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Autore: Amens Ophelia    20/09/2013    8 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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2. L’anima non è carta

 
 
 
Avete presente quella sensazione denominata “Sindrome di Stendhal”, quel forte malore che impedisce di respirare e reggersi in piedi davanti a un capolavoro? Ecco, questa poteva essere l’affezione che stava martoriando Hinata, non appena aveva messo piede nella villa. La dimora era indubbiamente sfarzosa, con quella scalinata marmorea che spiccava appena varcato l’ingresso, i grandi dipinti a olio appesi alle pareti e l’imponente lampadario di cristallo sospeso parecchi metri sopra le loro teste… tutto quel lusso era quasi superiore a quello degli Hyuga, ma l’opera d’arte che provocava le vertigini e la tachicardia era l’unica di cui lei conosceva il titolo: Naruto Uzumaki.
 
Il biondo le era seduto di fronte e stava gozzovigliando come mai aveva visto fare prima d’ora a nessun altro, nemmeno Choji al rinfresco di inizio scuola; il ragazzo dagli occhi cerulei aveva riempito per la terza volta la sua ciotola di ramen, strafogandosi come se non mangiasse da secoli. Hinata non poteva che sorridere, davanti a quella scena: Naruto era davvero buffo mentre cercava di soddisfare un bisogno naturale come la fame e, inoltre, aveva appena scoperto che quella pietanza era la sua preferita; un punto in suo favore, dal momento che piaceva anche a lei e che se la cavava non troppo male nella realizzazione di quel piatto.
            «Sasuke, tuo fratello è il miglior cuoco di Konoha!», esclamò in estasi, dopo aver spazzolato il brodo fino all’ultima goccia.
            «Grazie, Naruto. Tu sì che sai dare soddisfazioni!», rise felice un ragazzo alle spalle dell’Uzumaki, comparso dal nulla.
            «Itachi!», urlò entusiasta il biondo, saltandogli al collo. «Sono passati due mesi dall’ultima volta che ti ho visto! Come procede l’università?».
            «Finalmente sarò ufficialmente ingegnere, il mese prossimo». La gioia sul suo volto era sottolineata da un sorriso incantevole.
            Hinata non riusciva a staccargli gli occhi di dosso: era così simile a Sasuke, anche se non del tutto. Il primo motivo per cui erano diversi? Quell’espressione radiosa.
            Era nella 5^F da quasi un mese, ma non aveva mai visto quella naturale felicità sul volto del minore degli Uchiha nemmeno una volta; ora che ci pensava, anche negli anni precedenti, quando le era capitato di osservarlo nei vari “pedinamenti” alle spalle di Naruto, non l’aveva mai visto così. Certo, rideva, si divertiva, ma mai in quella maniera sana. Ecco, quella era la parola giusta: in Sasuke non traspariva nulla di sano; era temuto e rispettato, per quel suo fare strafottente. Si atteggiava come se non gliene importasse nulla delle altre persone, men che meno dei loro sentimenti, e circolava voce che possedesse una sorta di record di ragazze sedotte e abbandonate in un solo fine settimana, di scappatelle che non vedevano quasi mai la luce del giorno o, se lo facevano, erano destinate a non scorgere il pallore della luna. La sua fama lo precedeva, era giunta anche alle orecchie di Hinata, per questo le metteva sempre i brividi.
           «E questa bella ragazza? Ha tutta l’aria di essere una Hyuga», affermò il giovane, dedicandole un luminoso sorriso. La mora arrossì, abbassando lo sguardo sulla tovaglia e annuendo leggermente, in segno di conferma.
           «Esatto, lei è Hinata!», la presentò Naruto, avvicinandosi e scrollandole delicatamente le spalle.
           Quel contatto ebbe su di lei la stessa potenza di una scarica elettrica; la costrinse ad affrontare la luce di Itachi, le tenebre del fratello e l’allegria dell’Uzumaki. Non capiva ancora cosa diavolo ci facesse lì e perché fosse la protagonista di quel mercoledì.
           «Sì, ci avrei scommesso. Il delicato e tagliente incanto di un cristallo», riprese Itachi, mentre si apprestava a sparecchiare. «Mi ricordo di te, Hinata. Ho frequentato un corso di karate con tuo cugino Neji e tu venivi spesso a vederlo alle gare. Ti sei fatta ancora più carina, crescendo. Sasuke aveva ragione riguardo il tuo… ». Diavolo, lo stava per dire davvero!
            «Itachi, torna di là. Mi occupo io della tavola», lo interruppe il fratello, irrigidendosi.
            «Otouto, lascia fare a me», si ostinò gentilmente lui, posando le pentole nella lavastoviglie. La coscienza sporca gli diceva che doveva rimediare, e subito.
            «Insisto. Vattene in salotto», ordinò freddamente.
            Hinata li fissava con preoccupazione, spostando lo sguardo continuamente da un viso all’altro, proprio come Naruto.
Il biondo non ebbe esitazioni: non appena Itachi girò l’angolo, lo seguì sorridente. Conosceva Sasuke e sapeva che non era il momento migliore per stare in sua compagnia.
 
La ragazza si alzò di scatto, non appena il giovane riprese il lavoro interrotto dall’aniki. Avvertiva l’elettricità nell’aria, il gelo, il disagio, e la sua pelle si era accapponata, sotto la giacca nera della divisa. Si sentì in dovere di rimediare e l’unico modo che le veniva in mente per farlo era quello di rendersi utile. Prese il suo bicchiere e si avvicinò alla lavastoviglie, cercando di darsi un certo contegno e apparire tranquilla. Il moro glielo strappò di mano, con un gesto fulmineo.
            «Non ce n’è bisogno. Ho detto che me ne occupo io», dichiarò cupo.
            «Scusami». Le mani le tremavano, così come le gambe, mentre cercava di reggersi in piedi con l’aiuto di una sedia.
            «Non voglio le tue scuse». Non aveva nulla da farsi perdonare, perché sapeva solo accentuare la sua innocenza, di fronte a lui? Lui che era tutto il contrario! «Non scusarti con me, Hinata», ribadì. Quel sussurro aveva tutta l’aria di essere un ruggito, per la foga con cui se l’era lasciato sfuggire.
            La fanciulla non capiva il senso delle sue parole, ma l’avevano spiazzata. Avrebbe voluto chiedergli delle spiegazioni, ma non trovava il coraggio. Lo fissava con i suoi occhi chiari, troppo innocenti perché Sasuke potesse reggerli addosso a sé tanto a lungo; iridi così incontaminate da infastidirlo, costringerlo a darle le spalle e riporre le tovagliette di canapa nel mobiletto, con una rapidità irritata.
            «Mi dispiace, forse è meglio se torno a casa», mormorò lei, cercando di non far tremare troppo la voce.
            L’Uchiha si voltò di scatto, al suono di quelle parole. L’aveva colta di sorpresa, in tutta la sua fragilità: si lisciava nervosamente una ciocca di capelli e lo guardava senza davvero vederlo, preda di pensieri commiserevoli.
            «No, è fuori discussione: dobbiamo lavorare alla ricerca», dichiarò il corvino, sforzandosi di riapparire imperturbabile.
            «D-dici sul serio?». Finalmente tornò a vederlo.
            «Sono pronto», affermò deciso, preparando sul tavolo il suo quaderno.
 
Erano seduti da mezz’ora, avevano riempito fogli di idee più o meno convincenti da inserire nella ricerca, scambiandosi a malapena una cinquantina di parole, a fronte di quei fiumi di vocaboli stesi con l’inchiostro. Sasuke si era concentrato sull’aspetto storico, con l’ascesa di Vittoria, i governi Gladstone e Disraeli e le innovazioni tecnologiche, mentre Hinata aveva focalizzato la sua attenzione sui problemi sociali, la povertà, lo sfruttamento minorile, con un occhio di riguardo alla letteratura del tempo che denunciava tali disagi, come nel caso di Charles Dickens, e di quella che li accennava sottilmente, convogliando la propria attenzione sulla delicata questione dell’emancipazione femminile, proveniente dalle penne delle sorelle Brontë.
            Di Naruto non v’era traccia: da quando aveva seguito Itachi in salotto, non aveva più messo piede in cucina. Ogni tanto giungevano alle orecchie dei due compagni di classe le sue urla divertite, mentre era alle prese con i videogiochi.
            «Anche se lo chiamassi, non ci sarebbe d’aiuto», sospirò Sasuke, realista. Naruto non era per niente uno studente modello, a malapena raschiava la sufficienza nei compiti in classe; se stava ancora a galla, era merito del suo migliore amico che, anche stavolta, gli avrebbe assicurato un voto decente. Era una testa quadra, ma gli voleva bene. Era l’unico che non lo giudicava per ciò che faceva, ma per ciò che era. 
            «Allora, cominciamo a scrivere?», propose Hinata, sollevata dal fatto che non avrebbe dovuto sostenere lo sguardo limpido dell’Uzumaki. Certo, le dispiaceva non trovarselo accanto, ma, ai fini della ricerca, era molto meglio così.
            L’Uchiha annuì, parandole davanti la sua scaletta. La Hyuga cominciò a scrivere con calma, ascoltando attentamente gli spunti di Sasuke e rielaborandoli in un discorso fluido, ben articolato, che riusciva ad abbracciare perfettamente anche i suoi. Era felice di poter scrivere, era una delle cose che le piacevano di più della scuola: stendere i pensieri su carta le usciva con una certa facilità, come se non fosse nata che per quello. Amava i temi, la pacata concentrazione che la coglieva nell’attimo della creazione, la sospensione di frasi a mezz’aria, sopra la sua testa… lei allungava la mano e carpiva aggettivi, nomi, verbi, come se si trattasse di margherite, per donare loro una vita armoniosa in quel vaso chiamato racconto. Non le importava del voto, ma solo della sensazione di completezza che provava mentre tracciava il punto conclusivo.
            Il moro la osservava attentamente, mentre lei, finalmente, era impossibilitata a difendersi dai suoi occhi: quando scriveva, lui poteva vedere la vera Hinata, quella senza schermi protettivi, senza imbarazzi, senza insicurezze. Erano quelle le sue mani, ferme, chiare, affusolate. Erano quelli i suoi occhi, puri, puntati sul foglio, ma persi altrove. Era quella la sua anima, gentile, delicata, curiosa, accorta, umana e celestiale insieme.
 
Un’ora dopo, il lavoro era concluso. Sasuke stava rileggendo le righe che lei aveva ordinatamente scritto, così chiare e precise che non sembravano affatto una bozza, se non le avesse tradite qualche depennamento. Era un ottimo lavoro, ne era soddisfatto quanto lei. Si propose di copiarlo al computer, per ripagarla dell’impegno che già aveva messo nello stendere la copia cartacea.
            «Adesso si spiegano quei voti altissimi nei temi», commentò poco dopo, appoggiando il foglio di protocollo sul tavolo.
            «N-non è nulla di che», minimizzò lei, scrollando le spalle. Seriamente, non capiva perché gli altri scorgessero qualcosa di straordinario in ciò che scriveva, dato che proveniva da una nullità come lei. «Shikamaru è un vero genio, lui sì che è da ammirare», ammise sincera, sorridendo.
            «Il Nara ha solo il cervello, il resto è pura pigrizia», commentò lui.
            Hinata avrebbe voluto replicare, ma un urlo di gioia più intenso di Naruto la bloccò: aveva probabilmente vinto ai videogiochi. Quanto avrebbe voluto vedere la sua espressione, in quel momento!
            «E, invece, quando sarebbe il tuo compleanno?», domandò all’improvviso l’Uchiha.
            La ragazza sgranò gli occhi, colta di sorpresa. Aveva capito bene?
            «Il mio compleanno?», chiese stupita, puntando l’indice verso se stessa. «Il ventisette dicembre».
            «E il mio?», domandò poco dopo, lasciandola ancora più sbigottita. Metterla in difficoltà lo divertiva.
            «Scusa, ma non lo so», ammise, scuotendo la testa.
            «Naturalmente», bisbigliò lui, con un sorriso quasi tirato.
            «Mi dispiace, non mi viene in mente», continuò lei, temendo di averlo offeso.
            «Non ti può venire in mente, se non lo sai», affermò sarcastico. «E poi non ha importanza», concluse.
            Se solo fosse stata più coraggiosa, per educazione, gli avrebbe chiesto in quale giorno fosse nato, ma temeva solo di annoiarlo ulteriormente. Era sul punto di alzarsi per tornare a casa, dato che avevano ormai finito il lavoro, ma Sasuke la inchiodò con una nuova domanda.
            «Perché hai cambiato sezione, proprio all’ultimo anno?». Quello sguardo glaciale e indagatore sembrava aver intuito già la risposta, ma Hinata cercò di non badarvi.
            «Non penso che potrebbe interessarti», sussurrò a capo chino, quasi come se avesse esternato un pensiero segreto. Perché mai doveva importargliene? A malapena si erano stretti la mano, il giorno in cui aveva messo piede in 5^F.
           «Se te lo sto chiedendo è perché voglio saperlo», ribatté lui, stringendo i pugni. Se c’era una cosa che odiava di quella ragazza, era la sua tendenza a svalutarsi continuamente; riusciva a mettergli i nervi.
            La Hyuga rialzò il volto, incrociando quello sguardo nero, penetrante e curioso. Era così scuro da provocarle malessere, inquietudine, annichilimento, ma quelle sensazioni non erano nemmeno lontanamente paragonabili a ciò che Naruto sapeva causarle con una sola occhiata. Gli occhi dell’Uchiha erano cupi, oscuri, ma sostenibili, quasi senza alcuna difficoltà. Pensò che quel coraggio era dovuto al fatto che riusciva a vedere se stessa, in fondo alle sue pupille tenebrose, e che odiava apparire così debole.
            «Ho convinto mio padre che sarebbe stata un’ottima idea entrare nella classe di Neji, in quanto l’avevo additato come modello di ragazzo determinato e studioso», confessò come sotto ipnosi.
             «Non dire cazzate, Neji si comporta da stronzo, soprattutto con te», sbottò Sasuke.
             Hinata sgranò gli occhi. «No, Neji è solo molto fermo nei suoi ideali! Si dimostra distaccato, anche sprezzante, delle volte, ma è davvero da ammirare. Vorrei essere come lui, con tutto il cuore», affermò con la voce tremante, sforzandosi di non farsi scappare nessuna lacrima. Lo pensava davvero, non si curava del disprezzo con cui lui la guardava, anzi, gli dava ragione: lei stessa si detestava, perché mai suo cugino avrebbe dovuto trattarla con riguardo?
            «Sembravi più intelligente, Hinata», la criticò il moro, trattenendo una risata. «Non offenderti, ma, personalmente, non vedo l’ora di sfondare la faccia di tuo cugino a suon di cazzotti».
            «Che cosa?!», quasi urlò, rabbrividendo. No, non c’era traccia di sanità in lui.
            «Non ho detto che lo farò, calmati», sorrise, incrociando le braccia al petto e chiudendo gli occhi. Quando li riaprì, quell’aria divertita sembrava essersene andata. «Basta stronzate, qual è la verità? Qual è il motivo per cui hai cambiato sezione?», insisté.
            «Beh, anche per Kiba e Tenten… siamo amici fin da bambini, mi sarebbe piaciuto passare quest’ultimo anno scolastico con loro».
            «E Naruto», concluse Sasuke, con pochi convenevoli.
            Hinata arrossì di colpo, scuotendo leggermente la testa; cercava di negare quella supposizione, anche se le parole non riuscivano a uscirle di bocca, ma più si sforzava di apparire contrariata, più il moro sorrideva soddisfatto. Aveva capito tutto, il suo segreto non era più al sicuro.
 
La vibrazione del cellulare, sul tavolo, distrasse entrambi. Sasuke lo ghermì, lesse il nome sullo schermo e sbuffò, accettando la chiamata.
            Hinata approfittò della pausa per inspirare profondamente. Si portò una mano sul petto, cercando di controllare il respiro e i battiti. Doveva darsi una calmata, o avrebbe compromesso ancora di più la sua situazione. Avrebbe negato tutto, anche quell’evidenza: a lei Naruto non piaceva… cioè, non in quel senso. Lo trovava simpatico, tutto qui. Sì, avrebbe convinto l’Uchiha che le cose stavano così.
            «Certo, anche io non vedo l’ora di fare una bella cavalcata, Karin», sorrise malizioso, guardando di sottecchi la Hyuga, che lo stava osservando con un’aria più pacata.
            Quando il moro riattaccò, lei sperò vivamente che si fosse dimenticato dell’ultima frase della loro conversazione e, onde evitare che potesse riprendere da quel punto, decise di cambiare argomento.
            «Non sapevo che tu e Karin praticaste equitazione». Un sorriso carico di virtù le adornò le labbra.
            Sasuke scoppiò a ridere a crepapelle, appoggiando il cellulare sul tavolo. Hinata lo fissava curiosa, senza smettere di sorridere. Era di buon umore, grazie al cielo.
            Il ragazzo si avvicinò a lei, abbassando il capo in sua direzione e accostando le labbra al suo orecchio.
            «Sei così infantile, Hinata. Così ingenua».   
            Il sussurro le aveva sfiorato la pelle del collo, facendola rabbrividire. Nonostante l’Uchiha le fosse passato oltre, sentiva ancora il suo respiro all’orecchio; il fiato caldo aveva appannato la campana di vetro che la proteggeva, ma i suoi occhi si scheggiarono in tremanti lacrime. Si sentiva malissimo e non capiva il perché. Quelle affermazioni beffarde del ragazzo l’avevano ferita come lame, dandole la conferma di quanto apparisse stupida, fuori luogo e imbranata a tutti. Anche all’Uzumaki, sicuramente.
            «Proprio come Naruto», aggiunse Sasuke, avvistando l’amico alzarsi dal divano.
            «Ehi, scusate… per la ricerca facciamo domani? Mi sono perso a giocare con Itachi e non ho avvertito lo scorrere del tempo», ridacchiò, comparendo alla soglia della cucina e grattandosi la testa, con un grande sorriso stampato in faccia.
            Non era un ragazzo tra i più perspicaci, ma intuiva che qualcosa non andasse. L’aria era tesa, gli sguardi forzatamente lontani… era successo qualcosa.
            «Hinata, tutto bene?», domandò il biondo, avvicinandosi.
            «Oh, certo, certo», sorrise lei, come appena ridestatasi da un sogno, asciugandosi gli occhi con un gesto veloce. «Scusate, devo rientrare», mormorò.
            «Naruto, accompagnala a casa con Itachi». Era un ordine, lo sapevano entrambi.
            «Andiamo», la sospinse il maggiore degli Uchiha, mentre l’Uzumaki si era già fiondato fuori.
            Hinata, prima di seguire i due ragazzi all’auto, si girò lentamente verso Sasuke. Voleva guardarlo, accertarsi che era stato tutto un frutto della sua immaginazione. Non poteva davvero aver scoperto un segreto che stava proteggendo così accuratamente da diversi anni!
            Come se fossero stati fulminati dallo stesso pensiero, anche lui si voltò, in quel preciso istante.
            Occhi neri, più scuri della mezzanotte, illuminati da un ghigno sarcastico, la fissavano, maliziosamente allietati.
            «Ti prego…», cominciò a piagnucolare lei.
            «Non lo dirò a nessuno», la interruppe Sasuke, lasciandola di stucco. E sigillò quella promessa con il sorriso più naturale che lei gli avesse mai scorto sul viso.  
             La ragazza sussurrò un timido, ma profondo ringraziamento, e si affrettò a raggiungere Itachi e Naruto. Una parte di pace era stata restaurata, nel suo cuore, nonostante il suo segreto si stesse rilevando fragile. Era grata a Sasuke per quella rassicurazione inaspettata, arrivata nel momento del bisogno. Avrebbe voluto esprimere meglio la sua gratitudine, salutarlo con amichevolezza, ma non era riuscita ad aggiungere alcunché. Solamente sguardi, specchi di spiriti inquieti, in una totale assenza di parole e razionalità; perché l’anima non è carta, non conosce storie logiche e grafie ordinate, solo evidenti cancellature e sbavature che sanno di vita intensa, lacrime e sorrisi.
 
Il viaggio verso casa era stato più veloce di quanto lei avesse immaginato, e anche più piacevole, grazie alle chiacchiere di Itachi e Naruto. Il biondo continuava a vantarsi della propria maestria nei videogiochi, mentre l’altro fingeva di prendersela e lo minacciava di non cucinare più ramen in suo onore.
            Lei osservava l’Uzumaki in silenzio, ancora toccata da quello scambio di parole con Sasuke, ma anche confortata dalla sua garanzia. Non capiva il perché, ma era come se si fosse alleggerita del peso del segreto, condividendolo con qualcun altro. Certo, non avrebbe mai voluto che lo conoscesse una persona tanto vicina a Naruto, ma ormai i giochi erano fatti.
 
Itachi accostò davanti alla villa degli Hyuga, invitando Naruto ad accompagnare Hinata all’ingresso, “da bravo compagno di classe”. Il biondo obbedì, e non lasciò alla giovane il tempo di salutare l’Uchiha, aprendole lo sportello posteriore.
            La mora sentiva la solita morsa allo stomaco che l’assaliva puntualmente quando rientrava a casa, soprattutto a un orario inconsueto. Erano solo le cinque e mezzo, ma per suo padre era comunque un’ora indecente.
            Naruto suonò il campanello, quasi sovrappensiero. Non si era nemmeno accorto che la sua compagna di classe stava tremando nervosamente.
            Hiashi Hyuga comparve alla porta, accigliandosi nel trovarsi di fronte la figlia e quel ragazzo. Hinata poteva leggere tutto il disappunto in quegli occhi così simili ai suoi.
            «Papà, scusa il ritardo. Spero che Neji ti abbia avvertito», disse con un filo di voce.
            «Ho saputo tutto, ma mi aspettavo di vedere al massimo un Uchiha, non lui». Aveva rincarato la dose di disprezzo osservando l’Uzumaki con occhi affilati. «Sta' lontano da mia figlia», quasi ringhiò.
            Quel ragazzo non gli era mai piaciuto fin da quando era solo un bambino poiché, crescendo senza i suoi genitori, era stato spesso protagonista di ragazzate e piccoli atti di vandalismo impuniti, come murales, innocui, ma biasimevoli furti al mercato, e altre bravate del genere. Inoltre, stando agli affidabili racconti del nipote, era venuto a conoscenza della sua pessima attitudine allo studio, della svogliatezza e leggerezza che lo contraddistinguevano. Non voleva che Hinata avesse nulla a che fare con lui; sarebbe stato un ulteriore danno per quella ragazza che gli procurava poche soddisfazioni.
            «Papà, abbiamo lavorato alla ricerca e Naruto…».
            «Fila in casa», tuonò gelidamente, indicandogli imperioso la porta alle sue spalle.
            Hinata, a malincuore, ubbidì, mentre una lacrima di frustrazione e imbarazzo cominciò a scorrere sul suo volto arrossato. Quanto avrebbe voluto scomparire o, tutt’al più, non essere se stessa, non vivere in quella casa, non appartenere a quella famiglia.
            «Non voglio che vi frequentiate», ribadì Hiashi, arcigno.
            «Siamo compagni di classe, credo che sia inevitabile incontrarci a scuola», rispose il biondo, per niente turbato da quel malumore. Era abituato a subire i pregiudizi della gente, si era fatto le ossa con le critiche, le botte e il disprezzo delle persone, e ora nulla lo sfiorava. Aveva imparato a vivere così, con il sorriso sulle labbra e una forza d’animo incredibile, pronta per essere messa a disposizione di chi davvero la meritasse. E per quanto poco la conoscesse, Hinata era degna della sua energia.
            «Vi parlerete il minimo indispensabile. Non voglio che tu la renda più deludente di quanto già non sia».
            «Hinata è una ragazza eccezionale! Sono lieto di stare in classe con lei e sarei orgoglioso di potermi dire suo amico», urlò l’Uzumaki, prima di voltare le spalle e raggiungere l’auto di Itachi, stringendo i pugni per la rabbia.
           
Quando la vettura ripartì, Hiashi Hyuga rientrò in casa, sbattendo violentemente la porta alle sue spalle. Si trovò di fronte la figlia, con il capo chino e una mano sul cuore. Aveva sentito perfettamente le parole di Naruto e ancora non credeva possibile che davvero fosse riuscito a dire qualcosa del genere; doveva accertarsi che non si trattasse di un sogno, così si era premuta un palmo sul petto, controllando anche i battiti cardiaci.
            Non appena sollevò la testa, pronta a scusarsi con il padre, uno schiaffo colpì la sua guancia destra, facendole sbattere lo zigomo contro lo spigolo di un mobiletto, che tremò come la ragazza, sotto quella violenta percossa.
            «Ti sei appena giocata la patente, sappilo», dichiarò freddo l’uomo, passandole oltre.
            Hinata si accasciò sulle ginocchia, stringendo le mani sulle braccia, in preda a una crisi di pianto. Il sangue colava lungo la guancia, caldo e fluido, ma lei non lo sentiva, non riusciva ad avvertire più niente, sopraffatta dal dolore.
            Aveva a malapena intravisto Neji, di fronte a lei, e gli aveva teso speranzosa la mano, auspicando che almeno in quell’occasione lui avesse provato un minimo di pena nei suoi confronti. Il cugino abbassò le palpebre e si girò lentamente, dirigendosi verso il salotto della villa, dove Hanabi stava recitando la poesia che aveva appena finito di studiare a memoria per la scuola.
            Gli applausi dei familiari furono pugnali dritti al suo cuore, mentre si dirigeva faticosamente in camera sua.







E così la ricerca è stata portata a termine, grazie a quei due cervelloni (scusa Naruto, ma qui non si parla di te!) XD
Vi voglio ringraziare nel modo più sincero possibile per le belle parole che avete speso nei confronti della storia, per averla inserita nelle seguite/preferite/ricordate. Grazie davvero! Non mi aspettavo potesse trovare lettori così generosi... non potrei chiedere di più! :')
Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto e vi abbia fatto capire quanto sia dura la vita della nostra Hinata :(
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va, con una piccola recensione qui sotto ;) Sarei lieta di leggere le vostre opinioni e rispondervi!
Grazie di cuore! 
A presto, 

Ophelia


 ​PS: mooolto probabilmente, con il prossimo capitolo, cambierò il rating della storia, come avevo accennato ;) Vedrò di fare il possibile per aggiornare presto!
   
 
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