Leo è a terra, si sta riprendendo piano piano, aiutato dalla sorella. La bambina è per terra, in posizione fetale, mi pare ancora più piccola di prima. Sembra quasi che stia dormendo.
L'ambulanza è arrivata, sta aiutando i feriti, non gravi per fortuna.
Chiamo a gran voce un dottore, cercando di sovrastare il baccano che ci circonda.
Un medico si avvicina e cerca il battito della bambina. È regolare, dice. È svenuta e ha un'ustione sulla pancia, insieme ad altre sulle braccia e le gambe.
"La porti a casa. Sta bene. Non ha nulla di rotto."
"Ma non è mia figlia…"
Il medico non mi sente, si sta avvicinando ad altri infortunati.
Leo si è ripreso. Ma zoppica.
Anna lo sostiene e lo aiuta a camminare. Mi avvicino, lo guardo con tristezza. Lui ricambia lo sguardo. Poi proviamo a sorridere, ma non ci riusciamo.
Leo si volta verso la bambina. Le sorride con affetto e la prende il braccio.
"Portiamola a casa tua" dice.
"Sì. Un attimo…"
Mi avvicino a un vigile del fuoco. Ormai sono riusciti a domare le fiamme e scavano tra le macerie. Vedo affiorare i corpi di due persone, marito e moglie.
Morti.
Sono distesi l'uno di fianco all'altra, mano nella mano. Hanno un'espressione serena, come stessero dormendo. La stessa che ha la bambina…
Mi sento male. Comincio a vomitare.
È terribile.
Leo mi raggiunge, con un'espressione interrogativa sul volto. Quando vede i corpi, assume un'espressione spaventata e inorridita insieme. Guarda la bambina e i corpi dei suoi genitori, senza sapere cosa fare.
Cerco di tornare in me e di agire con lucidità.
"Andiamo" dico con decisione dopo aver respirato profondamente.
Devo portarla a casa. Si sta riprendendo molto lentamente, chiama debolmente la mamma. Mi scappa una lacrima, ma la asciugo subito e riprendo il controllo.
Mi assicuro che i miei amici stiano bene, poi li avverto che me ne sto andando.
Per fortuna casa mia non è troppo lontana.
Spalanco la porta, ignoro lo sguardo perplesso di mamma, papà e nonna, seduti sulle poltrone a guardare un film, ignari di tutto. Guardano i miei vestiti lacerati, la polvere che ho addosso e soprattutto la bambina incosciente che tiene in braccio Leo. Non ho intenzione di dare spiegazioni, soprattutto perché i miei non capiscono mai al primo colpo e devo sempre ripetere i fatti venti volte. Mi dirigo in camera seguita da Leo con la bambina in braccio, cercando di assumere l'aria di qualcuno determinato, che sa quello che fa e che ha la situazione sotto controllo. Niente di più falso.
Rosy mi segue senza far rumore. Lei sa quello che è successo. Lo sente.
Leo distende la bambina sul mio letto, poi si lascia cadere su una sedia, con la caviglia dolorante.
"Va' a dormire e riposati."
Lui sorride e obbedisce, va nell'altra camera, quella degli ospiti che ormai è diventata ufficialmente la sua.
Appena chiude la porta, prendo un fazzoletto bagnato e lo passo sulle ustioni della bambina. Poi prendo delle fasciature sterili e copro le bruciature. Sono abbastanza leggere e superficiali, per fortuna.
Le poggio una mano sulla fronte: ha qualche linea di febbre.
La copro e le sorrido.
Prendo una sedia e mi siedo vicino al letto. Le resterò accanto finché non si sveglierà.
Le prendo la mano. Una mano di una persona così piccola, grazie però alla quale due trentenni vivono ancora.
La stringo con decisione e complicità.
Nulla al mondo mi avrebbe persuaso a lasciarla.