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Autore: andromedashepard    23/09/2013    4 recensioni
“Speravo dormissi, almeno tu”, disse Thane quando lei ebbe aperto il portellone. Le sembrò esausto. Coprì con due brevi falcate la distanza che li separava, uno sguardo che lei non seppe interpretare. “Dammi un buon motivo per andarmene”, aggiunse, appoggiando la fronte contro la sua. Lei trattenne il respiro, mentre le sue dita si intrecciavano ai suoi capelli. Se c’era davvero un buon motivo, lei non lo conosceva.
#Mass Effect 2 #Shrios
Genere: Avventura, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Thane Krios
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Andromeda Shepard '
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“Now and then when I see her face 
 She takes me away to that special place 
 
 And if I stared too long 
 
I'd probably break down and cry”

 
(Guns’n’Roses, "Sweet Child o’ mine")


[x]

 



Uscendo dall’ufficio di Liara, Shepard non disse una parola riguardo a ciò di cui avevano discusso, e Thane volle rispettare il suo silenzio, almeno finchè non arrivarono al taxi che li avrebbe condotti all’appartamento dell’Asari.
“Mi sembri turbata”, azzardò, mantenendo le distanze.
“Ho solo voglia di mangiare qualcosa”, rispose lei con un sospiro, seguendo con gli occhi le astroauto che sfrecciavano fuori dal finestrino. “Conosci un posto tranquillo nei paraggi?”
“Dipende dai tuoi gusti”.
“Voglio solo mettermi al volo qualcosa nello stomaco”.
Si fermarono ad un chiosco di forma ovoidale dove un’Asari presentava con orgoglio una serie di fritture non ben identificate. Shepard osservò la vetrina, scettica, poi si decise a prendere la cosa che le sembrava più umana possibile, consultando il menù olografico che luccicava su una colonna di metallo lì a fianco. Si sedettero a un tavolinetto e lei finalmente sorrise, rivolgendo a Thane uno sguardo curioso, mentre l’Asari si occupava velocemente del loro ordine.
“Non ti facevo un tipo da questo genere di posti”.
“Non lo sono, infatti”, sorrise lui di rimando.
“E che tipo sei?”
“Lo scoprirai un giorno, se accetterai di uscire a cena con me”.
Lei scosse la testa, divertita, chiedendosi se mai ne avrebbero avuto davvero l’occasione. L’Asari li omaggiò con un ampio sorriso, mentre squadrava curiosamente la strana coppia, poggiando troppo lentamente il vassoio col cibo sul tavolo.
Shepard diede un morso a quello che sembrava uno spiedino e annuì compiaciuta. “Non è così male”.
“Lo dici solo perché non sai di cosa si tratta”.
“Tu non farmici pensare”, lo rimproverò, divertita.
Lui sorrise, prendendole una mano. “Sei sicura che vada tutto bene?”
“No, ma passerà”, rispose lei, intrecciando le dita con le sue. “Ho appena scoperto che è stata Liara a recuperare il mio corpo dallo spazio e a consegnarmi a Cerberus, e che i Collettori volevano comprarmi dall’Ombra”, confessò poi, gesticolando come per minimizzare.
“Un motivo in più per combatterli”, disse lui calmo, stringendo maggiormente la sua mano. “Non ti eri mai fatta domande a proposito del progetto Lazarus?”
“Certo, ma forse sono stata un’ingenua a voler credere che dietro tutto questo ci fossero solo buone intenzioni… L’Uomo Misterioso continua a dirmi che l’unico motivo per cui mi ha rimessa in piedi è perché io sono un simbolo, perché devo occuparmi di ciò che l’Alleanza non vuole accettare, non vuole combattere, ma… non lo so… Cosa volevano farne di me i Collettori, cosa volevano farsene di un cadavere?”
“La cosa positiva è che non dovrai mai scoprirlo”.
Lei gli restituì uno sguardo carico di significato, prima di dare un altro morso allo spiedino. Sì, se la fortuna fosse stata dalla sua parte non l’avrebbe mai scoperto, ma fino a quel momento non lo era mai stata.
Due Asari passarono accanto a loro ridendo allegramente, strette nei loro impermeabili. “Odio ritrovarmi con l’acqua in mezzo allo scalpo!”, disse una delle due, coprendosi la testa con le mani mentre iniziavano a scendere le prime gocce di pioggia. Shepard curvò le labbra in un sorriso, vedendole correre in direzione di un taxi come per una corsa all’oro.
“Pare che avremo bisogno di un ombrello”, commentò Thane.
“Mi chiedo com’è che ancora non ne abbiano inventato uno da factotum. Sarebbe l’invenzione del secolo!”
“Da quant’è che non navighi su Extranet, Siha?”
“Un bel po’”.
“Ecco”.
“Vuoi dire che esiste già in commercio? Oh, diamine, dovrei tenermi più aggiornata…”
Thane rise, guardandola con dolcezza. Era felice di sapere che nonostante tutti i problemi e le responsabilità, lei riusciva sempre a trovare il modo per discutere di argomenti frivoli, per sorridere di sciocchezze. Era il suo modo personale di restare grappata a quell’umanità di cui spesso si era sentita privata, spinta da impossibili circostanze esterne.
“Che c’è?”, gli domandò lei, sentendosi osservata, mentre sfoggiava uno di quei sorrisi che tanto gli piacevano.
“Niente”, rispose lui. Avrebbe voluto dirle che la trovava perfetta, che avrebbe voluto che non smettesse mai di ridere, che avrebbe voluto avere la speranza di un vero futuro con lei… ma non è sempre così facile ammettere a se stessi che ci si sta davvero innamorando di qualcuno, e soprattutto, non è sempre così semplice confessarlo. Si limitò a stringere la sua mano, accarezzandone poi il dorso con la sua, mentre la pioggia iniziava a scendere più forte, picchiettando insistentemente sulla tettoia che li riparava. Gli fu impossibile non ripensare a Kahje e al suo passato, e dovette sforzarsi per non cadere in uno dei suoi ricordi, restando ancorato alla realtà solo perché davanti aveva qualcosa di molto più importante. Pian piano, tutto iniziò a tingersi di viola e d’azzurro, ogni pozzanghera che si formava ai bordi delle strade era uno specchio colorato, ogni insegna luminosa ricoperta di minuscole gocce d’acqua rifrangeva i propri colori in tanti, minuscoli cristalli. Non era l’odiosa, grigia, pioggia di Kajhe. Thane curvò le labbra in un sorriso ancora una volta. Non avrebbe mai pensato di poter trovare la pioggia così bella. Anche i suoi occhi ne riflettevano i colori, mescolandosi al verde chiaro delle sue iridi.
Shepard distolse lo sguardo, imbarazzata. Come la prima volta, anche adesso non riusciva a fare a meno di sentirsi totalmente disarmata davanti a lui. Non avrebbe esitato un solo istante a guardare negli occhi un nemico, ma con lui era diverso… era come mettergli in mano le chiavi della propria anima, ogni dannatissima volta.
Si parlarono così, in silenzio, sotto la pioggia che scandiva il tempo coprendo i rumori del traffico e della gente che parlottava agli angoli delle strade. Si dissero mille cose senza aprire bocca, sorridendosi, a tratti perdendosi ad osservare la città intorno a loro, mentre finivano di consumare quel pasto fugace e improvvisato, prima di decidersi finalmente a chiamare un taxi.
 
 
 
Giunsero al palazzo dove abitava Liara che erano bagnati fradici.
“Almeno tu non devi fare i conti con questi”, aveva detto Shepard, indicando i suoi capelli mentre cercava di asciugarseli sfregandoli fra le mani a testa in giù.
“Potresti sempre tagliarli, come Jack”.
Lei si alzò di scatto, rifilandogli un’occhiataccia, prima di imboccare le scale, seguita a ruota da Thane che sembrava a disagio come un gatto appena costretto a fare il bagno.
“Chiederò a Liara di prestarci un phon, va bene?”, gli domandò lei sbuffando, voltandosi appena.
“Mi basta un asciugamano”.
Shepard sorrise, mentre si faceva più vicina all’appartamento di Liara, ma fu accolta da alcuni strani rumori e si mise immediatamente sull’attenti, poco prima di trovare la porta dell’appartamento spalancata e un’intera squadra di agenti a perlustrare la zona, circondata tutt’intorno da nastri olografici che recavano la classica scritta “no trepassing”.
“Che diavolo è successo qui?”, esclamò allarmata, infischiandosene di un’Asari che le intimava di non attraversare la porta principale.
“Lei può passare”, fece una voce ben distinta, proveniente dall’interno. L’Asari che aveva parlato recava sull’armatura rinforzata il simbolo degli Spettri. Shepard oltrepassò il nastro, scongiurando la tragedia, ma ad una prima occhiata, nulla lasciava presagire che fosse accaduto davvero qualcosa di terribile. Non c’era sangue, non c’erano cadaveri, né i segni di un combattimento. Sembrava piuttosto un tentativo di rapina andato male.
“Tela Vasir, dipartimento Tattiche Speciali e Ricognizione”, si presentò la sconosciuta. “E lei dev’essere Shepard. Un peccato che non l’abbiano reintegrata”.
Lei si avvicinò e le tese la mano, ricambiando le presentazioni, guardandola dall’alto in basso come se aspettasse immediatamente delle risposte. Era stranita, che diamine ci faceva lì uno Spettro?
“Pare che la sua amica sia fuggita. Circa venticinque minuti fa qualcuno le ha sparato, i segni della sparatoria sono ben visibili sulla vetrata principale”, spiegò gesticolando, “ma lei è rimasta qui circa quattro minuti prima di lasciare l’edificio. E’ stata fortunata a dotare il suo appartamento di un efficace sistema di difesa…”
Il Comandante si girò intorno con aria smarrita, cercando di fare ordine nella sua mente, poi Thane trasformò in parole quello che la sua mente le aveva appena suggerito.
“Potrebbe aver lasciato qualcosa per te, Shepard”, disse, affiancandola. Lei rispose con un cenno d’assenso. Mai e poi mai Liara avrebbe rischiato di mandare all’aria quella missione, ne era certa.
“Darò un’occhiata in giro”, affermò senza troppi complimenti.
“Faccia pure, lei di sicuro la conosce meglio di me. Mi chiami se ha trovato qualcosa”.
 
Di certo, Shepard avrebbe preferito visitare quell’appartamento in circostanze diverse. Era maestoso, ampio, ricco di reperti archeologici, la maggior parte dei quali Prothean, custoditi dentro teche di vetro infrangibile. Qualunque cosa volessero i suoi aggressori, non erano i suoi soldi, avendo lasciato intatto praticamente tutto. In un angolo, c’era perfino un pezzo di corazza N7. “Questa dev’essere mia”, disse piano, facendo scorrere le dita sul vetro che la proteggeva. Thane restò in silenzio al suo fianco, mentre lei si prendeva un po’ di tempo per riflettere. Per quanto sapesse bene cosa significasse la morte dell’anima, non avrebbe mai potuto comprendere a fondo il significato di una morte fisica e di una conseguente rinascita. Lei, di fronte a lui, appariva come un vero e proprio miracolo, qualcosa di assolutamente incomprensibile, e si sentì, per un momento, partecipe di quell’attimo in cui il ricordo si mescola ad una realtà troppo diversa. Avrebbe voluto stringerla a sé, dirle che un ricordo è solo un ricordo, e chi meglio di lui poteva saperlo? Ma non era né il momento, né l’occasione giusta. La lasciò fare, sapendo che avrebbe solo avuto bisogno di un istante per sé, nulla più.
 
Shepard si allontanò a passo svelto da quella reliquia, aveva già perso troppo tempo. Fece la gradinata fino al piano superiore e le venne da sorridere al pensiero che anche Liara avesse un acquario in bella vista dietro al letto. A differenza del suo però, qui c’erano pesci vivi. Si avvicinò al comodino, prendendo in mano una cornice olografica che proiettava un’immagine della Normandy SR1. Non avrebbe mai pensato che Liara potesse essere così nostalgica, anche se dopotutto non c’era da meravigliarsi. Sapeva bene quanto la loro avventura avesse cambiato la vita di quella che allora era solo un’archeologa. D’un tratto l’immagine cambiò e Tela Vasir, che era giunta prontamente al suo fianco, osservò la cornice con curiosità.
“Interessante. Ha risposto al suo ID. Cosa mostra?”, domandò, perspicace.
“Uno scavo Prothean”.
“Converrebbe cercare in uno dei suoi reperti”, disse Thane, guardandosi intorno. Shepard capì immediatamente che chiedere il suo aiuto per quella missione era stata la migliore decisione possibile. Oltre al fatto che un assassino sa sempre cosa e dove cercare, nessuno conosceva Illium meglio di lui e nessuno avrebbe voluto la morte dell’Ombra più di lui, probabilmente. Si sentì improvvisamente al sicuro, nonostante la scomparsa improvvisa di Liara l’avesse colpita come una coltellata.
Scandagliò ogni dettaglio dell’appartamento da cima a fondo, finchè finalmente non riuscì a trovare quello che cercava. Era una registrazione di una chiamata avuta con un certo Salarian di nome Sekat, che invitava Liara a raggiungerlo nel suo ufficio. Una volta lì, le avrebbe dato tutte le informazioni necessarie per trovare l’Ombra.
“Baria Frontiers”, mugugnò l’Asari, accarezzandosi il mento. “Si trova all’interno degli edifici commerciali Dracon. Possiamo prendere la mia auto”.
“Andiamo allora, non c’è tempo da perdere”, rispose Shepard con un cenno d’assenso. Liara era senza dubbio in pericolo. L’Ombra aveva già cercato di farla fuori una volta, e persino il Salarian l’aveva messa in guardia del rischio. Tutto ciò, combinato con la sua improvvisa sparizione, lasciava davvero poco spazio all’immaginazione.
Lasciarono l’appartamento, stavolta incuranti della pioggia che batteva sempre più forte. Adesso, le luci viola e blu di Illium avevano assunto una sfumatura fin troppo spettrale.
 
 
 
Il grande centro commerciale, che si elevava su un numero indefinibile di piani oltre la spessa cortina di nebbia, appariva avvolto in una strana aura sinistra. Le luci colorate degli slogan pubblicitari si stagliavano prepotentemente contro le ombre nere e spigolose della moderna struttura. Una grande quantità di astroauto era parcheggiata a piano terra, e la gente sembrava ansiosa di tornare a casa dopo una giornata stancante passata a fare compere. S’incamminarono lentamente verso l’ingresso, prima che quel luogo, improvvisamente, diventasse un inferno. Una serie di esplosioni a catena illuminarono a giorno il piazzale circostante, sbalzando i tre aria con violenza. Si scatenò il panico all’istante. Le urla degli avventori seguirono, terribili, al primo momento di assoluto, straziante silenzio che seguì il boato della bomba. Donne, uomini, bambini di tutte le età e di tutte le specie si riversarono fuori dall’edificio in una massa informe e travolgente, che non si curava più di nulla tranne che della propria sopravvivenza.
Shepard, Thane e Tela Vasir si rialzarono storditi, scambiandosi uno sguardo a metà tra l’inorridito e il preoccupato. Furono gli unici a correre in direzione opposta, restando sconcertati alla vista dei primi cadaveri. Alcuni di loro erano stati sbalzati via dall’esplosione dai piani più alti, altri erano stati le vittime sfortunate di quella fuga di massa. Altri ancora gemevano per il dolore riversati in un angolo, altri piangevano, urlavano per la perdita di un caro. Incredibile come, nello spazio di un secondo, la vita fosse cambiata per così tante persone.
Shepard soppresse a forza l’istinto di occuparsi di ogni singolo individuo che chiedeva disperatamente aiuto, limitandosi ad allertare le autorità civili di competenza. Dopotutto, lei non avrebbe potuto fare nulla, senza contare che il motivo di quel violento attacco, doveva essere niente meno che Liara.
“Non si sono fatti problemi a far saltare in aria tre piani di questa struttura per trovare la sua amica, Shepard. Dobbiamo aspettarci di tutto”, commentò lo Spettro sopra il rumore dell’incendio che si era appena scatenato. Shepard ne era ben consapevole, e le bastò questo per sentire un’incredibile rabbia crescere dal fondo del suo stomaco.
“Inizierò dai piani superiori, ci incontreremo all’ufficio di Sekat, con un po’ di fortuna”, aggiunse l’Asari, prima di correre nuovamente in direzione del suo mezzo.
Shepard annuì e subito dopo cercò lo sguardo di Thane. Non voleva assistere ad un’altra tragedia, non quel giorno. I suoi soli occhi le comunicarono quello che lei aveva bisogno di sentire, e lei si fece strada fra le macerie, rinvigorita da quella piccola, minuscola certezza.
 
 
 
All’interno era tutto un cigolare di pannelli che minacciavano di staccarsi dalle pareti, fontane di scintille che piovevano dai cavi elettrici recisi, urla di panico, terrore e sofferenza. C’erano troppi cadaveri, più di quanti avesse sperato di trovare, c’erano troppe persone che avrebbero perso la vita inutilmente solo perché avevano fatto l’errore di trovarsi al posto sbagliato, nel momento sbagliato. E chissà perché, ancora una volta, lei si sentiva in qualche modo responsabile.
“So cosa stai pensando”, le disse Thane, mentre perlustravano uno dei corridoi che li avrebbe condotti ai piani superiori. “Non farlo, Shepard”.
“L’hai detto tu che dobbiamo convivere col peso delle nostre decisioni”, rispose lei, a denti stretti. Le sue dita impugnavano troppo forte la sua Phalanx, il suo cuore non accennava a rallentare il battito.
“Il fatto che la dottoressa T’Soni possa essere in pericolo non deve impedirti di ragionare a mente lucida. Tu non hai nessun ruolo in tutto questo”.
Shepard si costrinse a ricacciare indietro un’ondata di parole rabbiose, imboccando la prima rampa di scale, poi cercò di mettere in ordine i suoi pensieri. “Dovrei pensare che sia una coincidenza quest’attentato, appena dopo aver offerto a Liara il mio aiuto?”
“Liara avrebbe scoperto come arrivare all’Ombra anche da sola, e tu a quel punto non ci saresti stata”.
Era vero, non poteva dargli torto, ma ugualmente non sarebbe mai riuscita a perdonarselo se non fosse riuscita a salvarla, arrivando troppo tardi.
Giunsero silenziosamente al secondo piano, dove i rumori sembravano ovattati, prigionieri di una strana atmosfera che sapeva di morte, che odorava di bruciato. Le insegne dei negozi non si riconoscevano più, i manichini erano sfigurati, mischiati ai corpi senza vita adagiati in modo scomposto sul pavimento pieno di cenere. La pioggia continuava a battere incessante sulle finestre, spegnendo gli ultimi fuochi accesi qua e là, e una voce robotica, a tratti, continuava a recitare le ultime offerte come una spiritosa, sgradevole cantilena.
Shepard si avvicinò ad un angolo buio, notando un corpo che sembrava diverso dagli altri. Aveva una corazza ed era di sicuro un mercenario, apparentemente morto per cause estranee all’esplosione.
“Segni di proiettile”, constatò Thane, inclinandosi appena per osservarlo. “A quanto pare non siamo soli”.
“Già. Sono ben equipaggiati, dobbiamo prestare attenzione”, rispose Shepard. “Vasir, hai sentito?”
“Sì. Starò attenta”.
Proseguirono, stavolta con maggiore cautela, e Shepard provò il desiderio malato e incontrollabile di trovarsi faccia a faccia con uno di quei terroristi, per riempirlo di proiettili allo stesso modo.
Quando arrivarono all’ingresso degli uffici Baria Frontiers, Shepard controllò in fretta il terminale di registro, appurando che Liara aveva effettuato l’ingresso da non più di una dozzina di minuti.
“E’ qui”, disse in un soffio. Thane incrociò per un’istante il suo sguardo, notando che era diverso da tutti quelli a cui era abituato. C’era insicurezza, c’era dolore, c’era un’enorme rabbia che illuminava i suoi occhi di una strana sfumatura rossa.
Avanzarono attraverso il lungo corridoio, squarciato sul soffitto in più punti. Dai pannelli rimasti integri, si aprivano ad intermittenza le bocchette antincendio, formando pozzanghere sul pavimento troppo scivoloso. Non fecero in tempo a svoltare l’angolo, che a Shepard sembrò di avere per un attimo perso i sensi. Né la vista, né l’udito le rispondevano più, solo il tatto le fece percepire di essere stata trascinata via e adagiata lungo una parete. Non perse la lucidità neanche per un’istante, capì immediatamente che si era trattato di una granata stordente e questo portava a due conclusioni: avrebbero dovuto affrontare chissà quanti mercenari e, soprattutto, questi mercenari non erano degli sprovveduti qualunque. Riaprì lentamente gli occhi, lottando contro il fastidioso ronzio nelle orecchie, per trovare quelli di Thane che la guardavano con apprensione. Non riuscì a leggere il suo labiale, ma sembrava oltremodo preoccupato, e senza dubbio ne aveva tutte le ragioni.
Ben presto il mondo intorno a sé ritornò a diventare di nuovo nitido e lei si alzò con risolutezza, scuotendo appena il capo.
“Ti è quasi esplosa addosso”, disse Thane, senza perdere di vista il corridoio. “Stai bene?”
Shepard annuì, impugnando nuovamente l’arma e gli fece cenno di prendere posizione. Lo vide sfrecciare nel buio, superando la parte scoperta con rapidità, in modo da non poter essere agganciato neppure dal migliore dei cecchini, e lei si appiattì alla parete opposta, segnalandogli che, appena possibile, avrebbe dovuto aprire il fuoco.
“Vasir, abbiamo incontrato resistenza”, disse, informando lo Spettro.
“Era ora che l’Ombra facesse sfoggio della sua banda personale di mercenari”.
“Come va da quelle parti?”
“Ci sono quasi, Shepard”.
Lei si sporse con cautela, individuando il primo di una serie di uomini pronti a farla fuori senza esitazione. Aprì per prima il fuoco, seguita immediatamente da Thane e da una scarica di proiettili in loro direzione.
“Neppure le loro armi sono da sottovalutare”, osservò Thane, inserendo una clip termica nel suo Viper. “Senza dubbio, non si tratta di mercenari qualunque”.
“Sì, ma non hanno calcolato questo”, rispose Shepard, estraendo l’ml-77 e facendo piazza pulita dell’intero corridoio. Con un lanciamissili del genere, non c’era pericolo di lasciare sopravvissuti in uno spazio così ristretto.
 
Proseguirono in questo modo non senza fatica, messi alla prova dalle continue granate stordenti, dalle scariche ripetute di proiettili e dai problemi che derivano da uno scontro a fuoco in un contesto diverso dal solito, ma senza ulteriori intoppi, finchè non si trovarono dietro alle porte del piccolo ufficio dove Sekat avrebbe dovuto ricevere Liara. Shepard indugiò per un istante sulla soglia, poi sbloccò i sigilli del portellone ad armi spianate, trovando nient’altro che il cadavere di un Salarian, un mercenario appena ucciso e Tela Vasir, autrice indiscussa di quell’uccisione.
“Peccato. Se fossi arrivata qualche secondo prima, avrei potuto fermarlo”, disse tranquillamente, rivolgendo uno sguardo pietoso a colui che doveva essere Sekat. Shepard si avvicinò al cadavere e ripose le armi, appurando che la sua fisionomia coincideva effettivamente con quella vista nella registrazione, ma non gli trovò nulla addosso che potesse avere in qualche modo a che fare con i dati su cui si era accordato con Liara.
“Ha trovato il corpo della sua amica?”, domandò Vasir, con un tono vagamente sprezzante, mentre le dava la schiena con nonchalance. Shepard si alzò in piedi, aggrottando la fronte. Con quale presunzione dava per scontata la sua morte?
“Intendi questo corpo?”
La voce di Liara sorprese Shepard almeno quanto la domanda fuori luogo dello Spettro e lei si voltò immediatamente, per trovarsi faccia a faccia con la sua amica. Impugnava saldamente una Predator, puntata senza clemenza contro l’altra Asari. Avanzò senza indugio verso di lei, avvolta in un’aura blu.
“Che diavolo sta succedendo?”, esclamò Shepard, attonita. L’improvviso sollievo per averla trovata viva, fu subito sostituito dallo sconcerto per quell’improvviso cambio di rotta.
“Ti presento la donna che ha appena cercato di uccidermi, Shepard”, rispose Liara con rabbia, avvicinandosi maggiormente.
“Oh, andiamo… capisco che tu abbia avuto una giornata pesante, ma perché non lasciamo perdere questa storia? Metti giù quell’arma”, ridacchiò l’Asari con un ghigno, indietreggiando d’istinto.
A quel punto non c’erano davvero più dubbi su chi fosse il nemico, e anche se ce ne fossero stati, Liara li eliminò tutti ad uno ad uno. “Ti ho vista, Vasir, ti ho vista mentre entravi nel mio appartamento”.
“Dunque eri li per cercarla. Ecco perché hai chiesto il mio aiuto per trovare i suoi dati”, le fece eco Shepard, estraendo velocemente la Phalanx dalla fondina. Thane non perse tempo a fare lo stesso con la sua Predator.
“Beh, grazie per l’aiuto”, ammiccò Vasir.
“Poi mi hai trovata e hai allertato le truppe dell’Ombra”, continuò Liara.
“Ed ecco anche il motivo dell’artiglieria inesplosa. Questo è quello che succede quando un attacco di questa portata non viene pianificato in tempo”, confermò Thane, riferendosi ad alcune cariche non innescate trovate poco prima durante il tragitto.
Piano, il quadro iniziava a prendere le forme precise e definite di un’opera in perfetto stile Ombra.
“Dopodiché hai trovato Sekat e l’hai ucciso, rubandogli i suoi dati”, Liara tornò a rivolgersi allo Spettro, ogni muscolo del suo corpo teso e vibrante. “Deve averli con se”, accennò a Shepard.
L’Asari si lasciò sfuggire una risata sdegnosa, portando sospettosamente una mano dietro alla schiena. “Indovinato”, affermò. “Non che avrai mai occasione di vederli, comunque”, aggiunse poi, mentre un’aura blu si espandeva dietro di lei, intaccando la vetrata immediatamente alle sue spalle.
Durò una frazione di secondo. Liara, Shepard e Thane ebbero giusto il tempo di vedere i frammenti di vetro staccarsi e venire scagliati in loro direzione, prima che, istintivamente, ergessero un potente scudo biotico in grado di deviare totalmente le schegge fatali.
“Maledizione!”, esclamò Tela Vasir, il cui volto fu abbandonato improvvisamente da ogni parvenza di soddisfazione. Lasciarono esplodere lo scudo e Shepard corse d’istinto verso di lei, decisa a non permetterle la fuga.
Si sentiva umiliata, tradita, offesa da quell’individuo disgustoso che recava sul petto il simbolo degli Spettri e si era messo al servizio di un’organizzazione criminale, macchiandosi del sangue di centinaia d’innocenti. Era già la seconda volta che si trovava faccia a faccia con qualcuno il cui abuso di potere andava oltre ogni limite possibile e immaginabile e neanche stavolta l’avrebbe tollerato. Le parole di poche ore fa le ritornarono alla mente come lame affilate. E’ un peccato che non sia stata reintegrata. Quella frase, adesso, risuonava nella sua mente come una risata beffarda e lei si sentì in dovere di porre fine al quell’inutile, patetica vita.
In un attimo le fu addosso, rendendosi conto che entrambe avevano iniziato a precipitare fuori dall’edificio, avvolte in un campo di forza necessario quanto bastava per non ridurle in poltiglia una volta atterrate. Cercò di bloccarle i movimenti nelle poche frazioni di secondo a sua disposizione, ma l’Asari fu più veloce di lei, scagliandola prepotentemente verso il basso.
La sua armatura strisciò contro l’asfalto, attutendo solo in parte il violento colpo. Sentì la schiena pulsare di un dolore sordo, bruciante, ma nulla in confronto all’estremo stordimento provocato dall’urto della testa contro il pavimento. Si portò debolmente una mano sullo scalpo, tastando del sangue, pregando che fosse solo una ferita superficiale. Poi, con le poche forze rimaste, si voltò in tempo per vedere che Liara si era librata in aria appena dopo di loro, protetta da un campo biotico, pronta ad avventarsi contro Tela Vasir. Avrebbe voluto alzarsi, darle una mano, inseguirla a ruota, ma nessun muscolo del suo corpo rispondeva ai suoi ordini. In cuor suo, pregò che lei da sola riuscisse a fermarla in tempo. Una volta uscite dal suo campo visivo, si affidò solo ed esclusivamente al suo udito, percependo chiaramente una raffica di proiettili e il suono tipico di un’esplosione biotica, poi più nulla.
Dietro di lei, una serie di passi veloci, leggeri, e Thane fu subito al suo fianco. Si accovacciò accanto a lei, controllando sommariamente se avesse riportato gravi ferite, con un’espressione assolutamente sconvolta sul volto. Lei sbatté un paio di volte le palpebre, aggrappandosi alle sue braccia per rimettersi in piedi, mentre il suo factotum riceveva l’ordine di pompare una discreta quantità di medigel nel suo flusso sanguigno. Si sentì subito meglio, mentre tornava pienamente cosciente e Thane la trascinava dietro un riparo. Il perché fu subito ovvio: una piccola squadra di mercenari aveva fatto ingresso da uno dei portelloni che si affacciavano sul piazzale circostante, iniziando a fare fuoco senza pietà.
“Sto bene”, lo rassicurò, controllando che la pistola non avesse riportato danni. Lui strinse brevemente una mano intorno al suo braccio, poi tornò a concentrarsi sull’obiettivo, lanciando un globo d’energia oscura verso il primo mercenario capitatogli a tiro.
Shepard ebbe giusto il tempo di vedere un movimento sospetto prima di lanciarsi su di lui e creare uno scudo biotico, poi un lampo esplose accanto a loro seguito da uno stridio assordante. Pensò con rabbia che gli avrebbe fatto ingoiare una ad una ognuna di quelle maledette granate stordenti e si preparò a lanciare un’onda d’urto facendo esplodere il campo d’energia oscura, indirizzandola verso il gruppo di mercenari. Furono sbalzati in aria e finiti dalla Predator di Thane in una serie di precise raffiche cadenzate. Ma entrambi sapevano che questo sarebbe stato solo l’inizio.
 
 
 
Quando finalmente riuscirono a farsi strada fra i mercenari, oltrepassando il portellone attraverso il quale Tela Vasir era fuggita, sentirono i suoni inconfondibili di uno scontro a fuoco e cercarono copertura.
“Liara? Mi ricevi?”
“Shepard, sta fuggendo!”, esclamò l’Asari, uscendo inutilmente dal suo riparo. Neanche l’ultimo globo d’energia biotica fu abbastanza da fermare Tela Vasir. La videro lanciarsi letteralmente verso un’astroauto ed entrare nell’abitacolo come se niente fosse. Gli era sfuggita di nuovo, e Shepard imprecò frustrata, mentre si avviava verso l’amica.
“Hai idea di dove sia diretta?”, domandò.
“No, ma dobbiamo inseguirla”, fece Liara, indicando a Shepard una vettura nelle vicinanze. Nei suoi occhi non c’era spazio che per l’enorme desiderio di vendetta. Thane si sedette sul sedile posteriore ad un cenno di Shepard e lei mise in moto senza perdere tempo.
 
 
 
“Dannazione Ann, un camion!”, urlò l’Asari dopo appena trenta secondi dalla partenza. Shepard la vide coprirsi il volto con le mani e non poté fare a meno di curvare un angolo delle sue labbra verso l’alto. Erano lontani i tempi del Mako, ma la sua spericolatezza alla guida era rimasta inalterata. La città si apriva davanti a loro come uno squarcio tra gli enormi grattacieli, mentre la pioggia picchiettava forte sul tettuccio e le nanopolveri idrorepellenti sul parabrezza neutralizzavano all’impatto le gocce d’acqua, rendendo loro possibile mantenere il contatto visivo sull’astroauto di Tela Vasir. “Shepard, per la Dea!”. Liara continuò a sciorinare imprecazioni mentre Shepard si dava all’inseguimento con maggiore foga, passando attraverso cunicoli impossibili, file di astroauto in coda, tunnel sopraelevati pieni zeppi di vetture in transito. Rischiò seriamente di andare a finire contro un mezzo pesante e a quel punto, dopo aver sterzato bruscamente per evitare l’impatto, fu costretta anche a sorbirsi le lamentele di Thane. “Fai più attenzione, Shepard”, le aveva detto, in un tono di voce che alle orecchie di Liara era suonato fin troppo calmo, mentre a lei sembrò assolutamente furioso. Decise di darsi una regolata e si lamentò della mancanza di armi sulla vettura. “E’ un taxi Ann, cosa ti aspettavi?”, esclamò Liara portandosi una mano sulla fronte, mentre Thane si accorgeva di una mina di prossimità lanciata dall’auto di Tela Vasir. “Gira a destra!”, le intimò, aggrappandosi ai sedili anteriori nello stesso momento in cui Shepard si esibiva in un’altra delle sue mosse spericolate. “Merda …”, mormorò lei stringendo le mani sul volante fino a far diventare bianche le nocche. La mina esplose in lontananza, danneggiando probabilmente un paio di autovetture, quel poco che bastava per congestionare ulteriormente il traffico.
“Shepard, dannazione, la stiamo perdendo!”, urlò Liara, sbarrando gli occhi come alla ricerca del più piccolo indizio su dove si stesse dirigendo.
“Tieniti forte”, rispose semplicemente lei, entrando in un cantiere a velocità inaudita.
Liara e Thane trattennero il respiro, pregando di non finire addosso ad un muro. Si concessero di respirare solo a pericolo scampato. “Ti stai divertendo?”, le domandò lui, sarcastico.
“Mi divertirò solo quando sarà morta”, rispose Shepard, mordendosi una guancia per la tensione mentre evitava un’altra mina.
“Sai cosa significa una collisione a questa velocità?”, incalzò Liara.
“Vuoi recuperare o no i tuoi dati?”, la zittì Shepard. “Calma i tuoi nervi, ascolta un po’ di musica”, disse, accendendo l’autoradio. Si sentirono due sospiri rassegnati in sincrono, prima che la musica riempisse l’abitacolo, sovrastando i rumori del traffico e della pioggia.
“Ti sembra davvero il caso?”
“Non ti sento, Liara”, rispose Shepard, alzando per tutta risposta il volume. Concentrazione, aveva bisogno di concentrazione, non di due alieni che le facessero notare ogni secondo di aver superato enormemente il limite di velocità.
Proseguì nella sua folle corsa, prima di affiancare finalmente l’auto di Tela Vasir. Si scambiarono uno sguardo truce al di là dei finestrini, poi lo Spettro si decise a fare la sua mossa, virando bruscamente fino a colpire la fiancata. Shepard restituì l’urto con piacere, poi ancora una volta, finchè un camion non fu in procinto di tagliare loro la strada e a quel punto si gettò con velocità verso l’auto dell’Asari, lanciandola praticamente addosso al mezzo pesante. L’urto fu violento, l’astroauto si girò su se stessa per una decina di volte, prima di schiantarsi bruscamente sul terrazzo un palazzo a qualche centinaio di metri di distanza. Liara e Thane furono sballottati in malo modo all’interno dell’abitacolo, Shepard rischiò seriamente di uscire fuori dal parabrezza anteriore e un acuto particolarmente forte del cantante rincarò la dose di terrore che già si respirava, ma se non altro erano riusciti a fermarla.

 

“I hate to look into those eyes
And see an ounce of pain
Her hair reminds me of a warm safe place
Where as a child I'd hide
And pray for the thunder
And the rain
To quietly pass me by”

[x]

 
 
Della pioggia non restava ormai che l’aria carica di umidità e le nuvole iniziavano a diradarsi in lontananza, inghiottite dalla notte. Parcheggiarono poco lontano dall’auto di Vasir e si concessero soltanto un’istante per riprendersi da quella folle corsa, mentre la musica scemava lasciando posto ad un inusuale silenzio.
“Mai più. Ricordami di non salire mai più su un’auto con te alla guida”, sbuffò Liara, una volta lasciato l’abitacolo. Shepard sorrise, guardandosi intorno con circospezione, e affiancò Liara che si era già messa alla ricerca di Tela Vasir. “Non può essere andata molto lontano”, disse lei in un sussurro, impugnando la Predator per precauzione. Fecero una dozzina di passi in direzione dell’ingresso della struttura, quando si accorsero che stava per essere presidiata da ulteriori rinforzi. Altre truppe dell’Ombra, altri mercenari da affrontare e Tela Vasir scomparsa… per Shepard non poteva esserci uno scenario più odioso. Fortunatamente, in tre riuscirono a cavarsela egregiamente. Combinare i poteri biotici in due poteva essere fatale, combinarli in tre si rivelò decisamente devastante, avendo il vantaggio di poter deviare i colpi con uno scudo tre volte più potente e di poter lanciare onde d’urto tre volte più efficaci. Nei pochi istanti in cui restarono separati, Thane colpì con precisione i biotici da lontano col suo Viper, Shepard caricò i nemici sprovvisti di scudo e Liara intrappolò in singolarità quelli più pericolosi, evitando che scagliassero granate contro di loro. Quando penetrarono all’interno della struttura lo scenario che trovarono di fronte agli occhi sembrò surreale e Shepard giurò di aver visto Liara arrossire per un istante.
“Che diavolo di posto è questo?”, domandò, aggirandosi all’interno di uno dei lussuosi appartamenti che si affacciavano a strapiombo sulla città. Evidentemente i rumori dello scontro avevano allertato la gente che vi abitava, mettendola in fuga. I quadri costosi, le statue ricercate, l’arredamento moderno e raffinato faceva pensare che fosse un luogo riservato solo a pochissimi eletti, eppure sembrava presentasse parecchi segni d’usura.
“E’… un hotel, Shepard”, rispose Liara, riluttante.
Lei avanzò, notando macchie di sangue blu sul pavimento. “Bene, vediamo dove conducono… come in ogni giallo che si rispetti” disse, entrando con circospezione in una stanza da letto. Si voltò e fu costretta ad assistere ad uno scenario a dir poco imbarazzante: un Umano e un’Asari in abiti succinti erano riversi sul pavimento, accucciati come se fossero appena stati vittime di un attentato, mentre, cosa decisamente più grottesca, sulla parete di fronte veniva proiettato un filmato hard. Shepard deglutì e dopo aver rassicurato brevemente i due malcapitati sull’arrivo dei soccorsi, uscì in fretta dalla stanza chiedendo spiegazioni a Liara.
“Non è un hotel qualunque, è l’Azure. Azure, in gergo, sta anche per…”
“Ho afferrato, Liara, ho afferrato”, rispose Shepard sconcertata. “Fammelo segnare sulla lista dei posti più strani dove ho combattuto”, mugugnò, rimettendosi sulle tracce di Vasir.
Fecero l’intero giro dell’immensa struttura, finchè il suo sangue non li portò dritti su un enorme terrazzo con una stupenda vista panoramica, dove parecchia gente era impegnata in un rinfresco in grande stile. Probabilmente la musica troppo alta e la certezza di trovarsi in un luogo sicuro e lontano da occhi indiscreti, aveva impedito loro di captare il minimo segnale di pericolo.
“Shepard”. Thane la affiancò, facendole un cenno per indicare Tela Vasir, qualche decina di metri più avanti, tra la folla. Nessuno sembrava prestarle attenzione, nonostante indossasse un’armatura e stesse copiosamente sanguinando. Solo quando anche lei si accorse della loro presenza ed ebbe la prontezza di afferrare una persona qualunque per tenerla in ostaggio, la gente intorno a lei si rese conto della gravità della situazione e iniziò a correre in tutte le direzioni, urlando e strepitando alla stregua di criceti in gabbia.
“Non vuoi che questa donna muoia per colpa tua, dico bene, Shepard?”, la minacciò Vasir, tenendo la pistola premuta contro la tempia della vittima, che tremava con gli occhi gonfi di lacrime.
“Lasciala. Subito!”, le ordinò Liara, tingendosi di blu.
“Siamo tre contro uno, non ti conviene”, incalzò Shepard.
“Vi prego, aiutatemi!”, li implorò la donna.
“Non ti succederà niente”, tentò di rassicurarla Shepard, curvando le sopracciglia con rabbia.
“Ma certo… Abbassate le armi e la lascerò andare”.
Shepard sapeva che non si sarebbe fatta scrupoli a togliere di mezzo un innocente. Per lei sarebbe stata solo una vittima in più, a conti fatti, ma sapeva altrettanto bene di non poterla sottovalutare. Era uno spettro, era una Ricognitrice come lei e una ferita non l’avrebbe fermata dall’attaccarli. Ma lei aveva pur sempre i biotici su cui contare e decise di utilizzare quella carta, sperando di non sottoporre la sua squadra a un rischio troppo grande.
“Armi a terra”, ordinò a Liara e Thane, depositando per prima la sua pistola e il lanciamissili. Alzò le mani in segno di resa e aspettò che liberasse l’ostaggio.
Tela Vasir spinse la donna con violenza sul pavimento e puntò l’arma verso di loro. Fu in quel preciso istante che Shepard decise di mettere a frutto la sua strategia e dopo aver fatto un breve cenno in direzione di Liara, colpì con un globo biotico l’arma, strappandogliela dalle mani. Voleva uno scontro? Bene, ma non le avrebbe concesso nessun vantaggio.
Lo Spettro si teletrasportò a distanza, lasciando una scia blu elettrico dietro di sé, ed estrasse un Vindicator.
“Thane, coprimi le spalle. Liara, resta in allerta, potrebbero arrivare rinforzi”, ordinò Shepard, prima di lanciarsi in una potente carica biotica. Un’esplosione blu dipinse l’aria intorno a loro, mettendo alla prova la forza dei loro rispettivi poteri che si scontrarono e detonarono, facendole arretrare, come i poli uguali di due calamite che si respingono. Sapeva che non sarebbe stato facile, e le sembrava quasi uno scherzo del destino dover affrontare qualcuno in possesso delle sue stesse capacità, del suo stesso addestramento, del suo stesso titolo… con l’unica differenza che a lei, quel titolo, l’avevano tolto. Ormai era diventata una questione personale, una questione d’orgoglio, e Shepard continuava a ripetersi che era suo dovere toglierla di mezzo, a qualunque costo, mentre i primi rinforzi fecero il loro ingresso ad armi spianate. Adesso erano nettamente in svantaggio e lei era decisa ad usare qualunque mezzo pur di eliminare la sua controparte. Ecco come si sentiva… come l’altro, opposto risvolto della medaglia. Sarebbe potuta trovarsi al posto suo, se solo avesse concesso alla sua moralità di prendere un’altra strada… e il solo pensiero la mandava in bestia.
 
Era da tanto che non combatteva così ferocemente. Durante le ultime missioni aveva sempre avuto a che fare con nemici di calibro nettamente inferiore. Gentaglia, mercenari ben equipaggiati ma con un’evidente carenza di tattiche e prontezza di riflessi. Persino i Collettori le erano parsi un obiettivo più facile da annientare, adesso che le sembrava di stare affrontando se stessa. Le cariche biotiche di Tela Vasir erano potenti come le sue, i suoi riflessi altrettanto pronti, la sua forza ugualmente brutale. Se qualcuno avesse visto quello scontro dall’esterno, senza prendervi parte, avrebbe raccontato di aver visto due fantasmi azzurri volteggiare nell’aria, scontrarsi, cadere, rialzarsi e tornare a sfidarsi con più foga di prima, in un circolo senza fine. Liara e Thane si occuparono principalmente dei droni di supporto e dei mercenari, tenendo d’occhio Shepard senza capire dove iniziava lei e finiva Tela Vasir. Una volta eliminata l’orda di nemici, restarono ad osservarla da dietro ad un riparo, senza trovare il modo di aiutarla. Un colpo delle loro armi o dei loro poteri sarebbe potuto rivelarsi fatale in quelle circostanze.
“E’ forte”, disse Liara, con una punta di scoraggiamento nella voce, mentre un’esplosione biotica illuminava il cielo a qualche metro di distanza.
“Anche Shepard lo è”, rispose Thane con fermezza, senza perderla di vista un solo istante. In cuor suo era sicuro che ce l’avrebbe fatta, ma una parte di sé restava tremendamente consapevole che avrebbe potuto fallire e il solo pensiero non gli dava pace.
 
Per quanto l’Asari fosse stata abile nel respingere gli attacchi di Shepard, per quanto avesse messo  perfettamente a frutto la propria strategia difensiva, per quanto a lungo riuscì a sostenere il combattimento con dignità, alla fine fu costretta ad ammettere la propria sconfitta. La ferita non le aveva lasciato scampo, costringendola inerme e boccheggiante dopo l’ultima onda d’urto subita, ora che non restava più medigel da pompare nel suo organismo. Shepard le si avvicinò con cautela, scontrandosi con due occhi in procinto di abbandonare la vita, ma ancora carichi di rabbia. Liara la raggiunse immediatamente, premurandosi di recuperare ciò per cui erano giunti fin lì, e Thane si fermò ad osservare Shepard a distanza, lasciandole il tempo di chiudere quella faccenda come meglio avrebbe voluto. Osservò la notte calare su Nos Astra, una notte senza stelle, fredda e umida come l’Oceano, e rabbrividì. Quante altre volte avrebbe dovuto vederla lottare per la sua stessa vita, senza poter fare niente per aiutarla? Gli sembrò così lontana la serata precedente, quando entrambi avevano condiviso lo stesso cielo stellato, come due persone assolutamente normali, chiacchierando dolcemente senza che niente e nessuno potesse disturbare la loro quiete. E adesso, ad appena un giorno di distanza, negli occhi di lei non vedeva altro che la rabbia, la frustrazione, un desiderio di giustizia capace di soffocare tutto il resto. Si rese conto, come in una rivelazione, che Irikah doveva aver provato lo stesso identico sentimento di sconforto e impotenza, ogni volta che lui baciava la sua fronte e le diceva “sarò qui tra un paio di giorni, abbi cura di te”. Riusciva a vederla nella penombra di quella cucina allegra e in disordine, mentre osservava tristemente la pioggia appannare i vetri e si chiedeva se anche quella volta lui sarebbe davvero tornato. Riusciva a immaginarla mentre, di notte, stringeva Kolyat a sé, pregando che il suo ritardo fosse solo un ritardo e non l’anticipazione di un’orribile notizia. Aveva avuto molto tempo per riflettere sul suo passato, ma mai, come in quell’istante, il senso di colpa gli era sembrato così forte.
“Thane?”, Shepard sfiorò leggermente il suo avambraccio, facendolo riemergere da quell’ondata inaspettata di ricordi.
“Abbiamo i dati che ci servivano, dobbiamo tornare alla Normandy”, aggiunse perplessa, mentre lui lanciava un’ultima occhiata al cadavere di Tela Vasir, riverso sul pavimento, esattamente come ogni mercenario che aveva varcato quel perimetro. Avrebbe dovuto provare sollievo, e invece fu assalito da un insolito senso d’inquietudine.
 
 
 
“Sei diversa, Liara”. Quelle furono le prime parole che lasciarono le labbra di Shepard, una volta rimaste da sole, nel silenzio della sua cabina, mentre la Normandy era in rotta per la nebulosa Hourglass.
“Le persone crescono, Shepard. E’ un bene, no?”
“Non quando questo ti impedisce di attribuire il giusto valore alle cose”, rispose lei, tirando fuori dal minifrigo una bottiglia di vino bianco. “Mi fai compagnia?”
“No, grazie. Devo restare lucida”.
“Ci vorranno due ore prima di raggiungere Hagalaz, un bicchiere di vino servirà solo per schiarirti le idee…”
“Non ne ho bisogno, Ann”.
“Io credo il contrario, invece”, rispose lei con determinazione, versando due dita di vino in un bicchiere, solo per sé.
“Cosa stai cercando di dirmi?”, Liara finalmente si voltò ad incontrare il suo sguardo, incrociando le braccia sotto al petto. Un evidente segno di chiusura.
Shepard si volse tranquillamente a fronteggiarla, con la sicurezza di chi sa esattamente dove vuole andare a parare.
“Non ti sei neppure degnata di chiedermi come stessi, dopo avermi vista precipitare dal Dracon Center. E questo non è da te…”
Liara abbassò lo sguardo, volgendosi poi ad osservare l’acquario vuoto, sperando che qualunque cosa uscisse dalle sue labbra, assomigliasse anche solo leggermente ad una frase di senso compiuto.
“Dovevo restare concentrata, Shepard. Sapevo che una piccola caduta non ti avrebbe ucciso… ma se mi fossi lasciata distrarre… se solo… Tu non capisci quanto sia importante per me questa missione”, balbettò, gesticolando nervosamente. Adesso non c’era solo vendetta nei suoi occhi, c’era anche paura, l’estrema paura di fallire. “Feron è lì solo per colpa mia”.
Shepard diede un sorso alla sua bevanda, assaporandone lentamente ogni goccia, poi si avvicinò a lei, poggiando una mano sulla sua spalla. “Lo salveremo”, disse semplicemente, consapevole che in fondo, la colpa fosse anche e principalmente sua. E Liara rispose con uno sguardo eloquente, l’essenza della gratitudine e dell’apprensione insieme.
 
 
 
La Normandy entrò nell’atmosfera di Hagalaz, perfettamente occultata. Furono accolti da un’incredibile tempesta elettromagnetica, causata dall’estrema escursione termica del pianeta sottostante. Gli oceani ribollivano di giorno, per poi congelarsi istantaneamente di notte, generando così continue tempeste devastanti. La nave dell’Ombra seguiva perfettamente la luce della stella, restando in questo modo irrintracciabile in mezzo alla bufera, eppure costantemente al sicuro. Era dotata di un efficace sistema antifulmine che la rendeva immune alle scariche elettriche, ma riuscire a penetrare all’interno sarebbe stato impossibile senza doversi confrontare prima con l’esterno della struttura. Non c’era altro modo che quello di cercare un’entrata da fuori, e ciò sembrò a Shepard pura follia.
“Mi stai chiedendo di camminare sul fasciame di una nave in mezzo a una tempesta di questa portata?”, aveva chiesto a Liara, guardando con sconcerto fuori dal finestrino.
“Non abbiamo alternative. Saremo al sicuro, basta seguire il giusto percorso e trovare il boccaporto d’ingresso”.
“Siamo in mezzo al fottuto spazio! Non c’è niente di sicuro!”
“Fidati di me, non metterei mai a rischio la tua vita”.
Shepard sbuffò, maneggiando distrattamente la Phalanx, soppesandola con una mano, poi con un’altra. Aveva deciso di portare Thane con sé, evitandosi la seccatura di dover rifare il punto della situazione ad un altro membro dell’equipaggio, ma le sembrò così distante da rivalutare per un attimo quella decisione. Non aveva detto una parola, non aveva espresso la minima preoccupazione nei confronti di ciò che avrebbero dovuto affrontare, e questo non le piacque. Arrivò per un attimo a pensare che potesse star male e il solo pensiero le fece gelare il sangue. Avrebbe voluto un istante con lui, solo un istante faccia a faccia per chiedergli cosa fosse a turbarlo, ma all’interno della piccola navetta era impossibile ritagliarsi un solo angolo di privacy. Decise che avrebbe messo da parte i suoi sentimenti e avrebbe agito come un qualsiasi superiore nei confronti di un sottoposto, sperando che lui cogliesse il suo rammarico nel farlo.
“Krios, ti vedo distratto. Se c’è qualche problema, dillo immediatamente. Non torneremo indietro una volta atterrati”, disse a denti stretti, e quella frase le sembrò talmente innaturale da risultare quasi ridicola alle sue stesse orecchie.  
“Chiedo scusa Comandante, ero solo sovrappensiero”.
“Non ti è concesso di stare sovrappensiero in missione”, gesticolò lei, imitando le virgolette.
“Ricevuto”, rispose lui in modo glaciale.
Liara si limitò ad osservarli con la coda dell’occhio, sentendosi improvvisamente a disagio.
Cosa le nascondevano quei due? C’era qualcosa di estremamente artificioso nel modo in cui si erano rivolti la parola, nel modo in cui entrambi avevano evitato di guardarsi. Ancora non riusciva a spiegarsi perché avesse portato lui con sé, e non qualcun altro che conosceva da tempo, qualcuno di cui potersi fidare davvero per una missione così delicata da risultare in qualche modo personale.
La navetta atterrò in una zona sicura e lei accantonò immediatamente ogni altro pensiero, adesso che ciò contava era solo riuscire a far fuori l’Ombra.
 
 
 
“La ricezione è pessima, dannazione. Dobbiamo restare uniti”, disse Shepard attraverso il comm. alzando il tono di voce abbastanza da risultare udibile anche attraverso i boati della tempesta.
La sua voce giunse distorta alle orecchie di Liara e Thane, che si mossero per affiancarla e proseguire nell’avanzata. La tempesta infuriava sopra di loro, intorno a loro, tingendo l’atmosfera di giallo, e i venti erano talmente forti che senza dispositivi magnetici sotto agli stivali non ce l’avrebbero fatta.
“Di qua, Shepard”, fece Liara, indicando un corridoio che scendeva a strapiombo lungo uno dei fianchi della nave.
“E’ un suicidio”, commentò lei tra sé e sè, serrando la mascella, mentre si preparava ad affrontare la discesa evitando di prestare troppa attenzione al vuoto immediatamente sotto di lei.
“Droni di manutenzione!”, esclamò poi, cercando riparo.
“Ci vedono come residui della tempesta”, disse Liara, facendo fuoco.
“Ne arrivano a decine, attenzione!”
“Temo che non siano l’unico inconveniente”, esclamò Thane, indicando un gruppo di mercenari sulla sinistra. “Ore due. Ho intravisto un paio di biotici”.
Shepard fece per trovare l’angolo con la visuale migliore, prima di iniziare a far fuoco, ma Liara la fermò momentaneamente.
“Quei condensatori raccolgono l’energia elettrica dei fulmini. Sono come degli enormi contenitori d’energia elettrica, potremmo…”
“Grazie Liara”, rispose lei, colpendone immediatamente uno per testare effettivamente la loro efficacia come armi. Il gruppo di mercenari fu investito all’istante dalla corrente, strappandole un sorriso da sotto il casco.
“Fate attenzione quando passate di lì, potrebbero voler usare lo stesso trucchetto con noi”, aggiunse poi, consapevole oltretutto che se avessero eliminato ogni condensatore, niente li avrebbe più potuti proteggere dai fulmini.
Proseguirono a fatica, incontrando una fitta resistenza nei pressi del boccaporto attraverso il quale avrebbero tentato di penetrare nella struttura. Mentre Shepard e Thane si occupavano dei mercenari, Liara studiò il meccanismo che sigillava il portellone. “Mi mancano i tempi dove riuscivi a fare tutto con l’omnigel”, commentò frustrata. Fece il possibile per velocizzare le operazioni di sblocco, ma in quelle condizioni risultava dieci volte più complicato. Si voltò un istante, mentre il suo factotum faceva il restante lavoro, solo per notare che Thane e Shepard se la stavano vedendo brutta. Un gruppo di mercenari a destra ed uno a sinistra, e loro due semplicemente al centro che cercavano di combinare i loro poteri, ergendo di tanto in tanto barriere biotiche in grado di deviare il grosso dei proiettili. Si sentì in colpa per essere impossibilitata ad aiutarli, ma non poté fare a meno di notare con ammirazione la loro incredibile sinergia. Si muovevano con sicurezza, anticipando uno le mosse dell’altro, ed ebbe come l’impressione che la loro priorità, in campo, fosse quella di pararsi vicendevolmente le spalle, prima ancora che la loro stessa sopravvivenza. Pensò di non aver mai visto niente di simile, mentre il suo factotum lampeggiava recando la scritta 79%. Probabilmente Shepard aveva deciso di portare lui in missione per il semplice fatto che insieme facevano una grande squadra… Il perché le era sconosciuto, d’altra parte. Come poteva un assassino abituato a lavorare in solitaria, giunto solo da pochi mesi sulla Normandy, essere riuscito ad occupare un posto così importante in battaglia? Immersa totalmente in questi pensieri, non si era accorta di essere stata affiancata dai due. I mercenari erano stati eliminati e Shepard la guardava con impazienza, respirando a fatica.
“Quanto manca?”
Liara sussultò. “Cinque percento… ce l’ho quasi fatta”.
Pochi istanti dopo il portellone si era sbloccato e i tre poterono fare il loro ingresso, liberandosi finalmente dei loro caschi.
 
Si mossero abilmente lungo gli stretti corridoi della struttura, difendendosi contro l’arrivo dei mercenari e dei mech, finchè non giunsero alla cella di contenimento di Feron. Liara si precipitò dal Drell, urlando il suo nome, un misto di sentimenti contrastanti sul suo volto. Era felice di vederlo vivo, ma terrorizzata per le sue precarie condizioni di salute. Era ormai due anni che l’Ombra lo teneva prigioniero e il solo pensiero di cosa avesse potuto passare le metteva i brividi. Si appoggiò al vetro di quella che sembrava a tutti gli effetti una stanza delle torture e cercò di rassicurarlo.
“Ti tirerò fuori da qui!”, esclamò, iniziando a digitare dei codici sulla plancia dei comandi.
“No, non farlo!”, gridò il Drell troppo tardi, poco prima di accasciarsi nuovamente sulla sua poltrona, in preda alle convulsioni. Liara spalancò gli occhi ormai lucidi e ritrasse le mani rapidamente, quasi come se si fosse scottata. “Che succede?”, domandò preoccupata.
“Perché diamine lo tengono imprigionato, cosa stanno cercando di fargli?”, chiese Shepard aggrottando le sopracciglia.
“Pare che sia collegato ad un dispositivo di messa a terra neurale”, rispose Thane, indicando sommariamente i dispositivi collegati alla postazione di Feron.
“Se tenti di liberarmi adesso mi friggi il cervello, Liara”, mugugnò il Drell. “Devi raggiungere la sala centrale… troverai… troverai resistenza. Una volta lì, stacca la corrente”.
Liara annuì con determinazione, appoggiando i palmi delle mani sul vetro.
“Sai chi è l’Ombra?”, domandò Shepard.
“So che è molto grosso e le guardie… ne sono… terrificate. Non sarà facile”.
“Un Krogan, forse?”, intervenne Liara.
“Non lo so, ma nessuno… che abbia attraversato quella porta… nessuno… è mai tornato indietro”. Parlava con difficoltà, resistendo alle scariche elettriche che di tanto in tanto lo colpivano con violenza, un costante monito per non pensare neanche di tentare la fuga.
“Resisti, ti prego”, fece Liara, appoggiando la fronte sul vetro, quasi a voler abbattere quell’ultimo ostacolo solo con la forza della mente.
“Cercherò… cercherò di non andare da nessuna parte”, disse Feron, cercando di sorridere. “Fai attenzione”.
Liara annuì ancora una volta, lanciandogli un ultimo sguardo carico di apprensione prima di rimettersi in cammino.
 
 
Giunsero davanti al portellone della sala centrale stremati. Ormai era da diverse ore che combattevano e, a parte quel pasto fugace consumato su Illium e un paio di barrette proteiche sulla Normandy, nessuno di loro aveva davvero avuto il tempo di ricaricare le energie. Il corridoio era un ammasso di corpi riversi uno sull’altro, solo una lamiera di ferro li separava dall’Ombra in carne ed ossa. Liara tremò al pensiero che di lì a qualche istante avrebbe posto fine a tutto, avrebbe guardato in faccia colui che la voleva morta da troppo tempo. Thane strinse le mani in un pugno… anche lui aveva un conto in sospeso con l’Ombra, chiunque essa fosse. Se Irikah era morta, era solo colpa sua. Si scambiarono un cenno d’intesa, poi sbloccarono il portellone e fecero il loro ingresso nell’ampia sala.
Seduto ad un’enorme scrivania di metallo c’era lui, da cui dipendeva in larga parte il destino della Galassia. Un enorme individuo nascosto dalla penombra, che rivelava i contorni alieni e sconosciuti tanto quanto bastava per capire che non si trattava né di un Krogan, né di qualunque altra specie ben conosciuta. Era grande quanto loro tre messi insieme e teneva le mani giunte, quasi fosse sicuro di non correre alcun pericolo, nonostante avesse perso ormai tutte le sue guardie.
“Uno Yahg…”, commentò Thane, tenendo la pistola puntata contro di lui.
“Siete qui per il Drell, immagino. Azzardato. Anche per lei, Comandante Shepard”, tuonò l’Ombra, con una voce che sarebbe potuta appartenere a un mostro degli inferi.
“Che mi dici della bomba su Illium? Quella non è stata azzardata?”, lo provocò Shepard con un ghigno. Il pensiero di tutta quella distruzione le fece tendere i muscoli, aumentando la stretta delle dita intorno alla Phalanx.
“Un provvedimento estremo, ma necessario”.
“No!”, esclamò Liara, furibonda. “Così come non era necessario tenere prigioniero Feron per due anni”.
“Dottoressa T’Soni”, rispose lui, senza scomporsi, “è stata la sua ingerenza a causare tutto questo. E’ lei l’unica responsabile per ciò che è accaduto al Drell, per ciò che è accaduto su Illium e per ciò che accadrà oggi ai suoi amici”.
“Perché volevi vendere il mio corpo ai Collettori?”, domandò Shepard d’istinto, non molto sicura di voler davvero conoscere la risposta.
“Affari. E, in effetti, il suo arrivo qui è prezioso. La loro offerta è ancora valida”, rispose quello, con assoluta pacatezza.
“Pensi di poter uscire vivo da qui, senza più un equipaggio a fare tutto il lavoro sporco?”
“Erano sacrificabili. Lei è solo una mera interruzione”, disse, scivolando con i gomiti sulla scrivania. “Ma basta parlare. Il mio operato è troppo importante per essere compromesso da un misero traditore”.
Si alzò, rivelandosi in tutta la sua imponenza. Un lungo paio di corna svettavano dal suo cranio, la bocca mostruosa era circondata da decine di denti appuntiti e affilati come quelli di uno squalo, ogni cosa di lui trasudava forza e potenza.
“Lei viaggia con una compagnia interessante, dottoressa T’Soni. Scaltro da parte vostra portare con voi l’assassino. Portate al figlio del signor Krios i miei omaggi”, disse, con una punta di soddisfazione nella voce. Thane e Shepard si scambiarono uno sguardo eloquente, lei sentì il sangue ribollire nelle vene, lui dovette frenare l’impulso di dare sfogo a tutta la propria rabbia, come non gli capitava da molto tempo. Caricò l’arma, un gesto quasi violento. Di fronte a lui c’era il responsabile di tutto quanto, di tutte quelle notti passate a desiderare di andarsene per sempre, di tutti quei momenti di dolore assoluto e straziante che avevano accompagnato gli ultimi dieci anni della sua vita. Nelle tasche dell’Ombra, nient’altro che il futuro stroncato di sua moglie, l’infanzia infelice di suo figlio, i sensi di colpa di un uomo che nella vita è stato addestrato ad uccidere e non ha saputo opporsi al suo destino.
Shepard si preparò ad affrontarlo, mentre lui sollevava la scrivania con furia omicida, scagliandola verso di loro. Le lamiere si accartocciarono sul pavimento come fossero fatte di cartapesta, mentre un secondo enorme pezzo di metallo veniva lanciato di nuovo in loro direzione.
E poi, l’inevitabile.
Shepard si gettò alla sua sinistra, facendo scudo a Liara con il suo stesso corpo, e Thane fu scagliato con violenza sul muro, perdendo istantaneamente i sensi. Il factotum di Shepard la informò che era ancora vivo, ma lei non riuscì a trattenere un urlo di estrema rabbia e frustrazione. Sparì tutto il resto, facendo spazio unicamente al desiderio di vendetta. Liara non poté fare a meno di accorgersi del suo repentino cambiamento. La razionalità aveva completamente lasciato il posto all’istinto e la vide lanciarsi con furia contro lo Yahg, incurante della sua stessa vita. Quella creatura era forte come si poteva immaginare, il suo scudo restituiva indietro tutti gli attacchi biotici e le armi non riuscivano a penetrare la spessa armatura. Mentre Liara approfittava delle sue debolezze, rendendogli il combattimento meno facile, a Shepard non era rimasto altro che affrontarlo a mani nude, affidandosi solo ed esclusivamente alla sua forza. In uno slancio si avventò su di lui, fendendo l’aria con una lama factotum, mentre lo Yahg si difendeva strenuamente, muovendosi con la pesantezza di un pachiderma e la forza di un predatore. Fu respinta da un colpo potente del suo scudo e cadde all’indietro. Si rialzò giusto in tempo per lanciarsi in un’altra carica. Lo stordì con un paio di destri, infliggendogli un colpo di lama sul braccio, mentre Liara cercava di distrarlo con il lancio di alcuni globi biotici.
“Così non funziona!”, urlò l’Asari, seriamente preoccupata per l’esito di quello scontro. C’era poco da dire, l’avevano sottovalutato. “Spostati al mio segnale”, aggiunse poi con fermezza, parlando piano attraverso il comm., cosicché potesse sentirlo solo lei. Shepard continuò ad attaccarlo, schivando i suoi colpi con l’utilizzo dei biotici, lo caricò più volte, rialzandosi dopo ogni attacco respinto. Nelle sue vene l’adrenalina pompava con prepotenza, annebbiandole la mente. Voleva vederlo morto, voleva ucciderlo. In quel preciso istante.
“Spostati!”
Shepard schivò un ultimo attacco e fece un balzo all’indietro, avvolta in un aura blu. Liara concentrò tutta la forza dei poteri sul rivestimento di vetro del soffitto, un enorme oblò di contenimento, attraversato da pura elettricità. Uno stupido sfizio, uno stupido rischio che lo Yahg, ottuso e troppo sicuro di sé, non aveva calcolato. Il vetro si frantumò, infilzandolo con ogni minuscola scheggia e l’elettricità fece il resto, friggendolo senza lasciargli alcuno scampo. I suoi scudi esplosero al contatto, creando un’onda d’urto che scaraventò Shepard e Liara sulla parete di fronte, poi il silenzio.
 

 [x]

 
Liara indossava un lungo abito viola, semplice ed accollato, secondo gli standard della moda Asari. Il suo fisico, sotto quel tessuto, non sembrava quello di una combattente… eppure aveva dimostrato il suo valore, anche nell’ultima battaglia. Impacciata e insicura, entrò all’interno dell’ascensore e premette il pulsante numero 4. Aveva avuto poco tempo per perdersi ad osservare i dettagli della nuova Normandy, ma non le era mancato il modo di studiarla molto tempo prima, attraverso le reti informative che controllava. Si ritrovò dietro al portellone della cabina di Shepard, indecisa sul da farsi. Aveva portato con sé una bottiglia di vino, sperando di farsi perdonare per l’ultima volta che aveva rifiutato di fare un brindisi con lei, poche ore prima, ma non era sicura che Shepard volesse la sua compagnia adesso.
Il Comandante la precedette, avvisata da EDI poco prima, e aprì il portellone con un sorriso stampato sulle labbra.
“Ann…”, sussurrò lei debolmente, porgendole i due bicchieri che teneva in mano.
“Avanti entra, di che hai paura?”, la invitò lei, notando la sua esitazione.
“Non ero sicura che avessi voglia di vedermi”.
“Non dire sciocchezze, ti ho invitato io. Perché mai avrei dovuto cambiare idea?”
Liara si avvicinò alla scrivania, cercando maldestramente di aprire la bottiglia. “Non hai detto una parola sulla navetta. Ti ho… ti ho messa in una brutta situazione. Hai rischiato la vita per me, hai rischiato la vita del tuo equipaggio”. Si riferiva a Thane, questo Shepard lo sapeva perfettamente.
“Rischiare la vita è il mio lavoro, Liara. L’avrei fatto comunque, ma farlo per un’amica è decisamente più gratificante”.
“A noi due”, sorrise l’Asari dopo aver versato un po’ di vino. Fecero scontrare i loro bicchieri, dando un piccolo sorso prima di accomodarsi sul divanetto.
“Come sta Feron?”, domandò Shepard, percorrendo distrattamente con un dito il bordo superiore del bicchiere.
“Sta meglio. E’ parecchio debilitato, ma si riprenderà. Ha deciso di voler restare per un po’ a bordo della nave, finchè non avrò finito il lavoro di backup. Poi tornerà su Omega, probabilmente...”, rispose incerta.
“Eri molto legata a lui?”
Liara si volse verso di lei, colta alla sprovvista da quella domanda. “Io… no… cioè. E’ complicato”.
Shepard sorrise, portandosi un’altra volta il bicchiere alle labbra.
“Se non vuoi parlarne non è un problema”, la rassicurò.
“No, non è questo… è che non lo so neanche io. Sin dall’inizio il nostro rapporto è stato fuori dal comune. Mi ha tradita più di una volta, poi si è sacrificato per me. E adesso non so… Ne ha passate tante, e so di essere solo io la causa. Stanotte l’ho sentito urlare nel sonno, è stato straziante. Ho paura che i ricordi possano prendere il sopravvento su di lui, ho paura di non riuscire ad aiutarlo…”
“Stargli lontano non lo aiuterà di certo. Devi fare in modo che si distragga, che non abbia modo di scivolare nelle sue memorie”.
Liara la osservò con attenzione. Quelle parole non erano semplici frasi di circostanza, e neppure aveva tirato ad indovinare.
“Come lo sai?”, le chiese a bruciapelo.
Shepard si rese conto del problema al quale si era appena esposta e tornò sulla difensiva, fiondandosi nel suo bicchiere. “E’ un Drell, immagino funzioni così…”
“Te l’ha detto l’assassino?”
“Thane”, puntualizzò lei.
“Te l’ha spiegato lui?”
“Condividiamo questa nave da mesi ormai, Liara. Non posso affermare che ognuno di noi sa tutto di tutti, ma…
“Ann”.
“Che c’è?”
“Con me puoi parlare. Non fare finta di niente… vi ho visti, chiunque si sarebbe accorto che voi due non siete solo semplici colleghi. La vostra sinergia in campo è qualcosa di spettacolare”.
Shepard dischiuse le labbra, per serrarle l’attimo dopo. Non era pronta ad affrontare quel discorso, non ci aveva mai neppure pensato. Mantenne gli occhi fissi sul pavimento, finchè il silenzio non fu troppo difficile da sopportare.
“Ne vuoi ancora?”, domandò, prendendo fra le mani la bottiglia.
Liara sorrise, annuendo. Quand’è che i sentimenti fossero diventati un argomento così spinoso, lei non lo sapeva, eppure non aveva mai visto Shepard così in difficoltà come in quel momento.
“Hai più sentito Kaidan dopo Horizon?”, si azzardò a domandarle, per tastare il terreno.
“Un’e-mail è tutto ciò che ho ricevuto. Un misero tentativo di conservare quel briciolo di rapporto rimasto, immagino…”
“Mi dispiace”.
“A me no. Ha scelto da che parte stare e lo stesso io. Non mi pento, perché so di averlo fatto per un buon motivo, ma a volte mi chiedo perché… perché mi ha salvata Cerberus e non l’Alleanza”.
“Sei stata salvata dall’Alleanza già una volta, Ann. Sei diventata ciò che sei grazie a loro. Adesso non ti serve più per continuare a fare del bene”.
Shepard sorrise amaramente, scolandosi in fretta anche l’altro bicchiere.
“A volte mi mancano quei tempi, mi manca la nostra vecchia nave. Non ho mai avuto il coraggio di tornare su Alchera, non so se riuscirei ad affrontare i ricordi con lucidità”.
Liara poggiò una mano sulla sua, ritraendola poco dopo. “Ma sono felice di avere i miei vecchi amici al mio fianco”, continuò lei. Stavolta fu la sua mano a raggiungere quella di Liara. Avevano condiviso tante, troppe cose insieme, e l’impresa del giorno prima sarebbe sicuramente rimasta nella storia, ma la loro amicizia andava ben oltre. Si fidavano ciecamente l’una dell’altra e se Shepard aveva un solo rimpianto nei confronti di Liara, quello era di non essere riuscita a  convincerla a tornare sulla Normandy.
“Ann… io ti devo le mie scuse”, eruppe improvvisamente l’Asari. “Dopo il tuo risveglio non abbiamo avuto modo di fare una vera chiacchierata, non ti ho mai neppure chiesto come avessi preso tutta la situazione…”, spiegò, seriamente mortificata.
“Non posso dirti che sia stato facile, ma… diciamo pure che me ne sono fatta una ragione. Sono viva e questo mi basta”.
“Sì, ma dove trovi la forza… dove trovi la forza di combattere anche quando conosci i rischi di questa missione?”
“Lo faccio per la mia gente, per la galassia”, disse semplicemente.
“E’ questo quello che racconti al tuo equipaggio?”
“Cos’altro potrei dire a qualcuno che parla del nostro obiettivo in termini di “missione suicida”?”
“Ma tu perché lo fai? Quali sono le vere ragioni?”, insistette Liara, seriamente convinta di voler comprendere qualcosa che le risultava incomprensibile.
Shepard si voltò dall’altra parte, cercando inutili risposte sul muro di metallo di fronte a sé. Aveva accettato perché non aveva nient’altro da perdere, all’inizio… adesso sapeva di farlo perché aveva fin troppo da perdere. Come spiegarlo, come tradurre in parole quello strano sentimento che si era insinuato dentro di lei senza neppure chiederle il permesso?
“Perché credo in una speranza, Liara. Voglio credere in un futuro migliore”.
“La prima volta che ci siamo incontrate, dopo la tua ricostruzione, era la vendetta a muoverti…”
“Le cose cambiano”.
“Cos’è cambiato?”
Shepard si alzò di scatto, accarezzandosi nervosamente i capelli con una mano. Si sentì come attraversata da una scarica elettrica, una voglia sempre più urgente di urlare al mondo tutto quello che provava e che cercava di seppellire costantemente.
“Ti sei appena lanciata in una missione estremamente rischiosa, avendo come primo obiettivo quello di salvare Feron… e hai il coraggio di pormi simili domande?”, sbottò. Non voleva attaccarla, voleva semplicemente che comprendesse le sue ragioni senza per forza doverla costringere ad attaccare i manifesti.
“Ti sei innamorata…”, osservò Liara mestamente, abbassando lo sguardo.
“Oh, dannazione!” Shepard si portò una mano sugli occhi, frustrata. “Io questo non l’ho mai detto”.
“Non ce n’era bisogno”.
Shepard si lasciò cadere di nuovo sul divano, sentendosi improvvisamente come svuotata. Piombò nel silenzio, sprofondata in un vortice confuso di pensieri ed emozioni che non lasciava scampo.
“Sta morendo, Liara… io non so davvero come fare…”, confessò poco dopo, prendendosi la testa fra le mani.
L’Asari le si avvicinò, passando un braccio intorno alle sue spalle. “Stai affrontando quello che affronta ogni Asari che abbia un compagno meno longevo. Non è la quantità di tempo a fare la differenza, ma il modo in cui se ne fa uso”, cercò di incoraggiarla.
“La missione è l’unica cosa che m’impedisce di pensarci. Il fatto che potremmo non farcela, in qualche strano e perverso modo, mi consola”.
“Non sentirti in colpa per ciò che provi. Sei un essere umano, per la Dea… avrai pur diritto a provare ciò che prova ogni organico. Paura, amore, odio, vendetta, speranza… non lasciare che questi sentimenti ti abbattano. Fanne il tuo punto di forza”.
“Ci sto provando”.
“Non ci riuscirai cercando di combatterli. Se ciò che provi per lui è davvero così forte, lanciati. Non hai le ossa di vetro, puoi scontrarti con la vita. E anche con la morte, se è necessario”.
“Ho già sentito questa frase…”
“Durante la mia gioventù ho passato molto tempo davanti alla televisione”.
Shepard sorrise, volgendosi verso di lei, e l’abbracciò. “Mi sei mancata, Liara”.
“Anche tu, Ann”.



 

Mi rendo conto di aver appena pubblicato un mattone, ma non sono riuscita a impedirmi di scrivere così tanto per questa missione. Adoro questo DLC, dopo Citadel è sicuramente il mio preferito. Poi adoro Liara e adoro Feron, penso si sia capito. Insomma, ringrazio in anticipo chi è riuscito a leggere fin qui e non mi ha mandato prima a quel paese, ammetto che ci vuole coraggio xD
E come sempre grazie ad Altariah per questo disegno stupendo.

 
   
 
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