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Autore: OceanAvenue    28/09/2013    3 recensioni
Misha è una normale ragazza di città con una vita non troppo facile, ma la sua vita cambierà completamente quando, un giorno, incappa in colui che la cambierà: un vampiro dagli occhi blu e una domanda nel cuore che le farà scoprire un mondo magico ed oscuro che le ridarà speranza....
Genere: Avventura, Dark, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1: LONG NIGHT

~·~M~·~

Il buio iniziò piano piano a diradarsi...

Aveva la sensazione di essere stata incosciente per un bel po', ma ora sentiva di essere stesa su di una superficie solida.

Aprì gli occhi lentamente, stiracchiandosi languidamente. Fu a quel punto che si rese conto che non era nel suo comodo letto dalle lenzuola perennemente disfatte e, quando riuscì a mettere bene a fuoco, che non era nemmeno nel suo sgangherato monolocale all'angolo fra un supermercato etnico e uno spacciatore.

Scattò seduta per esaminare ciò che la circondava: era stesa su di divano vecchio stile, di quelli con la struttura color oro e l' imbottitura rosso scuro. Sopra al bracciolo, vicino ai suoi piedi, era stata lasciata una giacca di pelle.

Quella che indossava lui.

Un brivido le corse lungo la schiena mentre si guardava intorno alla ricerca di qualcosa che le desse anche la minima speranza di essere in un luogo famigliare, o magari in ospedale... invece, del resto della stanza riusciva solo a scorgere una logora poltrona di pelle, i candelabri dall'aspetto antico e il caminetto. Uno splendido caminetto di pietra, incorniciato da legno scuro e al cui interno risplendeva un bel fuoco scoppiettante che le riscaldava le guance.

E poi lui. Era seduto a gambe incrociate davanti al caminetto e sembrava non essersi accorto che lei si fosse svegliata. Così si prese un momento per osservarlo meglio: aveva i capelli neri, nè troppo lunghi nè troppo corti, pettinati morbidamente all'indietro. Sembravano davvero soffici mentre ci passava una mano facendoli scorrere fra le dita. Indossava una maglietta nera a maniche lunghe, che lo fasciava strettamente facendo risaltare il fisico massiccio e scattante.

Si mosse. Stava fumando: prese una boccata dalla sigaretta, trattenne per un attimo il fumo nei polmoni e poi lo soffiò fuori, dritto nel fuoco. Poi parlò. “Ti senti bene?” la domanda la lasciò interdetta: sapeva che lo stava osservando? “Sai, potrebbe girarti la testa dopo -” aggiunse girandosi e puntando i suoi occhi blu su di lei, come a scrutarla.

“Cosa mi hai fatto?” lo interruppe lei.

“E le presentazioni? Che maleducato, piacere, mi chiamo William.” disse il ragazzo con voce amichevole alzandosi e tendendole la mano.

Rimase impressionata dall'altezza del ragazzo. In piedi, forse, gli sarebbe arrivata allo sterno.

“Bene, che cosa mi hai fatto William?” Non voleva stare al suo gioco. Per quanto ne sapeva poteva benissimo essere un maniaco che voleva solo violentarla.

“Oh cristo... Posso quasi vedere i tuoi neuroni girare.” disse sghignazzando. Poi prese un'altra boccata dalla sigaretta: labbra perfette che si schiudevano per lasciar uscire il fumo grigio. “So quello che stai pensando e, a riprova che non sono un maniaco, ti faccio notare che potevo approfittare di te quando eri svenuta, cosa che non ho fatto.” finì con un sorriso rassicurante.

Non seppe spiegarsene il motivo, ma seppe che ciò che diceva era vero. “Il  mio nome è Misha e -”

“E vorresti sapere cosa ti ho fatto...” Lei annuì. “Ipnosi, semplice ipnosi.” disse facendo ricadere la mano al suo fianco.

“Non pensavo che si potesse far svenire la gente con l'ipnosi e poi non hai usato nessun pendolo.” rispose lei combattiva. Non voleva dargliela vinta così facilmente.

“Beh, magia.” disse ghignando. Non poteva evitare di notare quanto quelle guance cave fosse sexy quando inalava una boccata di fumo.

Era tanto pallido da avere la pelle quasi trasparente, le vene bluastre si intravedevano all'interno dei polsi quando portava la sigaretta alle labbra e le fiamme del caminetto gli illuminavano gli occhi di una luce che sembrava quasi ultraterrena.

Si ritrovò a sorridere e a tendergli una mano come lui aveva fatto prima. “Allora, tu vivi qui, William?”

~·~W~·~

“Sì, da un centinaio d' anni a questa parte.” disse William con un sorriso, mentre le stringeva la mano.

Aveva sempre avuto mani così grandi? Si stupì da solo delle dimensioni della sua mano, così grande rispetto a quella piccola, ma forte, di Misha.
Era davvero carina. Piccola, magra, grandi occhi grigi in un visino dolce incorniciato da lunghi capelli neri e, non poté fare a meno di notare con brivido che finì nel basso ventre, un seno decisamente dalle dimensioni non trascurabili.

Prese un altro tiro di sigaretta. “Scusami,” disse riferendosi al mozzicone che stava gettando nel fuoco del caminetto. “Non ti ho chiesto se il fumo ti desse fastidio.”

“Ah, tranquillo, non mi da fastidio,” rispose lei mentre si metteva a gambe incrociate sul divano. “Anzi, in verità, anche se non fumo, ne sento proprio il bisogno in situazioni come questa.” aggiunse ridacchiando nervosamente.

Allora William si girò e prese il suo pacchetto di Davidoff dalla mensola sopra il caminetto, lo aprì e gliene porse una.

“Accendino?” chiese Misha.
“Giusto.” rispose imbarazzato... imbarazzato? Cazzo la ragazzina diventava sempre più fastidiosa. Prese l'accendino. “Ecco.”

La ragazza accese la sigaretta. Aveva davvero delle belle mani, dita lunghe e affusolate, con le unghie dipinte di nero.

Notò la sua pallidezza. “Non ami molto prendere il sole, vero piccina?”

Lo guardò accigliata, prese un tiro e poi parlò, facendo fuoriuscire fumo dalla bocca ad ogni parola, “Primo,” e alzò il mignolo “senti chi parla-”

“Ma io sono un vampiro!” si difese William.

“Secondo,” alzò l'anulare, “piccina lo dici a tua sorella, o a qualcun altro, ma sicuramente non a me. Terzo, qui le domande le faccio io se permetti, visto che sono stata appena rapita da un vampiro – dio suona così assurdo! - senza ragione. Quar-”

“Senti ragazzina se ti ho portato qui c'è un motivo, e questo motivo è-”

“Oh si ti prego illuminami!” ringhiò Misha avvicinandosi al vampiro.

“Tu non sai che stai facendo ragazzina,” ringhiò William afferrandola per le braccia e attirandola a se in modo che i loro corpi fossero a contatto e che sentisse quanto lui fosse più forte. Era come un uccellino stretto fra le zampe di un gatto.. o meglio, di una tigre. E il suo odore era così invitante... portava una maglia blu scuro con lo scollo a v sotto la giacca di pelle e il suo collo... ma la cosa che più lo affascinava era lo sguardo, lo sguardo di fuoco che gli stava lanciando.

Le lasciò le braccia e si diresse verso la poltrona di pelle vicina al camino, dove si lasciò andare pesantemente.

Misha era ancora in piedi, con lo sguardo fiammeggiante puntato su di lui e un tremore che le scuoteva tutto il corpo, tanto leggero che solo un essere sensibile come William avrebbe potuto notarlo.

“Siediti, per cortesia.”

“No, no, io me ne vado cazzo.” Misha aveva iniziato a tirare febbrilmente dalla sigaretta, i capelli che svolazzavano leggermente mentre si girava nervosamente alla ricerca dell'uscita.

Il vampiro si alzò di nuovo, ma questa volta si avvicino a lei lentamente. “Misha, perdonami, ho perso il controllo, ma posso, anzi, devo spiegarti tutto.” Capì dallo sguardo che non era convinta. “Ti giuro che appena avrò finito di dirti quello che ti devo dire potrai farmi tutte le domande che vuoi e poi andartene, o se vuoi potrai andartene subito, è una tua scelta. Ma ti prego, resta e ascoltami.” disse William con il cuore in mano, per farle capire quanto sinceramente voleva che lei restasse.

Misha diede l'ultimo tiro alla sigaretta e sembrò essersi tranquillizzata.

“Getta pure il mozzicone nel fuoco.” le consigliò lui con il sorriso più rassicurante che riuscì a tirare fuori. “Siediti dai, che sarà una cosa lunga.” disse mentre si risedeva sulla poltrona.

Misha si sedette sul divano. “Lunga? Dio che hai intenzione di fare, raccontarmi tutta la tua vita?” disse ridacchiando.

“Ehm... Sì.” Misha non ridacchiava più.

“So che sembra assurdo,” sospirò  prendendosi il viso tra le mani “ma è una promessa che ho fatto a me stesso molto tempo fa... quindi, per favore, lascia che io mi spieghi, poi potrai andartene e non voltarti mai più, farmi tutte le domande che vuoi o... restare.” L'ultima parola l'aveva sussurrata, ma quando rialzò lo sguardo lei lo stava guardando fermamente.

“Perché dovrei rimanere?” chiese con un filo di voce.

“Beh è tardi, magari ti sarebbe più comodo dormire in una delle stanze degli ospiti... e andare a casa domani mattina...”

“Va bene,” sbadigliò, “allora inizia, altrimenti mi addormenterò e sarai costretto a portarmi in camera in braccio.” rispose con un sorriso malizioso. “E non sono poi così leggera come sembro.”

“Dimentichi che ti ho già preso in braccio...” ribatté in modo altrettanto malizioso – oh ragazzina spero tu sappia cosa si rischia a giocare con il fuoco -.

William si alzò e aprì un mobiletto, evidentemente quello dove teneva i liquori, di fianco a caminetto. Ne tirò fuori una bottiglia piena per metà di un liquido ambrato e se ne versò un bicchiere. Ne prese un lungo sorso, appoggiò la bottiglia sul tavolino vicino alla poltrona e si sedette con le gambe raccolte al petto, osservando il liquido nel bicchiere assorto nei suoi pensieri... non era facile riportare alla mente certi ricordi.

“Ti fai coraggio con l' alcool?” disse Misha.

“Prima di tutto questo non è volgare alcool, è whisky invecchiato, precisamente Talisker scozzese invecchiato 12 anni, ambrato...” guardò il bicchiere come se fosse un sommelier “gusto affumicato...leggermente dolce... insomma, tutta un'altra cosa e in più... beh mi ci vuole un po' per ricordare dall'inizio 400 anni di vita...” il suo sguardo si fece vacuo “e poi un po' di coraggio ci vuole per raccontarti certe cose...” i suoi occhi tornarono limpidi e li ripuntò su di lei. Doveva capire fin dove poteva arrivare prima che scappasse.

“Bene, iniziamo,” altro sorso “sono nato il primo luglio del 1611, a Milano, in Italia...” vide Misha prendere fiato per parlare e la fermò “Lasciamo le domande a dopo, così riesco a fare un discorso che fila” disse benevolo.

Ricominciò “Quindi, Italia... lo so il mio nome può fuorviare ma non è il nome con cui sono stato battezzato... quello non riesco a pronunciarlo da talmente tanto tempo che non lo ricordo nemmeno – ma questa è tutta un'altra storia. Come dicevo, sono nato a Milano da una famiglia di origini nobili ma in decadenza. Purtroppo mio nonno aveva fatto accordi con le persone sbagliate e saremmo stati sul lastrico se non fosse stato per mio fratello, che lavorava presso il comune e riusciva a a guadagnare tanto da mantenere me, mia sorella e nostro padre malato. Comunque, per aiutare la famiglia, nel 1635 partii per l'Inghilterra per sposarmi. La donna che dovevo sposare era una bellissima ragazza dell'aristocrazia inglese, si chiamava Elizabeth e non era innamorata di me tanto quanto io non lo ero di lei. Diventammo molto amici e perciò, come mio regalo, parlai con suo padre spiegandogli la situazione e indirizzando il fidanzamento sul suo amato. Il padre acconsentì, ma d'altro canto il ragazzo era un partito decisamente migliore.

Continuai a vivere come ospite presso di loro, nella loro tenuta di Cardiff per un anno, fino a che non mi giunse una lettera in cui mi si comunicava che mio fratello era morto in un'attentato e che le condizioni di salute di mio padre peggioravano di giorno in giorno. Il dolore per quella notizia mi dilaniò ma sapevo che ora la mia famiglia contava su di me. Era quindi fondamentale che mi sposassi, e in fretta. E così, come un abbagliante raggio di sole che squarcia le nuvole, arrivò lei: Mary Margharet di Scozia. Una nobildonna vedova del marito con una dote stratosferica che accettò la mia proposta d fidanzamento. La sposai in fretta e furia, con il solo pensiero di aiutare la mia famiglia. Non mi curai di notare che, nonostante avesse dieci anni più di me, sembrasse una ragazzina, nè di alti segnali che avrei dovuto assolutamente percepire. Dopotutto il matrimonio senza amore era la norma a quei tempi e mi rassegnai al mio destino. Poi arrivò la prima notte di nozze.”

Prese un lungo sorso e si riempì di nuovo il bicchiere, iniziando di nuovo a perdersi fra i riflessi ambrati del liquore. “All'inizio non trovai nulla di sbagliato in lei, assolsi i miei doveri coniugali come mi era stato insegnato e mi stesi, mi ridistesi, sul quel letto sconosciuto pronto ad una vita infelice ma con la consapevolezza di aver fatto il mio dovere. Fu a quel punto che accadde: sentii due braccia fortissime che mi voltavano e la sua voce tramutata in quella di un demone. Mi confessò di essere un essere dannato, un vampiro e di volermi trasformare nel suo sposo per l'eternità. Ero talmente spaventato che la lasciai fare.

La mia vita finì in quell'aprile del 1636, fra e braccia di una donna che non amavo.” tornò a guardare Misha negli occhi “Da quel momento in poi mi istruì su come sarebbe stata la mia nuova vita. Da cosa guardarsi e di cosa nutrirsi... Io la odiavo. Sì, mi aveva dato la vita eterna, ma a che prezzo? Non avrei più potuto rivedere la mia famiglia, la luce del sole o cibarmi di qualcosa di normale... Ero rinchiuso in una gabbia dorata. Mi teneva rinchiuso nel castello dove vivevamo, obbligandomi a cibarmi di persone che lei uccideva, o di animali... sai, il sangue degli animali non ti rende forte come quello degli umani, me lo rifilava con la scusa di non volere che mi sporcassi e mani con del sangue innocente... Cazzate! Lei mi voleva debole. Voleva che fossi la sua immortale bambola di pezza che poteva picchiare, amare, accarezzare o ferire e tutto senza che mi ribellassi... e io volevo solo scappare. Così iniziai a pensare ad un piano. Stetti al gioco, fui il suo innamorato, sorrisi migliaia di volte alle sue pessime battute, la ammirai con finta adulazione quando mi mostrava  i suoi vestiti eleganti, fui un buon amante, apparentemente adorante verso la sua eterna padrona. E tutto questo solo per guadagnare la sua fiducia, per diventare il suo confidente. E ci riuscii, oh, quanto ci riuscii!” sorrise beffardamente mentre continuava a bere.

Raccontava, la sua mente persa per metà nei ricordi di quegli oscuri giorni, per metà intento ad osservarla: non aveva battuto ciglio per tutto il racconto, i grandi occhi grigi e indagatori puntati su di lui. “Il giorno in cui mi resi conto di essere riuscito finalmente nel mio intento fu il giorno in cui mi raccontò la sua storia: non era molto antica, giusto novant'anni, ma ne aveva fatte di cose... sai, potresti conoscerla come Elisabeth Barthory, la più grande serial killer di tutti i tempi. O contessa Dracula. Nata come umana in una nobile famiglia Rumena e trasformata in vampiro a soli sedici anni, da suo marito. Essendo già lei una pazza, sadica e schizofrenica – beh ovviamente lei non si descrisse così – diventò una vampira tanto crudele e sanguinaria da uccidere il suo stesso creatore e talmente tante giovani donne – si vantava di averne uccise ben 650 – nel giro di pochi anni, che gli umani si ribellarono e la murarono viva nella sua stanza nel 1610. Ovviamente si liberò ma, dopo 4 anni di digiuno forzato, era talmente debole che fuggì in Gran Bretagna. Si finse una nobildonna in fuga e adescò il suo primo marito, il quale però era troppo vecchio per essere trasformato, così lo uccise e aspettò che i suoi seguaci trovassero un ragazzo come me. Un giovane bello e bisognoso di denaro, da sposare e fare suo per l'eternità.

Vista la fine dei precedenti mariti, che non l'avevano soddisfatta, decisi che mi sarebbe convenuto starmene buono per un po'. Passai i primi sei anni della mia nuova vita in quel castello scozzese a compiacerla in ogni modo possibile, all'apparenza-”

“E dai! Non tenermi sulle spine, raccontami di come l'hai uccisa!” lo interruppe Misha con l'impazienza di una ragazzina.

William sorrise amaramente. “Uccisa? Magari. Sai, durante il suo racconto mi aveva rivelato anche la sua passione per l'alchimia e la magia nera. Tutta la servitù della casa era in possesso di poteri magici ed era ovviamente a conoscenza della nostra identità. Se avessi tentato di farle del male o di scappare, la loro magia mi avrebbe trovato. Era in una botte di ferro... ma – sfortunatamente per lei -  sono sempre stato maestro nel non far scoprire le mie conquiste a mia madre.” rispose il vampiro con un ghigno tanto malizioso da riuscire a far affiorare un leggero rossore sulle guance della mora. “Quindi, come un sapiente ragno, iniziai a tessere la mia tela... Una delle tante confidenze che Elizabeth mi fece fu riguardo ai figli della servitù: i ragazzi erano tutti della mia età o poco più giovani e, essendo nati da genitori a servizio della vampira, erano condannati a vivere con noi in questa gabbia dorata per proteggere il segreto. Così, la prima sera in cui mia moglie mi lasciò solo per sbrigare degli affari in città, elusi la sorveglianza delle guardie fuori dalla mia stanza e andai a cercare i ragazzi... Non fu difficile guadagnarmi la loro fiducia, sapevano che il nostro non era l'idillio amoroso che Elizabeth pensava che fosse. Mi rivelarono così che già da anni pensavano al modo migliore per liberarsi di quella schiavitù e, grazie a me, ce l'avremmo fatta. Ci mettemmo ben due anni. Durante questo periodo mi fecero bere il loro sangue per rendermi più forte e per infondermi il potere che sarebbe servito per l'incantesimo e mi istruirono sui rudimenti di magia e alchimia, tutto questo mentre loro rubavano gli ingredienti necessari ai loro genitori e creavano nuovi incantesimi, sconosciuti ai loro genitori e maestri. Una notte dell'inverno 1642, riuscimmo a far cadere tutti in un sonno profondo quindi, usando un incantesimo di sangue molto potente e pericoloso, creammo una barriera magica potentissima che li rinchiuse all'interno del castello per sempre.” Un sorriso amaro e nostalgico affiorò alle labbra di William. “Io, Anne Razboinic, Philipp Inima, Sarah e Allison Lup fummo gli unici a riuscire nell'incantesimo. Da lì in poi ci dividemmo: Sarah e Allison verso il continente, nell' Europa dell'est dove la loro dinastia era iniziata, Anne fuggì con un contadino di cui era innamorata e io e Philipp ci dirigemmo in Irlanda, dai druidi. Sapevamo tutti che prima o poi i loro genitori avrebbero trovato il modo di spezzare l'incantesimo, e che ci avrebbero cercato. Sapevamo che dovevamo diventare più potenti. Restammo coi druidi per ben 22 anni ad incrementare le nostre conoscenze.” William finì il suo secondo bicchiere e la guardò. Era tranquilla. “Ma non ti ho ancora detto il perché ti ho risparmiata, vero? Beh, questo è una regalino dei druidi, sai non era stato facile farsi accettare da loro in quanto demone, ma videro le mie ragioni come giuste e ci accolsero. Durante quegli anni Philipp continuò a concedermi saltuariamente i suo sangue così da non perdere potere ma, quando dopo quattro anni si ammalò di tifo, non ci fu nulla che potesse fermarmi dal trasformarlo. La mia era una maledizione, lo so, ma non potevo lasciare che morisse a soli vent'anni. Philipp era sempre stato un ragazzo sanguigno e faticai molto a farlo abituare a nutrirsi di animali come facevo io da quando lo avevo trasformato. Spesso fui costretto a nascondere le tracce dei suoi omicidi per non intaccare il rapporto che avevamo con chi ci stava fornendo quelle importantissime conoscenze magiche e che ci aveva accettato nonostante la nostra natura. Ma dopo ventidue anni trascorsi lì solo i più anziani ci temevano ancora, difatti, quando il capo del villaggio scoprì la relazione che Philipp aveva con sua figlia ci bandì e ci maledì, costringendoci così a nutrirci solo di coloro che fossero stati così stolti da non conoscere la nostra identità. Ed essendo tu la prima persona in quattrocento anni ad aver risposto alla mia domanda... beh, mi sono semplicemente sentito in dovere di raccontarti la mia storia. Fine.” concluse il vampiro allungando le gambe e stravaccandosi meglio sulla poltrona.

“Cazzo, l'alcool deve esserti servito per evitare che la lingua ti si seccasse e cadesse! Quanto hai parlato!” esordì Misha. Poi sbadigliò.

~·~M~·~
Era stata tutto il tempo intenta ad ascoltare quell'assurdo racconto. Assurdo sì, ma vero. Mentre il ragazzo parlava riusciva quasi a vedere le immagini danzare davanti ai suoi occhi. Così blu... così pieni di segreti.

Non mi stai dicendo tutto, uomo del mistero... perché i tuoi occhi sono così tristi?

Non osò dare voce ai suoi pensieri: voleva somatizzare un po' tutte quelle informazioni prima di fare le sue dovute domande e mettere alle strette William.

“Quindi? Nessuna domanda?” Il ragazzo sembrava a disagio. I suoi occhi imploravano per qualcosa... ma cosa?

“Sai, hai ragione, è tardi, e preferirei dormire un po' prima di subissarti di domande...” Misha si alzò dal divano per stiracchiarsi. Poi ripuntò lo sguardo su di lui. La sua posizione, gambe larghe e braccia mollemente appoggiate sui braccioli della poltrona: voleva esprimere strafottenza e rilassatezza, ma nei suoi occhi leggeva solo sollievo. “E poi mi sembra che anche tu desideri dormire un po', non dev'essere stato facile riportare alla mente tutte queste cose.” Era davvero indescrivibile la bellezza dei suoi occhi mentre i fuoco vi si rifletteva. William si alzò e le si avvicinò.

“Già, non è stato semplice.” Sorrise,“ bene signorina le mostro le sue stanze.” disse allargando un braccio verso il buio.

“Ok, ma penso dovrai prendere una candela o qualcos'altro per salire, il fuoco illumina, ma i miracoli ancora non li fa!” disse Misha.

“Beh per essere vecchio sono vecchio, ma non antico!” rispose divertito, William.
Misha avrebbe avuto qualcosa da ridire riguardo all'ultima affermazione del vampiro, ma lasciò cadere la battuta scontata.

Lo guardò dirigersi verso il muro vicino al caminetto e girare un piccolo interruttore, così, gradualmente, varie luci si accesero illuminando la stanza con una luce calda.

La ragazza rimase letteralmente a bocca aperta: la stanza in cui erano non era enorme, più lunga che larga, con un pavimento di parquet scuro e tutti quei mobili coperti come fantasmi, da teli bianchi, e poi, un paio di metri alla sua destra, una scala di legno massiccio, con i gradini coperti da un tappeto rosso sangue e il corrimano che saliva su, fino ad un secondo piano ancora nascosto alla sua vista. Tutto ciò la fece ricadere nel mondo reale, fuori da quel nebuloso sogno di cui quel camino, quel divano e quella poltrona erano stati lo sceario... e pensare che le sue prospettive l'avevano vista sul suo divano sfondato a guardare la tv.

“Sì lo so, non è proprio il massimo...” iniziò William.

“Stai scherzando? È bellissima...” rispose Misha in un soffio incontrando di nuovo i suoi occhi.

Ci fu un attimo in cui i loro sguardi si legarono in modo così naturale ed improvviso che entrambi ebbero per un secondo l'impressione di poter sbirciare nell'anima dell'altro. E ciò che scorsero era tanto simile e intimo per entrami che tutti e due distolsero lo sguardo più in fretta che poterono, sentendosi al contempo imbarazzati e violati, come se per per tutta la lunghezza di quello sguardo fossero stati l'uno davanti all'altra, nudi.

“Bene signorina, vuole che le mostri le sue stanze?” si riprese William con un sorriso beffardo porgendole il braccio.

“Oh sì, la prego.” rispose Misha sbadigliando.

Dio, alla luce, il fascino del ragazzo era quasi oppressivo. Si aggrappò al suo braccio saggiandone la tonicità e la freddezza dei muscoli sotto il velo leggero della maglia.

Mentre salivano le scale lui chiese, “Senti freddo? Sai, la mia pelle...”

“No, tranquillo. Va tutto bene.” rispose lei dolcemente.

Continuarono a salire in silenzio ed arrivati al secondo piano si staccarono. Lui accese le luci e lei lo seguì lungo il corridoio, senza battere ciglio.

Non è che non si stesse domandando che diavolo ci facesse lì e perché non fosse scappata urlando già da un pezzo, ma voleva saperne di più. Nel racconto di quel giovane uomo non aveva scorto solo la sua difficile e apparentemente assurda storia, di come fosse diventato un essere sovrannaturale... ci aveva letto prima di tutto la storia di un uomo in fuga. Se non avesse avuto prove sufficienti della sua non umanità, nel vicolo dove si erano incontrati, avrebbe pensato ad un ragazzo scappato di casa che aveva perso un po' la testa, ma che restava comunque un ragazzo spaventato.

Ecco. Il vicolo. Un'altra cosa per cui sarebbe dovuta scappare a gambe levate... No, ora non voleva pensare. Il suo istinto l'aveva fatta rimanere lì e lì sarebbe rimasta finché non avesse deciso che era il caso di scappare via urlando.

Erano passati davanti a diverse stanze ma si fermarono solo davanti alla penultima.

William afferrò la maniglia di ottone e aprì la porta entrando per primo per accendere la luce.

Quando Misha entrò vide una grande camera color crema, con un letto matrimoniale con lenzuola e piumone color champagne e i mobili dello stesso legno scuro - probabilmente quercia - che aveva già visto nel resto della casa.

“So che probabilmente non è di tuo gusto,” disse William con un tono che sembrava  quasi imbarazzato, “ma le lenzuola sono pulite, le cambio ogni settimana, in caso arrivasse qualcuno...”

“Qualcuno dei tuoi vecchi compagni di fuga?” tentò la ragazza con con sorriso rassicurante.

“Sì, forse...” Gli occhi di William si fecero cupi, e Misha si sentì davvero in colpa.

Se avesse ascoltato il suo istinto – il suo dannato istinto – probabilmente gli sarebbe corsa incontro abbracciandolo stretto per consolarlo. Ma non lo fece, invece disse, “La stanza è magnifica, grazie William.”

“Di nulla.” sorrise lui “Beh allora... se avessi bisogno di qualcosa non aver paura di chiamarmi, la mia camera è quella quì a destra, l'ultima. Ah, il bagno è la porta qui di fronte. Ecco...no, non dovrebbe esserci altro.”

Nonostante avesse detto di tenere la camera pronta per quell'eventualità, sembrava proprio che William non fosse abituato a ricevere ospiti da molto, molto tempo. “Beh, allora a domani Misha. Buonanotte.” disse il ragazzo avviandosi verso la porta.

Si fermò con la mano nuovamente sulla maniglia, lo sguardo puntato sui suoi piedi. “Se ti chiedessi perché non sei scappata,” alzò lo sguardo puntandolo dritto nel suo “mi risponderesti?”

Misha sedette pesantemente sul letto – un materasso molto morbido, notò con un angolino del suo cervello – e sospirò guardando il pavimento. Poi riportò lo sguardo in quegl' occhi blu. “E se ti dicessi che non lo so, andrebbe bene lo stesso?” rispose con tono tanto serio che il vampiro non riuscì a mantenere lo sguardo su di lei.

“Buonanotte Misha.” riuscì solo a dire.
“Buonanotte William.”

~·~W~·~

William richiuse la porta dietro di sè e sospirò avvicinandosi a quella della sua stanza, l'ultima del corridoio.

Com'era diversa, con il grande letto a baldacchino con le lenzuola di seta nera disfatte e i vestiti buttati alla rinfusa sul pavimento. I cd ammassati in un angolo vicino allo stereo e una decina d candele sciolte che campeggiavano sopra il comò. Forse sarebbe stato meglio mettere un po' apposto prima che la ragazza si svegliasse.. e forse anche comprare qualcosa che potesse mangiare per colazione... sì... cibo... la sete lo stava divorando.

William si passò una mano sulla gola, forse nella speranza di poter sedare la sete almeno finché non avesse potuto andare nuovamente a caccia.

E se ti dicessi che non lo so, andrebbe bene lo stesso?

Una fitta lo colpì allo stomaco. Quelle parole... quella sincerità... si arruffò i capelli neri come l'inchiostro come a voler cacciare quei pensieri. Basta, a lei ci avrebbe pensato più tardi. In quel momento aveva solo bisogno di una doccia. Una doccia calda, bollente, che lo facesse sentire pulito.

Si diresse verso il bagno privato a cui si accedeva dalla sua camera.

La stanza era grande, con piastrelle color crema sia sul pavimento che sulle pareti. Sulla parete destra si notava subito il lavabo di marmo bianco poggiato su di un mobile di legno scuro, sopra cui troneggiava un grande specchio con la cornice d'oro. Poco più in là, dietro un separé orientale, era nascosto il water. Ma la cosa che dava più nell'occhio nella stanza era posta vicino alla parete sinistra: una grande vasca da bagno di marmo nero, poggiata su supporti decorati come zampe di leone dorate e d'oro erano anche il rubinetto e le manopole.

Una vasca fantastica, lo sapeva, ma non era di un bagno che aveva bisogno. Si diresse verso lo specchio e guardò la sua immagine riflessa -  come sarebbe stato bello se le leggende sui vampiri fossero state vere e non avesse potuto vedere gli evidenti segni che quella notte aveva portato sul suo viso-. Guardò quel viso pallido con gli occhi cerchiati di nero e le rime arrossate, come se fosse quello di uno sconosciuto. No, non era più quella persona. Non voleva ricordare.

Ringhiò e si tolse la maglia con rabbia. Si strappò via la cintura e il bottone dei jeans quasi saltò per la violenza usata quando se li tolse. Lanciò i boxer e si buttò nel box doccia – unico apparente segno di modernità del bagno -  nell'angolo opposto al separé. Chiuse la porta di plastica e aprì al massimo il gettò d'acqua calda.

Flash riguardanti il suo passato lo tormentavano...

Il suo arrivo in Inghilterra, giovane ed ingenuo...

La lettera da cui apprendeva della morte del fratello e della malattia del padre...

Il giorno del suo matrimonio... Quegl' occhi color della pece che lo guardavano da sotto il velo...

E poi la prima notte di nozze. Quella ragazzina con gli occhi da vecchia, i capelli lunghi e biondi che ricadevano come una cascata fino alla vita a ricoprire il suo corpo nudo... Il rapporto consumato in fretta  e furia, disturbato dalla sua nudità e dalla sua audacia nei movimenti, ma più di tutto disgustato da se stesso. E poi quella voce, “ti farò mio per sempre dolce William..” poi il dolore straziante della pelle che veniva lacerata e la sensazione del sangue che fluiva fuori dal suo corpo, poi il torpore e la morte...

Si graffiò con rabbia la base del collo, le spalle, il petto... Ringhiò sbattendo i pugni contro le piastrelle. Graffi rossi e gonfi si stavano formando pian piano sulla nivea pelle del collo, sotto di loro, profonde e vecchie cicatrici di morsi.

Tanti, su entrambi i lati. Non semplici morsi ma ferite inferte con rabbia, per fare del male.

Dei singhiozzi silenziosi iniziarono a scuotergli il petto mentre scivolava seduto sul piatto della doccia.

La mente vagava nei ricordi di quelle atroci notti...

Era steso sul letto a baldacchino della camera padronale, legato mani e piedi. Avrebbe dovuto essere spaventato ma sapeva già cosa gli sarebbe successo di lì a poco... il suo corpo portava le cicatrici fresche di un paio di notti prima – se non fosse stato un vampiro probabilmente sarebbero state ancora ferite aperte e sanguinanti – quando la suo dolce mogliettina aveva deciso di scoprire come avrebbe reagito la sua pelle alle braci ardenti. Non voleva nemmeno pensare cosa avrebbe fatto quella notte.

Chissà se le sue urla sarebbe giunte di nuovo fino agli appartamenti della servitù: le ragazze si erano molto spaventate l'ultima volta.

Osservava il soffitto cercando di estraniarsi. Cercando di pensare a quando sarebbe fuggito, a quando quelle ferite sarebbero diventate solo vecchie cicatrici.

Passi. Arriva. Qualcosa striscia sula pavimento. Una risata di ragazzina preannuncia l'inizio dell'ennesima nottata di dolore.

“Acum o sa ma distrez foarte mult, dragostea mea*”disse la ragazzina, poi sentì uno schiocco.

“Una frusta, fantastico.” sussurrò.

Si rannicchiò in posizione fetale mentre il getto d'acqua bollente lavava via lacrime che non sarebbero mai scese dai suoi occhi... gli aveva tolto anche questo.

Cos'avrebbe pensato Misha se fosse entrata in quel momento?

Una stanza in disordine, mozziconi di sigarette e candele sciolte ovunque, amuleti appesi alle finestre e rune mistiche disegnate sulle pareti. E poi, un giovane uomo dalla pelle pallidissima rannicchiato sotto la doccia: la sua schiena muscolosa interamente ricoperta di tatuaggi che raffiguravano gli stessi simboli sulle pareti della camera.

Codardo, sei solo un codardo.

Ripeteva mentalmente a se stesso.

No, me ne sono andato, sono fuggito. Sì, ma a che prezzo?

Quei momenti erano impressi a fuoco nella sua mente e non li avrebbe mai voluti dimenticare.

Si ritrovò di nuovo lì, nella notte scozzese, inginocchiato nella neve. Sangue che usciva dai lunghi tagli sui suoi polsi e dal grande pentagramma su suo petto.

Sentiva l'odore del sangue degli altri. I suoi occhi erano neri dalla sete, ma si tratteneva.

L'incantesimo doveva riuscire. Le parole della litania continuavano a uscire dalla sua bocca come un fiume, senza esitazioni.

Cercò gli altri con lo sguardo:cinque ragazze e tre ragazzi con i polsi tagliati tutti intorno a lui che recitavano la formula in coro.

Erano una cosa sola. L'energia scorreva, i loro volti sconvolti dalla trance e i loro corpi provati dallo sforzo. Il loro sangue aveva preso vita formando un pentagramma nel cui centro sedeva lui.

Sapevano che avrebbe potuto andare male, ma non erano preparati quando, a incantesimo concluso, quando il legame di energia si dissolse per dare vita alla gabbia che imprigionò il castello, John, Simon e Clare caddero senza vita sulla neve candida macchiata dal sangue di tutti loro.

William e gli altri erano stremati ma cercarono comunque di farli rinvenire. Ma non c'era nulla da fare, erano morti durante l'incantesimo, durato più di quattro ore, ed era stata la trance e l'energia condivisa a dare l'illusione che i loro corpi fossero ancora in vita. Philipp piangeva tra i biondi capelli ricci della donna con cui avrebbe voluto scappare in Francia per vivere una vita felice insieme...


Prima dell'alba, William, dopo aver sistemato la sua camera da letto, andò al supermarket aperto 24 ore su 24.

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Note: *ora mi divertirò molto, amore mio (in rumeno)

Dedicato a Giulia, la mia prima fan e ispiratrice del nome della proagonista femminile, e a Davide (lo sai perchè).
E grazie a Madalina per le parole in rumeno e a Seline per aver betato il capitolo!

   
 
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