casa. Dobby avrebbe saputo tutto dei Malfoy, anche se non lavorava per loro da tre anni. Se Harry avesse potuto trovare Dobby e farsi dare qualche informazione, Harry sarebbe stato a buon punto nel progetto di trovare quella stupida Collana. Ma conoscendo il comportamento degli elfi domestici, Harry sarebbe stato riluttante a dire qualunque cosa, e quasi sicuramente sarebbe finito a colpirsi con gli spessi libri della biblioteca prima di dire qualcosa di interessante. Harry avrebbe dovuto ingannarlo in qualche modo, se fosse riuscito a scoprire dove stava la piccola creatura. L’ultima cosa che sapeva, era che Dobby e Winky erano in servizio a Hogwarts, nelle cucine del castello.
Per far avere un messaggio a Dobby, Harry avrebbe dovuto mandargli un gufo. Per fare questo, avrebbe dovuto chiedere il permesso a Piton e poi cercare di convincere Edvige a consegnare la lettera. Quando quella mattina aveva visitato la guferia, Edvige gli era volata intorno arrabbiata e lo aveva beccato molto forte intorno alle orecchie. Eppure, affrontare un uccello arrabbiato sarebbe stato più facile che cercare di convincere Piton a fargli mandare delle lettere.

Harry gemette, immaginando il fuoco di fila di domande che Piton gli avrebbe rivolto. Perché vuoi spedire delle lettere? Cosa devi dire che non possa aspettare l’inizio della scuola? Vuoi mandare delle lettere solo al signor Weasley e alla signorina Granger, giusto? Perché avresti bisogno di mandarne una a Hogwarts? Un elfo domestico? Potter, smettila si scocciarmi e inizia con i tuoi lavori di giardinaggio prima che ti faccia volare nel lago di nuovo.

Una conversazione davvero produttiva. Forse Harry poteva mandare fuori Edvige con una lettera senza dirlo a Piton? No, il professore sicuramente aveva qualche tipo di protezione intorno alla casa che non lasciavano entrare o uscire nessun animale senza che lui lo sapesse.

Harry appoggiò la testa sul tavolo, frustrato. Era stanco di cercare di anticipare e mettere nel sacco Piton. Il professore di Pozioni sembrava essere ovunque, sembrava vedere tutto, e rimaneva a un passo di distanza da Harry per tutto il tempo. Era questo che significava, avere un genitore?

Harry non avrebbe mai pensato che i genitori potessero essere così furbi.

Non che pensasse che tutti i genitori fossero stupidi. Ma prendi a esempio il papà e la mamma di Ron. I loro sette figli erano sempre nei guai o a fare scherzi o a complottare disastri, e il signore e la signora Weasley li scoprivano solo la metà delle volte. E i genitori di altri studenti non avevano idea di cosa succedeva a Hogwarts finché non era troppo tardi o finché il Ministero non faceva luce. I genitori erano così ciechi, così presi dai loro problemi che si perdevano completamente quello che accadeva intorno a loro, finché non accadeva un disastro.

Ma Piton… Harry si agitò, a disagio. Piton sarebbe stato il peggior genitore che si potesse avere. Non sarebbe stato possibile fare niente, con lui intorno. Aveva una strana capacità di immaginare correttamente cosa stavi per fare, e non esitava a punire quando sentiva che ce n’era il bisogno. Piton ti avrebbe messo in riga, non avrebbe accettato nessuna risposta, e avrebbe fatto del suo meglio per essere certo che tu sapessi che lui sapeva cosa facevi in ogni momento.

Certo, poteva essere una buona cosa. Harry disegnò soprappensiero schizzi di Boccini sui lati della pagina, mentre lasciava vagare i pensieri. Dopo un anno in cui nessuno aveva creduto che Voldemort era tornato, e in cui si era dovuto impegnare per nascondere gli incontri dell’ES, in cui aveva dovuto avere a che fare con la Umbridge e le sue idee perverse; lo faceva sentire bene il fatto di avere un adulto che lo prendeva sul serio. Era la cosa bella (forse l’unica cosa bella) di Piton: era onesto. Non nascondeva i suoi sentimenti, non c’era bisogno di ripensare a quello che Piton intendeva o non intendeva, non si doveva preoccupare del fatto che Piton potesse abbandonarlo o cambiasse atteggiamento da un momento all’altro. No, Piton diceva quello che intendeva dire, intendeva quello che diceva, e Potter avrebbe fatto meglio ad ascoltarlo o ne avrebbe affrontato le conseguenze.

Dopo anni in cui aveva avuto a che fare con adulti dalla doppia faccia e con codardi, era bello dipendere da una persona che sarebbe rimasta la stessa nel buono e nel brutto, senza mai cambiare.

“Potter!” la voce severa di Piton risuonò nella biblioteca. “Che stai facendo? Sei stato qui quasi un’ora, e tutto quello che hai fatto è scarabocchiare Boccini su una pagina? E’ per questo che non andrai a volare oggi: quando mi avrai mostrato che sei in grado di svolgere un compito senza che io debba starti con il fiato sul collo, allora mi fiderò abbastanza da lasciarti da solo. E’ ora di cena, e stasera starai seduto nel mio studio così che possa tenere d’occhio il tuo lavoro”.

Sì, pensò Harry mentre si alzava in piedi, chiudendo il foglio nel primo cassetto della scrivania, quello era proprio Piton. Non cambiava mai, era sempre il solito malvagio, brontolone, irritante padrone di schiavi che era da quando Harry lo aveva conosciuto. Solo regole, punizioni, e un sacco di commenti sarcastici. Che fortunato che era, a dover passare l’estate con lui.

“Posso spedire alcune lettere domani?” chiese Harry mentre si abbottonava i bottoni del pigiama prima di entrare a letto.

Piton per poco non alzò gli occhi al cielo, ma disse a denti stretti: “Va bene, ma ci darò un’occhiata prima che tu le spedisca. Non voglio che tu mandi alla Gazzetta del Profeta una preghiera per essere salvato da un professore di Pozioni - vampiro e poi trovarmi con folle di streghe e maghi arrabbiati che picchiano alla mia porta”.
“Non mando ai giornali lettere come quelle”, obiettò Harry. “L’unica cosa che abbia mai rilasciato ai giornali è stata quell’intervista con Rita Skeeter, e solo perché dovevo fermare la Umbridge. Le altre scemenze, come quell’articolo che lei lesse in classe, erano informazioni rubate e non vere”. “Davvero?” Piton non sembrava convinto. “Quindi non avevi un interesse per la signorina Chang durante il Torneo Tremaghi?”
“Per lo più non è vero”, si corresse Harry, cercando di nascondere a Piton le guance rosse.
Piton sbuffò, ma si limitò a indicare il letto. “Sotto le coperte, e prendi la pozione”.
“Nella mia prossima intervista, dirò che sono stato drogato per tutta l’estate”, Harry fece una smorfia prendendo da Piton la boccetta di fanghiglia marrone.
“E’ una miscela di vitamine e sali minerali per mantenerti forte e in salute, non una Pozione sonnifera”.
“Ugh”, Harry la inghiottì e passò in fretta la boccetta vuota a Piton. “E’ orribile. Perché deve essere così cattiva? I Babbani danno ai loro figli vitamine sotto forma di colorate o sciroppo dolce. E no, non voglio caramelle o sciroppo, quindi può risparmiarsi i suoi commenti sprezzanti”.
“Siamo permalosi oggi”, Piton non poté impedirsi di sorridere appena. “Ti va di dirmi come mai sei di umore così scontroso, o preferisci tenere il broncio mentre sei a letto?”
“Non sto tenendo il broncio, e non sono scontroso”, insisté Harry, lasciandosi ricadere all’indietro sui cuscini. “Sono bloccato qui per tutta l’estate con lei che mi urla contro, e dovrei esserne felice?” “Saresti più felice con i tuoi zii?”

Harry si tirò su appoggiandosi a un gomito e fissò Piton. “Vuole sapere dei miei zii? Vuole sapere com’è stato crescere là, essere il più giovane e il più piccolo e avere tutti che se la prendevano con me?”
“Per favore, Potter”, Piton spinse una sedia e si sedette accanto al letto, come se stesse per ascoltare qualcosa di molto interessante, “dimmi della tua vita familiare, così che io possa saperne di più su te e sulla tua vita”.

“Non era la vita fatta di coccole e vizi che lei pensa”, dichiarò Harry. “Non mi è mai stato dato tutto quello che volevo, a nessuno importava di me, e io odiavo vivere lì. I miei genitori erano morti, e la sorella di mia mamma mi ha preso con lei solo perché erano l’unica famiglia che mi era rimasta. Mio zio mi odiava, odiava tutto quello che dicevo, facevo o pensavo, e solo perché ero diverso da lui. Mi chiamava mostro, e con un sacco di altri nomi cattivi. Mio cugino era più grosso e forte di me, e lui e suoi amici di davano la caccia per picchiarmi. Dovevo vivere in un sottoscala e indossare i vestiti di mio cugino, che erano sempre troppo grandi; e mi facevano fare tutti i lavori di casa, senza lasciarmi giocare con nessuno della mia età”.

Harry respirò a fondo. Aspettò per qualche reazione da parte di Piton. Una parte di lui sperava che Piton si sarebbe arrabbiato per quell’ingiustizia, e minacciasse di trasformare i Dursley in orsi selvatici per il resto delle loro miserabili vite. Un’altra parte di Harry sperava che Piton si sentisse così male per il modo in cui era stato trattato, da lasciare a Harry più margine e tempo libero, perché potesse fare quello che voleva nel resto dell’estate, dal momento che aveva vissuto un’infanzia così terribile.

Ma il volto di Piton rimase impassibile, e rispose, in tono perfettamente neutro: “Hai finito Potter, o c’è dell’altro?”
“Sì, c’è dell’altro”, Harry si mise a sedere, indignato. “Non mi facevano mai regali, neanche per il mio compleanno. O se mi facevano dei regali per Natale, era un calzino o una gruccia per abiti. E non mi parlavano mai dei miei genitori, non mi dicevano neanche come erano. Ho dovuto immaginarmi che aspetto avessero, finché non ho avuto una loro foto. E mio zio minacciava sempre di rinchiudermi per tutta la vita: una volta mi hanno tenuto rinchiuso per l’estate, e Ron e i suoi fratelli hanno dovuto venire a salvarmi. Mia zia mi faceva sempre lavorare, mentre mio cugino stava seduto e non faceva niente, come una grossa lumaca. E mi chiudevano nel sottoscala quando ero ‘cattivo’, per insegnarmi una lezione.
“Ed eri cattivo spesso?” chiese con calma Piton.
Harry arrossì e distolse lo sguardo. “Non è questo il punto. Erano terribili con me, e lei non ci vede niente di sbagliato nel modo in cui mi trattavano. Probabilmente avrebbe voluto che fossero stati ancora peggiori”.
“Non avrei voluto niente del genere”, Piton era quasi severo, gli occhi neri fissi su Harry. “A volte, le persone hanno un’infanzia orribile e spaventosa; ma crescono per avere una vita felice da adulti. Tu da bambino eri maltrattato…”
“Orribilmente maltrattato, affamato e rinchiuso”, interruppe Harry.
“Ma adesso sei l’eroe del mondo magico”, continuò Piton, ignorando l’interruzione. “Chi dice che le cose non si siano pareggiate da sole? Una spiacevole infanzia, fama da giovane? Cosa c’è che non va?”

Harry si guardò intorno pazzamente, incredulo di non sapersi difendere meglio di così. “Non è… non è così! Non ho una vita facile adesso - un nemico cerca di uccidermi, i Mangiamorte mi danno la caccia, i professori cercano di ferirmi. Com’è che si è pareggiato?”
“Preferiresti essere bloccato dai tuoi zii, sempre chiuso nel sottoscala e con addosso vestiti sformati?”
“No!”
“Allora le circostanze devono essere migliorate in qualche modo, o vorresti tornare indietro. Quindi ti deve piacere essere il salvatore perseguitato destinato a cose più grandi che il nulla in un sottoscala. Poiché hai scelto una vista di fama e riconoscimento, sei responsabile del tuo comportamento da eroe”.
“Io non ho scelto niente di tutto questo”, insisté Harry, del tutto sorpreso. Non aveva idea di come Piton lo avesse condotto a questa conclusione.

“Ma hai scelto di combattere il Signore Oscuro, salvare gli altri e sconfiggere il male che ha flagellato la comunità magica per così tanto tempo. Se insisti a essere l’eroe, perché devi sorprenderti se le persone si aspettano più responsabilità e autocontrollo da parte tua che da parte di chiunque altro? Non puoi avere la gloria senza il peso della responsabilità. Avrai grandezza e distinzione, ma le persone si aspetteranno più da te che dai tuoi amici. Ora, basta lamentarsi della tua infanzia o del tuo status di eroe, per stasera”, disse Piton. Si alzò e spinse nuovamente la sedia contro il miro.

“No, no. Lei… lei sta rivoltando tutto, protestò Harry, sconvolto e confuso. “Io so che la mia infanzia è stata… lo so! Non è stata bella. Erano cattivi, e crudeli, e Dudley aveva due televisori e biciclette che distruggeva, mentre io non ho mai avuto nulla a parte un gelato allo zoo e non sono un eroe… aspetti, mi faccia ricominciare di nuovo e dirlo nella maniera giusta. Allora vedrà”.
“E’ troppo tardi, è ora di dormire”, Piton spinse Harry di nuovo sui cuscini e gli stese le coperte sulle spalle. “Silenzio, adesso. Farai meglio a rimanere a letto, o ti sposterò di nuovo nella mia stanza a dormire sul divano”.

Harry avrebbe voluto discutere ancora, pronto a chiarire esattamente quanto era stata terribile la vita dai Dursley e come lo avessero trattato come un cane e lo avessero fatto sentire di nessun valore. Ma era stanco, e non c’era utilità nel discutere con Piton quando il professore si trovava nel suo stato d’animo tirannico. D’altra parte, il letto era soffice e comodo; specialmente dopo tre notti su quello stretto divano.

Avrebbe aspettato fino alla mattina dopo per far cambiare idea a Piton.

“Sta sbagliando”, sussurrò Harry, mentre si girava su un fianco e chiudeva gli occhi.
“Ne sono certo”, rispose Piton severamente mentre abbassava la fiamma dell’ultima candela, avvolgendo la stanza nelle tenebre.
“Ma per stanotte, dovremo fidarci del fatto che so di cosa parlo. Smettila di preoccuparti, e dormi”.

Harry annuì e scivolò nel sonno. Per tutta la notte, sognò di lanciare zolle di terra al suo sottoscala, e di stare seduto nell’acqua a discutere con i rami della sua infanzia e della crudeltà dei Dursley. Ma stava mischiando i fatti, e a un certo punto sognò che zio Vernon era un gelato che Dudley cercava di mangiare mentre distruggeva la TV. Harry disse agli arbusti nell’acqua che non voleva essere un eroe, ma loro risero e strisciarono via come serpenti.

Harry si svegliò nella notte per trovarsi circondato dall’oscurità nera come la pece. Pensò di aver sentito una mano confortante sulla sua spalla, ma nel momento in cui era abbastanza sveglio da cercare di toccarla, la mano non c’era più. Convinto di stare ancora sognando, Harry si lasciò cadere di nuovo sul cuscino e si addormentò immediatamente.

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La mattina seguente, dopo essersi vestito, Harry decise che avrebbe finito la discussione con Piton sulle difficoltà della sua infanzia, e l’avrebbe vinta una volta per tutte. Piton doveva perdere, almeno per una volta; non poteva continuare per il resto della sua vita a vincere battaglie contro un quindicenne senza mai perdere. Non era giusto, ed era arrivato il momento di un pareggio. Harry aveva dalla sua parte i fatti – freddi, duri, innegabili fatti – e Piton aveva solo l’arguzia necessaria a confondere l’avversario e a creare disordine nella discussione. Questo non lo avrebbe salvato più, e avrebbe saputo che Harry aveva ragione, anche se il ragazzo fosse morto nel tentativo.

Vestito e armato di ricordi con cui difendersi, Harry scese al piano di sotto, quasi saltando nella sala da pranzo. Piton era seduto al tavolo, che leggeva attentamente il giornale. Harry sorrise, prendendo di mira il suo avversario, e si sedette di fronte a lui per affrontarlo.

Senza neanche sollevare lo sguardo dal quotidiano, Piton indicò il lato opposto della stanza. “Vai nel tuo angolo”.
“Cosa?” Harry era offeso. “Non ho ancora fatto niente!”

Piton gli dedicò uno sguardo pungente. “Ti sentivo correre e saltare per tutta la rampa di scale come un’ora di Ippogrifi. Stai cercando un litigio, e sei già troppo agitato, considerato che sono solo le otto del mattino. Quindi, vai in piedi nel tuo angolo per venti minuti, e pensa a quello che vuoi dire. Non voglio iniziare la giornata litigando con te, e non voglio che tu rimanga di umore irritato. Vai a mettere il naso nell’angolo finché ti sarai calmato”.

Harry ebbe un’espressione omicida per un momento, e pensò davvero che avrebbe dovuto dare un pugno a Piton e strappargli il giornale dalle mani, o sarebbe esploso. Invece, inghiottì la rabbia (quasi soffocandosi per lo sforzo) e si diresse all’angolo, pestando i piedi sul pavimento a ogni passo.

Una volta all’angolo, rimase lì in piedi, a fissare i due muri bianchi mormorando qualcosa di molto poco lusinghiero nei confronti del professore di Pozioni.

“Non pensare che non ti laverei la bocca con il sapone, dopo che avrai lasciato l’angolo”, gli ricordò freddamente Piton, prendendo un una focaccina dal cesto e il vasetto della marmellata. “Sarà meglio che non senta una sola parola da parte tua, o saprò che non stai pensando al tuo comportamento”.

Harry chiuse gli occhi e immaginò di trasformare Piton in un ratto, e di fargli dare la caccia da Grattastinchi lungo i corridoi di Hogwarts. Poteva sentire gli squittii convulsi mentre Piton il Ratto correva per salvarsi la vita.

In un modo o nell’altro, l’avrebbe pagata.

Anche se era solo la seconda volta che finiva nell’angolo, Harry iniziava a vederci emergere uno scopo. Per i primi minuti era livido, pronto a sbranare Piton a mani nude. Poi iniziò a riflettere che se avesse cercato di comportarsi bene, Piton non avrebbe dovuto punirlo di nuovo, quindi sarebbe stato saggio obbedire al proprio guardiano e non iniziare una guerra. Piton era più grande e più forte, era casa sua e aveva una bacchetta; quindi Harry era piuttosto impotente per poter rispondere.

Dopo quindici minuti in cui era rimasto lì in piedi, Harry era così annoiato che sarebbe stato d’accordo con qualunque cosa pur di andare via dall’angolo. Le gambe si stavano stancando, le spalle gli facevano male, aveva fame e voleva sedersi, invece di stare lì a fissare quegli stupidi muri. Quando avrebbe avuto una casa tutta sua, avrebbe fatto le stanze circolari; così, se qualcuno gli avesse detto di andare nell’angolo, avrebbe potuto rispondere: “Non posso, perché non ce ne sono!” Ovviamente, Piton allora gli avrebbe detto di mettersi davanti al muro circolare e stare zitto.

Beh, Piton non sarebbe stato invitato in casa di Harry, mai. Harry avrebbe messo delle protezioni per fare entrare tutti tranne Piton, e Piton poteva stare fuori, tutto solo, al freddo e senza amici, mentre Harry avrebbe fatto festa all’interno.

“Hai finito di tenere il broncio?” chiese Piton dal tavolo, in un tono di conversazione, come se stessero parlando del tempo. Prese un sorso di tè, come se non gli importasse se il signor Potter decideva di lasciare l’angolo o no.
“Sì”, Harry si staccò immediatamente dall’angolo e andò a tavola. “Non sono arrabbiato e non sto tenendo il broncio, sono solo affamato”.

Piton annuì per indicare a Harry di sedersi, e il ragazzo iniziò a mangiare in fretta, nel caso che Piton cambiasse idea e lo mandasse di nuovo nell’angolo perché riflettesse ancora. Per il momento, non gli interessava seriamente finire la discussione: Harry avrebbe sempre potuto discutere con Piton più tardi, su chi avesse ragione e chi invece fosse un cretino totale.

“Ci sono due lettere per te, che sono arrivate stamattina”, Piton indicò due buste sigillate accanto al piatto di Harry. “Una è dal più giovane dei signori Weasley, l’altra dalla signorina Granger. Le stavi aspettando?”
Harry scosse la testa mentre prendeva le lettere. La busta di Hermione era pulita e liscia, e la sua calligrafia sembrava perfetta sullo sfondo color crema. La busta di Ron era leggermente spiegazzata su un lato, e aveva scritto “Potter” con una sola T.

Eppure, Harry sorrise mentre le apriva entrambe, pronto a leggere le voci di due amici molto stretti. Non aveva dubbi che Piton in seguito avrebbe trovato il modo di leggere le lettere, ma per adesso tutto quello che voleva era sentire delle voci familiari in un mondo di incertezze.

  
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