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Autore: wingsam    11/10/2013    0 recensioni
"Una lama trafisse al cuore Pan, che si vide costretto a rallentare. Esterrefatto, strinse le dita al petto e abbassò lo sguardo, aspettando di vedere una ferita raccapricciante. Invece, nulla. La pelle era di un rosa pallido, illuminato dal consono bagliore lattescente proprio di una divinità.
Hermes non tardò ad atterrare al suo fianco, allarmato. -Non c’è tempo da perdere, figlio mio. Qualcosa non va?
Pan, gli occhi sgranati e il fiato mozzato, levò lentamente il volto. -Sta accadendo qualcosa di orribile- sussurrò con un filo di voce."
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cap 2 un terribile tifone

Un terribile Tifone





olimpo

La famiglia divina






Una lama trafisse al cuore Pan, che si vide costretto a rallentare. Esterrefatto, strinse le dita al petto e abbassò lo sguardo, aspettando di vedere una ferita raccapricciante. Invece, nulla. La pelle era di un rosa pallido, illuminato dal consono bagliore lattescente proprio di una divinità.

Hermes non tardò ad atterrare al suo fianco, allarmato. -Non c’è tempo da perdere, figlio mio. Qualcosa non va?

Pan, gli occhi sgranati e il fiato mozzato, levò lentamente il volto. -Sta accadendo qualcosa di orribile- sussurrò con un filo di voce.

Suo padre gli posò una mano sulla spalla. -Lo so bene, è per questo motivo che dobbiamo raggiungere al più presto la casa degli dei. La furia…

-La foresta sta piangendo- lo interruppe bruscamente il satiro. Le iridi gli balenavano di scintille, velate da un fulgido strato di lacrime; era immerso in un suo mondo di visioni e messaggi ultraterreni. -Gli animali sono in preda al terrore, la foresta sta piangendo- ripeté rocamente. Tornò alla realtà grazie allo scossone che suo padre gli assestò sulle spalle.

-Accidenti, non è questo che mi aspetto da mio figlio!- sbottò Hermes, scurendosi in viso. -Reagisci!

-Si! Scusami, padre- borbottò lui, scuotendo con vigore il capo. -Hai ragione, non dobbiamo indugiare. Io non avevo mai…non…andiamo.

Ripresero così la loro corsa contro il tempo alla volta dell’Olimpo. Pan decise di evitare di condividere con il genitore ciò che la sua mente divina gli aveva permesso di scorgere, non ce n’era il bisogno. Terra bruciata, corpi straziati, oscurità feroce, uragani prepotenti, arbusti sradicati, intere montagne soverchiate; sebbene quella visione gli avesse stretto il cuore in una morsa dolorosa, continuava a porsela di continuo davanti agli occhi mentre sfrecciava in mezzo alla vegetazione, in modo che nulla lo deviasse dal mantenere un’andatura sostenuta.

Per quanto si sforzasse di ignorarla, una goccia di inquietudine picchiettava imperterrita nella caverna del suo animo, plasmando quello che sembrava un grumo di terrore, un masso che via via acquistava peso e spazio dentro di lui. Mai si era sentito così preda di emozioni sconfortanti.

Non ci volle molto affinché arrivassero ai piedi del possente monte Olimpo: grazie alla loro incredibile velocità potevano scivolare da una parte all’altra del Mondo senza il minimo sforzo. Quello che si presentò al loro cospetto, però, ebbe il potere di spegnere ogni fiamma d’audacia in un baleno, come una secchiata d’acqua che s’avventa su un acciarino acceso.

Il tempio, il sontuoso palazzo dimora degli dei, era rimasto miracolosamente intatto, lassù in cima al monte, e questo fu per Hermes e Pan motivo di sollievo, nonostante le fiaccole fossero spente e i fasci di luce che solitamente cadevano dal cielo per baciare le sue mura fossero state sostituite da vortici di nuvole temporalesche, nere come la notte. Lo stesso non si poteva dire del sentiero lastricato che dalla base del rilievo si inerpicava sino alla vetta; il fianco dell’Olimpo presentava spaventose voragini, nidi di fiamme voraci, buchi che a tratti avevano l’aspetto di sferzate di artigli dalle dimensioni spropositate.

Per non parlare dello stato devastato della vegetazione alle pendici del monte: non appena Pan se ne accorse, gemette di dolore, gonfiandosi di un odio cieco. Non c’era nessun tipo di forma di vita, né alberi o cespugli, laghi o torrenti, lepri o daini. Nulla, solo una distesa carbonizzata di terra rivoltata.

Hermes fece cenno al satiro di fermarsi mostrandogli una mano. Dal suo atteggiamento, Pan dedusse che doveva provare una profonda inquietudine; non biasimò affatto suo padre, poiché le stesse emozioni albergavano nel suo cuore.

-Regna un silenzio innaturale- borbottò il dio alato, fissando la coltre immobile di nubi oscure sospese dietro la casa degli dei. -Un silenzio di morte.

Pan deglutì per ignorare quella parte di lui che gridava, che reclamava equilibrio e pace. Strabuzzò gli occhi, nel tentativo di guardare oltre quella devastazione, di carpirne la causa, ma non ci riuscì appieno. Strinse i pugni fino a farli sbiancare.

-Com’è potuto accadere questo?- chiese imperioso, piegando il volto verso il padre.

L’altro ci mise un po’ per rispondere, anch’egli rapito dall’incredulità di fronte alla distruzione dell’Olimpo. Dopo aver inspirato a fondo, disse: -E’ opera di un mostro, di un demone. Opera del figlio della vendetta, suppongo- Rispose con il silenzio all’occhiata attonita di Pan, dopodiché riprese la parola, serrando più forte le dita sul bastone d’oro. -Il suo nome è Tifone. Non so dire quale sia il suo aspetto, né i motivi che l’hanno spinto a compiere tali azioni distruttive- Poi deglutì, ergendosi in tutta la sua statura imponente. -Quando ho percepito il disperato richiamo di Zeus, non ho potuto captare altro dalla mia visione se non stralci di un odio che ha preso corpo, di una collera, di una vendetta che ha trovato la via per incarnarsi e sfoderare il suo attacco mortale ad un obbiettivo prefissato.

Per un bel pezzo Pan restò a guardare il profilo di Hermes stagliarsi sul paesaggio incolore, la mente colmata dalla descrizione che questi aveva condiviso con lui. Assaporando quell’agghiacciante silenzio privo di vita, si lasciò sfuggire un sospiro. -Tifone- mormorò tra sé -Che si mostri a noi, allora. Dov’è?

-Non essere avventato, figlio- lo redarguì Hermes, facendo della voce un pungolo tagliente. -Prima di tutto dobbiamo soccorrere mio padre e Athena.

-D’accordo, allora. Dove sono?

-Laggiù- indicò Hermes. Il suo braccio puntava verso un avvallamento ad oriente, dove il terreno incenerito si incuneava mostrando all’osservatore nient’altro che una nuvola scura e aloni polverosi circondati dalle fiamme. -Zeus è imprigionato in una grotta- Non aggiunse  altro e spiccò il volo, avviandosi in quella direzione.

Pan, in un primo momento interdetto, squadrò ancora una volta il panorama, e si sentì squarciare il ventre. Il suo regno ridotto in quello stato era inguardabile, una vista intollerabile. Ma cosa poteva fare attualmente? Aiutare suo padre, nient’altro.

Quando affiancò Hermes e giunse all’imboccatura della caverna, vide che l’entrata era ostruita da un ammasso di pietre titaniche. Insieme si accordarono di scavare altrove un tunnel nel terreno; in questo modo avrebbero raggiunto con più facilità l’interno della grotta e al contempo risparmiato le forze per curare Zeus e Athena, e, chissà, per un eventuale scontro con il distruttore.

Ci volle molto poco perché irrompessero nella caverna. Più piccola di quanto si aspettavano, aveva un soffitto tanto basso che dovettero piegarsi sulle ginocchia. Quando gli zoccoli di Pan presero a schioccare sul pavimento millenario della grotta, una voce echeggiò.

-Sono qui! Qui!- chiamò.

Un individuo enorme e tarchiato si trovava disteso a terra. Il suo petto delineato da prorompenti muscoli si muoveva a rilento e irregolarmente, coperto da una maglia di sangue luminescente.

-Padre, no!- esordì Hermes disperato -Tu sanguini! Com’è possibile?

Zeus tossì, aumentando il ritmo del respiro. Alzò le braccia, ricoperte di lividi e bruciature, facendo un cenno di richiamo. -Vieni qui, Hermes, ho bisogno di te!

Pan si immobilizzò innanzi a quella scena, mentre suo padre accorreva al cospetto di Zeus. Era così diverso rispetto alla prima volta in cui l’aveva visto. Allora Pan non era altro che un pargoletto in fasce, portato da Hermes nella sala principale dell’Olimpo per far sì che gli dei fossero a conoscenza della sua nascita, e trovassero diletto nel suo aspetto curioso. Ricordava Zeus come un individuo troneggiante, maestoso, a tratti superbo e vanitoso, ma sempre pronto ad elargire un sorriso. Vederlo così, adesso, ridotto ad un cencio e dilaniato da profonde ferite, era una visione surreale. Il padre degli dei sconfitto! Com’era possibile?

Zeus venne aiutato dal figlio a mettersi seduto, la schiena contro una parete rocciosa. Voltò il capo barbuto e i suoi occhi brillarono di un vigore solare. -Hermes, ho bisogno che tu curi il mio corpo. Lui tornerà- esclamò, digrignando la mascella.

-Cosa è accaduto di preciso, padre?- domandò Hermes, imponendo le mani sul petto grondante di Zeus. Da queste iniziò ad emanarsi un bollente lucore arcobaleno.

-E’ successo all’improvviso. Il cielo si è oscurato, il sole è svanito e il fuoco dei bracieri è stato soffocato da un alito di morte, facendo piombare la mia casa nel buio- Zeus emise un lamento soffocato, mentre il sangue bianco che macchiava la sua pelle si rintanava dentro i tagli e le escoriazioni. -Ognuno di noi ha compreso di trovarsi ad avere a che fare con un’entità pari, se non al di sopra delle sue capacità. Tifone. Ha pronunciato il suo nome, e soltanto questo, prima di apparire e distruggere ogni cosa.

-Non dire così, tu sei il padre degli dei- lo incalzò Hermes, corrugando il volto. -Nessuno può eguagliare la tua forza, esclusi Poseidone e Ade!

-Poseidone!- irruppe Zeus, assumendo un’espressione contrariata. -E’ fuggito, come gli altri. Siamo fuggiti tutti, tutti quanti. Nessuno si è sentito in grado di opporre resistenza a Tifone…neppure io- Ridusse la voce ad un bisbiglio, e serrò le palpebre. -Abbiamo…ho abbandonato l’Olimpo, l’ho lasciato in balia del suo destino.

Hermes chinò il capo, continuando a perseguire il suo compito lenitivo. Fu allora che Pan prese parte al diverbio, mostrandosi a Zeus e spezzando il silenzio greve.

-Ma sei tornato, è questo che conta- disse rumoreggiando con gli zoccoli, e la sua voce squillò da una parete all’altra, roboante. Spaziò con lo sguardo quando l’altro gli diresse un’occhiata indagatrice, affilata come una lama. Non era abituato ad avere a che fare con lui.

-Si, è così, Pan. Figlio di Hermes- disse Zeus, tastandosi una ferita sul punto di cicatrizzarsi completamente. -Ma è solo grazie a mia figlia, Athena. E’ stata lei a rammentarmi quale sia il mio compito, quale peso grava sulle mie spalle. La salvaguardia del Mondo- Hermes si allontanò da lui, riprendendo fiato e massaggiandosi le mani. Finalmente Zeus poté respirare a pieni polmoni, si mise in piedi ed ispezionò il torso nudo con compiacimento, notando che ogni tipo di lesione era svanita. Si chinò per sistemare i calzoni color della luna, lasciando che la sua chioma fulva si confondesse con la lunga barba e andasse a coprire il volto. -Perciò io e lei abbiamo fatto dietrofront e abbiamo fronteggiato il mostro.

-Sai dire come ha preso vita? Chi l’ha generato?- chiese Hermes, accarezzando il fidato scettro dorato.

-E’ opera di Gea, non ho dubbi. L’ho compreso durante lo scontro…era come se lei fosse lì, vicino a me, sussurrandomi parole cariche d’astio. E’ adirata per la sconfitta dei suoi figli per mano mia, i titani e i giganti, quindi ha stretto un accordo con mia moglie…- Accennò un sorriso storto, facendo cenno di no con il capo. -Era…lei è sempre pronta a…a divertirsi alle mie spalle. Che si diverta pure, non m’importa. Ma stavolta l’ha fatta grossa.

Sia Pan che Hermes erano al corrente del motivo per il quale Era solesse tirare brutti scherzi al marito, ma ritennero cosa saggia non farne parola.

-Era ha acconsentito, e ha richiesto a sua volta l’aiuto di Crono- proseguì Zeus ergendo fiero il mento barbuto, davanti ai visi sconcertati dei suoi figli nell’udire quel nome. -Non poteva rivolgersi ad alleato migliore. Crono ha generato un embrione e l’ha affidato a mia moglie, dicendole di sotterrarlo, e che quando i tempi sarebbero stati maturi l’intento di Gea si sarebbe materializzato, scagliandosi su di me in quanto vendetta incarnata.

Hermes annuì, poiché aveva pronunciato lui stesso parole simili poco prima, quindi quello che aveva percepito corrispondeva a verità. Pan si limitò invece a costruire mentalmente un albero genealogico abbozzato, raffigurante la sequenza di azioni e pensieri che avevano portato Tifone alla luce. Quando anche lui ebbe compreso, tirò un profondo respiro. -Dov’è Athena, ora?- domandò umilmente.

In quel medesimo istante la terra ebbe un forte tremore. La caverna diede segni di cedimento, e dal soffitto si staccarono diverse placche di roccia arenaria, che indussero agli dei l’idea di dover abbandonare quel buco sotterraneo. Quando la scossa terminò, la cavità parve essere ancora in piedi.

-Padre!

Una voce irruppe nella sala, e fece voltare tutti i presenti. Dal cunicolo che avevano provveduto a scavare Pan ed Hermes, fuoriuscì una donna vestita di una lucente armatura bronzea. Doveva essere alta quanto Hermes, più di due metri. Il corpo allenato e proporzionato, di un biancore quasi innaturale, metteva in evidenza numerosi graffi e rivoli di sangue rappreso. Aveva una chioma rosso fuoco che le ricadeva sulle spalle nude, coperta in parte dall’elmo scintillante che indossava. Piegò la lunga lancia in modo che potesse farla entrare nell’angusto spazio; poi gli occhi verdi le brillarono di astuzia nell’indirizzarli a Zeus. -Padre, tra poco sarà qui!

-Eccellente, Athena- le fece eco Zeus, piantando un pugno contro il palmo aperto dell’altra mano.

Hermes squadrò padre e sorella ripetutamente, cercando di cogliere il senso di quello scambio di battute.

-Avete attirato qui Tifone di proposito?- esclamò infine, disorientato e sconcertato. -Zeus, fra i tuoi figli sarò pur uno di quelli con il più spiccato senso dell’umorismo, ma questo va oltre lo scherzo.

-E’ l’unico modo per batterlo- fece Athena, perentoria. -Non perderlo di vista, non abbassare mai la guardia e attirarlo in un punto strategico. Siamo stati costretti a nasconderci qui dentro, o avrebbe disintegrato i nostri corpi. E’ stato allora che hai ricevuto la richiesta di aiuto da parte di nostro padre, Hermes, e sono felice che tu l’abbia raccolta e di vederti qui. Io nel frattempo ho provveduto ad istigarlo e trattenerlo nei paraggi…come vedete, non ne sono uscita del tutto indenne.

-Posso curare le tue ferite, Athena, se lo vuoi!

-No, Hermes, non c’è il tempo. Tifone sarà qui a momenti, dobbiamo farci trovare preparati e impedire la sua avanzata altrove, o espanderà morte. Non possiamo lasciarglielo fare.

Zeus annuì gravemente, impettendosi.

-E se io e mio padre fossimo arrivati troppo tardi?- si intromise Pan, con voce chiaramente alterata. -Ti avrebbe ucciso, Zeus! Vi avrebbe uccisi entrambi!

-Questo non è avvenuto, mio caro protettore dei boschi- gli rispose il padre degli dei. -Avevo fiducia in voi, sapevo che avreste risposto al mio appello senza indugi. Adesso che siamo in quattro, fronteggiarlo sarà più semplice.

Hermes arretrò di qualche passo, svolazzando. -Io e Pan non possediamo abilità combattive, non so quanto potremo fornirvi aiuto. Siamo accorsi con volontà e determinazione, ma non credevamo di doverci scontrare con un mostro che supera persino te in potenza, padre. E’ assurdo che noi possiamo essere d’aiuto…

-E quello che hai fatto sinora che cosa è stato?- disse Zeus -Sei già stato d’aiuto, hai rigenerato il mio corpo. Non dire queste sciocchezze. Nessuno di voi è inutile, non c’è figlio che io abbia generato a non calzare un compito insostituibile e prezioso, e sono sicuro che ognuno di voi troverà la sua parte in questo scontro. Sono stato chiaro?

Suo figlio e Pan annuirono con riverenza. Anche Athena, sebbene non fosse del tutto coinvolta, ammiccò.

-Scusami- fece Hermes, impugnando con foga la verga d’oro raffigurante i due serpenti intrecciati -E’ quest’assillante pensiero di Tifone, esercita una grande pressione su di me. Non mi sono mai scontrato…non ho mai…

-Neppure io, figliolo- Zeus sfiorò un braccio al figlio alato, mostrando per la prima volta un lato dolce, paterno, amorevole di sé. -Neppure io. Non così forte.  

Pan guardò in terra, affranto. Quale tipo di aiuto aveva apportato alla famiglia divina, finora? Per quale motivo suo padre l’aveva coinvolto in quella faccenda? Si sentiva inutile, un pesce fuor d’acqua, in un contesto del genere. Eppure, se porgeva l’orecchio al suo cuore, una voce gli sussurrava di attendere, di pazientare il momento proficuo. Cosa che, attualmente, non gli sarebbe stata affatto d’aiuto ma avrebbe provveduto soltanto ad aumentare la sua angoscia. Quanto avrebbe voluto tornare alle sue foreste, le sue radure, la sua amaca! Quanto desiderava poter scomparire da lì e ricominciare a tirare assurdi scherzi ad ignari viandanti. O inseguire una delle tante ninfe che gli vivevano intorno, il suo passatempo preferito!

La terra tremò senza preavviso una seconda volta, e sulle pareti della caverna si disegnarono grandi crepe. Ogni cosa iniziò a sgretolarsi, e l’aria mugghiò di dolore.

-Fuori di qui! Non è mia abitudine nascondermi!- tuonò Zeus, caricando un pugno. Lo indirizzò verso il soffitto liberando una forza spropositata, e quest’ultimo  esplose tramutandosi in una pioggia di detriti.

Hermes strinse Pan tra le braccia e si librò in aria, allontanandosi da quello che ormai non era altro che un buco nero su di una distesa bruciata. Zeus e Athena vi balzarono fuori, atterrando poco lontano da lì, facendo bene attenzione a non cadere preda del terremoto che stava avendo luogo.

La tempesta che prima dimorava sul tetto dell’Olimpo ora si era espansa, tanto da coprire ogni lembo di cielo. La notte era calata prima del normale, sulla dimora degli dei, accompagnando una pioggia continua di fulmini che rivelavano il vero colore violaceo delle nubi, gonfie di rabbia e acqua.

La scossa si affievolì, e il Mondo tacque ancora. 

Poi iniziò a piovere, a raffiche incostanti e graffianti. Hermes e Pan planarono su una collina di cenere, unendosi al resto del gruppo: si strinsero a Zeus e Athena, che già sapevano a cosa sarebbero andati incontro di lì a poco.

Quando una terza squassante scossa fece vibrare la terra, compresero che l’epicentro del terremoto non si trovava in profondità, sotto i loro piedi, ma in superficie. Erano passi. Era la mole titanica di un corpo raccapricciante che si schiantava, si sorreggeva sulla crosta del Mondo e la faceva rabbrividire e scricchiolare.

A Pan cedettero le zampe. La paura esplose inaspettata e sgradita nel suo petto, tanto che strinse d’istinto la mano a suo padre. Per mezzo di quel tocco sentì che anche Hermes provava paura, un panico smisurato e, soprattutto, nuovo al suo animo.

Quale entità tanto terribile si sarebbe mostrata infine a loro? Gli dei non potevano provare paura…eppure, adesso questa ardeva nelle loro vene, inacidiva il loro sangue.

-Perché mi hai portato con te, padre?- balbettò Pan, incapace di cogliere il senso della sua presenza lì. Lui era nato per paesaggi bucolici, per la campagna, per l’amore della natura e della bellezza selvaggia, per la pace. Per l’equilibrio e la prosperità.

-Perché siamo l’ultima speranza per il Mondo, siamo gli ultimi dei rimasti- fece Hermes, trattenendo a stento un singulto. -Non vergognarti di provare timore, figlio; dovresti vergognarti se non ne provassi. Significa che questo Mondo per te vale qualcosa, che non è tuo desiderio scompaia.

Pan annuì appena, e acuì la presa sulle dita del padre, che concluse: -E allora difendiamolo!

Dall’oscurità alle spalle dell’Olimpo apparve una figura dalle dimensioni indescrivibili. Tifone lentamente emerse dalle ombre,  innalzando il suo tetro canto al cielo cupo.  

Fine Seconda Parte
  
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