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Autore: Zar59    21/10/2013    7 recensioni
Sorridere è l'unica cosa che devi fare sempre, anche se stai male.
E' la prima cosa che ti da forza, ed io l'ho capito troppo tardi....
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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CAPITOLO 1

 

Il sangue scende lentamente dal mio labbro, le ferite bruciano così tanto da farmi perdere i sensi.
Le mie gambe irriconoscibili sono diventate viola, mentre il mio cuore è a pezzi.
Ecco, non ho dato una buona impressione su di me nemmeno ora.
Sono Destiny, una ragazza di 17 anni.
Se mi chiedessero un’opinione su come ho vissuto questi 17 anni, io non risponderei, semplicemente perché fino ad adesso è stata una vita di merda.
A 6 anni, no, non l’avrei mai detto.
A 6 anni sognavo la mia vita come quella nelle fiabe, ma purtroppo non è così.
Tutte le mie speranze si sono perse quel giorno, il 13 Novembre…
 
***

Quel giorno i miei genitori mi accompagnarono alla mia scuola elementare.
Ero così felice.
I miei genitori mi volevano un bene dell’anima.
Li salutai, a ognuno diedi un bacio sulla guancia e un abbraccio.
Se non l’avessi fatto, me ne sarei subito pentita amaramente.
Salutai i miei compagni ed entrai in classe.
A quei tempi mi piaceva la scuola, perché disegnavamo e basta.
Giro la testa verso la finestra: il cielo s’è fatto grigio e sta cominciando a piovere, goccia per goccia.
Comincio a disegnare un po’.
Per avere sei anni ero piuttosto brava.
Disegno me, mamma e papà a casa nostra e fuori nuvole e lampi, come quelli che spuntavano dal cielo in quel momento.
Prima di colorare mi venne un’idea.
Accanto a me disegnai un bambino.
Volevo tanto un fratellino.
Chissà, magari l’avrei avuto.
Ci speravo tanto, e sapete perché? Perché volevo qualcuno che mi proteggesse, qualcuno più o meno della mia età,
Coloro il disegno per poi farlo vedere alla maestra, che sorrise.
Alla fine delle cinque ore, scendemmo giù, in quel piazzale in cui mi piaceva tanto giocare.
I miei compagni corsero dai loro genitori bagnati dalla pioggia, mentre io restai lì.
I miei genitori non c’erano.
Io: mastra, i miei genitori non ci sono…
Maestra: non ti preoccupare, arriveranno.
Rimasi lì mezz’ora, una mezz’ora che durò una vita, quando scorsi fra la nebbia una figura familiare.
Aveva gli occhi rossi e un bastone.
Io: nonna!
Nonna: ciao piccolina. Oggi vieni da me…
Mia nonna mi portò a casa sua.
Una casa vecchia, ma calda e accogliente.
La nonna mi diede da mangiare.
Io: nonna, ma dove sono mamma e papà?
Nonna: ehm… sono a lavoro. Hanno avuto un contrattempo.
Io: quando tornano voglio fargli vedere un disegno che ho fatto a scuola, è bellissimissimo!
La nonna sorrise debolmente.
Andai in camera mia a giocare con le bambole, come una bambina normale oltretutto, no?
Inventavo storie stupide tra le barbie, le vestivo, facevo finta di farle uscire…
Passò tutto il pomeriggio.
Io: nonna, e mamma? E papà?
Nonna: Destiny dai vieni a mangiare!
Io: Nonna!
Nonna: dai su, che ho preparato il tuo cibo preferito, pollo e patatine!
Io: sii!
 
Cominciai a mangiare.
Ero troppo piccola per capire i sorrisi finti della nonna, le parole mischiate ai singhiozzi e gli occhi rossi.
Finii di mangiare, e, mentre stavo per tornare in camera mia, la nonna mi bloccò.
Lei: piccolina mia, ti devo parlare.
Io: di nonna! – Esclamai con un sorriso che mi arrivava fino alle orecchie.
Lei sospirò.
Nonna: Destiny… sai… succede ad ogni persona, prima o poi … - parlava così lentamente… - … si va in un posto dell’universo in cui nessuno ti vede più. Quel posto si chiama cielo. Beh… il destino ha voluto anticipare questo viaggio ai tuoi genitori.
Avevo capito benissimo il senso di quella frase.
Scoppiai in un pianto interminabile.
Non avevo più una buona e felice ragione per vivere.
Così pensavo.
Nel frattempo allagavo la casa cosa con le mie lacrime salate, che scendevano dai miei occhi azzurri.
Le mie guancie bagnate diventarono tutte rosse per quanto stavo piangendo.
Non andai a suola per giorni.
Mi chiusi nella mia stanza, in un angolino.
Il dolore era troppo.
Era come se qualcuno mi avesse diviso in due, buttando una parte nel cestino.
Perché a loro? Perché proprio a me?
Avevo solo sei anni, e già la mia vita era rovinata.
Avrei tenuto questo peso per sempre.
Pensavo al primo giorno di scuola, alle recite, agli incontri con le maestre.
Io, sola, e i miei compagni con la loro famiglia…
 
Poche settimane dopo cominciai a tornare a scuola.
Senza sorriso.
Non sorridevo mai.
Non stavo mai bene.
Per di più ero sola.
Avevo solo un vero amico.
Lui ha sempre cercato di farmi sorridere, di farmi star bene, senza mai arrendersi, ma senza mai riuscirci.
Eravamo molto uniti.
Ci promettemmo che non ci saremmo mai separati.
Si chiamava Liam.
Eravamo quasi fratelli.
Condividevamo tutto.
Dal panino a colazione, ai giochi a ricreazione.
Invece, poche settimane dopo, persi tutto.
Mia nonna, a quei tempi aveva 85 anni, e morì di vecchiaia.
Quel giorno mi sembrò di perdere davvero tutto.
Mi strapparono da dove vivevo e mi portarono in un orfanotrofio, dove ancora vivo.
Mi separai da tutti.
Io e il mio amico ci lasciammo con le lacrime agli occhi.
Ancora oggi lo ricordo.
Forse i miei ricordi sono un po’ sfuocati, non mi ricordo bene la sua faccia, ma ricordo tutto quello che ha fatto per me.
Dei grandi uomini mi portarono in una stanza piccolissima, con un letto ed un armadia.
Alla mia sinistra c’era la porta del bagno.
Mi sentivo sola.
TROPPO SOLA.
Nascosi la testa fra le gambe per la paura, stringendomele al petto.
Avevo paura di stare lì.
Ero abituata ad avere persone accanto a me, la nonna e Liam, ma non era più così.
Il silenzio mi circondava, facendomi stare sempre sotto le coperte, cercando che il caldo mi potesse fare compagnia.
Lì, in quell’ odioso orfanotrofio, potevi fare ciò che volevi, a parte uscire nei giorni non prestabiliti e saltare la scuola.
Non c’erano regole.
Mi sentivo diversa dagli altri ragazzi, per lo più delinquenti.
Un anno dopo, a 8 anni, non avevo ancora stretto un vero rapporto con nessuno.
Al massimo un “ciao” all’inizio delle lezioni.
Il mio unico amico era il sole.
Sì, forse sembravo una pazza, ma il sole era come una via di comunicazione con i miei genitori e la nonna.
Ero sola, senza amici.
Un giorno, però, si avvicinarono a me dei ragazzi di forse 10-11 anni.
Non sapevo i loro nomi, li conoscevo di vista.
All’inizio ero contenta di veder avvicinarsi a me qualcuno.
Sorrisi.
Ma il mio sorriso si spense quando capii le loro vere intenzioni.
Mi tirarono un pugno, poi un calcio e vari schiaffi.
Ero il loro punto di sfogo.
Soffrivo tanto.
Troppo per una bambina di 8 anni.
Le miei giornate andarono avanti così, fra le mie lacrime e i loro pugni.
Poi, un giorno di quando avevo 16 anni, seppi che se ne andarono.
Avevano compiuto 18 anni e quando diventi maggiorenne puoi uscire dall’orfanotrofio.
Se ne andarono.
Sì, se ne andarono.
Un sorriso finalmente comparve sul mio viso.
Era così strano e bello sorridere.
Da quel giorno, cambiai.
Prima, chiunque mi incontrava, mi sfotteva, mi chiedeva delle cose, e io facevo ciò che volevano, senza ribadire, senza essere forzata.
Ero molto debole.
Invece era ora di cambiare e di amare, per una volta, se stessi.
Diventai stronza, e anche un po’ troia.
E stavo stringendo amicizia.
Di certo non diventavano amici fidati, ma solo qualcuno con cui scambiare due chiacchiere.
Ero felice, mi sentivo più apprezzata.
 
Ma la mia felicità durò poco, come al solito.
Il mio sorriso non era degno di stare sulla mia faccia.
Cinque ragazzi.
No, non erano di nuovo loro.
Erano altri.
Degli stronzi che furono trasferiti nella mia casa-famiglia.
E questo perché?
Perché quei delinquenti erano stati cacciati da quella precedente.
Si diceva che abbiano picchiato la prof, o qualcosa del genere.
Il primo giorno che li incontrai, una settimana fa, mi fermarono.
Il moro riccioluto mi chiese: - ehi, dolcezza, come ti chiami?
Io: cazzi miei, chiaro?
La sua bocca si aprì così tanto da arrivare al pavimento.
Probabilmente nessuno gli aveva mai dato una risposta del genere.
Il nero dal ciuffo biondo, deciso, urlò: - dicci come cazzo ti chiami e finisce tutto qui.
Il biondo aggiunse: - o per caso vuoi essere chiamata “mezza carne mezzo trucco”?!
Minchia volevano da me?
Facevo quello che volevo.
Io: - non lo dirò mai!
Ero, e sono, troppo orgogliosa.
Il moro dagli occhi azzurri domandò ironico: - ah, così la metti?
Il moro dagli occhi color nocciola, dal viso familiare, mi minacciò: ora te la facciamo vedere noi!
Cominciarono a picchiarmi.
Cadevo lentamente sulla parete, mentre tutti i ricordi affioravano nella mia mente.
Erano tutti orribili.
Mi sembrava di rivivere il mio passato.
E le miei lacrime, tanto per cambiare, cominciarono a scendere fino al mio collo, sciogliendomi tutto il trucco.
Vedevo tutto appannato.
Se ne erano andati.
Non sentivo più nulla.
Presi forza e a gattoni raggiunsi la mia camera, poco distante, per poi stendermi ai piedi del letto e sperare di morire.
Invece no.
Mi risvegliai poco dopo.
PERCHE’? 
PERCHE’?
PERCHE’?
VOGLIO SOLO MORIRE! 
Sono un errore, perché sono ancora viva?

*** 


Ormai è una settimana che va avanti così… COME AL SOLITO.


YOOOO

Ehi ragazze e ragazzi, lol, questa è la mia nuova storia. Quella vecchia "Nothing Like Us" la cancellerò perchè non la caga nessuno! Spero che questa vi piaccia, anche perchè l'ho scritta un anno fa ahahahah vabbèè :3
Oggi non sono andata a scuola quindi ho potuto sistemarlo e metterlo :)
ALLA PROSSIMA! <3
Continuo a 4 recensioni <3
  
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