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Autore: PrimaLetteraDellAlfabeto    14/10/2013    3 recensioni
« È da non credere vero? » D’un tratto Mirajane decise di soffiare via il silenzio, e sfoggiò sorriso amaro, falso, sperando dentro di sé che il nemico potesse guardarla.
« In questo momento stanno combattendo, ma ci pensi? Pochi giorni fa eravamo tutti insieme e adesso loro sono laggiù a combattere, a rischiare la vita per noi.
A rischiare la vita...
E noi qui, ferme, ad aspettare. »
Lucy si voltò verso di lei, e vide un volto stanco, marchiato dalla sofferenza, stremato dalla guerra.
La guardò a lungo, e si convinse che una ragazza così bella non dovrebbe mai avere un’espressione smile.
« È frustrante. »
Nonostante le parole sibilate, nonostante il dolore celato dietro di esse, la sua voce risultava ugualmente melodiosa, in ogni sua nota.
Una donna è gentile perfino da ferita.
« Già. »
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Lucy Heartphilia, Luxus Dreher, Natsu, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Al primo impatto vennero accolti da un frastuono familiare, una miriade di rumori che intrecciandosi fra loro erano in grado di comporre una sinfonia contorta, un carretto traballante, un pallone che ruzzolava sui marciapiedi, un cane che abbaiava in fondo alla strada, e poi voci, e chiacchiere, e vita.
E odore del pane appena sfornato, e delle violacciocche che tardavano a gelare, e di una pioggia passata che risaliva dal terreno; nonostante l’obbligo temporale di un clima sempre più rigido, quella terra era caratterizzata da un’atmosfera straordinariamente mite, come se non fosse inclusa al gioco di regole che incatenava una stagione all’altra, come se fosse accerchiata da una bolla che le impediva di subire il peso del mondo, come se fosse protetta.
Appena arrivarono respirarono a pieni polmoni, e lo sentirono, la loro città emanava speranza.



Fu sorpreso di notare alcuni cambiamenti, l’insegna del fruttaio ora era gialla, il condominio vicino alla piazza era pieno d’edera, la drogheria aveva chiuso bottega, eppure il suo periodo di arruolamento non durò poi così tanto, o forse si, in effetti otto mesi.
Camminava lentamente lungo le vie più affollate, seguendo l’ago di una bussola interiore che ruotava a seconda del suo volere. Era felice di essere lì, ogni angolo di quella città lo portava indietro nel tempo, gli rimescolava i ricordi facendoli riaffiorare alla luce del sole.
D’un tratto avvertì l’impellente bisogno di tornare ad essere se stesso, dopo tanto di quel tempo trascorso ad esistere sotto forma di uno dei tanti soldati, si era quasi dimenticato il concetto di personalità propria; aprì il suo borsone, ed in mezzo alla gente scalpitante, si mise nell’affannosa ricerca dell’oggetto che più di tutti lo caratterizzava, che più di tutti sentiva vicino al cuore.
Teneva la sua borsa straripante con un braccio, come se reggesse un bimbo in fasce, mentre con la mano libera scostò maglie, pantaloni mimetici, calzini, fino a che i suoi movimenti non divennero sempre più rapidi e tesi; non avere sotto mano ciò che voleva gli premeva particolarmente, ed improvvisamente si trasformò in un bambino, il quale non concepiva l’ipotesi di ricevere una risposta negativa.
La sua espressione mutò in un ringhio stizzito, al pensiero di averla dimenticata, o peggio, persa, si sentiva pressato dall’angoscia e dal rimorso, e invece no, eccola lì la sua sciarpa, acciaccata sul fondo della sacca in tutta la sua bellezza.
La estrasse con più foga del necessario, rischiando di far scivolare alcuni indumenti a terra, e sotto lo sguardo incuriosito e vagamente sconcertato dei passanti, la sventolò con forza per scioglierla da tutti gli stropicciamenti che aveva subito stando nascosta all’interno della borsa, come se fosse una bandiera, la sua.
Con un gesto rapido se la arrotolò intorno al collo, ora era davvero tornato.



Si fermò a mangiare qualcosa seduto in una panchina del parco, assaporando l’aria autunnale e gli odori che questa sprigionava.
Nonostante che le condizioni climatiche non fossero poi così critiche, la gente accanto lo fissava stupita a causa del suo abbigliamento leggero e decisamente inadeguato alla stagione, ma non ci badò molto, c’era abituato, lui per primo sapeva che a metà novembre non era cosa usuale andarsene in giro con una maglia a maniche corte, ma non poteva farci niente, a lui il freddo piaceva, gli era sempre piaciuto.
Addentò con un altro morso il panino che aveva tra le mani, mentre guardava divertito dei bambini giocare in lontananza, quando d’un tratto una voce femminile, che risuonò con un timbro di sorpresa ed entusiasmo, catturò la sua attenzione.



Non aveva una meta ben precisa, a lui semplicemente piaceva stare all’aria aperta, vagabondare tra la folla, sentire la vita scorrere accanto a sè, lo faceva sentire vivo a sua volta.
Si stava dirigendo verso il centro della piazza, ma qualcosa lo bloccò bruscamente, d’improvviso un paio di calde ed esili braccia gli impedirono di avanzare.
Le sentì avvolgergli l’addome con impeto, quasi a voler fondere i due corpi, e ad ogni secondo che passava la stretta si faceva sempre più salda, sempre più vigorosa, e lui non poté fare a meno di accogliere quell’abbraccio che trasudava affetto ad ogni respiro.
Guardò in basso, e con il cuore traboccante vide finalmente la causa della sua marcia spezzata, i piccoli arti che lo cingevano da dietro ancora non gli arrivavano al torace, sembravano così candidi, delicati, ed emanavano un tepore avvolgente.
Percepì il peso di una piccola testa poggiarsi lungo la sua schiena, ed anche se non poteva guardarla sapeva che il suo viso si stava bagnando di lacrime, dopotutto la conosceva bene.
Sorrise.



Sentire il suo nome affiorare da quelle labbra lo caricò di un’emozione strana, nuova ma allo stesso tempo passata, ordinaria, e sentì una sorta di formicolio espandersi lungo tutto il suo ventre.
Sapeva che l’avrebbe trovata lì, a pochi metri da lui, in piedi ed incredula, magari con una busta della spesa tra le mani, od un libro acquistato da poco, ma lasciò che passassero ancora una manciata di secondi prima di girarsi e rispondere al suo richiamo, d’altronde si erano sempre divertiti un po’ a torturarla, lei era sempre stata una che si lasciava prendere in giro, e da parte sua Gray era un ragazzo che godeva nel farsi desiderare.
O forse la verità era un’altra, a conti fatti stava solo mentendo a se stesso, e con uno sforzo di sincerità riconobbe la presenza di un insensato timore che gli impediva di voltarsi.
Avvertì una mordente sensazione di vuoto interiore, quell’enorme e maledetto buco allo stomaco che odiava e che già aveva subito in passato, come i minuti che precedettero il colloquio per iscriversi all’accademia militare, quell’esame che gli cambiò la vita.
Era una percezione maledettamente familiare, la sentiva ogni volta che si trovava in uno stato emotivo particolarmente teso.
Ricordò del momento in cui percepì questa sottospecie di croce per la prima volta, fu mentre percorreva lo stradello che conduceva al parco vicino casa; quand'era un bambino ancora insicuro dei rapporti con gli altri, non sapeva se una volta arrivato avrebbe trovato i suoi amici o sarebbe rimasto solo, era una preoccupazione talmente frivola, ma riusciva spesso a tormentarlo, e quella stessa sensazione lo faceva ancora.
Nonostante tutto però non riusciva a capire, iniziò a chiedersi perché si stava ripresentando proprio ora, e perché proprio con lei, avrebbe dovuto essere felice di poterla riabbracciare, allora perché?.
Si stava affliggendo con molteplici domande, ancora non sapeva che rivedere improvvisamente una persona cara dopo tanto tempo ha l’effetto di impietrirti. In un attimo lasciò cadere tutto, i dubbi, le paure, poterla riabbracciare, in un attimo stette meglio, e quando si voltò sapeva già a chi avrebbe rivolto il suo sguardo.
« Ciao Lucy. »



« Mi sei mancato tanto Natsu. »
Lui afferrò quelle piccole braccia che lo avvolgevano e gli scaldavano l’anima, e si sorprese di quanta felicità riusciva ad infondergli il suono della sua voce.
« Anche tu Wendy. »





**


Era da molto ormai che fissava la sua immagine riflessa, ma non si era guardata realmente neanche un solo istante da quando si era seduta dinnanzi allo specchio.
Spazzolava i capelli con una lentezza quasi estenuante, e ad ogni colpo di spazzola una nuova immagine della giornata appena trascorsa si annidava nella sua mente.
Erano tornati.
Quel giorno aveva rivisto Gray dopo tanto tempo, aveva passato tutto il pomeriggio a parlare con lui, e tutti i castelli in aria che aveva costruito durante la loro assenza erano inesorabilmente crollati.
All’inizio si era immaginata una scena meravigliosamente romantica, di quei ritorni strappalacrime tipici dei film che al pomeriggio proiettavano al cinema, e che andava spesso a guardare in compagnia di Levy, giusto per conservare un po’ di speranza, o per farsi del male.
Poi le sue fantasie erano paradossalmente mutate, e col trascorrere del tempo tutto il suo romanticismo si era trasformato in rabbia, tutto quel tempo senza uno stralcio di lettera, o una chiamata, e in un attimo le rimontò addosso tutta la frustrazione che l’aveva inghiottita insieme ai suoi giorni, e riiniziò a pensare, "ma come è possibile che in otto mesi non siano riusciti a trovare nemmeno il tempo di una chiamata?!".
Anche da cinque minuti le sarebbe andata bene, da quattro, da due, anche solo per sentire la sua voce, per sapere se stava bene, se era vivo.
Rabbrividì, e scacciò via quel pensiero orrendo.
No, erano tornati.
Erano tornati tutti davvero, eppure non l’aveva ancora incontrato.
Ma quella sera aveva aggiunto dieci gocce in più di essenza di rosa nella vasca, e non curante dell’aria gelida della notte, aveva lasciato leggermente la finestra aperta.
Il cuore le batteva a mille, nel silenzio in cui era avvolta poteva quasi sentire i suoi stessi battiti, ma concretizzò il fatto che non aveva senso restare sveglia ad aspettare, magari non sarebbe accaduto nulla di ciò che sperava, così decise di coricarsi a letto.
Si arrotolò sotto le coperte pesanti e spense la luce, sforzandosi di addormentarsi il più presto possibile, e dando le spalle a quello spiraglio aperto che stava tenendo crudelmente le redini del suo cuore.


Mani.
Si svegliò di soprassalto.
Se le sentiva sui fianchi.
Adesso erano braccia, le cingevano la vita, ed erano calde, quasi bollenti.
Non riusciva a crederci, né a trovare la forza di voltarsi, e l’unica reazione da parte sua furono delle lacrime che non tardarono ad inumidirle il volto.
Nessun movimento, o gesto, nessun segno, e nessuna parola, solo lacrime.
« Non piangere. »
E come lo spieghi ad un uomo che una donna fa sempre l’esatto opposto di ciò che le viene detto?.
« Non piangere Lucy. »
Natsu avvicinò sempre più il suo viso a quello di lei, finché non poté più fare a meno di girarsi e guardarlo.
Appoggiò il palmo della mano sulla sua guancia, e con gesti lenti e delicati incominciò ad accarezzargliela, ma ancora non emise fiato, e anche se avesse voluto non sarebbe riuscita a trovare le parole.
Al posto di compiere un errore, di parlare troppo, o troppo poco, Lucy decise di tacere e di piangere.
Pianse mentre si baciarono, ed ogni loro bacio aveva una tonalità diversa dal precedente, un’anima propria, qualcuno svelto, leggero, un po’ distratto, qualcun’altro intenso, dolce, passionale, e non smisero di scambiarsi quel gesto d’amore per tanto, tanto, tanto tempo.
Pianse mentre Natsu le sfilò la sottana leggera, mentre lo guardò spogliarsi a sua volta, mentre l’accolse dentro di se.
Ma era un pianto discreto, muto, come un segreto, che solo la persona amata può ascoltare.
Pianse fino in fondo, fino a quando non ne fu esausta, e terminò di recitare quella poesia non detta, sentendosi piena e svuotata allo stesso tempo, piena di lui, e svuotata dalla sua assenza.
Pianse liberandosi dal filo spinato intrecciato intorno a se stessa, finché non si addormentò sfinita tra le sue braccia, lasciando a Natsu il compito di raccogliere la sua ultima lacrima.





**


« Giusto per curiosità, fino a quando hai intenzione di startene lì seduto? »
« Fino a quando avrò voglia di alzarmi. »
« Veramente siamo chiusi. »
« Non per me. »
Mirajane lo guardò a lungo, e sorrise tra le mura del suo cuore.
« Già non per te…»
Si affrettò ad asciugare un altro bicchiere con uno strofinaccio pulito, prima di tentare di estrapolargli quante più informazioni possibili.
« Allora oggi com’è andata? »
« Bene. »
« Hanno tutti fatto il proprio dovere? »
« Si. » tagliò corto lui prendendo nuovamente un lungo sorso di birra. 
Lei sospirò mestamente nascosta dietro al bancone, ma non si perse d’animo.
« E quando partirete? »
« Che ore sono? »
« Le due e un quarto. »
« Allora domani. »
« Domani? Di già?. » protestò affranta, ma non notando nessuna reazione da parte sua decise di rinunciarci.
Sapeva che con lui i piagnistei non funzionavano, e accantonò anche la sua curiosità in merito alla missione, quando, e se, avrebbe voluto sarebbe stato lui a parlargliene, insistere era inutile.
« E mi dica, posso portarle dell’altro Capitano? » decise così di cambiare approccio per smorzare la stanchezza di entrambi, ed iniziò a stuzzicarlo, un atteggiamento che lui accolse di buon grado.
« In effetti si, sarebbe anche ora che mi offrissi dell’alto. »
« Senti un po’ carino, io qui ho ancora del lavoro da fare, e fin tanto che te ne stai li seduto a sporcarmi altri bicchieri non aiuti. »
Di tutta risposta il famigerato Capitano si scolò la birra da poco ordinata fino all’ultima goccia, e posò pesantemente il bicchiere sul tavolino di legno.
Lui amava il pub di Mirajane, anche se non glielo l’avrebbe mai ammesso, era un locale rustico, ma allo stesso tempo denotava una certa classe, per la verità la fama di cui godeva era dovuta alla gran varietà di alcool che offriva, ed alle belle cameriere.
Ma in fin dei conti a lui questo non interessava granché, era l’ambiente in generale che apprezzava, soprattutto quand’era chiuso.
Si alzò dalla sua postazione, e la raggiunse con una scintilla negli occhi.
« Sono 20 yen. » attestò lei con tono professionale, vedendolo avanzare verso la sua direzione.
« E per me? »
« 78 yen. »
« Ma come siamo ironici questa sera. »
« Veramente non sto scherzando, con tutte le birre che hai messo in conto ci devi un bel gruzzoletto. »
Il ragazzo si sedette in uno sgabello del bancone, e la fissò divertito con un po’ di malizia, gli piaceva guardarla mentre era indaffarata, e gli piaceva guardarla e basta.
« Troverò il modo di farmi perdonare…»
Mirajane sorrise fra sé, ma non scollò lo sguardo dall’ennesimo bicchiere che stava pulendo, sapeva che da li a poco i suoi occhi si sarebbero posati su di lui finché non ne sarebbero stati sazi.
« Sei sempre stato il mio peggior cliente, Laxus. »







~
Ormai sono sulla linea di confine fra lo schifo e il disagio lo so, ma non ce l’ho proprio fatta a pubblicare prima, un po’ perché non mi venivano le parole, e un po’ - e soprattutto- perché non avevo voglia di accendere il pc.
( Sembrerà strano, ma io faccio parte di quella fascia di ragazzi che non sente la necessità di accendere il computer ogni santissimo giorno. …Si vede che non sono su Facebook eh? :D) .

Parlando di questo qui sopra, credo che ormai sia chiaro che 2 dei 3 soldatini iniziali siano Natsu e Gray.
Dite la verità avevate paura che accoppiavo Natsu a Wendy eh?? xD
E invece io opto per tutte le coppie principali, e mi sono ripromessa che darò spazio ad ognuna di loro.
Anche se Laxus e Mirajane non sono poi quotatissimi, io tifo per loro. Cioè, il quarterback e la capo cheerleader, sono perfetti insieme.

In realtà questo capitolo non mi convince molto, non so, ho paura che sia troppo lungo, o troppo corto, che stanchi, che non si capisca quando salto da un punto di vista all’altro (potete anche ammetterlo che nella prima parte vi ho fatto dannare ^^’), ma se non avrei pubblicato oggi l’avrei fatto certamente fra altri 2 mesi, perché tanto non sarei mai stata contenta del risultato.., quindi...ecco a voi il capitolo! :D.
Nonostante tutto spero vi piaccia.
Un bacio a tutti i malati che lo apprezzeranno (ma non con la lingua. °”°)
   
 
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