Un terribile Tifone
La famiglia divina
Una
lama trafisse al cuore Pan, che si vide costretto a
rallentare. Esterrefatto, strinse le dita al petto e abbassò
lo sguardo,
aspettando di vedere una ferita raccapricciante. Invece, nulla. La
pelle era di
un rosa pallido, illuminato dal consono bagliore lattescente proprio di
una
divinità.
Hermes
non tardò ad atterrare al suo fianco, allarmato. -Non
c’è tempo da perdere, figlio mio. Qualcosa non va?
Pan,
gli occhi sgranati e il fiato mozzato, levò lentamente
il volto. -Sta accadendo qualcosa di orribile- sussurrò con
un filo di voce.
Suo
padre gli posò una mano sulla spalla. -Lo so bene,
è per
questo motivo che dobbiamo raggiungere al più presto la casa
degli dei. La
furia…
-La
foresta sta piangendo- lo interruppe bruscamente il
satiro. Le iridi gli balenavano di scintille, velate da un fulgido
strato di
lacrime; era immerso in un suo mondo di visioni e messaggi
ultraterreni. -Gli
animali sono in preda al terrore, la foresta sta piangendo-
ripeté rocamente. Tornò
alla realtà grazie allo scossone che suo padre gli
assestò sulle spalle.
-Accidenti,
non è questo che mi aspetto da mio figlio!-
sbottò Hermes, scurendosi in viso. -Reagisci!
-Si!
Scusami, padre- borbottò lui, scuotendo con vigore il
capo. -Hai ragione, non dobbiamo indugiare. Io non avevo
mai…non…andiamo.
Ripresero
così la loro corsa contro il tempo alla volta
dell’Olimpo. Pan decise di evitare di condividere con il
genitore ciò che la
sua mente divina gli aveva permesso di scorgere, non ce n’era
il bisogno. Terra
bruciata, corpi straziati, oscurità feroce, uragani
prepotenti, arbusti
sradicati, intere montagne soverchiate; sebbene quella visione gli
avesse
stretto il cuore in una morsa dolorosa, continuava a porsela di
continuo
davanti agli occhi mentre sfrecciava in mezzo alla vegetazione, in modo
che
nulla lo deviasse dal mantenere un’andatura sostenuta.
Per
quanto si sforzasse di ignorarla, una goccia di
inquietudine picchiettava imperterrita nella caverna del suo animo,
plasmando
quello che sembrava un grumo di terrore, un masso che via via
acquistava peso e
spazio dentro di lui. Mai si era sentito così preda di
emozioni sconfortanti.
Non
ci volle molto affinché arrivassero ai piedi del
possente monte Olimpo: grazie alla loro incredibile velocità
potevano scivolare
da una parte all’altra del Mondo senza il minimo sforzo.
Quello che si presentò
al loro cospetto, però, ebbe il potere di spegnere ogni
fiamma d’audacia in un
baleno, come una secchiata d’acqua che s’avventa su
un acciarino acceso.
Il
tempio, il sontuoso palazzo dimora degli dei, era rimasto
miracolosamente intatto, lassù in cima al monte, e questo fu
per Hermes e Pan
motivo di sollievo, nonostante le fiaccole fossero spente e i fasci di
luce che
solitamente cadevano dal cielo per baciare le sue mura fossero state
sostituite
da vortici di nuvole temporalesche, nere come la notte. Lo stesso non
si poteva
dire del sentiero lastricato che dalla base del rilievo si inerpicava
sino alla
vetta; il fianco dell’Olimpo presentava spaventose voragini,
nidi di fiamme
voraci, buchi che a tratti avevano l’aspetto di sferzate di
artigli dalle
dimensioni spropositate.
Per
non parlare dello stato devastato della vegetazione alle
pendici del monte: non appena Pan se ne accorse, gemette di dolore,
gonfiandosi
di un odio cieco. Non c’era nessun tipo di forma di vita,
né alberi o cespugli,
laghi o torrenti, lepri o daini. Nulla, solo una distesa carbonizzata
di terra
rivoltata.
Hermes
fece cenno al satiro di fermarsi mostrandogli una
mano. Dal suo atteggiamento, Pan dedusse che doveva provare una
profonda
inquietudine; non biasimò affatto suo padre,
poiché le stesse emozioni
albergavano nel suo cuore.
-Regna
un silenzio innaturale- borbottò il dio alato,
fissando la coltre immobile di nubi oscure sospese dietro la casa degli
dei. -Un
silenzio di morte.
Pan
deglutì per ignorare quella parte di lui che gridava,
che reclamava equilibrio e pace. Strabuzzò gli occhi, nel
tentativo di guardare
oltre quella devastazione, di carpirne la causa, ma non ci
riuscì appieno. Strinse
i pugni fino a farli sbiancare.
-Com’è
potuto accadere questo?- chiese imperioso, piegando
il volto verso il padre.
L’altro
ci mise un po’ per rispondere, anch’egli rapito
dall’incredulità di fronte alla distruzione
dell’Olimpo. Dopo aver inspirato a
fondo, disse: -E’ opera di un mostro, di un demone. Opera del
figlio della
vendetta, suppongo- Rispose con il silenzio all’occhiata
attonita di Pan,
dopodiché riprese la parola, serrando più forte
le dita sul bastone d’oro. -Il
suo nome è Tifone. Non so dire quale sia il suo aspetto,
né i motivi che
l’hanno spinto a compiere tali azioni distruttive- Poi
deglutì, ergendosi in
tutta la sua statura imponente. -Quando ho percepito il disperato
richiamo di
Zeus, non ho potuto captare altro dalla mia visione se non stralci di
un odio
che ha preso corpo, di una collera, di una vendetta che ha trovato la
via per
incarnarsi e sfoderare il suo attacco mortale ad un obbiettivo
prefissato.
Per
un bel pezzo Pan restò a guardare il profilo di Hermes
stagliarsi sul paesaggio incolore, la mente colmata dalla descrizione
che
questi aveva condiviso con lui. Assaporando
quell’agghiacciante silenzio privo
di vita, si lasciò sfuggire un sospiro. -Tifone-
mormorò tra sé -Che si mostri
a noi, allora. Dov’è?
-Non
essere avventato, figlio- lo redarguì Hermes, facendo
della voce un pungolo tagliente. -Prima di tutto dobbiamo soccorrere
mio padre
e Athena.
-D’accordo,
allora. Dove sono?
-Laggiù-
indicò Hermes. Il suo braccio puntava verso un
avvallamento ad oriente, dove il terreno incenerito si incuneava
mostrando
all’osservatore nient’altro che una nuvola scura e
aloni polverosi circondati
dalle fiamme. -Zeus è imprigionato in una grotta- Non
aggiunse altro e
spiccò il volo, avviandosi in quella
direzione.
Pan,
in un primo momento interdetto, squadrò ancora una
volta il panorama, e si sentì squarciare il ventre. Il suo
regno ridotto in
quello stato era inguardabile, una vista intollerabile. Ma cosa poteva
fare
attualmente? Aiutare suo padre, nient’altro.
Quando
affiancò Hermes e giunse all’imboccatura della
caverna, vide che l’entrata era ostruita da un ammasso di
pietre titaniche. Insieme
si accordarono di scavare altrove un tunnel nel terreno; in questo modo
avrebbero raggiunto con più facilità
l’interno della grotta e al contempo risparmiato
le forze per curare Zeus e Athena, e, chissà, per un
eventuale scontro con il
distruttore.
Ci
volle molto poco perché irrompessero nella caverna.
Più
piccola di quanto si aspettavano, aveva un soffitto tanto basso che
dovettero
piegarsi sulle ginocchia. Quando gli zoccoli di Pan presero a
schioccare sul
pavimento millenario della grotta, una voce echeggiò.
-Sono
qui! Qui!- chiamò.
Un
individuo enorme e tarchiato si trovava disteso a terra.
Il suo petto delineato da prorompenti muscoli si muoveva a rilento e
irregolarmente, coperto da una maglia di sangue luminescente.
-Padre,
no!- esordì Hermes disperato -Tu sanguini!
Com’è
possibile?
Zeus
tossì, aumentando il ritmo del respiro. Alzò le
braccia, ricoperte di lividi e bruciature, facendo un cenno di
richiamo. -Vieni
qui, Hermes, ho bisogno di te!
Pan
si immobilizzò innanzi a quella scena, mentre suo padre
accorreva al cospetto di Zeus. Era così diverso rispetto
alla prima volta in
cui l’aveva visto. Allora Pan non era altro che un pargoletto
in fasce, portato
da Hermes nella sala principale dell’Olimpo per far
sì che gli dei fossero a
conoscenza della sua nascita, e trovassero diletto nel suo aspetto
curioso. Ricordava
Zeus come un individuo troneggiante, maestoso, a tratti superbo e
vanitoso, ma
sempre pronto ad elargire un sorriso. Vederlo così, adesso,
ridotto ad un
cencio e dilaniato da profonde ferite, era una visione surreale. Il
padre degli
dei sconfitto! Com’era possibile?
Zeus
venne aiutato dal figlio a mettersi seduto, la schiena
contro una parete rocciosa. Voltò il capo barbuto e i suoi
occhi brillarono di
un vigore solare. -Hermes, ho bisogno che tu curi il mio corpo. Lui
tornerà-
esclamò, digrignando la mascella.
-Cosa
è accaduto di preciso, padre?- domandò Hermes,
imponendo le mani sul petto grondante di Zeus. Da queste
iniziò ad emanarsi un bollente
lucore arcobaleno.
-E’
successo all’improvviso. Il cielo si è oscurato,
il sole
è svanito e il fuoco dei bracieri è stato
soffocato da un alito di morte,
facendo piombare la mia casa nel buio- Zeus emise un lamento soffocato,
mentre
il sangue bianco che macchiava la sua pelle si rintanava dentro i tagli
e le
escoriazioni. -Ognuno di noi ha compreso di trovarsi ad avere a che
fare con
un’entità pari, se non al di sopra delle sue
capacità. Tifone. Ha pronunciato
il suo nome, e soltanto questo, prima di apparire e distruggere ogni
cosa.
-Non
dire così, tu sei il padre degli dei- lo incalzò
Hermes, corrugando il volto. -Nessuno può eguagliare la tua
forza, esclusi
Poseidone e Ade!
-Poseidone!-
irruppe Zeus, assumendo un’espressione
contrariata. -E’ fuggito, come gli altri. Siamo fuggiti
tutti, tutti quanti. Nessuno
si è sentito in grado di opporre resistenza a
Tifone…neppure io- Ridusse la
voce ad un bisbiglio, e serrò le palpebre.
-Abbiamo…ho abbandonato l’Olimpo, l’ho
lasciato in balia del suo destino.
Hermes
chinò il capo, continuando a perseguire il suo compito
lenitivo. Fu allora che Pan prese parte al diverbio, mostrandosi a Zeus
e
spezzando il silenzio greve.
-Ma
sei tornato, è questo che conta- disse rumoreggiando con
gli zoccoli, e la sua voce squillò da una parete
all’altra, roboante. Spaziò
con lo sguardo quando l’altro gli diresse
un’occhiata indagatrice, affilata
come una lama. Non era abituato ad avere a che fare con lui.
-Si,
è così, Pan. Figlio di Hermes- disse Zeus,
tastandosi
una ferita sul punto di cicatrizzarsi completamente. -Ma è
solo grazie a mia
figlia, Athena. E’ stata lei a rammentarmi quale sia il mio
compito, quale peso
grava sulle mie spalle. La salvaguardia del Mondo- Hermes si
allontanò da lui,
riprendendo fiato e massaggiandosi le mani. Finalmente Zeus
poté respirare a
pieni polmoni, si mise in piedi ed ispezionò il torso nudo
con compiacimento,
notando che ogni tipo di lesione era svanita. Si chinò per
sistemare i calzoni
color della luna, lasciando che la sua chioma fulva si confondesse con
la lunga
barba e andasse a coprire il volto. -Perciò io e lei abbiamo
fatto dietrofront e
abbiamo fronteggiato il mostro.
-Sai
dire come ha preso vita? Chi l’ha generato?- chiese
Hermes, accarezzando il fidato scettro dorato.
-E’
opera di Gea, non ho dubbi. L’ho compreso durante lo
scontro…era come se lei fosse lì, vicino a me,
sussurrandomi parole cariche
d’astio. E’ adirata per la sconfitta dei suoi figli
per mano mia, i titani e i
giganti, quindi ha stretto un accordo con mia moglie…-
Accennò un sorriso storto,
facendo cenno di no con il capo. -Era…lei è
sempre pronta a…a divertirsi alle
mie spalle. Che si diverta pure, non m’importa. Ma stavolta
l’ha fatta grossa.
Sia
Pan che Hermes erano al corrente del motivo per il quale
Era solesse tirare brutti scherzi al marito, ma ritennero cosa saggia
non farne
parola.
-Era
ha acconsentito, e ha richiesto a sua volta l’aiuto di
Crono- proseguì Zeus ergendo fiero il mento barbuto, davanti
ai visi
sconcertati dei suoi figli nell’udire quel nome. -Non poteva
rivolgersi ad
alleato migliore. Crono ha generato un embrione e l’ha
affidato a mia moglie,
dicendole di sotterrarlo, e che quando i tempi sarebbero stati maturi
l’intento
di Gea si sarebbe materializzato, scagliandosi su di me in quanto
vendetta
incarnata.
Hermes
annuì, poiché aveva pronunciato lui stesso parole
simili poco prima, quindi quello che aveva percepito corrispondeva a
verità.
Pan si limitò invece a costruire mentalmente un albero
genealogico abbozzato,
raffigurante la sequenza di azioni e pensieri che avevano portato
Tifone alla
luce. Quando anche lui ebbe compreso, tirò un profondo
respiro. -Dov’è Athena,
ora?- domandò umilmente.
In
quel medesimo istante la terra ebbe un forte tremore. La
caverna diede segni di cedimento, e dal soffitto si staccarono diverse
placche
di roccia arenaria, che indussero agli dei l’idea di dover
abbandonare quel
buco sotterraneo. Quando la scossa terminò, la
cavità parve essere ancora in
piedi.
-Padre!
Una
voce irruppe nella sala, e fece voltare tutti i
presenti. Dal cunicolo che avevano provveduto a scavare Pan ed Hermes,
fuoriuscì una donna vestita di una lucente armatura bronzea.
Doveva essere alta
quanto Hermes, più di due metri. Il corpo allenato e
proporzionato, di un
biancore quasi innaturale, metteva in evidenza numerosi graffi e rivoli
di
sangue rappreso. Aveva una chioma rosso fuoco che le ricadeva sulle
spalle nude,
coperta in parte dall’elmo scintillante che indossava.
Piegò la lunga lancia in
modo che potesse farla entrare nell’angusto spazio; poi gli
occhi verdi le
brillarono di astuzia nell’indirizzarli a Zeus. -Padre, tra
poco sarà qui!
-Eccellente,
Athena- le fece eco Zeus, piantando un pugno
contro il palmo aperto dell’altra mano.
Hermes
squadrò padre e sorella ripetutamente, cercando di
cogliere il senso di quello scambio di battute.
-Avete
attirato qui Tifone di proposito?- esclamò infine,
disorientato e sconcertato. -Zeus, fra i tuoi figli sarò pur
uno di quelli con
il più spiccato senso dell’umorismo, ma questo va
oltre lo scherzo.
-E’
l’unico modo per batterlo- fece Athena, perentoria. -Non
perderlo di vista, non abbassare mai la guardia e attirarlo in un punto
strategico. Siamo stati costretti a nasconderci qui dentro, o avrebbe
disintegrato i nostri corpi. E’ stato allora che hai ricevuto
la richiesta di
aiuto da parte di nostro padre, Hermes, e sono felice che tu
l’abbia raccolta e
di vederti qui. Io nel frattempo ho provveduto ad istigarlo e
trattenerlo nei
paraggi…come vedete, non ne sono uscita del tutto indenne.
-Posso
curare le tue ferite, Athena, se lo vuoi!
-No,
Hermes, non c’è il tempo. Tifone sarà
qui a momenti,
dobbiamo farci trovare preparati e impedire la sua avanzata altrove, o
espanderà morte. Non possiamo lasciarglielo fare.
Zeus
annuì gravemente, impettendosi.
-E
se io e mio padre fossimo arrivati troppo tardi?- si
intromise Pan, con voce chiaramente alterata. -Ti avrebbe ucciso, Zeus!
Vi avrebbe
uccisi entrambi!
-Questo
non è avvenuto, mio caro protettore dei boschi- gli
rispose il padre degli dei. -Avevo fiducia in voi, sapevo che avreste
risposto
al mio appello senza indugi. Adesso che siamo in quattro, fronteggiarlo
sarà
più semplice.
Hermes
arretrò di qualche passo, svolazzando. -Io e Pan non
possediamo abilità combattive, non so quanto potremo
fornirvi aiuto. Siamo
accorsi con volontà e determinazione, ma non credevamo di
doverci scontrare con
un mostro che supera persino te in potenza, padre. E’ assurdo
che noi possiamo
essere d’aiuto…
-E
quello che hai fatto sinora che cosa è stato?- disse Zeus
-Sei già stato d’aiuto, hai rigenerato il mio
corpo. Non dire queste
sciocchezze. Nessuno di voi è inutile, non
c’è figlio che io abbia generato a
non calzare un compito insostituibile e prezioso, e sono sicuro che
ognuno di
voi troverà la sua parte in questo scontro. Sono stato
chiaro?
Suo
figlio e Pan annuirono con riverenza. Anche Athena,
sebbene non fosse del tutto coinvolta, ammiccò.
-Scusami-
fece Hermes, impugnando con foga la verga d’oro
raffigurante i due serpenti intrecciati -E’
quest’assillante pensiero di
Tifone, esercita una grande pressione su di me. Non mi sono mai
scontrato…non
ho mai…
-Neppure
io, figliolo- Zeus sfiorò un braccio al figlio
alato, mostrando per la prima volta un lato dolce, paterno, amorevole
di sé.
-Neppure io. Non così forte.
Pan
guardò in terra, affranto. Quale tipo di aiuto aveva
apportato alla famiglia divina, finora? Per quale motivo suo padre
l’aveva
coinvolto in quella faccenda? Si sentiva inutile, un pesce fuor
d’acqua, in un
contesto del genere. Eppure, se porgeva l’orecchio al suo
cuore, una voce gli
sussurrava di attendere, di pazientare il momento proficuo. Cosa che,
attualmente, non gli sarebbe stata affatto d’aiuto ma avrebbe
provveduto soltanto
ad aumentare la sua angoscia. Quanto avrebbe voluto tornare alle sue
foreste,
le sue radure, la sua amaca! Quanto desiderava poter scomparire da
lì e
ricominciare a tirare assurdi scherzi ad ignari viandanti. O inseguire
una
delle tante ninfe che gli vivevano intorno, il suo passatempo preferito!
La
terra tremò senza preavviso una seconda volta, e sulle
pareti della caverna si disegnarono grandi crepe. Ogni cosa
iniziò a
sgretolarsi, e l’aria mugghiò di dolore.
-Fuori
di qui! Non è mia abitudine nascondermi!- tuonò
Zeus,
caricando un pugno. Lo indirizzò verso il soffitto liberando
una forza
spropositata, e quest’ultimo
esplose
tramutandosi in una pioggia di detriti.
Hermes
strinse Pan tra le braccia e si librò in aria,
allontanandosi da quello che ormai non era altro che un buco nero su di
una
distesa bruciata. Zeus e Athena vi balzarono fuori, atterrando poco
lontano da
lì, facendo bene attenzione a non cadere preda del terremoto
che stava avendo
luogo.
La
tempesta che prima dimorava sul tetto dell’Olimpo ora si
era espansa, tanto da coprire ogni lembo di cielo. La notte era calata
prima
del normale, sulla dimora degli dei, accompagnando una pioggia continua
di
fulmini che rivelavano il vero colore violaceo delle nubi, gonfie di
rabbia e acqua.
La scossa si affievolì, e il Mondo tacque ancora.
Poi iniziò a
piovere, a raffiche incostanti e graffianti.
Hermes e Pan
planarono su una collina di cenere, unendosi al resto del gruppo: si
strinsero
a Zeus e Athena, che già sapevano a cosa sarebbero andati
incontro di lì a poco.
Quando
una terza squassante scossa fece vibrare la terra, compresero
che l’epicentro del terremoto non si trovava in
profondità, sotto i loro piedi,
ma in superficie. Erano passi. Era la mole titanica di un corpo
raccapricciante
che si schiantava, si sorreggeva sulla crosta del Mondo e la faceva
rabbrividire
e scricchiolare.
A
Pan cedettero le zampe. La paura esplose inaspettata e
sgradita nel suo petto, tanto che strinse d’istinto la mano a
suo padre. Per
mezzo di quel tocco sentì che anche Hermes provava paura, un
panico smisurato e,
soprattutto, nuovo al suo animo.
Quale
entità tanto terribile si sarebbe mostrata infine a
loro? Gli dei non potevano provare paura…eppure, adesso
questa ardeva nelle
loro vene, inacidiva il loro sangue.
-Perché
mi hai portato con te, padre?- balbettò Pan,
incapace di cogliere il senso della sua presenza lì. Lui era
nato per paesaggi
bucolici, per la campagna, per l’amore della natura e della
bellezza selvaggia,
per la pace. Per l’equilibrio e la prosperità.
-Perché
siamo l’ultima speranza per il Mondo, siamo gli
ultimi dei rimasti- fece Hermes, trattenendo a stento un singulto. -Non
vergognarti di provare timore, figlio; dovresti vergognarti se non ne
provassi.
Significa che questo Mondo per te vale qualcosa, che non è
tuo desiderio
scompaia.
Pan
annuì appena, e acuì la presa sulle dita del
padre, che
concluse: -E allora difendiamolo!
Dall’oscurità alle spalle dell’Olimpo apparve una figura dalle dimensioni indescrivibili. Tifone lentamente emerse dalle ombre, innalzando il suo tetro canto al cielo cupo.