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Autore: Clematis    20/10/2013    3 recensioni
Louis ha permesso alla paura di pregiudizi di avvilupparlo ed ora é sul fondo cercando di trovare una via per riemergere dalle tenebre.
Harry nasconde i suoi scheletri dietro un sorriso mentre la maschera inizia a confondersi con il suo reale volto.
Nessuno direbbe mai che i due ragazzi fingono, nessuno riuscirebbe ad elencare motivi per cui dovrebbero farlo, nessuno sa.
Trovano l'uno nell'altro una sicurezza che mai prima avevano provato e un'amicizia sboccia nelle condizioni più avverse, un'intrepida stella alpina durante il più freddo dei mattini.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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LET ME INTRODUCE YOU TO MY SKELETONS

 

Non recidere, forbice, quel volto,

solo nella memoria che si sfolla,

non far del grande suo viso in ascolto

la mia nebbia di sempre.

 

Un freddo cala... Duro il colpo svetta.

E l'acacia ferita da sé scrolla

il guscio di cicala

nella prima belletta di Novembre.

 

Louis sentiva gli occhi di Harry fissi sul suo volto ma cercò di ignorare la sgradevole sensazione di fastidio alla bocca dello stomaco come se un’ape avesse punto quella zona e si concentrò sui sedili rivestiti di blu del treno, sull’acconciatura d’un bianco candido decisamente in bilico della donna a qualche sedile da lui, sul giornale del giorno precedente gettato con noncuranza sul posto di fronte, su tutto tranne che su Harry ma i suoi sforzi erano destinati ad essere vanificati.

«Stai sorridendo senza motivo, lo sai vero?» disse allora il ragazzo accanto a Louis, sorridendo ancora e mettendo in evidenza le fossette che apparivano ogni volta che sfoggiava uno dei suoi sorrisi luminosi, perché ‘luminosi’ era l’unico aggettivo con cui ci si potesse riferire alla curva delle labbra di Harry, al suo labbro inferiore leggermente più sporgente e carnoso rispetto al superiore, ai suoi denti che aggiungevano soltanto un un’ultima pietra al monile poiché era già radioso di suo.

«Hai il sorriso contagioso» sfuggì dalle labbra di Louis, che si voltò verso Harry e ne osservò la reazione con terrore misto alla paura che fraintendesse anche se, si rese conto poi, ciò che temeva lui capisse era quello che intendeva dire. Rimase dunque immobile, respirava a malapena, le labbra ancora dischiuse come se cercassero di decidere se riafferrare quelle parole fugaci che erano state distrattamente pronunciate o di lasciarsi vincere dalla curiosità e scoprire cosa sarebbe accaduto.

Il ragazzo dagli occhi verdi scrutò con serietà il volto di Louis per qualche secondo come per cercare la microespressione che tradiva quella che riteneva fosse una bugia. Ma Louis non ritirò le sue parole, attese che Harry scegliesse a cosa credere, quale strada seguire. Ed Harry scelse quella meno attesa.

«Bene, vuol dire che mi sforzerò di farlo più spesso se vuol dire vederti sorridere» e, socchiudendo lievemente gli occhi, allargò ancora di più il suo sorriso provocando una sonora risata da parte di Louis.

Durò tutto qualche secondo, poi calò un imbarazzo palpabile e, mentre Harry si concentrò sul paesaggio che scorreva veloce, ridotto a quasi una macchia indistinta di colori, Louis voltò il capo verso i due sedili vuoti davanti a loro oltre il tavolino che avevano riempito con tutte le loro cose.

«Ti va di ascoltare un po’ di musica?» domandò poi Louis facendo oscillare tra pollice ed indice il suo iPod. Non voleva che il resto del viaggio per Londra calasse nel totale silenzio, non ora che aveva avuto una reazione così positiva da Harry.

Il ragazzo annuì ed i suoi ricci scuri si mossero mentre alcuni dei quali ricaddero sulla fronte, allungò la mano verso Louis e prese tra le sue dita una cuffia.

Per un istante Louis esitò. Che canzone avrebbe messo? Optò per il casuale, era la migliore scelta che aveva.

Schiacciò il tasto ‘play’ e non ebbe neanche il tempo di sperare che non fosse una delle canzoni natalizie di Mariah Carrey che sua madre aveva scaricato sul suo iPod che ‘Bloom’ dei The Paper Kites invase i suoi sensi. Era una di quelle canzoni che aveva scaricato sull’iPod e ascoltato pochissime volte ma ne ricordava ugualmente le parole come se fossero impresse a fuoco nella sua memoria. Succedeva così spesso con i testi delle canzoni che ormai non si poneva neanche più delle domande, cantava e basta.

Harry ascoltò in silenzio per un paio di minuti, poi, vinto dalla curiosità, sfiorò un tasto sull’iPod in modo che lo schermo si illuminasse e mostrasse titolo e artista. Dallo sguardo che fece, dal fatto che strinse gli occhi come se cercasse di ripescare un nome dalla memoria senza riuscirci, Louis capì che non conosceva la canzone.

Passarono quasi mezz’ora in silenzio ad ascoltare musica dall’iPod di Louis, legati a quelle cuffie come un naufrago ad una tavola di legno durante una tempesta. Non parlavano ma il solo stare lì, seduti a pochi centimetri di distanza con le spalle che quasi si sfioravano e i pensieri liberi di seguire il loro percorso senza che nessuno li disturbasse, era perfetto.

Louis avrebbe potuto giurare di non aver bisogno d’altro, non voleva che Harry dicesse qualcosa, che facesse qualsiasi cosa o che il suo futuro prendesse una svolta, la sua vita in quel momento era tutto ciò che avesse mai potuto chiedere e forse anche di più. Quell’istante sarebbe potuto prolungarsi all’infinito. Il treno sarebbe arrivato a Londra, sarebbero scesi tutti e loro invece sarebbero rimasti, ancorati a quelle vecchie cuffie bianche, fino a New Castle, Stirling o Inverness e ritorno, solo loro due, se solo non avessero avuto l’incombente impegno di ripiombare nel mondo reale.

«Spero non ti dispiaccia, il mio impegno qui è in realtà una visita ad un posto oltre ad un paio di cose da ritirare» disse Harry mentre ‘Holocene’ di Bon Iver si confondeva in sottofondo con le sue parole.

Louis annuì e non chiese nulla per non sembrare invadente ma Harry proseguì lo stesso «Sai, mia madre si risposa e con mia sorella e tutto il resto ha dovuto mandare me a prendere un paio di cose. Ho una situazione familiare un po’ complessa» Il ragazzo raccontò a Louis di sua sorella Gemma con cui aveva un ottimo rapporto ma che vedeva raramente, di sua madre con cui scambiava qualche parola quando si incrociavano ma che non sopportava la sua vicinanza, della più piccola della famiglia, Neith, che era solo in parte sua sorella e che era stata il motivo del matrimonio.

Louis a sua volta parlò ad Harry delle sue sorelle, di quanto fosse strano ma allo stesso tempo ordinario passare gran parte della giornata tra donne e di quanto volesse avere un rapporto migliore con Georgia, l’altra sorellastra che aveva, che però era figlia di suo padre. Esitò quando il suo pensiero cadde su Eugenia e si chiese se nascondere ad Harry una relazione che non poteva neanche definirsi tale fosse così sbagliato come sembrava. Harry aveva quegli occhi verdi così brillanti e sinceri che Louis non voleva mentirgli ma temeva di vederli incupirsi nuovamente, di macchiarli con quelle parole che gli stringevano lo stomaco e torcevano la gola.

La voce dell’altoparlante interruppe la loro conversazione e pose un punto fermo ai suoi pensieri, che però rimanevano pronti ad andare a capo e rincominciare con la lettera maiuscola non appena se ne fosse presentata l’occasione.

Entrambi indossarono dei beanie e, dopo aver infilato tutte le loro cose nelle ampie tasche, s’incamminarono lungo il corridoio e raggiunsero l’uscita della carrozza dalla quale una pungente e fresca aria mattutina raggiungeva i loro volti stanchi per le poche ore di sonno.

Ciò che Louis ammirava di Londra era la sua mastodonticità. La stazione di Paddington era così magnifica da lasciare a bocca aperta chiunque non ne fosse abituario e Louis, nonostante fosse stato a Londra centinaia di altre volte, sentì il desiderio di fermarsi ancora una volta tra tutti quei lavoratori e viaggiatori e sollevare lo sguardo.

«Anche a me è sempre piaciuto questo posto» commentò Harry, fermandosi proprio dietro Louis e sollevando a sua volta lo sguardo.

Quando poco dopo s’incamminarono nuovamente, il ragazzo era parecchio confuso e frastornato come se una spessa patina semitrasparente gli coprisse gli occhi, la nebbia dei suoi pensieri, vorticosa e confusionaria.

«Allora… da che lato bisogna andare per… dov’è che siamo diretti?» disse Louis voltandosi improvvisamente verso Harry e rischiando quasi che il ragazzo gli finisse addosso.

«Il negozio di abiti da sposa» bofonchiò Harry quasi come se non volesse farsi sentire.

«Hai almeno una vaga idea di dove sia? Sai com’è, ce ne saranno almeno una sessantina solo in questa zona della città» commentò allora Louis, sperando vivamente di non aver messo la propria salvezza nelle mani di un totale incapace senza senso dell’orientamento quel giorno.

«Posso restringere il campo. È un piccolo negozio in una traversa e ha degli abiti più… alternativi, ecco»

«Un altro suggerimento?»

«Lei si chiama Angela» Mitico. Aveva decisamente affidato tutto ad un diciottenne con la quantità minima di sale in zucca e ora gli stava per permettere di guidarlo in una città che contava centinaia di stilisti alternativi se non di più.

«Ok, ascoltami, ci sarai venuto almeno una volta, giusto?» Harry annuì silenziosamente e rimase ad osservare Louis in silenzio, attendendo il rest della frase.

«Ti ricordi almeno da che lato bisogna girare dopo essere usciti dalla stazione»

«Destra» disse il ragazzo dopo qualche secondo di profonda concentrazione in cui i suoi occhi si fecero più brillanti mentre cercava di ricordare.

«Andiamo allora» disse Louis, afferrandogli un polso e trascinandolo attraverso le ombre di luogo che non conosceva, ombre che invece aspettavano solo di essere rischiarate.

 

«Grazie Angela» disse Harry reggendo in una mano la scatola elegante che conteneva il velo che sua madre avrebbe dovuto indossare e avvolgendo la ragazza poco più che ventitreenne che lavorava al negozio con il braccio opposto.

Non appena si separarono, Harry sfoggiò uno dei suoi sorrisi luminosi e Louis vide chiaramente le gote della ragazza assumere un paio di tonalità in più. Seguì Harry oltre la porta a vetri del negozio salutando Angela con un cenno della mano e un vago sorriso chiaramente forzato cercando di cancellare dalla sua memoria l’immagine di tutto quel pizzo, merletto e satin che aveva invaso il suo campo visivo non appena aveva varcato quella soglia.

Erano riusciti a trovare la strada per il negozio in quasi venti minuti, scoprendo che non era molto lontano dalla stazione nonostante per raggiungerlo avessero impiegato tre volte il tempo previsto.

«Hai per caso voglia di mangiare qualcosa?» gli domandò Harry fermandosi ad aspettare Louis che si era fermato a chiudere la porta del negozio.

Non ci aveva assolutamente fatto caso me era quasi l’una e Louis moriva di fame. Annuì e i due iniziarono a camminare l’uno accanto all’altro scherzando sul fatto che Harry non si fosse assolutamente accorto delle avances di Angela nei suoi confronti.

«Andiamo, Louis, questa te la sei inventata!»

«Mi prendi in giro? Sul serio non ti sei accorto di nulla quando ti ha chiesto il numero di telefono?»

«Ha detto che era per il velo, voleva che la informassi nel caso in cui mia madre avesse avuto bisogno di qualche modifica» Louis si chiese come facesse ad essere così ingenuo.

Raggiunsero una panetteria all’angolo della strada e vi entrarono inspirando a fondo l’aroma del pane appena cotto. Una ragazza dai capelli corvini legati in una coda li salutò e chiese loro cosa volessero con un forte accento francese. Harry indicò una delle baguette nell’espositore e le chiese se per caso potesse togliere le olive.

Per qualche secondo, Louis temette che potesse scoppiare a piangere proprio lì davanti a loro. La ragazza sembrava spaesata, spostava freneticamente il suo sguardo da Harry al panino e poi a Louis, in cerca di un suggerimento.

«Il ne veut pas des olives dans la baguette, s’il vous plait» disse Louis con così tanta naturalezza che sia Harry che la ragazza strabuzzarono gli occhi. Lei impiegò meno tempo di Harry a riprendersi e, mentre la ragazza s’impegnava ad eliminare ogni traccia di olive dal panino, Harry lo fissava ancora.

Louis scambiò qualche altra frase con la ragazza e riuscì a torcere qualche parola di bocca ad Harry solo quando furono fuori, carichi di panini e delle due bottiglie di acqua che sembravano servire ad entrambi.

«Tu parli francese?» chiese Harry, in un misto di totale ammirazione e- strano a dirsi- paura, come se con un paio di parole in una lingua straniera Louis potesse mandarlo in Tailandia e farlo ritornare con una corona di fiori a suo piacimento.

«Ho imparato da piccolo» si giustificò Louis quasi sulla difensiva, ridacchiando della strana reazione che Harry aveva avuto.

«Come sapevi che era francese?»

«Canadese» lo corresse Louis «del Quebec, per essere precisi e comunque si sentiva, era piuttosto palese»

«E dimmi, c’è qualche altra abilità che mi nascondi?» gli domandò Harry guidandolo verso l’ingresso del parco verso cui erano diretti.

«Hum… Oltre ad essere particolarmente abile nel calcio e a bruciare il cibo credo di potermi definire un portento della matematica. Oh, quasi dimenticavo, scrivo anche. Un po’» Che eufemismo. A Louis piaceva definirsi una mente pensante, qualsiasi cosa era per lui spunto di riflessione e, spesso, i suoi pensieri si tramutavano in parole d’inchiostro. Era in grado di passare nottate intere a scrivere senza sentire minimamente il peso dell’insonnia gravargli sulle spalle. Almeno finché il sole non sorgeva costringendolo a strizzare gli occhi e a coprirsi il volto con le mani, intorpidite per le ore di incessante attività.

«Tu invece?» rilanciò la domanda, cercando vanamente di  rigirare la frittata e mettere in imbarazzo Harry.

«Non parlo nessuna lingua straniera, conosco solo poche parole in italiano, e per la maggior parte sono parolacce o piatti tipici, so fare il giocoliere, suono la chitarra, sono un ambientalista, ma questo già…»

«Come hai detto?» Lo interruppe Louis.

«Oh, andiamo, Louis. L’hai scoperto da solo che sono un ambientalista, non prov….»

«No, prima di quello. Suoni la chitarra.» Non era una domanda, era più un’affermazione. Diede uno sguardo alle mani di Harry e solo in quel momento fece caso ai calli poco evidenti che aveva sui polpastrelli e al fatto che le unghie della mano destra fossero più lunghe, non l’aveva mai notato.

«Si. Suoni anche tu la chitarra?» domandò allora Harry, troppo interessato alla questione musicale per arrabbiarsi delle continue interruzioni di Louis.

«Ci ho provato ma non faceva per me, suono il pianoforte» rispose Louis voltandosi dunque verso Harry. Avevano raggiunto una panchina libera e ora erano entrambi in piedi, abbastanza presi dalla conversazione in atto per rendersene conto.

«Pianoforte. Scommetto che canti anche» bofonchiò Harry, sedendosi e sollevando lo sguardo verso Louis, in attesa che facesse lo stesso. Incrociò il suo sguardo con fare tenero e Louis non seppe dire se fosse tale per quella sfumatura gaia di verde che le iridi avevano assunto o per il sorriso di gioia pura che lo accompagnava.

«Diciamo di si, non sono così bravo»

«Non mentire» e risero entrambi alla risposta di Harry per chissà quale motivo, sembravano due bambini. Louis si lasciò cadere sulla panchina accanto al ragazzo e, per qualche momento, fissò senza uno scopo preciso il muoversi incessante e continuo dei rami con la mente libera e, molto probabilmente, un sorriso ebete sul volto.

«Louis, tutto bene?» Harry lo riportò alla realtà. Aveva un panino in mano e glie ne porgeva un altro che Louis riconobbe come il suo.

«Oh, sì, tutto bene, grazie» afferrò la sua baguette e iniziò a scartarne l’involucro, prima di domandare a bruciapelo ad Harry «Quella donna alla finestra l’altro giorno, era tua madre, giusto?»

Si rese conto poi di quanto suonassero rudi le sue parole ed il suo tono, così si voltò verso Harry e sussurrò «scusa, io non volevo, è…»

Il ragazzo non si voltò ad osservarlo ma contrasse le labbra carnose in un sorriso amaro e rispose «si, lo era» poi, dopo una beve pausa, proseguì «dimmi, Louis, era così evidente lo sguardo di disgusto sul suo volto?»

Harry era riuscito a lasciarlo a bocca aperta, di nuovo. Ricordava perfettamente lo sguardo di quella donna, sembrava irritata ma mai avrebbe detto che era per via di Harry, suo figlio.

«Sai, non posso darle torto se mi odia, è la più sincera tra tutti. Almeno il fatto di sapere che mi odia per una bugia e non per come sono mi fa stare meglio» continuò. Poi si voltò verso Louis e gli sorrise dicendo «Ma probabilmente tu non stai capendo nulla di quello che sto dicendo».

Non poteva essere più preciso. Sapeva già che tra Harry e sua madre vi erano delle tensioni ma non si era fatto sfuggire nulla a riguardo e Louis non sapeva assolutamente a cosa alludesse.

«Mia mamma mi ha scoperto con un ragazzo prima che potessi parlargliene»

 

Angolo Autrice:

non ho la più pallida idea di quanto tempo sia passato dall’ultima volta che ho postato un capitolo e mi dispiace, molto. Questa storia è l’unica che sia riuscita a raggiungere il capitolo sei senza essere cancellata, quindi è un po’ la mia valvola di sfogo e il fatto che non abbia avuto neanche un minuto per scrivere l’ultima parte (perché era quella l’unica cosa che mancava) mi ha fatto salire i nervi. Spero di riuscire ad aggiornare presto e di non far passare due mesi per scrivere un misero capitolo.

Come al solito, il titolo è preso da ‘Bloom’ dei The Paper Kites, la canzone citata anche nel testo, mentre la poesia è ‘Non recidere forbice quel volto’ di Eugenio Montale.

Volevo sottolineare che, nonostante le enormi somiglianze di cui mi sono solo recentemente accorta, Eugenia non è assolutamente ispirata ad Eleanor anche se lo sembra.

Come al solito, se non vi dispiace, mi farebbe molto piacere sapere cosa ne pensate del nuovo capitolo e se volete che legga una vostra storia non dovete fare altro che lasciarmi il link tra le recensioni  oppure scrivermi su twitter, sono @theedsideofme (non esitate a chiedere il follow back) :)

Ringrazio ancora chi ha inserito la mia storia tra le preferite, seguite e/o ricordate,

alla prossima,

C. x

  
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