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Autore: Satine    19/10/2004    2 recensioni
Primo capitolo di una serie che ha come "idea" il cielo a seconda dei personaggi, come lo vedono.

Questa è la promessa di Claus a Lavie di volare nel cielo insieme... ed è il cielo che evolve sotto i suoi occhi.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- La mia terra è sempre ricoperta di neve... -
Così iniziava il tema del mio ultimo anno di scuola primaria. Ricordo ancora le voci delle mie maestre parlare tra loro nella sala insegnanti, nominare il mio nome in strani discorsi che allora non capivo.
"Scheer è una bambina incredibilmente sensibile, chissà se se la caverà in questo mondo."
"Senza contare che parla di estrema facilità di cose che forse non può capire, poverina, probabilmente crede in qualcosa che non esiste"
"Non credo che questo sia il problema di quella ragazza, ha un cuore molto grande… la cosa che più mi spaventa è l'amore per la sua terra..."
Poi fu silenzio, ricordo che le voci distinte delle altre due insegnanti smisero di arrivare e quel vuoto, un silenzio che sembrava quasi un pianto, un grido soffocato.
Ancora oggi non ne capisco bene il perché.
-Sono nata in posto dove è sempre molto freddo e dove una coltre spessa di soffice neve bianca ricopre ogni centimetro del mio mondo, dove tanti piccoli e soffici pezzetti di cielo sembrano staccarsi da esso per venire a depositarsi sulla terra, ogni piccolo soffio dopo un po’ diventa sempre più alto e più morbido. A noi bambini piace giocare con la neve che ci bagna fin su i calzoni… -
Questa neve ricopre ogni centimetro della mia terra, non smette mai di cadere e sembra voler cancellare per sempre, sotto il suo spesso manto un mondo dove forse oramai non esiste più speranza.
- Una volta, quando ero piccina piccina, mi hanno raccontato che su Anatorey, il mondo che sta dall’altra parte oltre qualcosa che i grandi chiamano Grand Stream, vedono cadere le foglie da alberi giganteschi, che si vedono fiori sbocciare e che profumano il cielo. Nella mia terra non le ho mai nemmeno viste nascere... le foglie -
Quando uscivamo fuori a giocare le neve era fredda e pungeva e ci lasciava sempre tutti bagnati, le mie mani piccole di bambina sembravano enormi quando mettevo i guanti per ripararmi da quel freddo e dalla neve ghiacciata, non sembravano nemmeno le mie, sembravano quelle di un uomo.
Poi accadde un giorno strano che prese tra le mie mani le armi degli uomini, salii su una nave e diventai fuciliere di Disith, per Disith, per la mia terra...
Combattere per quella neve ma sperando, nel cuore, di incontrare un albero... e magari di vedere una foglia cadere, di vedere l'acqua di una sorgente che scorre anziché una lastra di ghiaccio, di non vedere più un cielo grigio e nuvoloso che si sbriciola a poco a poco ma un cielo limpido e sereno, con gli uccelli che volano e cantano...
Ma vidi solo l'esercito dei fucilieri che stavano dall'altra parte, li vidi cadere come cadevano quelli accanto a me, quel cielo azzurro così limpido tutto d'un tratto diventava di un colore vermiglio e mi sembrava di sparire a poco a poco.
Quando tornai dall'imbarco incontrai la mia maestra di quando ero piccola e sorridendo mi chiese:
"Le hai viste Dunya, hai visto le foglie cadere e il cielo azzurro?"
Soffocando le lacrime le ho solo risposto che quelle foglie e l'azzurro cristallino che desideravo tanto vedere ora non potevo vederli, non in questo cielo così grigio di fuoco e freddo, quel freddo che attanaglia il cuore e non le mie mani da bambina ingigantite dai guanti.
In questo cielo non c'erano alberi ma solo grandi navi che si combattono, solo uomini e donne che si affrontano ma che forse non credono in nulla, che forse non hanno nulla da perdere se non la loro vita.
Ma io avevo al mia terra... avevo la mia neve...e anche la neve che a poco poco si macchiava di rosso e...
Poi arrivò la sabbia... arrivò il deserto, e fu peggio della neve perché non aveva gli alberi... fu peggio dei cieli macchiati di sangue di Anatorey, fu peggio di qualunque altra cosa... fu triste... perché non era casa.
  
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