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Autore: orocea    18/10/2013    2 recensioni
Castiel vede spesso suo padre.
In realtà non ci ha mai parlato e oggi che ha trent’anni, probabilmente, quell’uomo misterioso di cui ha sempre saputo immaginare solo l’ombra sarà già morto. Però lui lo vede: suo padre è in tutti gli angoli, si riflette in tutti gli specchi del reparto psichiatria.
[... ]
Dean Winchester è un ragazzo ben piazzato, con un bel paio di occhi verdi, una discreta fortuna con le ragazze e assolutamente nessuna voglia di operarsi di peritonite.
AU!destiel
Genere: Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessuna stagione
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Capitolo di transizione, spero che sia all’altezza delle vostre aspettative.
Ringrazio tantissimo i ciccini che hanno messo la storia tra le seguite e le ricordate, e soprattutto i due recensori che mi hanno resa felice e orgogliosa di quello che sto facendo. Grazie mille per il vostro sostegno!
 
 
(Don’t) believe in hallucinations
 
 
Sono le tre del pomeriggio quando Castiel chiede alla prima infermiera che vede passare in corridoio se è possibile avere una penna e un elenco telefonico, per favore.
Mentre aspetta siede pensieroso sulla brandina, in attesa della prima allucinazione della giornata che oggi tarda a presentarsi, volendo escludere quella della notte appena trascorsa. A pensarci, suo padre gli ha tirato un bello scherzo, già, proprio un bello scherzo, papà, tu e i tuoi mocassini alla moda che non fanno rumore sul pavimento e il naso che mi fa ancora male perché il petto di quel Dean era di pietra, già, avresti potuto mandarmi un segnale, illuminare con i tuoi poteri da allucinazione un’insegna delle uscite da sicurezza, lasciarmi cadere il guscio di una tartaruga in testa, scrivere coi gessetti sul pavimento come fanno i fantasmi dei bambini nei film dell’orrore di terz’ordine.
«Ecco a te, Castiel», dice un’infermiera. La sua voce lo fa sobbalzare e lo risveglia dal torpore contemplativo. Come sa il mio nome, ah, già, c’è scritto sulla porta, così quando devono portarmi le pillole sanno che devono darle a me, proprio a me, a me che sono in questa stanza, solo che oggi il menù è cambiato, penna ed elenco telefonico al posto delle pastiglie.
Castiel soffoca un grazie in un sorriso apparentemente distratto, ma studiato. E’ un po’ faticoso. Sua madre gli ha sempre detto che non ha la risata facile, perché è ingenuo, ci mette un po’ a realizzare. Pensa sia un modo gentile per dirgli che è tardo. Quanto sei tardo, Castiel. Tardo, Castiel. Taaaaaaardo Castiel.
Scuote la testa e apre l’elenco, realizzando improvvisamente quanto pesa.
 
Quella mattina Castiel era sceso al pianterreno e si era parato con aria smarrita davanti al banco informazioni.
«Come posso aiutarla?» aveva chiesto una signorina distratta, senza guardarlo in faccia.
«Qui è ricoverato un certo Dean».
La signorina aveva alzato la testa, richiamata all’attenzione dal tono incerto e dall’atteggiamento vagamente infantile del suo interlocutore. «Be’, sì, qui sono ricoverati vari ‘Dean’».
Castiel aveva capito di dover specificare. «Si trova al reparto chirurgia gastrica».
«Ah, ecco». Aveva digitato due parole al computer mentre chiedeva «lei è un paziente?».
«Sì», aveva risposto, toccandosi la maglietta bianca con lo scollo a v tipica dell’ambiente ospedaliero. Sono del reparto psichiatria, aveva aggiunto a mente. Sono del reparto psichiatria ma non sono pazzo, lo giuro, vedo solo delle cose, ma so che non sono reali. Lo so quasi sempre.
«Ecco, Dean Winchester».
«Grazie mille», aveva detto avviandosi in fretta verso le scale.
La signorina l’aveva fermato. «Non vuole sapere il numero della stanza?».
«No».
 
L’elenco telefonico dice che ci sono tre Dean Winchester a Lawrence. Castiel si scrive un numero di telefono sulla mano, gli altri due sul braccio – ha dimenticato di chiedere un pezzetto di carta.
Posando il tomo sul tavolo di compensato della sua stanza pensa che finalmente potrebbe farsi un amico, con una determinazione e un’ostinazione che lo sorprendono e lo imbarazzano. Insomma, sei davvero così disperato da aggrapparti al primo sconosciuto, Castiel, non dovresti, è maleducazione.
Castiel si ripete mentalmente di non fare l’impiccione e di non andare a cercare la stanza di Dean Winchester mentre si precipita verso la porta, esce in corridoio e raggiunge il telefono appeso alla parete.
 
Il primo numero digitato da Castiel, quello scritto sulla sua mano sinistra, non ha neanche il messaggio di segreteria registrato. Squilla a vuoto per un buon minuto, finché la voce femminile dell’archiviazione messaggi automatica chiede di lasciare un messaggio dopo il segnale acustico. Il secondo numero comporta un’attesa decisamente minore: una voce giovane e piena di uomo risponde in italiano. Castiel attacca, imbarazzato. Non è neanche detto che Dean del reparto chirurgia gastrica viva a Lawrence. Quanti Dean Winchester ci sono in Kansas? Dieci? Quindici?
Castiel compone amareggiato l’ultimo numero, quello scritto sul bordo inferiore del suo avambraccio.
Forse non è destino che io mi faccia degli amici, dice ad alta voce Castiel. Uno stuolo di infermiere sta passando in quel momento: nessuno lo ha sentito. Lui sente a malapena se stesso.
Ci sono quattro squilli vuoti e tra l’uno e l’altro prova a riaversi dalla delusione. La segreteria scatta non appena stacca il ricevitore dall’orecchio. «Questa è la segreteria di Dean Winchester…»
Castiel, come fulminato, riavvicina la cornetta. «… Se volete notizie della vostra macchina allora chiamate l’officina al numero 665 21 23 498, altrimenti sapete cosa fare. Beep».
 
665 21 23 498
665 21 23 498
665 21 23 498
665 21 23 498
 
Castiel lo conosce ormai a memoria quando arraffa la penna dal tavolo di compensato della sua stanza e si macchia il bicipite di inchiostro blu con la sua scrittura sghemba.
Gli dispiace solo non avere una macchina.
Rimane fermo, seduto sul suo letto, a contemplare per qualche minuto il numero di telefono, come appena uscito da una trance ispiratrice. Sta giusto chiedendosi che fare, probabilmente fa il meccanico in un’officina, cosa c’entro io in tutto questo, gli occhi sottili e il capo piegato a destra in un atteggiamento perso e pensieroso, quando Dean compare sulla porta.
Non è il vero Dean, e di questo è sicuro quasi subito. Ha qualcosa di spettrale nella carnagione, o forse è un alone prodotto dalla sua testa difettosa. Come al solito, quando si tratta delle sue allucinazioni non riesce mai ad avere il controllo dei dettagli. Si alza in piedi senza parlare.
Dean fa un passo avanti. «Ieri mi hai detto che eri del reparto psichiatria».
E’ un’allucinazione, non rispondere.
«Cos’è quella roba che hai scritta sul braccio?».
Castiel guarda i numeri di telefono scribacchiati sulla pelle rispondendo a un riflesso involontario. «Numeri di telefono».
«Due di quelli sono miei. Anzi, quello più su è dell’officina».
«Già».
«Tu non hai la macchina».
«No».
«Io ho un’Impala del Sessantotto», dice il finto Dean, arrischiandosi a fare un altro passo. Si appoggia al tavolo di compensato senza degnare di uno sguardo l’elenco telefonico, unico oggetto sul piano vuoto. «Puoi chiedermi di farti fare un giro. Ma guido io».
Castiel si risiede e costringe se stesso a guardarsi le pantofole scolorite da paziente affezionato.
«Mio padre è morto tre anni fa e mi ha lasciato l’officina», continua Dean. Se solo Castiel sapesse come fermare un’allucinazione senza prendere un barbiturico fulminante, lo farebbe subito. «Mio fratello Sam è laureato in giurisprudenza e fa tirocinio per diventare avvocato. Io contemplo il motore, la pancia e il culo di qualsiasi tipo di macchina e credimi, è molto meglio della giurisprudenza».
Forse servirebbe un po’ di barbiturico.
Dean schiocca le dita per fargli alzare la testa. «Domani vieni da me».
Castiel, dopo un attimo di trance apparente, si alza e si avventa sul cassetto dei sonniferi.
«Ti direi di venire subito da me, in realtà, ma sono così fatto di morfina post-operatoria che sono in condizioni pietose».
Dov’è la scatola dei barbiturici.
«Stanza 505, eh».
Castiel scova dal fondo di un contenitore un quarto di pillola e lo inghiottisce senza neanche bere un goccio d’acqua.
Poi si stende sul letto e conta quattro secondi.
Uno
due
tre (Dean è sparito ora)
quattro.
Chiude gli occhi e dorme di sasso, senza sognare, fino all’ora di cena.
  
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