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Autore: Silvar tales    22/10/2013    2 recensioni
"Sei davvero presuntuoso Ratonhakè:ton, se credi di potermi insegnare a cavalcare".
"Cavalcare?" La provocò Connor strizzandole l'occhio. Il cavallo soffiò in direzione di Faline, che arretrò di almeno dieci passi. Ma impiegò soltanto mezzo secondo per recuperare la sua grinta.
"Nel senso primo del termine. Purtroppo credo che per un altro tipo di cavalcata abbia tu bisogno di prendere lezioni da me, Ratonhakè:ton".
Genere: Avventura, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Packanack



Connor ricordava confusamente gli avvenimenti della sera prima.
Ricordava uno scontro - verbale o fisico? - con gli uomini di Faline, e forse con Faline stessa - probabile -, ricordava di aver passato il resto della notte con Faline, ricordava Faline che si era rifiutata di camminare fino alla Tenuta per dormire a casa Davenport, che si era rifiutata di accomodarsi negli alloggi del forte di Black Creek con la scusa di non voler derubare il posto letto a qualche valoroso militare che se l'era meritato, che si era rifiutata di raggiungere il villaggio dei Mohawk, ma stranamente aveva deciso di camminare fino agli estremi sud di Packanack per dormire in una sudicia caverna sotto una cascata su un'isola popolata da orsi affamati.
Che cercasse in tutti i modi di ucciderlo era evidente, constatò Connor, lieto di aprire gli occhi alla flebile luce di un sole terrestre, grato di essere ancora di questo mondo e di non essere diventato lo stuzzichino di un qualche grizzly.
Fu sorpreso di scoprire che Faline dormiva ancora al suo fianco, tra la paglia umida il muschio e la sabbia. Il ragazzo si stiracchiò, imprecando per le spalle e la schiena intirizzite e affaticate.
Conseguenza più che naturale, considerato che avevano fatto l'amore più volte, sui sassi, nel bagnato. Stesso luogo nel quale avevano dormito, troppo orgogliosi e distanti per giacere vicini e proteggersi dal freddo umido della notte.
Connor si alzò in piedi. Aveva le lombari indolenzite, e un'insopportabile raschio alla gola. Esaminò finalmente alla luce del sole il luogo in cui aveva passato la notte: un misero buco imbottito di muschio e pregno di odore salmastro, di norma usato come tana per i cuccioli d'orso. L'aria umida si incanalava nella galleria, fischiava attraverso le crepe e infine si incrostava sul fondo, rivestendo le pareti di calcare bianco e scivoloso.
Connor si guardò bene dal svegliare Faline, preferiva guardarla dormire.
Non era una ragazza di straordinaria bellezza, ma il suo carisma e la sua aggressività traboccante di vitalismo la rendevano più appetibile di qualsiasi altra donna che avesse mai conosciuto. O almeno le cose stavano così, per lui. Vero era che non aveva conosciuto molte donne.
Faline aveva i capelli castani e lisci, tagliati alla meno peggio fino alle spalle. Il viso semplice, rotondo e allo stesso tempo affilato. Gli occhi erano la parte più cangiante di lei: a volte affilati e freddi, altre grandi e lucidi di vita e libertà - vita e libertà erano la medesima cosa per lei. Le guance le si arrossavano subito al freddo, eppure il freddo le piaceva. Aveva vissuto gran parte della sua vita in Canada, e forse si era spinta ancora più a nord. Era in quelle contrade che aveva raccattato il grosso della sua "ciurma", oltre che nei loschi porti di mare e nei bassifondi delle città francesi.


Quando Faline si svegliò Connor era già uscito a caccia di linci. In realtà sperava in una preda più ardita, come un orso maschio adulto. Gli orsi erano pieni di risorse, le loro pelli si vendevano a buon prezzo. Inoltre non erano certo gli animali più difficili da cacciare, né quelli più pericolosi, contrariamente a quanto si potesse pensare.
"Tieni più alto il gomito, Ratonhakè:ton".
Connor sobbalzò. Odiava non riuscire a fiutare i passi di Faline; poteva sentire i balzi di una lepre, non si poteva certo mettere in discussione l'acutezza dei suoi sensi. Eppure lei sapeva come passare inosservata, invisibile persino al suo fiuto e al suo sesto senso.
"Ti sei svegliata mia cara?" Le porse il braccio in finto tono galante: dall'esasperazione era passato all'arrendevolezza. "Non ti permetto di darmi lezioni di tiro con l'arco, signorina".
Faline scattò come una lince: in meno di un secondo estrasse la lama e la puntò al collo del ragazzo con i denti digrignati.
"Chiamami ancora signorina".
"Signorina", continuò impavido Connor, "di quanti altri uomini della tua ciurma potresti essere potenzialmente incinta?"
"Hmm, potenzialmente la metà", gli rispose noncurante lei alzando le spalle. Sorrise dentro di sé, contenta di aver deluso le aspettative di Connor, che ovviamente pensava di suscitare in lei ira o vergogna. "Ma non hanno certo quel tipo di interessi nei miei confronti. Sono io che mi fotto gli uomini, non il contrario, cogli la sfumatura Ratonhakè:ton?"
Connor scosse la testa e si allontanò insofferente, stanco di ingoiare quelle sue battute acide e spinose cui non sapeva controbattere. Non che fosse mai stato un tipo loquace.
"E adesso dove vai, Ratonhakè:ton?" Gli urlò dietro Faline, vedendolo trascinarsi lungo il pendio della collina, diretto nel folto del bosco.
"A pisciare, se posso senza la scorta". Il suo tono di voce era chiaramente irritato e stizzito.
Faline alzò le spalle e lo lasciò andare, paga a sufficienza di tormentarlo, anche perché qualcos'altro aveva attirato la sua attenzione: un frenetico scalpiccio di zoccoli in avvicinamento.
Ben presto dal sentiero appena sotto di lei spuntarono due dei suoi uomini a cavallo, trafelati e con l'aria di recare grosse notizie.
"Faline", iniziò uno di loro fermando il cavallo vicinissimo alla ragazza, tanto che lei balzò all'indietro di parecchi metri, rabbrividendo. "Tieniti a debita distanza con quella bestia!"
Il ragazzo fece un segno di scusa, e attese il suo consenso per parlare nuovamente. Era uno tra i più giovani dei seguaci del Vento, il timore e la soggezione allagavano i suoi truci occhi scuri.
"Di cosa parlavamo?" Disse dopo qualche istante l'Assassina, gonfiando le guance, tormentandosi con indifferenza una ciocca di capelli. Sapeva che era successo qualcosa di grave, ma sapeva altrettanto chiaramente che la paura era il peggior pericolo in cui tutti loro potessero incappare.
"Gli inglesi Faline", intervenne l'altro mercenario, Jonathan, in soccorso del compagno. "Sappiamo dove attaccheranno".
Dunque lo sapete.
Fu la prima cosa che le balzò in testa, assieme a un moto di orgoglio e amore nei confronti dei suoi devoti adepti. Ma lesse qualcos'altro nello sguardo preoccupato di Jon, un leggero movimento di labbra, come se poche ultime parole vi fossero rimaste appese.
"E Faline... Stanno attaccando ora".
   
 
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