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Autore: Fink    02/10/2013    2 recensioni
Un Judgement Day un po' diverso, con un finale alternativo... molto probabilmente ci sarà meno "Action" e molto piú romanticismo e non solo...
Fa parte della serie "Maybe a second life", nella quale questa long sarà la giusta premessa a "Conosci te stesso"...
Ok...spero via piaccia e buona lettura.
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jennifer Shepard, Leroy Jethro Gibbs, Un po' tutti, Ziva David
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Maybe in another life'
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Imperdonabile, lo so, sono davvero imperdoanbile per questo ritardo. Spero non siate fuggiti tutti e non vi siano venuti i capelli bianchi per l'attesa.
Come sempre spero che il capitolo vi piaccia un pochino e beh, se ci sono critiche non esitate a farle.
Buona lettura






CAPITOLO QUINTO. Effetti collaterali





Washington D.C. – Casa del direttore Shepard


“Non posso non immischiarmi Jen, come non posso fare a meno di preoccuparmi per te.” Le parole che Gibbs le aveva sussurrato quando pensava che stesse già dormendo le tornarono in mente vivide, come se fossero passati solo pochi istanti e non diversi giorni.
Jen si rigirò inquieta nel letto, i punti le davano fastidio e la ferita non smetteva di bruciare, ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva davanti a se gli uomini di Svetlana e riviveva la sparatoria. Era un miracolo che fosse uscita quasi illesa da quell’inferno, se non ci fosse stato Mike Franks a quest’ora sarebbe tre metri sotto terra e non nel suo comodo letto, non aveva ancora avuto occasione per ringraziarlo.
Tony aveva quasi rischiato il posto per lei ed era sicura che si stesse ancora tormentando per i sensi di colpa.
Per la prima volta sentì di non meritare il posto che occupava, nonostante gli sforzi che aveva fatto per arrivare a quel punto, forse non ne era all’altezza. La conversazione avuta molto tempo prima con Gibbs le tornò alla mente, come un boomerang che ritorna indietro, con maggior forza di quella con cui era stato lanciato “…però sei un direttore novizio*…”.
Già, un direttore novizio. Nonostante gli anni passati a volte si sentiva ancora una pivella, soprattutto con lui.
Gibbs.
Forse questa volta aveva ragione – e quando mai non ne ha, pensò mentre un sorriso le increspava le labbra – avrebbe dovuto dirgli la verità, fin dall’inizio.
Ma con lui era così dannatamente complicato.
Non era mai stata fiera delle scelte che aveva fatto nei suoi confronti, era scappata lasciandolo da solo, gli aveva nascosto un’infinità di cose, aveva chiesto ad un suo agente di tenergli nascoste delle informazioni.
Risolvere da sola il problema di Svetlana le era sembrata l’unica cosa sensata da fare, per farsi perdonare, non importava se ciò significava morire, l’avrebbe fatto volentieri se fosse servito a dare a Jethro una possibilità in più, un po’ di tempo in più per risolvere l’ennesimo pasticcio che lei aveva causato.
Ma nemmeno questa volta le cose erano andate come ava sperato, lei era ancora viva e lo era anche Svetlana, nemmeno questa volta aveva risolto il problema e ora Gibbs sapeva.
Forse era venuto il momento di raccontargli come stavano le cose.
Scivolò giù dal letto, prese la vestaglia che era piegata sulla sedia e scese le scale.



∂∂∂



L’agente Gibbs appoggiò il fascicolo su Deker sul tavolino basso accanto a sé e si stropicciò gli occhi.
Aveva letto e riletto i fogli per quasi un’ora cercando un qualsiasi indizio che lo portasse a capire come erano riusciti ad arrivare a William. Aveva addirittura messo i fogli in controluce, uno per uno, per scorgere qualche parola al di sotto della cancellatura, ma senza alcun risultato.
Ricordava benissimo che, dopo la missione a Parigi, sia Deker sia l’agente infiltrato avevano cambiato identità e per un periodo si erano dovuti nascondere in qualche sperduta località del sud America.
Erano state prese tutte le precauzioni necessarie, era impossibile scoprire la loro identità, l’unica opzione plausibile era che qualcuno avesse cantato e che la notizia fosse trapelata per questo motivo.
Ma il come fossero arrivati a lui e chi fosse il responsabile della soffiata non era il suo unico problema anzi, al momento ne aveva uno ben più urgente: Svetlana.
La donna era ancora viva e questo significava che qualcosa non era andato secondo i piani.
Ma perché Jen non gliene aveva mai parlato?
Perché aveva lasciato credere a tutti di aver portato a termine il lavoro, ben sapendo quali sarebbero potute essere le conseguenze?
Perché aveva cercato Mike e non lui?
Temeva forse che si sarebbe arrabbiato? I pivelli sbagliano e lei a quel tempo era alle prime armi, era stata gettata nella mischia senza alcuna esperienza. Ma se non aveva ucciso Svetlana, come aveva fatto lei a scampare ad una killer professionista quella notte?
Troppe domande si mescolavano nella sua mente e per nessuna aveva una risposta definitiva, solo vaghe supposizioni.
Portò le mani dietro la testa e si massaggiò la nuca, arruffando i capelli. Doveva parlare con Jen e affrontare il discorso, ma doveva cercare un approccio pacato e soprattutto doveva far si che fosse lei a dirglielo, di sua spontanea volontà o non avrebbe ottenuto nulla.
Ma prima di tutto c’era una cosa più importante, doveva farsi un caffè.
Prese la tazza vuota che era appoggiata sul tavolino accanto al fascicolo e si diresse in cucina. Sciacquò la tazza e dopo averla posato sul ripiano di granito iniziò ad aprire alcune ante alla ricerca del caffè.
“Non è molto educato ficcanasare in casa d’altri.” La voce un poco assonnata di Jen gli giunse alle spalle.
“Stavo cercando del caffè, non riuscivo a dormire.” Ripose voltandosi per guardarla mentre attraversava la cucina e si fermava accanto a lui.
“Certo, si sa che la caffeina è il miglior rimedio per l’insonnia.” Sorrise ironica. “alla tua sinistra, sul secondo scaffale, il barattolo rosso.”
“Dovresti prendere l’abitudine a rimettere le cose in ordine e sempre allo stesso posto.”
“Sono in ordine e allo stesso posto.”
“No. Una volta il caffè era su questo ripiano qui.” disse lui indicando un punto alla sua destra.
“È passato molto tempo da allora e ci sono stati dei cambiamenti.”
Si guardarono per un istante, consci della doppia valenza di quella frase poi entrambi distolsero lo sguardo, concentrandosi su un’altra occupazione.
“Come mai sei ancora sveglia?” chiese lui posando la moka sui fornelli e accendendo il gas.
“La ferita mi da un po’ di noia.”
“Dovresti essere a letto allora e non gironzolare per casa.” la ammonì, cercando di mantenere un tono di voce pacato, nonostante il disappunto per quel suo gesto.
“Sono stata peggio e poi il medico non ha detto che devo stare immobile a letto, ma solo di non fare sforzi per evitare che i punti si strappino.” Puntualizzò per non dargli il tempo di ribattere.
“Potevi chiamarmi, ti avrei aiutata.”
“A fare cosa? Scendere una rampa di scale? Non essere ridicolo Jethro, so cavarmela da sola.”
“Oh lo so. So benissimo che sai cavartela da sola, l’ho notato.” Non le era sfuggito il tono eccessivamente mellifluo e ironico con cui aveva pronunciato le ultime parole.
“Si può sapere di che cosa stai parlando?”
“Non fingere di non saperlo Jen.”
“Sei ancora in collera perché ho chiamato Franks anziché te? O perché ho ordinato ai miei - calcò di proposito su quella parola - uomini di prendersi una giornata libera e di lasciarmi sola a Los Angeles?”
“Perché non mi hai detto che Svetlana era ancora viva?” chiese mentre spegneva la fiamma.
“Non potevo.”
“Perché?”
Lei scosse impercettibilmente la testa, se avesse risposto sapeva che a quella domanda ne sarebbero seguite altre, una più complessa e più dolorosa dell’altra. La vide andare verso la credenza e prendere una seconda tazza che avvicinò alla sua. Jethro si versò metà del contenuto della moka e lasciò il resto a Jen.
“Non sapevo che fosse ancora viva, non subito almeno.” Rispose prendendo un sorso di caffè e appoggiandosi con la schiena ad uno dei mobili della cucina.
Jethro la guardò in silenzio, aveva deciso di parlare, qualcosa, qualsiasi cosa fosse, le aveva fatto cambiare idea ed era fermamente deciso ad ascoltarla, senza metterle alcuna fretta, anche se questo significava contravvenire alle normali abitudini.



∂∂∂



Messico


Mike Franks entrò nella stazione di polizia, attraversò l’unica stanza presente, salutando i due uomini affaccendati con alcune scartoffie ed entrò in una porta laterale che conduceva all’ufficio dello sceriffo.
“L’avete trovata?” chiese rivolto all’uomo che alzò la testa, sbucando dal cassetto in cui stava frugando alla ricerca di qualcosa.
“Sì, questa mattina. Era a casa sua.”
“Avete trovato niente?”
Lo sceriffo scosse la testa in senso di diniego “nulla di rilevante, non sembra abbiano preso nulla e non ci sono stati segni di effrazione.”
“Il medico legale che si è occupa dell’autopsia è sempre Rogers?” chiese Franks.
“Sì.”
“Bene, gli devo parlare.”
“Non sarà un bello spettacolo, era passata più di una settimana prima che la trovassero.”
“Lo so. Grazie sceriffo.” Rispose Mike prima di salutarlo ed uscire per riprendere l’auto.



∂∂∂



Washington D.C. – casa del direttore Shepard


Seduto accanto a lei sul divano del salotto Gibbs aveva ascoltato il racconto di Jen senza proferire parola, poteva sentire il senso di colpa che opprimeva la donna, come se gravasse su di lui.
Sentiva il desiderio di prenderle la mano per farle sentire la sua presenza e darle un poco di conforto, come aveva fatto in ospedale, ma sapeva che lei lo avrebbe respinto.
“Perché non me lo hai mai detto.” Chiese resistendo al desiderio di stringerla a sé.
“Non pensavo si sarebbe fatta viva. Solo qualche giorno dopo, e solo dopo la tua partenza, ho scoperto che non era morta… che avevo fallito.
Averi dovuto accertarmi della sua morte, ma non l’ho fatto. Non ho nemmeno avuto il coraggio di spararle…”
“Ma l’hai fatto.”
“Solo perché le avevo dato il tempo di prendere l’arma e allora era diventata legittima difesa. Avrei dovuto dirtelo Jethro.
“Sì avresti dovuto, soprattutto dopo la morte di Deker.”
“No, avrei dovuto dirtelo quando eri ancora il mio capo, ora non lo sei più. Non sono più tenuta a fare rapporto a lei agente Gibbs.”
“Perché non vuoi mai farti aiutare.” il suo tono era di nuovo irritato.
“Mi sono fatta aiutare da Franks.”
“Ma non da me, perché?” il volto sembrava impassibile, ma lei riuscì a scorgere un accenno di delusione in quegli occhi cristallini che ora la stavano fissando in attesa di una risposta.
Abbassò il capo, era stanca, il fianco le doleva, la testa aveva iniziato a girarle per l’eccessivo sforzo e continuava a sentire gli occhi di Jethro su di sé.
Perché ti volevo proteggere” le disse una voce fastidiosa nella sua testa “perché era una faccenda personale e dovevo sbrigarmela da sola.” Risposero le sue labbra.
“Come hai fatto con la Grenouille? Un ottimo lavoro davvero.” disse beffardo
Colpita.
“Badi a come parla agente Gibbs.” Lo ammonì.
Perché dovevano sempre discutere, perché ogni conversazione finiva con un litigio. Si alzò infastidita e si diresse verso le la propria camera, Gibbs la raggiunse a metà scalinata.
“No direttore, questa volta non te ne andrai così, voglio sapere, ho il diritto di saperlo.”
“Dannazione Jethro! Perché non puoi mai accettare che me la cavi da sola. Perché devi sempre…”
Non le lasciò completare la frase. La sua bocca raggiunse quella di Jen, catturandola con un bacio. Sentì la punta della sua lingua sfiorarle il labbro inferiore prima di chiederle il permesso di entrare. Chiuse gli occhi e si lasciò trasportare dalle sensazioni di quel bacio, ritornando in una terra selvaggia che non aveva mai completamente abbandonato e dimenticato.
“Ti è sufficiente come risposta?” chiese allontanandosi un poco ma senza distogliere gli occhi dai suoi.
La vide sorridere impercettibilmente prima che il suo cellulare iniziasse a squillare.
“So come hanno fatto a trovarvi.” Disse la voce di Franks all’altro capo.











NdA:


* la frase è ripresa dalla puntata della terza stagione "Pivello" durante una discussione tra Gibbs e Jen nell'ufficio di quest'ultima.
   
 
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