Nota
dell’autrice: Eccovi il nuovo capitolo, sperando vi piaccia.
Mancano
pochi passi e non più di 2 o 3 capitoli al calo del sipario.
A tutti coloro che
sono rimasti con me, grazie davvero. Bacetti L.
CAPITOLO
XIV
DI
FERITI,
FRAINTENDIMENTI E FIAMME
Fergus
non ricordava di essere mai passato così repentinamente
dalla speranza alla
preoccupazione. Quando aveva sentito Seymour proclamare
d’aver individuato
Audrey il suo cuore si era riempito di gioia, sebbene avesse avuto poco
tempo
per conoscere la sua collega prima della sua scomparsa, quel poco tempo
era
stato sufficiente per fargli capire che ella era una persona piena di
buone
qualità, una lavoratrice instancabile e scrupolosa e, sotto
quell’aspetto un
po’ spigoloso e severo, anche una persona ricca di
autoironia.
Vedere
l’Auror Seymour crollare al suolo subito dopo aver
pronunciato quelle parole
l’aveva immensamente spaventato, se egli non si fosse ripreso
tutti gli sforzi
fatti finora per individuare la ragazza sarebbero stati vani. Non che
avesse
avuto molto tempo per concentrarsi sui suoi timori.
Da
un certo punto di vista era stato provvidenziale che lui fosse presente
quando
il suo collega si era sentito male, Smith, per quanto molto
più addestrato di
lui, non era ferrato negli incantesimi di soccorso,
quanto piuttosto nello spionaggio. Sebbene
avesse voluto aiutare Seymour, l’auror più anziano
non aveva potuto farlo, anzi
appena aveva capito che il suo collega sembrava aver smesso di
respirare, si
era girato verso Fergus pregandolo di intervenire.
Era stata la prima volta che
il ragazzo aveva
dovuto mettere alla prova le sue doti di primo soccorso in una
situazione in
cui la vita di un uomo poteva veramente dipendere dalla sua
capacità e,
sebbene, sul momento egli avesse agito come inserendo il pilota
automatico,
recitando nella mente ed eseguendo tutto ciò che aveva
imparato all’Accademia e
per il quale era stato premiato tra tutti i suoi compagni di corso, ora
che era
tutto finito e Seymour era stato portato nell’Infermeria del
Dipartimento,
Fergus se ne stava seduto su uno sgabello completamente esausto dal
punto di
vista emotivo dopo il picco di adrenalina di qualche ora prima. Operare
in una
vera crisi anziché in una simulazione era diverso come il
giorno e la notte.
Se
non avesse avuto un sostegno, non avrebbe avuto la forza di tenersi su.
Smith
lo guardava sconsolato con la coda degli occhi, apparentemente fissando
la
tazza di latte caldo che gli aveva portato appena erano rientrati
nell’ufficio
dopo aver riferito quanto successo ai Capitani Weasley e Potter. Il gesto di John Smith nei
suoi confronti era
stato molto gentile. Fergus sapeva che lui e Seymour erano compagni di
missione
da molti anni e che l’auror doveva essere forse
più scosso di lui. In un certo
senso quel gesto gli aveva un po’ ricordato sua madre: Mary
Beth Finnigan
rispondeva ai momenti di crisi così, tentando di rendersi
utile accudendo e
consolando gli altri.
La
situazione era grave: non solo l’unica persona che sapeva
dov’era Audrey era
priva di coscienza in infermeria, ma era stato assolutamente necessario
creare
nel più breve tempo possibile una storia di copertura per
evitare che Robards
sapesse della missione clandestina a cui erano stati assegnati.
Sembrava che al
posto di risolversi i problemi di moltiplicassero.
“Cosa
credi che sia successo?” La domanda di Smith stupì
Fergus perché fino a quel
momento egli non aveva dato segno di voler parlare. Evidentemente
doveva aver
letto sul suo volto che egli si era un po’ ripreso dallo
spavento e non aveva
retto alla curiosità.
“Intendi
dire come Duncan abbia esattamente individuato dove si trova la
Wallace? Non ne
ho idea, non ho capito un granché quando ha spiegato a Ron
cosa volevate fare
per trovarla utilizzando la sua Aureola e quella storia delle
bacchette.”
L’altro
scosse la testa. “No, quello è piuttosto semplice,
in realtà, ma non ci importa
ora. Ti chiedevo se hai capito perché è crollato
e non respirava più, dopo…”
Fergus
si umettò le labbra prima di rispondere. Non ne era sicuro,
ma dovendo
giudicare dai sintomi e dagli incantesimi che aveva dovuto utilizzare
per
aiutare Seymour, aveva elaborato una tesi. “Ah,
credo… Sì, io penso che abbia
dovuto creare un legame molto più profondo con la magia di
Audrey di quanto
pensasse all’inizio per individuarla. I sintomi che ha avuto,
la perdita di
conoscenza, il blocco respiratorio, tutto mi fa pensare che per
trovarla,
Seymour abbia creato una sorta di comunicazione tra la sua magia e
quella di
Audrey. Penso che … Temo che, ovunque, si trovi lei sia in
grandissime
difficoltà, sotto qualche tremendo incantesimo, una magia
così forte da essere
in grado di bloccare o ridurre al minimo ogni sua attività
corporea, persino la
respirazione. Se assorbendo una minima parte di
quell’incantesimo, Seymour ha
avuto quell’effetto…” Finire la frase
era troppo penoso, ma non ce ne fu
bisogno.
Smith
annuì “Speriamo solo che Duncan si riprenda in
tempo per permetterci di
individuarla. Il Capitano Potter è stato chiaro, non
possiamo rischiare di
tentare di nuovo di agganciare la sua aureola, siamo già
troppo pochi per
questa missione.”
Fergus
strinse i pugni a quelle parole: troppe volte negli ultimi giorni si
erano
sentiti vicini alla meta solo per scoprire che quella che pensavano
fosse la
cima della montagna altro non era che una piccola sporgenza che
nascondeva il
suo colmo. Era così frustante. Ma non c’era altro
da fare se non lavorare e
lavorare ancora, il termine dell’ultimatum di Diodora era
sempre più vicino.
**
*
**
Nell’ufficio
del Capitano Weasley aleggiava quel silenzio che Harry Potter aveva
cominciato
ad associare ai momenti di crisi più nera e, pertanto, a
detestare. Era piena
notte, il Ministero era semideserto e il Trio magico aveva
l’aria stanca.
“Pensi
che Duncan si
riprenderà in tempo?”
Ron
scrollò le spalle. “Posso solo sperarlo. Fergus e
Smith hanno detto che prima
di crollare ha detto di aver individuato Audrey. Ringrazio solo il
cielo che
mio fratello non fosse presente. Ti rendi conto di cosa sarebbe stato
per lui
assistere? Essere così vicino a sapere dove si trova la sua
donna e
contemporaneamente vedere l’unica persona in grado di dargli
la risposta che
cerca più di ogni altra
nell’impossibilità di aiutarlo?”
Lo
vide stringere la mano di Hermione così forte che la sua
migliore amica ebbe un
piccolo sussulto. Arrossendo un po’, Ron sorrise a sua moglie come a scusarsi.
“Non
ci resta che andare avanti.” Osservò amaro Harry.
“Già,
abbiamo ancora... Quanto? Sedici ore?”
“Più
o meno, il sole tramonta alle 18.30.” Precisò
Hermione.
Il
giorno e la notte avevano ormai perso gran parte del loro significato:
si
mangiava quando si poteva, si riposava a turni, nessuno di loro era
tornato a
casa dalla mattina precedente quando Robards aveva bocciato il piano
che Harry
gli aveva presentato. Il pensiero che avrebbe potuto passare le sue
ultime ore
lontano dalla sua amata Ginny e da James era così tremendo
che rischiava di
soffocarlo, ma non poteva indugiarci. Sarebbe andato tutto per il
meglio.
Diodora Mackenzie avrebbe fatto meglio a farsi catturare, altrimenti il
Bambino-Che-Era-Sopravvisuto, sarebbe risuscitato per
l’ennesima volta per il
puro gusto di farla pagare alla criminale che l’aveva privato
di tutto ciò che
amava più della sua stessa vita. A lei e a quel cocciuto del
Direttore Robards.
Harry,
che lo ammirava molto, trovava incredibile come il Direttore, un auror
capace,
continuasse ad utilizzare gran parte delle forze a sua disposizione nel
tentativo di trovare Diodora, senza prendere minimamente in
considerazione ciò
che gli era stato detto dal Dottor Esperanthus o l’ultimatum
della Mackenzie
per la sua pervicace convinzione che le speculazioni
sull’utilizzo
della magia pura fossero baggianate.
Ma
se non poteva essere vicino a James e Ginny, in quelle ore, poteva
almeno
prendersi cura dei suoi migliori amici. Cominciando ora.
“Dovresti
cercare di dormire un po’, Hermione.” Le
consigliò.
“Gliel’ho
già detto anche io, almeno un paio di volte, ma lo sai che
non ci ascolterà,
Harry.” Rispose amaro Ron.
“Non
mi sembra che voi due stiate facendo un pisolino o che lo stiano
facendo
Percy o Thabatha. Perché lo dovrei fare io?”
Ron
sbuffò.
“Noi non siamo incinti!”
“Ah
sì? E vuoi spiegarmi esattamente di chi è la
colpa, Weasley, se sono io quella incinta?”
A
quella esclamazione detta con una certa stizza, Ron, il volto
improvvisamente
addolorato come se lei l’avesse preso a schiaffi, ebbe la
saggezza di non
rispondere. Era ovvio che la stanchezza e la preoccupazione non li
aiutava ad
essere lucidi, Harry sapeva che i suoi due amici erano assolutamente
entusiasti
di diventare genitori, ma la paura per ciò che avrebbe
potuto succedere al loro
bambino se il piano di Diodora fosse divenuto realtà,
rendeva la gravidanza di
Hermione un argomento estremamente delicato.
Qualunque
cosa la strega volesse aggiungere, dopo che il suo viso era diventato
improvvisamente pallido, realizzando cosa quella sua ultima frase
doveva aver
implicato per Ron, fu interrotta dall’arrivo di Neville, che
aveva bussato alla
porta.
Harry
non era mai stato tanto felice di vedere il Grifondoro come ora. Aveva assistito ad
abbastanza
litigi dei cognati per sapere che erano delle faccende estremamente
sgradevoli.
“Scusate
l’interruzione, ho pronto il tonico che mi hai chiesto, Ron.
Non può aspettare.
Per essere pienamente attivo deve essere somministrato almeno dodici
ore
prima dell’evento traumatico per madre e bambino, ma per
avere maggiore
efficacia è opportuno berlo almeno quindici ore
prima.” Con quelle parole Neville
porse ad Hermione una minuscola boccetta con del liquido opalescente.
Lei
la guardò un po’ esitante. Non che avesse tutti i
torti, Harry voleva bene a Neville,
ma l’amico era sempre stato un disastro con le pozioni.
Quasi
a leggere i suoi pensieri, l’insegnante precisò
“Non è una vera pozione, quanto
più un decotto di diverse piante: la felce di Iuno Lucina
per fortificare il
bambino, un goccia di estratto di mandragola – non serve solo
per combattere i casi
di pietrificazione, ricordate? – camomilla, arnica e altre
cinque o sei piante.
Ho messo un po’ di liquirizia per cambiarle sapore, Hermione,
non temere, non
vorrei mai farti venire la nausea proprio ora.”
Una
cosa era certa, Neville cresceva, ma rimaneva sempre infinitamente
gentile con
i suoi amici.
“Grazie.”
Sussurrò lei, prima di bere. “Non è per
niente sgradevole come sapore, Neville.”
“Oh,
bene, lo speravo proprio. E’ la prima volta che provo a
renderlo più gradevole,
Hannah ama la liquirizia e allora ho pensato che, magari,
potesse...”
“Grazie,
Neville, davvero.” Aggiunse Ron a bassa voce, prima di
avviarsi verso la porta “Devo
parlare con i miei uomini, scusatemi.” Lo sguardo che
lanciò a sua moglie prima
di uscire spezzò il cuore ad Harry.
Anche
Neville che pur non aveva assistito alla esternazione di Hermione
dovette
capire che qualcosa non andava perché si voltò
verso Harry con aria
interrogativa.
Nello
stesso momento guardandolo sconsolata, Hermione gli
domandò con voce triste. “Tu
sai che non intendevo… Non volevo dire che… Non
può realmente pensare che lo
stessi accusando di aver messo la mia vita in pericolo ? Dimmi che non
… Non
dopo tutti questi anni insieme. Oddio, Harry che ho fatto.”
Harry
avrebbe voluto negare, ma se c’era una cosa della quale era
sicuro era che il
Capitano Ronald Bilius Weasley pluridecorato Auror straordinario
nascondeva
dentro di sé ancora il piccolo Ron sesto figlio maschio, il
ragazzino convinto
fino all’ultima fibra del suo essere di non poter mai
bastare, di non essere
mai grande a sufficienza per meritarsi la brunetta che ora guardava
Harry
Potter piena di rimorso. Quell’Auror non avrebbe
indietreggiato di fronte al
peggiore dei maghi oscuri, ma era ancora sufficiente la più
piccola parola di
Hermione per spezzarlo.
**
*
**
“Procuratore
Weasley, guardi!” L’indice con lo smalto azzurro
con piccole lune dorate di
Thabatha si fermò improvvisamente sulla pergamena. Avere quel
testo era stata una mezza impresa e francamente preferiva non sapere
come Harry
ne fosse venuto in possesso. Sapeva solo che quando
gliel’aveva consegnato suo
cognato l’aveva pregato di non riferire a Ginny che aveva
delle ammiratrici giù
all’Ufficio dei Misteri.
Gli
occhi azzurri di Percy scorsero velocemente il paragrafo che la giovane
auror
gli mostrava.
La
notte del 6 settembre 1666 l’Indicibile Freynar aveva
registrato nell’inventario
dei reperti del Dipartimento dei Misteri il manufatto DM-5.9.666.
“Forma ovale, apparentemente di osso
o avorio
o materiale consimile. La superficie del manufatto è
completamente liscia e
priva di fessure, scanalature o feritoie. Simile ad una pietra di
fiume. Al
contatto con la pelle genera ustioni così gravi da
richiedere l’intervento dei medimaghi. Reperto di estrema pericolosità da conservare per
ulteriore studio.”
“Thabatha,
presto riprendi il decreto d’arresto di Dioscurus, per cortesia.”
Esclamò Percy.
Entrambi
lo guardarono attentamente, ma la giovane Auror fu la prima a parlare.
“Sono
una “I” ed una “F” intrecciate
procuratore, non solo una “I” come pensavamo. Il
cognome non è Reynar, ma Freynar.”
“Hai
ragione Thabatha. Quando mio padre sequestra e cataloga reperti all’Ufficio per
l’Uso Improprio dei Manufatti
Babbani, essi sono indicizzati secondo un codice alfanumerico, le
lettere fanno
riferimento al nome del soggetto sequestratario e i numeri alla data
del
sequestro. Per quanto ne so è una prassi comune a tutti gli
uffici del
Ministero.”
Thabatha
spalancò gli occhi a quella rivelazione.
“Procuratore, quindi D.M. starebbe per
Dioscurus Mackenzie e 5.9.666 per 5 settembre 1666. Non può
essere una
coincidenza, l’abbiamo trovato! Abbiamo trovato quello che
Diodora vuole
riprendersi!”
Percy
annuì. “Va
a cercare Ron, presto per
favore, Thabatha, dobbiamo immediatamente avvertirlo di quanto abbiamo
scoperto.”
Avevano
compiuto un altro passo importantissimo. Ora, però, dovevano
trovare il modo di
scoprire dove fosse conservato il manufatto all’interno del
segretissimo Ufficio
dei Misteri e se fosse stato studiato oltre.
**
*
**
Dopo
il lampo di luce che l’aveva quasi accecata nella sua testa
ed aver sentito
ininterrottamente la voce di Duncan per ore, l’improvviso
silenzio che ne era
seguito aveva terrorizzato Audrey. Cosa era successo? Aveva tentato
più volte
di ristabilire la connessione con lui senza successo.
Perché? Non sapere era
quasi altrettanto frustrante che non poter far nulla. Sperava solo che
in
quelle lunghe ore in cui aveva sentito la sua voce, Duncan avesse
potuto
sentire lei, che tutto il piano di Diodora che lei gli aveva tentato di
riferire fosse stato percepito dall’altro Auror, come lei
aveva sentito il suo
disperato bisogno di capire dove fosse.
**
*
**
Diodora
guardò la superficie della pozione. Era così
bella. Era così meravigliosamente
innocua a vedersi. Così devastante per quanto sarebbe stata
usata. E finalmente
era pronta. Nella notte più nera prima della luna nuova,
Diodora poteva vedere
come in pieno sole. Era un difetto di vista, avevano detto i Medimaghi.
Era una
caratteristica della famiglia paterna diceva sua madre. Ma loro
sbagliavano,
lei lo sapeva. Era il suo fuoco interiore, quello che ardeva freddo e
inestinguibile
da sempre dentro di lei. Quello che la rendeva unica e inarrestabile.
Quello in
cui, come il suo antenato, avrebbe voluto avvolgerle tutto
ciò che la
circondava, un abbraccio che non si sarebbe mai concluso
perché avrebbe
concluso la vita stessa in un’ardente fiamma gelida.
Con
un misurato gesto della bacchetta raccolse la quantità
necessaria di pozione in un
calice, poi, facendolo fluttuare lentamente davanti a sé, si
avvicinò all’Auror.
La
stasi in cui l’aveva gettata era ancora profonda come nel
momento in cui aveva
scagliato l’incantesimo. Persino nelle ore precedenti in cui
lei era stata
lontana, intenta a rivedere i particolari del suo piano, la donna era
rimasta sotto
il suo completo potere.
Era
ora di somministrarle la pozione, servivano diverse ore
perché essa creasse in
lei tutte le trasformazioni fisiche e biologiche necessarie a far
credere al
suo corpo che c’era una vita che cresceva dentro di lei.
Peccato che, anziché
dare la vita, Audrey sarebbe stata il suo strumento per dare la morte e
riprendersi ciò che le apparteneva.
Sollevando
magicamente la coppa e il corpo apparentemente privo di coscienza
dell’auror,
Diodora si assicurò che l’esile donna bevesse fino
all’ultima goccia del
prezioso liquido.
Poteva
sentire chiaramente nella fluttuazione della sua magia così
legata a quella
della prigioniera, tutto il suo terrore, sentirne l’urlo
disperato. Molto bene,
faceva bene ad essere assolutamente terrorizzata. Nessuno poteva
salvarla. Nessuno
poteva sentirla, solo lei Diodora poteva. Nessun altro che fosse
entrato in
quel nascondiglio in piena vista, nel centro di Londra, avrebbe potuto.
Nel
silenzio assoluto di quella stanza completamente buia persino una
foglia che
cadeva a terra sarebbe riecheggiata, il grido di Audrey non esisteva se
non
nelle menti indissolubilmente legate delle due donne, la criminale e
l’auror.