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Autore: Sakyo_    09/10/2013    3 recensioni
[Spezzone del 6° capitolo]
Ci ritrovammo così, in quella posizione non voluta ma perfetta, i nostri visi a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro. I capelli lunghi di Castiel mi solleticavano la fronte e il suo profumo pungente arrivò fino alle mie narici.
Per qualche secondo restammo a guardarci negli occhi: era la prima volta che li osservavo bene, e ne rimasi ipnotizzata. Profondi, intensi, neri come la pece.
«Adatti» mi ritrovai a pronunciare senza accorgermene.
Castiel mi guardò interrogativo.
«I tuoi occhi... Sono proprio adatti a te» affermai convinta.
[Spezzone del 13° capitolo]
«Non dirlo Nath, io sto bene con te…»
«E allora permettimi di renderti felice»
Una frase che arrivò come una cannonata in pieno petto. Mi sentii così confusa e inibita, come se mi fossi svegliata improvvisamente da un’anestesia totale.
Col dorso della mano mi carezzò la guancia nel modo più dolce possibile, mentre mi confessava il suo amore sincero.
«Sono innamorato di te, Emma»
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Iris, Nathaniel, Nuovo personaggio, Rosalya
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Night and Day
Capitolo 14


La mattina seguente avevo un febbrone da cavallo. Il mio comodino era diventato un tutt'uno con l'ammasso di fazzoletti usati che vi avevo poggiato sopra, troppo debilitata per alzarmi dal letto e arrivare fino al cestino sotto la scrivania. Quando ero tornata a casa la sera prima mi ero ritrovata il cappotto di Nathaniel sulle spalle ma nel momento in cui me ne accorsi lui se n'era già andato. Maledetta la mia idea di uscire con la minigonna a dicembre. Ora i sensi di colpa mi attanagliavano, e non solo a causa dell'immagine di Nathaniel che percorreva la strada di casa con solo un maglioncino addosso. Oltre al cappotto, mi aveva donato anche i suoi sentimenti. Li aveva svelati come se fossero la cosa più naturale del mondo e questo mi aveva fatto un enorme piacere. Ma adesso anche sforzandomi non riuscivo a focalizzare alcun pensiero logico con la testa che sentivo estremamente calda e pesante.
Mio padre entrò nella stanza con la grazia di un elefante e il vassoio che teneva in mano tremò pericolosamente quando i suoi piedi inciamparono in un qualcosa di indefinito che si trovava per terra.
«Ti ho portato la medicina, tesoro»
Chissà perché la sua voce mi risultò di due note più alta.
Bofonchiai un grazie non troppo sentito, e con una smorfia di disgusto bevvi tutto il contenuto del bicchiere che mi porse.
«Ti ho preparato anche il latte caldo con il miele, vedrai che ti aiuterà»
Gli chiesi di poggiare il vassoio sulla scrivania e mi girai dall'altra parte del letto dandogli le spalle. Mi sentivo troppo intontita e volevo solamente riposare.
Ma come al solito, nemmeno quella volta mio padre capì il mio desiderio inespresso.
Restò in silenzio in piedi di fronte al mio letto, mossa che mi costrinse a domandargli cosa volesse.
«Vedi Emma, se ieri sera non fossi uscita con quel ragazzo probabilmente ora non staresti così male» disse con tono serio e profondo.
Roteai gli occhi e mi tirai le coperte fino al naso «Papà, ti prego... Nathaniel non è di certo un portatore di virus febbrili»
«Vuoi dire che tu e lui... Vi siete...»
«Oddio» sussurrai esasperata. «Non è quello che intendevo. Non è successo nulla, sta' tranquillo» e con le ultime forze che mi erano rimaste gli dissi che volevo provare ad addormentarmi. Chiusi gli occhi sperando di sentire i suoi passi abbandonare la mia stanza.
«Meglio così allora» lo sentii sospirare pesantemente, come se si fosse alleggerito dopo essersi liberato di un grande peso «Sai anche tu di essere ancora troppo piccola per...»
«Papà!» esclamai esasperata.
«Va bene, va bene. Ti lascio riposare» detto questo, finalmente mi lasciò sola.

La febbre mi fece compagnia per tre giorni. All'inizio del quarto mi era rimasto solo un leggero raffreddore e la voce un po' nasale che però non convinsero papà a farmi rimanere a casa.
Uscii armata di maglia di lana, felpa, cappotto, guanti e uno sciarpone più grande di me, ma soprattutto uscii insieme ad una buona dose di desolazione.
Il problema non fu tanto arrivare a scuola, quanto varcare il suo cancello. Restai lì davanti, impalata come una statua, a fissare la pomposa insegna del Dolce Amoris come se fosse la prima volta che la vedevo realmente. Da quando ero arrivata in quel liceo ne erano successe davvero molte, e nonostante avessi imparato ad apprezzare quel luogo per tutto ciò che mi aveva regalato, in quel  momento non riuscivo a mettere un piede dietro l'altro per entrare lì dentro. Il motivo era fin troppo semplice. Andare a scuola significava vedere Iris, Nathaniel, Castiel. Significava affrontarli,  nel bene o nel male. Ed io non ero pronta per questo, non lo ero assolutamente.
Sbirciai da dietro la colonna destra del cancello per vedere se ci fosse qualche inserviente o qualche professore nei paraggi, e appena appurai che nel cortile vi fossero soltanto studenti, mi girai verso la strada da cui  ero venuta e allungai il passo.
Stavo scappando, ne ero consapevole. Ma era l'unica cosa che potessi fare nella situazione in cui mi trovavo.

«Vuoi venire qui domani? Ma... Tuo padre lo sa?» la voce di Alisha rispecchiava la sua preoccupazione.
Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che ci eravamo telefonate, e ora che stavo parlando con lei mi accorsi di quanto mi era mancata.
«Glielo dirò quando sarò in viaggio» se avessi detto a papà che avevo intenzione di tornare per qualche giorno nella mia vecchia città, lui me l'avrebbe sicuramente impedito. In primis perché avrei saltato un altro giorno di scuola, e poi perché mi ero da poco ripresa dall'influenza e permettermi di fare un viaggio da sola significava essere facile preda di chissà quali pericoli pseudo-mortali.
La mia amica si era resa disponibile ad accogliermi in casa sua per due o tre giorni, dopodiché sarei tornata a Fairfield.
Il viaggio in treno fu particolarmente stressante. Le cinque ore che mi separavano dalla vecchia città si fecero sentire una per una e sembravano non finire più. Cercai di dormire ma il ragazzino seduto di fronte non la smetteva di muoversi freneticamente assestandomi dei calci sugli stinchi e pestandomi i piedi come fossero uva da trasformare in vino. Sbuffai per far capire alla madre che esistevano due termini, "educazione" e "immobilità" - a lei probabilmente ignoti - che avrebbero facilmente risollevato il mio umore se fossero stati messi in pratica dal suo simpatico figlioletto.
Presi l'ipod dalla borsa e riuscii a rilassarmi per una buona mezz'oretta prima che la batteria arrivasse a segnare lo zero per cento sullo schermo. Mi morsi le labbra per non imprecare. Solo una cosa mi ero ripromessa di non fare durante quel viaggio: pensare. Ma sembrava che tutto e tutti si stessero prendendo gioco di me. Lanciai un'occhiataccia al marmocchio che di rimando mi fissò imbambolato per parecchio tempo, e poggiando il mento sulla mano mi dedicai alla visione del paesaggio invernale che sfrecciava fuori dal finestrino.
Il treno si fermò ad una stazione delimitata da due grandi aceri spogli. L'inverno li aveva denudati di tutte le foglie, ma ai miei occhi il loro rosso fiamma risaltava contro le pareti grigiastre dell'insulso edificio urbano. Il mio cuore accelerò il battito e desiderai ardentemente che quegli alberi si rivestissero di colpo della loro naturale bellezza. Desideravo vedere ancora una volta le sfumature di quella chioma, e ricordai con nostalgia quel giorno in palestra in cui avevo tenuto tra le mani i suoi capelli e mi ero resa conto della loro strabiliante morbidezza. Già, che strano. Quei capelli non sembravano affatto morbidi alla vista...
Una morsa allo stomaco mi costrinse a spazzar via tutti i pensieri dalla testa.
Non dovevo più pensare a lui, mi ero fatta questa promessa e volevo a tutti i costi rispettarla.
Chiusi gli occhi e poggiai la testa contro lo scomodo e freddo finestrino e nelle mie orecchie risuonò soltanto il roboante fischio del treno che segnalava la sua partenza.

L'abbraccio di bentornato in cui mi avvolsero Alisha e Kate sapeva di casa.
Quella stessa sera organizzammo un mini pigiama party tra di noi per raccontarci le novità più succulente. Le suddette riguardavano quasi esclusivamente i ragazzi e sebbene ne fossi cosciente, non ero ancora psicologicamente pronta per affrontare i quattro mesi della mia vita appena trascorsi e tutti gli avvenimenti nei quali avevo rivestito un misero ruolo da vittima ai miei occhi, probabilmente da carnefice agli occhi delle mie amiche.
«Questo Nathaniel è proprio il mio tipo» affermò Kate con espressione sognante «Peccato che abitiamo così lontani, altrimenti mi sarei occupata io di lui»
Sorrisi debolmente sgranocchiando una patatina.
«Ma ti sembra il caso di pensare a Nathaniel quando c'è in gioco uno come Castiel?» esclamò Alisha accigliata «Da come l'ha descritto Emma dev'essere un tipo tremendamente sexy»
«Potrà essere sexy quanto ti pare, ma se dopo un bacio si comporta peggio di un bambino per me non vale un centesimo» controbatté l'altra più che convinta.
«Invece sono sicurissima che Emma sceglierà lui... Vero?» chiese Alisha rivolgendosi a me.
«Non lo so...» fu l'unica frase sentita che riuscii a dire a riguardo.
«Dai, non farle pressione. E' normale che sia confusa, anche io lo sarei»
Era proprio come aveva detto Kate. Mi sentivo così confusa che pensare a quei due non mi avrebbe portato a nessuna soluzione. Gli avvenimenti accaduti nell'ultimo periodo erano ancora troppo vivi, troppo impressi dentro di me e riuscire ad essere obiettiva sembrava un'impresa titanica. Ma forse l'obiettività non c'entrava poi granché...
«L'unica cosa che conta è che la scelta che farai deve venire solo e unicamente dal tuo cuore. Intese?» disse Kate facendomi l'occhiolino.
Già, era al cuore che spettava ogni decisione. Se solo fossi riuscita a farlo capire alla mia testa, tutto avrebbe trovato una propria conclusione logica e naturale.

Al mio risveglio la mattina dopo trovai un post-it di Alisha sul tavolo in cucina, assieme al cartone del latte e a un cornetto al cioccolato.
"Sono a scuola, i miei sono al lavoro.
Ci vediamo alle due!
Baci
Ps. Non è che potresti dare una sistematina alla camera?"
Sorrisi leggendo l'ultima riga e dopo aver fatto colazione mi rimboccai le maniche per eseguire gli ordini della mia amica.
Come ringraziamento della sua ospitalità avevo deciso di prepararle un pranzetto coi fiocchi. Il frigorifero cercò di ostacolare la mia missione, ma armata di buoni propositi mi vestii e uscii di corsa per andare a fare la spesa.
Che bello essere di nuovo qui, pensai.
La signora del negozio di alimentari mi riconobbe e iniziò a tempestarmi di domande. Com'era la vita nella nuova città, se mi ero ambientata bene, come stava mio padre... Sì, ero convinta che da sempre avesse un debole per papà.
Mentre ero intenta a chiacchierare allegramente con lei, qualcuno alle mie spalle si impegnò in un sonoro colpo di tosse.
Effettivamente io e la signora avevamo monopolizzato la cassa. Mi voltai all'indietro per scusarmi, ma le parole mi morirono in gola.
Qualcuno che assomigliava incredibilmente a Ken mi sovrastava dall'alto del suo metro e ottanta circa. Se non fosse stato per un fisico scolpito e un paio di occhi smeraldini che non ricordavo di aver mai visto, avrei messo la mano sul fuoco riguardo la sua identità. Il Ken che ricordavo io era mingherlino, alto quanto me e con gli inseparabili fondi di bottiglia sul viso.
Non poteva essere lui, però...
«Ken?» io stessa riuscii a sentire a malapena la mia voce pronunciare il suo nome.
Il ragazzo scosse la testa, la frangia castana ricadde prepotentemente sui suoi occhi mozzafiato.
«Ti stai sbagliando...»
Quasi tirai un sospiro di sollievo. Era ovvio che non potesse essere lui. Come mi era venuto in mente di scambiarlo per il mio vecchio compagno di classe?
«Io mi chiamo Kentin»
Spalancai gli occhi e ci mancò poco che la busta della spesa mi cadesse per terra.
«Cosa diavolo ti hanno fatto?!» esclamai senza rendermene conto.

«Sono quasi quattro mesi che mi alleno all'Accademia, è ovvio che il mio fisico sia cambiato»
Certo, sì, era ovvio. Come poteva essere ovvio che io avevo le branchie.
La sua presenza così diversa mi faceva ancora uno strano effetto nonostante fossero passati dieci minuti buoni dal nostro casuale incontro.
«Cavoli Ken, sei proprio un'altra persona» dissi con l'espressione di un pesce lesso. Forse lo stavo guardando un po' troppo e ebbi l'impressione che la cosa lo turbasse.
«Smettila di chiamarmi così. Piuttosto, tu che ci fai qui?»
Un momento. Il suo tono non era un po' troppo rude? Il Ken che conoscevo io mi sarebbe come minimo saltato addosso se mi avesse rivista dopo tanti mesi di lontananza.
«Diciamo che ho intrapreso un viaggio di riflessione...» spiegai non troppo convinta.
Lui sogghignò «Rifletti su cosa? Se sia meglio mangiare tutte le provviste di biscotti o lasciarne un po' per il letargo?»
Lo fissai accigliata. «Cosa ne hai fatto dell'altro te stesso?»
Kentin mi lanciò uno sguardo astioso ma rimase in silenzio. Ci dirigemmo al parco poco lontano dalla nostra vecchia scuola senza spiccicare una parola e ci sedemmo su una panchina.
Quel mutismo mi stava creando disagio, ma di azzardare altre battute non se ne parlava proprio, perciò me ne uscii con un noiosissimo commento sul tempo e sul fatto che il parco non era proprio il luogo ideale per passare una mattinata in compagnia.
«Se vuoi sei libera di andartene, nessuno ti ha obbligata a venire fin qui»
Adesso stava esagerando. «Si può sapere cosa ti ho fatto?»
La sua testa scattò come una molla verso la mia, gli occhi verdi riflessi nei miei.
«Non mi hai fatto proprio nulla»
Era come se in realtà quegli occhiali spessi fossero ancora lì, poggiati sul suo naso. Il colore delle sue iridi doveva essere abbagliante, eppure risultava spento. Completamente vuoto, come quando le lenti gli incorniciavano il piccolo viso bambinesco.
D'un tratto fui assalita da una forte malinconia. Sapevo di non averne il diritto, ma sentivo la mancanza del Ken dolce e imbranato di una volta.
Così, senza volerlo, due lacrime calde bagnarono le mie guance infreddolite dall'inverno.
Kentin rimase spiazzato dalla mia reazione e lo vidi agitarsi notevolmente. Era come se uno spiraglio del vecchio se stesso fosse tornato improvvisamente a trovarmi.
«Scusa» bofonchiai «E' che sei così diverso...»
Il ragazzo accanto a me abbassò la testa e mise le mani incrociate sulle ginocchia. Il suo fisico, ora, era a tutti gli effetti quello di un uomo.
«Vuoi dire che prima ti piacevo di più?» disse sorridendo amaramente.
«Ken...»
«Sto scherzando. So bene di non esserti mai piaciuto» tirò fuori dalla tasca un fazzoletto e me lo porse senza degnarmi di uno sguardo.
Mi asciugai gli occhi e mi pentii di essermi messa a piangere per quel motivo. Aveva dovuto passare un periodo davvero difficile per subire un cambiamento del genere e io non potevo di certo lasciarmi andare a stupidi sentimentalismi, conoscendo più che bene i suoi sentimenti per me.
«Il tuo è una fuga d'amore solitaria?» disse improvvisamente.
«Potrei definirla così, sì» risposi. Era sempre stato un ragazzo fin troppo sensibile, magari era per questo che l'aveva capito al volo. «Non riesco a prendere una decisione» aggiunsi.
«Le decisioni non sono facili da prendere» lui doveva saperlo bene.
«Già»
Il vento soffiava forte e il mio naso si era ghiacciato e arrossato per colpa del freddo. Stavo per coprirlo con la sciarpa, prima che Kentin mi baciasse.
Le sue labbra gelide toccarono le mie e subito dopo la sua lingua provò ad infilarsi prepotentemente nella mia bocca. Non vi era alcun sentimento in quel gesto, né da parte sua né dalla mia. Ma ci fu un qualcosa che captai, un lieve tremore si impossessò di me nel momento in cui sovrapposi la sua immagine con quella di un altro ragazzo.
La razionalità tornò da me non appena mi resi conto della situazione e con uno spintone scansai via Kentin dal posto in cui si trovava. Lui nemmeno mi guardò, si limitò a prendere la busta della sua spesa e ad andarsene via, lasciandomi da sola.
Poco dopo compresi. Non mi aveva baciata per amore o per chissà cos'altro.
L'aveva fatto per aiutarmi a capire. Per aiutarmi a fare la mia scelta.
E finalmente avevo capito.
Avevo fatto la mia scelta.



Note autrice: Yay! Ce l'ho fatta! Questo capitolo mi frullava in testa già da un po' ma non riuscivo a scriverlo. L'ho iniziato qualche giorno fa poi mi sono bloccata, e quando questo succede mi viene un nervoso e di solito non riesco più ad andare avanti per parecchio tempo. Fortunatamente stavolta è passato solo qualche giorno, ed oggi a distanza da 48 da un esame ho finito il penultimo capitolo! (Nel frattempo mi ucciderò per non aver studiato. Che tempismo perfetto che ho). Forse è un capitolo un po' meno movimentato degli altri anche perché non ci sono i bad boys, ma almeno è tornato Kentin :D dunque aspetto i vostri pareri e spero che la storia continui a piacervi anche se sta per giungere al capolinea! Un bacio <3
  
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