Nel Nome del Padre
(Seconda Parte)
Contrariamente
a quanto uno sprovveduto viandante possa pensare, avendogli messo di
fronte una mappa delle terre, dei villaggi e delle strade che da
Pontorson dipartono come lunghe radici e convogliano, per le sponde
ghiacciate della Manica, vite e destini della misera manciata di
punti nevralgici di cui si fanno tacite portatrici, la via
più
sicura per raggiungere Cancale, partendo dal punto mediano di questo
sistema, non è quella che a prima vista potrebbe sembrare
anche la
più breve.
Se,
infatti, il nostro viandante sventurato, si lasciasse guidare da
quell'istinto puramente geometrico che vuole che per viaggiare da un
punto primo ad un secondo, il più velocemente possibile, si
debba
procedere per la retta che li congiunge, si inoltrerebbe, nel nostro
caso, per una terra in cui la crudeltà dell'uomo e della
Natura
hanno trovato luogo per una simbiotica alleanza.
E
quando per l'appunto non fossero le lame del freddo a penetrargli
nella carne, uccidendo il nostro viandante per nessun altro motivo se
non quello di seguire le imposizioni inappellabili del Creato, lo
farebbero certamente quelle dei banditi e dei briganti, per invece
una delle tante ragioni vincolate a quella parte di loro che, da
naturale impulso alla sopravvivenza, è degenerata in indole
criminosa.
E
anche se quest'ultimi non sono gli unici motivi per i quali
è più
saggio non intraprendere un viaggio sconsiderato per terre
apparentemente facili da domare, come se nient'altro possano
nascondere che muschi e rocce, sono certamente i preponderanti e, in
assenza di vere e proprie istituzioni di controllo e pattuglia dei
sentieri che si incanalano a Nord, fino a Cancale, hanno spinto le
genti dei villaggi a cercare soluzioni alternative per raggiungere
tali mete.
E
fu per ciò che, 1350 anni dopo la nascita di Nostro Signore
Gesù
Cristo, uno dei Suoi più controversi servitori, un tale
padre
Guillerme de Chambres, giunse una fredda mattina di Settembre al porto
di Aucey la Plaine, accompagnato da giovani galoppini che lo
sgravavano del peso di un paio di grandi valige, e pagò 5
franchi
perché venisse traghettato, da solo, fino al villaggio di
Cancale,
che faceva da vetta ad una piccola e stretta penisola, protesa come
un dito ammonitore in direzione della Britannia.
Tutto
quel che padre Guillerme de Chambres si aspettava prima di imbarcarsi
per tale viaggio, che a suo dire si prospettava come un facile
incarico, come altrettanto facili erano sempre stati i suoi, recava
in bella vista l'insegna della sua ingenuità o, peggio
ancora, della
sua ignoranza.
Si
potrebbe dire, infatti, che, in quindici anni di esorcismi
commissionati dal vescovo di Pontorson in persona, di esperienza, de
Chambres, ne avesse abbastanza da riempire ben più bagagli
di quanti
se ne fosse portati per questo suo ultimo viaggio.
Tuttavia, in
un modo che allora de Chambres non poteva prevedere, la sua missione
a Cancale lo avrebbe sospinto lentamente verso le porte dell'Inferno.
Quando
Guillerme de Cambres sbarcò da Aucey la Plaine, il sole, che
per
quell'ora avrebbe già dovuto svettare alto sulla Manica,
sembrò
aver deciso almeno per un giorno di ritardare la propria ascesa
quotidiana e, finché il traghetto non lasciò la
darsena, sparendo
nella nebbia, questi continuò, nel basso orizzonte, a
bruciare di
rosso, miscelando la propria corona con i vapori che salivano
melliflui dalle attività portuali, dando vita a danzanti
illusioni
ottiche.
Il
viaggio sarebbe durato poco più di una decina di ore, ma
già dopo
esserne trascorse solo un paio, il costante rollio della piccola
imbarcazione, che altri non era che una vecchia lancia dal passato
ormai perduto, si tramutò per Guillerme de Chambres in un
ribollio
intestinale insopportabile. Non era più abituato a simili
spostamenti; non aveva più lo stomaco per quel placido
sciabordio
che, se per alcuni poteva suonare come rilassante, in lui non faceva
altro che rimestargli gli umori di tutto il corpo, tanto che alla
fine avrebbe avuto la sensazione che più nulla al suo
interno fosse
al posto giusto.
L'umidità era mordace e densa. Attraverso di essa poteva scorgere i lineamenti fumosi della costa, mai troppo lontana. Cercavano infatti di tenersi il più possibile tangenti ad una traiettoria che accompagnasse la riva, solcando acque basse e limacciose, quasi fossero un prolungamento della battigia che non accennava a cedere in profondità. A volte sembrava che la chiglia raschiasse direttamente sul fondale roccioso; al che i due rematori si alzavano in piedi e, dopo un paio di studiate manovre con lunghi bastoni, disincagliavano la barca, allontanandola di poco da quel tratto pericoloso di bassa marea. Poi, come se fosse tutto di normale consuetudine per quel tipo di viaggio, riprendevano a vogare, in silenzio, e padre Guillerme de Chambres, seduto e imperturbabile con le proprie borse sempre vicine, non riusciva a liberarsi dall'immagine del loro traghetto che si schiantava in due.
Le
ultime ore furono surreali.
Più
Guillerme de Chambres si guardava attorno, e più gli
sembrava che
ogni cosa fosse svanita nel nulla, assorbita in un grigiore etereo
che permeava ovunque, sopra e sotto, ai lati e perfino dentro la
barca. Il freddo era diventato intollerabile e, per la prima volta da
quando avevano abbandonato il porto, qualcuno azzardò una
flebile
domanda, le cui parole andarono subito a perdersi nella risacca.
-Siamo
ancora molto lontani?
La
risposta, quasi provvidenziale, arrivò dal mare aperto.
In
poco più di un istante, un vento gelido sferzante da Nord
disperse
la fitta coltre di nubi che avvolgeva il traghetto.
Ora
la meta apparve davanti agli occhi di tutti, e quelle che fino ad un
attimo prima potevano essere scambiate per piccole escrescenze di
luce siderale filtranti dalla parete nebbiosa, ora si palesavano per
ciò che in realtà erano: torce e lampade.
Guillerme
de Chambres ammirò estasiato il promontorio sopra il quale
si ergeva
Cancale.
Approssimandosi
al punto di attracco, nient'altro che un'esile striscia di sabbia che
cingeva a corona l'alta scogliera, Guillerme de Chambres
sentì
crescere dentro sé il moto di un vago risentimento, di
un qualcosa sepolto nel proprio inconscio che dopo anni di
assopimento si era ristabilito in forze e che ora iniziava a
rimestare la terra che lo ricopriva. Ma che cos'era? A cos'era
dovuto? Cercò di sforzarsi un attimo, ma la concentrazione
che gli
avrebbe permesso un'attenta analisi del proprio passato in cerca dei
germi di tale male interiore era quel tipo di concentrazione che non
si sarebbe mai potuta trovare nel mezzo del moto ondeggiante e
sussultorio di un'imbarcazione che si apprestava ad ormeggiare.
Perciò commise un grave errore, ovvero quello di accantonare
il
tutto come una conseguenza del viaggio poco piacevole, o come
qualcosa di poca importanza, senza prestar ascolto a quel briciolo di
sostanza coscienziosa che lo ammoniva da dentro, che lo avvertiva che
qualunque cosa fosse, prima o poi sarebbe tornata. Prima o poi
sarebbe uscita di nuovo.
E
fu allora, proprio mentre i timonieri gettavano le funi ad un forzuto
energumeno in piedi sul molo che sentì una voce. O almeno,
credette
di sentire.
Si
girò, scrutando negli occhi delle altre persone a bordo che
si
preparavano a scendere, cercando un qualche indizio nei loro sguardi
che gli testimoniasse che anche loro avevano udito qualcosa. Ma
niente. Nessun ammiccamento, nessuna occhiata complice, nessuno che
volgesse l' attenzione altrove che dai propri pensieri ordinari.
Eppure
l'aveva sentita. Una sola parola, pronunciata da una voce profonda e,
in un certo qual modo, seducente. Che se la fosse immaginata? Che
l'avesse detta una persona accanto a lui? No, non sembrava provenire
da così vicino. Ma non era nemmeno un'eco distante. Troppo
limpida
per essere stata corrotta dal suo passaggio attraverso l'aria.
Quindi
era nella sua testa?
-I
signori diano una mano alle signore per scendere.
Guillerme
guardò l'energumeno che parlava con uno stretto accento
provenzale,
il quale a sua volta indicò con un innaturale gesto del
braccio un
punto oltre la propria scapola.
-Qua
dietro troverete la scala per il paese. E attenti a dove mettete i
piedi, è pieno di radici.
E
dietro, ora che qualcuno l'aveva fatta notare, si poté
appunto
vedere la scaletta che, come una lunga edera rampicante, si
inerpicava su per il promontorio, solcandone le pareti scoscese fino
in alto, dove spariva a toccare il cielo. Cancale era nascosto dalla
bassa prospettiva, ma dalla cima del sentiero sembrava provenire un
debole bagliore, un morbido e caldo riverbero di luci, che indicava
l'effettiva presenza di vita paesana.
Il
gruppo di persone, sceso dalla barca, iniziò ad incamminarsi
verso
quell'unica via di salita. Ancora uniti, ma ognuno già per
la
propria strada.
Guillerme
de Chambres rimase invece immobile un momento di più, con
una vuota
espressione in volto.
Ancora
quella voce, calma e abissale.
-Presto
La
salita verso Cancale si rivelò impervia, ma padre Guillerme
de
Chambres, col suo fare ammaliante raffinato in anni di omelie ai
contadini, riuscì a convincere un ragazzino, piuttosto esile
e
ossuto, ma apparentemente volenteroso, ad aiutarlo con le valigie, a
dare una mano, come disse lui, ad un povero vecchio in viaggio per
conto di Nostro Signore. E così salirono, gradino per
gradino, per
la scala di pietra, di tanto in tanto prestando attenzione a dove
mettessero i piedi sul terreno, nel quale si diramavano
un numero impressionante di radici scivolose, come tante dita
disarticolate che uscivano dal fianco della montagna.
Giunsero
in cima e Guillerme de Chambres ringraziò il giovane
aiutante, ormai
stremato nel respiro, congedandolo con un'affrettata benedizione e
nulla di più. Non che non avesse del denaro con
sé, ma era altresì
convinto che una ricompensa pecuniaria non avrebbe fatto altro che
spalancare le porte di un'anima ancora così innocente al
vizio del
materialismo, poco importava quanto povera in realtà fosse
questa
creatura. Era arrivato in quel posto per un motivo che ben poco aveva
a che fare con la carità. Era lì per estirpare il
Demonio dal fango
salmastro sopra il quale quegli uomini deboli di spirito avevano
eretto le proprie case. E il denaro, si sa, è una delle
tante esche
che il Diavolo lascia incustodite, sperando che qualcuno prima o poi
vi abbocchi. E questo capita sempre.
-In
nomine Patri, Fili et Spiritui Sancti.
Così
proferì, gesticolando cerimonioso davanti agli occhi del
giovane,
che poi vide allontanarsi, ridiscendere la scala e tornare in porto,
a capo chino, forse per assaporare la benedizione ricevuta, o forse
per mandar giù un boccone più amaro.
Ora
che finalmente era arrivato e che si era lasciato alle spalle un tale
viaggio, il nostro Guillerme de Chambres altro non voleva che trovare
un letto e un pasto caldo e pregare che per un altro giorno ancora
fosse fatta la Sua volontà. E tutto il resto poteva
aspettare,
poiché con nemici pazienti, si doveva mostrare niente meno
che la
stessa virtù.
Si
rimboccò le maniche e aguzzò la vista in cerca di
un rifugio.
Il
paese era come se lo aspettava: piccolo, di pochi immobili stretti
gli uni agli altri, legno e paglia soprattutto, qualcuno in argilla,
tutti scricchiolanti sotto le botte costanti del vento. Una misera
manciata di lanterne squagliavano le tenebre, mostrando qua e
là i
tratti di un volto ancora sconosciuto: una strada battuta, una porta
rimasta aperta, una finestra rattoppata con assi di legno, poi
strumenti di lavoro, una carriola che sprofondava sotto il proprio
peso, attanagliata dalle grinfie della terra collosa. In grazia a
quelle poche luci, con la notte che trionfava già da qualche
ora,
l'intero abitato veniva esumato dall'ombra come un pallido cadavere.
Padre de Chambres scacciò indietro un brivido che sembrò emergergli direttamente dall'anima, attribuendone la colpa al freddo e alla stanchezza. Mosse qualche passo e uscì di scena.
FINE SECONDA PARTE
Nota dell'autore: molto presto sarà pronta anche la terza parte del primo capitolo, che ho preferito dividere per non appesantire troppo la lettura. Ricordatevi di lasciare i vostri preziosi pareri e non risparmiatevi in critiche. Grazie.