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Autore: GhostFace    27/10/2013    3 recensioni
Riflessioni interiori, ma anche azione, istinto ed avventure, senza mai farci mancare qualche risata... Questa è una storia che coinvolgerà tutti i personaggi principali di Dragon Ball, da Goku a Jiaozi! Cercando di mantenermi fedele alle vicende narrate nel manga, vi propongo una serie di avventure da me ideate, con protagonisti Goku ma soprattutto i suoi amici. I fatti narrati si svolgono in alcuni momenti di vuoto di cui Toriyama ci ha detto poco e nulla, a cominciare da quell'anno di attesa trascorso successivamente alla sconfitta di Freezer su Namecc (ignorando o rielaborando alcuni passaggi only anime). Come dice qualcuno in questi casi, Hope You Like It! Buona Lettura!
PS: la storia è stata scritta prima dell'inizio della nuova serie DB Super, quindi alcuni dettagli non combaciano con le novità introdotte negli ultimi anni. Abbiate pazienza e godetevi la storia così com'è, potrebbe piacervi ugualmente. :)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«Hm? Che posa è quella?» chiese Ganja curiosa, notando che l’avversario aveva atteggiato il proprio corpo ad una curiosa posizione che né lui né Ivanovich avevano sfoggiato prima d’allora. Caricando il peso del corpo sulla gamba destra ben eretta, teneva la gamba sinistra piegata e sollevata in avanti, mentre le braccia erano alzate quasi a simulare un paio d’ali. «Mai visto nulla di simile… però me gusta, è proprio stilosa!»
«Non conosci la sacra posa della Gru?» ribatté Ramen. «Ovvio, è una posa della mia Scuola!»
«E a che serve??» domandò allora Ganja, sempre più curiosa.
«Ora te lo mostro…» annunciò il rosso, e piegando la gamba su cui poggiava, saltò come una molla verso l’alto. Fermatosi di colpo a mezz’aria, invertì il senso di marcia e indirizzò le punte dei piedi verso il basso, pronto a calciare la ragazza; non fu difficile per Ganja spostarsi dalla traiettoria del colpo con un balzo, poi balzare nuovamente, ma in avanti, per colpire Ramen con un colpo di karate servito lateralmente a sinistra. Egli si parò con l’avambraccio; poi allungò il braccio destro in avanti per sferrare un pugno, ma Ganja lo bloccò afferrandogli il polso. Iniziò un tira e molla tra i due, che terminò dopo alcuni secondi quando Ramen sfruttò la forza esercitata da Ganja nel tirare il polso di Ramen verso di sé, spingendola in avanti per farla sbilanciare. Poi le allungò un paio di ginocchiate all’altezza del diaframma, lasciandola senza fiato.
«Dalle tue parti…» ansimò Ganja sghignazzando «… le trattate così, le ragazze?»
«Fai meno la simpaticona!» rispose Ramen. «Tanto lo sappiamo che tu e quell’altra matta di tua sorella siete fuori di testa! Puoi incassare benissimo un paio di colpetti simili…»
«Infatti questo era solo il riscaldamento! Comunque lo prendo per un complimento, testarossa…»
«Lo era!» affermò Ramen, che dal canto suo era contento di affrontare avversari alla sua altezza. «Tocca a te attaccare!»
Ganja si lanciò verso Ramen con un pugno, ma il ragazzo – che si aspettava un attacco simile – con sorprendente prontezza di riflessi incrociò le braccia davanti a sé e oppose una serratissima difesa. Ganja lo tempestò di pugni e calci, che costringevano il giovane adolescente ad arretrare, a parare rapidamente i colpi, a sollevare una gamba ogni tanto per difendersi; sotto di lui, l’attrito tra le suole e il pavimento generava polvere e un sordo stridio. La caparbia offensiva della ragazza dai corti capelli verdi stava per condurre il suo contendente a bordo ring; prima che ciò si verificasse, Ramen si levò nell’aria e, con una giravolta, colpì Ganja alla schiena con una gomitata, che la portò a sbilanciarsi in avanti e quasi a cadere dal ring. La ragazza prevenne tale rischio galleggiando per aria e riportandosi al centro della piattaforma, subito seguita da Ramen.
«Che movimenti acrobatici, signori spettatori! Forse vi sembrerò ripetitivo, ma sono realmente basito dall’agilità e dalla prontezza di riflessi dei due contendenti, che dopo uno scambio di colpi hanno evitato per un soffio il fuori campo!» riepilogò il cronista.
«Sulle tecniche fondamentali ve la cavate bene, tu e tua sorella…» iniziò Ramen. «Delle tecniche speciali, che mi dici?? Tua sorella era abbastanza pratica, ma tu…? Stupiscimi.»
«Curiosone di un testarossa! Vuoi metterti alla prova, ma allo stesso tempo vuoi vedere qualcosa di nuovo e particolare…» osservò Ganja divaricando le gambe e piegandosi in avanti, in preparazione di una nuova tecnica.
«Certo! Non capita spesso di avere a che fare con avversari al proprio livello, ma che abbiano uno stile diverso… c’è sempre da imparare!» ribatté Ramen  battendo fra loro i pugni ben serrati e mantenendo un’aria di sfida, in attesa della prossima mossa dell’allieva della Tartaruga.
«Allora impara questo! SOKIDAN!!» strillò la ragazza generando dal palmo della mano socchiuso una sfera d’energia bianco-giallina di dimensioni ridotte, che ella lanciò verso il contendente come fosse un pallone da pallavolo. Ramen saltò schivando il colpo che, dopo essergli passato diversi centimetri sotto il cavallo dei pantaloni, schizzò oltre a velocità folle. «Era troppo facile da schivare…» affermò Ramen. «…ma…» ebbe il sentore che l’attacco non fosse terminato. Infatti, come fosse dotato di vita propria, il proiettile fece inversione ad U e si diresse nuovamente alla volta del giovane dai capelli rossi.
A quel punto Ramen si sollevò in volo e si mosse in avanti; il proiettile lo inseguiva ancora! «Ma che scherzo è mai…?» chiese voltandosi di scatto e trovando Ganja che muoveva le braccia e le mani con sorprendente velocità. “Fantastico… una volta lanciata, può continuare a manovrarla a distanza! Però, se mi dovesse prendere, mi danneggerebbe pesantemente” pensò il rosso; subito si accorse che la sfera incombeva pericolosamente alle sue spalle. “Non posso continuare a scappare: quel colpo è rapido, rapidissimo, tanto quanto lo è Ganja…!” Per non farsi raggiungere, il ragazzo cercava di rendersi quanto più imprevedibile possibile; purtroppo per lui, Ganja era sufficientemente padrona delle tecniche di percezione spirituale da non fare affidamento solo sulla vista. Riusciva a immaginare con un certo anticipo gli spostamenti, e a reagire di conseguenza. Di fronte a tale abilità, prolungare la fuga era solo uno spreco di forze. “Mi conviene affrontarlo di petto… Fortunatamente possiedo l’arma adatta per difendermi!” pensò il ragazzo; accelerò di colpo per portarsi a distanza dignitosa, poi piegò il braccio in avanti e socchiuse la mano, quasi a formare un cilindro.
«SPIRIT RIFLE!!» urlò il giovane dai capelli rossi, lanciando un’onda d’urto di energia che si infranse sul Sokidan proprio poco prima che raggiungesse Ramen, dissolvendo così l’attacco di Ganja.
«Ganja inseguiva il suo avversario con una strana sfera di luce, ma Ramen con gesto rapido è riuscito a squarciare l’attacco nemico generando una sorta di colpo d’aria! Un vero colpo di genio!» commentò il cronista.
Subito dopo, Ramen proseguì l’uso della tecnica dello Spirit Rifle, con altri due attacchi spirituali che - potenti, precisi ed invisibili - travolsero in pieno la ragazza facendola rotolare per terra. Ganja non ebbe nemmeno il tempo di vedere i fendenti aerei che, sparati in sua direzione, rendevano l’aria ribollente ed ondulata.
«Che cos’è quello? Una nuova tecnica?» domandò Crilin.
Tenshinhan rievocava con un certo piacere nella propria memoria il giorno in cui Ramen aveva chiesto umilmente di poter apprendere la suprema tecnica del Kikoho, il colpo più devastante della Scuola della Gru. Alla richiesta, Tenshinhan rispose picche: se non fosse stato  in grado di padroneggiarla alla perfezione, l’uso di quel colpo si sarebbe rivelato deleterio per chi lo usava e per chi gli stava intorno. Sfortuna voleva che Ramen, solitamente mansueto ed obbediente, su certi argomenti risultava ostinato ed insistente; la sua crescita nelle arti marziali era uno di quei temi. Passarono due, tre giorni, una settimana, due settimane di pressanti richieste; infine il maestro dai tre occhi volle dargli soddisfazione: “Per accontentarti, ti insegnerò il meccanismo su cui si basa il Kikoho, ma guai a te se ti azzardi ad usarlo… dovranno passare anni, prima che tu sappia sfruttarlo in modo consapevole! Siamo intesi?”
“Sissignore!” rispose solerte e trionfante l’adolescente: era o non era quella una prima vittoria su quel testardo del suo maestro?
“Guarda che non scherzo…” lo minacciò con espressione seria.  “Se ti azzardi a usare questa tecnica senza il mio permesso, sei fuori dalla Scuola della Gru! Sappiti regolare! Chiaro??”
“Non dubiti della mia parola, signor Maestro!”
Qualche tempo dopo – ricordava Tenshinhan - Ramen lo condusse in cortile, davanti ad un tronco d’albero robusto e resistente, ma ormai spoglio e secco. Quel vecchio vegetale fu la cavia su cui Ramen testò, davanti agli occhi sbalorditi del maestro, la sua nuova tecnica, lo Spirit Rifle. Il “Fucile spirituale” altro non era, in fondo, se non una versione più leggera e “maneggevole”, quindi meno stressante, del tradizionale Kikoho.
«Così giovane, è già capace di ideare una nuova tecnica di quel livello! Quel ragazzo ti farà le scarpe, vecchio mio…» osservò Yamcha con un sorriso, dando un’energica pacca sulla spalla del treocchi.
Nel frattempo, sul ring…
«Ohi ohi ohi! La mia povera cucuzza!» si lagnò Ganja massaggiandosi la fronte. «Che attacco potente… da vicino deve fare molto male! Ad ogni modo, bella lì! Quell’attacco era tanta roba, Ramen!» Ora però doveva ideare una nuova strategia d’attacco, tenendo conto che il giovane possedeva anche una tecnica così pericolosa. “Riesco a percepire i suoi movimenti, ma lui è ancora più bravo di me a seguire i miei… devo rendermi imprevedibile…” pensò Ganja; calò le palpebre, tirò un sospiro meditativo e si massaggiò le tempie con i pollici. Quindi si sollevò in aria, mentre Ramen la studiava in attesa della prossima mossa; la ragazza cominciò a librarsi lentamente verso di lui, con le braccia e le gambe ciondolanti e l’espressione svanita. Le scappò un colpetto di singhiozzo: «Hic!» Ramen la fissava spiazzato.
Rapidissima, contando sull’effetto sorpresa, Ganja calò di colpo addossò a Ramen mollandogli una pedata al mento; e ancora: «Hic!» Seguì un’inattesa e scoordinata giravolta di cui approfittò per calciare con lo stinco il collo del ragazzo; poi, con un’agile capriola, ruotò su sé stessa e avvinghiò le gambe attorno al torace di lui, prendendolo a pugni al viso come avrebbe fatto un avvinazzato in taverna. «Hic!» Poi lasciò la presa e scivolò effettuando una ruota sul pavimento… «Hic!!»
«Ahiahi… accidenti… che male…» si lamentò il ragazzo. «Che cavolo ti è preso?! Come mai non riuscivo a seguire i tuoi movimenti??»
«Non conosci il colpo dell’ubriacone? Me l’ha insegnata un caro vecchietto… poi ho scoperto che la sua era tutta una manovra per palparmi le tette, quindi ho dovuto metterlo al tappeto, però almeno ho imparato una cosa nuova!» spiegò Ganja con la solita spavalderia. «Non puoi padroneggiare questa tecnica, perché sei troppo un bravo ragazzo… non ti sarai mai ubriacato, scommetto! E quindi non sai come ci si sente, da ubriachi»
«Ubriacarsi non è un vanto!» rimbrottò Ramen indispettito. Ciò che gli dava fastidio non era solo che una tecnica così demenziale si fosse rivelata tanto dolorosa, ma soprattutto per il fatto che esisteva qualcosa per cui non bastava il semplice addestramento. Che rabbia! “No… non devo pensare di essere sempre il migliore e di saper fare tutto subito!” si disse il giovane adolescente. “La presunzione è nemica della crescita! Piuttosto devo pensare a come rispondere… Idea!”
«Ganja! Guarda l’uccellino!» gridò Ramen portandosi le mani ai lati del viso.
«L’uccellino? Quale uccel-...?»
«Colpo del Sole!» gridò il rosso sorridendo furbo, scatenando un’ondata di luce bianca che abbagliò la vista di Ganja, nonché quella di tutte le migliaia di presenti. “Sapevo che avrei finito per fare ricorso ad un diversivo così stupido, per usare il Colpo del Sole!” Come al solito, gli unici in grado di seguire gli sviluppi successivi dello scontro furono solo coloro che indossavano occhiali da sole, fra cui l’arbitro. «Signori spettatori, avete appena assistito ad una tecnica tipica della Scuola della Gru! Non temete, fra poco i vostri occhi torneranno come prima!» li rassicurò. «Nel frattempo, Ramen è già passato al contrattacco! Quale sarà la sua prossima mossa?»
La prossima mossa di Ramen? Il ragazzo iniziò a saettare ai quattro angoli del ring rendendosi impossibile da individuare per le persone comuni. «Mi hai giocato proprio un bello scherzetto, testarossa… peccato per te che io non abbia bisogno di vederti! Posso seguirti con gli occhi della mente!» (“Ma se ci vedessi, sarebbe meglio, mortacci sua!” aggiunse mentalmente la ragazza. Una cosa era dover attaccare percependo i movimenti avversari, come Ganja aveva fatto prima, ma diverso era doversi difendere da un attacco altrui!)
“Se le cose vanno come sospetto, posso vincere!” pensava Ramen schizzando a tutta velocità, finché non si lanciò silenziosamente verso Ganja, che si sforzava di avvertire persino i minimi spostamenti d’aria. «Sei qui!» urlò la ragazza puntando le mani in avanti e spingendosi verso l’alto. Ramen fu più abile: seguì dal basso quel suo movimento,  e approfittò di quel suo attimo di esitazione e smarrimento per saltare, afferrarle la gamba con entrambe le mani, e scaraventarla a distanza. La incalzò ulteriormente e, allungando il braccio in avanti, colpì ancora una volta: «Spirit Rifle!» Nonostante l’allieva della Tartaruga tentasse di divincolarsi, la folata del fucile energetico era troppo potente, precisa e celere perché potesse resistervi. Infine, con una ginocchiata alla schiena prolungata verso il basso, Ramen abbatté Ganja, spingendola fuori dal perimetro del ring. La ragazza cadde sull’erba con un tonfo sordo; l’adolescente dai capelli rossi sbuffò, accusando segni di visibile stanchezza.
«Con una manovra rapidissima, il giovane Ramen ha causato la caduta fuori dal ring della sua avversaria Ganja! Quando due avversari sono così in gamba e ricchi di inventiva, è sempre con dispiacere che annuncio la sconfitta di uno dei due… ad ogni modo, vincitore di questa seconda semifinale è Ramen, che così accede direttamente alla finale!» proclamò con entusiasmo l’arbitro.
Nel frattempo, Ramen stava già aiutando Ganja a risalire sul ring, porgendole gentilmente la mano. Ed ecco che, in un semplice gesto, tutto l’accanimento della battaglia evaporava in due secondi. «Come ti senti?» domandò educatamente Ramen.
La ragazza, risalita sul ring, lo guardò accigliata ed imbronciata. «Col dentro di…»
«…bestia?» la interruppe il ragazzo.
«No! Di merda.» Ed era insolito che la ragazza (o la sua gemella) attraversasse un momentaccio “col dentro di merda”, visto il carattere spensierato che la contraddistingueva.
«Non farne una tragedia! Guarda che non stiamo mica per morire! Abbiamo tutta la vita davanti per allenarci e diventare più forti…» disse lui, mentre entrambi si avviavano verso l’uscita del campo.
«Giustooooooo!» esclamò la ragazza. «Non ci avevo pensatooooo!»
«Flippata. Ecco cosa sei: una flippata.» replicò Ramen.
«Tanto la prossima volta vinco io!!» concluse Ganja strizzando l’occhiolino all’indirizzo del ragazzo. I due si strinsero calorosamente la mano.
L’arbitro sollecitò un applauso del pubblico «…per queste due giovani e leali promesse delle arti marziali! L’avvenire di questo nobile sport è sicuramente nelle loro mani!» Un tripudio scrosciante di applausi ed acclamazioni si levò entusiasta e festoso dagli spalti, lusingando Ganja – quanto amava sentirsi al centro dell’attenzione, in modo così plateale! – ma anche il più timido e riservato Ramen.
«Il nostro prossimo appuntamento è fissato per domattina alle dieci con la finale del ventiquattresimo torneo Tenkaichi! Non mancate! Buona serata a tutti!»
 “Mi dispiace essere stata sconfitta…” pensò Ganja. “…ma il motivo per cui volevo vincere è lo stesso per cui anche Kaya vuole la vittoria. Quindi, se c’è lei in finale, bella lì! Mi fido di lei! A proposito… eccola lì…” Il vincitore e la sconfitta erano infatti arrivati negli spogliatoi, dove incontrarono la gemella di lei e il rivale di lui. Kaya aspettava Ganja a braccia conserte ed occhi chiusi, in un atteggiamento vagamente saccente.
«Ohè… cosa vuol dire questo modo di fare??» chiese Ganja irritata alla sorella.
«Io non ho detto niente…» rispose Kaya.
«Dai, forza! Dillo, testina!» la sfidò Ganja di rimando.
«Ti ci voleva una bandana portafortuna efficace come la mia!!!»
 
«Mi dispiace per Ganja… lei ci è rimasta male, però le sconfitte fanno bene… le abbiamo subite tutti, no?» concluse Crilin con un sorriso un po’ mogio.
«Domani anche Kaya subirà una sconfitta.» precisò Tenshinhan, con un ghigno beffardo.
«Anche secondo me Ramen ha già vinto!» gli fece eco Jiaozi.
«Ah.ah. Simpatici!» replicarono Crilin e Yamcha; poi i quattro maestri si guardarono reciprocamente con un sorriso complice, e presero a ridere bonariamente. Tuttavia qualche minuto dopo, il giovane uomo con le cicatrici, preso dai dubbi, si accigliò portando un dito alle labbra, in atteggiamento meditabondo: «In effetti… chissà…» La vittoria di Kaya in finale non era affatto scontata… tutt’altro.
 
Nel pieno del pomeriggio, un uomo di media altezza con una valigetta grigia metallizzata da lavoro si era appostato all’uscita esterna che portava al di fuori dello stadio. Noto come il signor Kodak, svolgeva la  professione di fotografo, e il suo studio era nella Città del Sud. In città negli ultimi giorni si lavorava poco, dato che il Tenkaichi aveva catalizzato l’attenzione di tutti; per cui, prevedendo che la città sarebbe stata sovraffollata caos e confusione, nei giorni di punta nessuno aveva osato organizzare cene, conferenze ed eventi vari nei quali di solito è richiesta la presenza di un fotografo. Dato che la clientela latitava ed il lavoro languiva, Kodak si era fatto venire un’idea per guadagnare qualche soldo facile, da buon disonesto qual era; si credeva un gran furbacchione, il nostro fotografo, ed i tratti del suo viso tradivano una scarsa affidabilità, con quegli occhietti astuti e con quei baffetti sottili. Dopo aver seguito con noia dallo schermo televisivo di un bar il secondo match della giornata – del quale gli fregava relativamente poco -, si era messo a correre a rompicollo pur di intercettare il gruppo dei semifinalisti e dei loro illustri maestri al momento dell’uscita.
La luce del cielo stava cambiando; il sole iniziava la sua discesa quotidiana, stava perdendo il classico azzurro pallido delle latitudini tropicali. “Eccoli… finalmente! Ci hanno messo un bel po’…” pensò quando vide uscire i quattro giovani, i due maestri della Tartaruga, i due maestri della Gru e una serie di altri personaggi a lui sconosciuti, persino un bebè, che a quanto sembrava faceva parte del loro gruppo. Anche i partecipanti al torneo indossavano abiti casual e non più le divise da combattimento, quindi aveva immaginato bene: avevano perso tempo perché si erano cambiati d’abito; e probabilmente erano anche stati assediati dai classici giornalisti rompiscatole, dopo il combattimento. “È meglio che ci siano tutti quei soggetti di contorno! Più polli da spennare ci sono, meglio sarà per me!”
Al momento opportuno, Kodak si presentò al gruppetto ostentando un umore allegro e un atteggiamento amichevole, e mostrando il suo biglietto da visita: «Salve a tutti, signori!! Mi chiamo Kodak, e sono un fotografo professionista, come potete leggere sul mio bigliettino da visita! Sono venuto per offrirvi un affare che ha dell’incredibile! Una vera offertissima solo per delle celebrità internazionali!» Tutti si guardarono attoniti, chiedendo cosa volesse da loro questo pazzo. «Dal momento che so di trovarmi davanti dei veri V.I.P., vi offro la possibilità di conservare un meraviglioso ricordo di questi giorni per voi festosi, ad un prezzo conveniente!» proseguì con accenti retorici e un tono di voce untuoso. «Un pacchetto completo di fotografie di gruppo di varie dimensioni, compreso l’ingrandimento formato poster! Vedo che siete in molti nel vostro gruppo, quindi se volete posso stamparvi copie delle foto per ciascuno di voi.»
“Parla di foto e di prezzi convenienti, ma finora non ha citato nemmeno una cifra…” pensò Tenshinhan sogghignando divertito. “Scommetto che è uno di quei furbastri che prima ti fanno le foto e poi ti sparano prezzi esorbitanti…” Inquadratolo in questi termini, il treocchi domandò a sangue freddo: «E quale sarebbe questo prezzo di favore?»
Kodak estrasse dal taschino del gilet una calcolatrice tascabile, digitò tasti a casaccio dando l’impressione di star eseguendo un lungo calcolo, mormorò sottovoce numeretti altrettanto a casaccio e infine sparò il risultato: «Vengono… sessantacinquemila zeny.»
«Ma è un prezzo assurdo!» si lamentò Crilin. «Per quattro scatti!»
«Non sottovalutate la mia serietà professionale! Saranno delle foto di lusso!» si giustificò il fotografo.
L’idea delle foto era davvero allettante, ma effettivamente il prezzo era esorbitante e nessuno dei presenti aveva voglia di farsi prendere in giro dal primo arrivato. Il gruppo stava per tirare avanti, ignorando l’offerta di Kodak. Bulma, però, prese la parola. «Aspettate, ragazzi! Ci ho pensato bene… le foto ve le pago io!» Il volto del fotografo si illuminò, mentre gli altri la guardarono, attoniti per quello slancio di generosità. Uno dei tanti slanci di Bulma, in fin dei conti… «Lo sapete che per me i soldi non sono un problema.»
Parlando a nome degli altri, Yamcha però osservò: «Rimane il fatto che il prezzo è eccessivo. È una questione di principio.»
«Ascoltatemi.» disse la donna. «Chiunque vinca domani, questo torneo si è rivelato un successone per voi come atleti…» e qui puntò il dito verso i quattro allievi «… e per voi quattro come maestri! Fra qualche anno avremo voglia di rivedere come eravamo e ricordarci di questi bei giorni! Non credete?? Quindi ho deciso di fare a tutti voi questo regalo, se me lo permettete!»
Il tono di Bulma fu tanto perentorio e convincente che nessuno ebbe l’ardire di contraddirla, per la somma felicità del fotografo che si preparava ad intascare la somma pattuita. Il gruppo si mise in posa, ed ognuno sfoderò un sorriso, chi più chi meno ampio, in linea col proprio carattere. Click!
Si misero d’accordo con Kodak perché inviasse le foto ai rispettivi domicili; quindi il fotografo li salutò affettuosamente. Infine, quando se ne furono andati, pensò: “Che taccagni! Meno male che c’era quella gnocca a sganciare il dinero… avrei dovuto spillarle più soldi…!”
 
Le gelide montagne del nord del continente erano un luogo inospitale. Amate da escursionisti e scalatori, non erano certo una regione adatta a cittadini avvezzi alle comodità; anche la gente delle campagne e dei borghi montanari vi si avventurava raramente, fermandosi comunque a qualche centinaio di metri d’altezza e solo temporaneamente, per andare a caccia, o in cerca di funghi e tartufi. In alcune aree montuose relativamente estesi, però, l’accesso era estremamente arduo per i comuni esseri umani; quelle zone, infatti, erano punteggiate da rocce aguzze e baratri, massi che bloccavano il passaggio e conifere che crescevano, imponenti, con una discreta diffusione sul territorio. Come se non bastasse, il clima era per natura più rigido rispetto alle regioni centrali e meridionali; a volte si aggiungeva un vento insopportabilmente penetrante. L'erba non stentava a crescere alta, verde e scura, in un clima simile: così diveniva un intralcio naturale al passo degli eventuali avventurieri. Insomma, quelle montagne erano una sistemazione a prova di scocciatore per chiunque decidesse di stabilirvisi.
In quei giorni, il disgelo primaverile stava avvenendo con lentezza. Quel giorno, poi, l'aria era stata umida per gran parte delle ore mattutine, e il cielo coperto da nuvoloni cupi; poi, la regione era stata battuta da un vento pesante ed ululante, finché nel primo pomeriggio non era scoppiato un diluvio con tanto di fulmini – che ovviamente non guastano mai. Il temporale era ancora in corso.
In quei luoghi, in un punto imprecisabile fra quelle rocce, era collocato un laboratorio segreto di cui pochi conoscevano l'esistenza, e addirittura nessuno l'esatta collocazione. Al suo interno, un uomo anziano dallo sguardo freddo ed apatico fissava, nel buio della propria abitazione, la conclusione della seconda semifinale del Tenkaichi, trasmessa dallo schermo azzurrino del proprio televisore. Afferrò il telecomando con la sua mano rugosa, ruvida e screpolata come la corteccia di un vecchio albero; premette un tasto e spense l’apparecchio. La scarsa curiosità umana che gli residuava l’aveva indotto a seguire qualche immagine frammentaria del Tenkaichi, manifestazione verso cui provava disinteresse. Disse poi: «Dunque domani è il gran giorno.» Anche se, nel suo caso, la frase aveva più di un significato: la finale del Torneo non era il primo dei suoi pensieri.
Accese la luce, e si palesò attorno a lui un ambiente disordinato: una cameretta ricavata nella roccia; quell’esiguo spazio, la sua dimora, era il luogo dove fino a poco tempo prima aveva continuato a coltivare le sue abitudini umane. Era un uomo dal fisico molto asciutto, probabilmente rachitico sotto la camicia arancione a righine nere dalle maniche a sbuffo, e indossava pantaloni scuri. Tutto il suo volto mostrava segni di una vecchiaia ancora più spietata di quanto si sarebbe sospettato guardandogli le mani. Occhi azzurri, lunghi capelli bianchi, ed un folto paio di baffi altrettanto candidi, corredavano un viso dalla pelle incartapecorita, rugosa e spessa, come avvizzita, essiccata ed indurita dai progetti di rivalsa contro la persona che aveva rovinato i suoi disegni di grandezza… Son Goku. Uscì da quel locale e si diresse nel grande stanzone, un laboratorio pieno di complessi marchingegni, frutto di quindici anni di studi esasperanti e di ricerche scientifiche solitarie. Nell’ambiente regnava una solitudine plumbea e silenziosa, incupita dal contesto isolato nel quale il laboratorio era costruito. Era il terreno ideale in cui il padrone di casa poteva coltivare da un lato la sua tetra misantropia crescente, e dall’altro i suoi studi, condotti ad un livello di conoscenza ed approfondimento pressoché ignoto agli altri miliardi di esseri umani che popolavano il pianeta. Informatica, cibernetica, automazione, meccanica… il tutto era affrontato e sviluppato a livelli avanzatissimi, ben oltre le capacità collettive della comunità scientifica dell’epoca. Le sue attività erano supportate da un monomaniacale desiderio di vendetta nei confronti di Son Goku; alimentata da astio e livore, la solitudine finiva a sua volta per incrementare tali sentimenti in un oscuro circolo vizioso, che lo aveva indotto infine ad assumere la folle decisione fatale: sentendo avanzare la vecchiaia sulle sue spalle, aveva deciso di diventare egli stesso un cyborg, per scampare alle degenerazioni dell’età. Anni prima aveva armato l’esercito eversivo del Red Ribbon con strumenti avanzatissimi, ancora impensabili per le truppe regolari del Governo del Re; ora, la stessa tecnologia, in una versione più progredita, avrebbe vendicato la sonora sconfitta. Son Goku gli aveva tolto tutto: la vita, la carriera, le prospettive per il futuro. Chiaramente, lo scienziato – che viveva da recluso e si aggiornava sull’andamento del mondo solo per mezzo della televisione – ignorava di come quel Son Goku, da anni destinatario delle sue care attenzioni, fosse ormai trapassato da un bel pezzo. Per quanto avesse spiato alcuni accadimenti significativi della sua vita, il monitoraggio era stato incostante e diverse notizie fondamentali gli sfuggivano.
«Numero 19.» Con questo numero, lo scienziato evocò seccamente, con voce ruvida e rasposa, il suo assistente artificiale.
La figura a lui familiare di un robot obeso dal curioso aspetto orientale, pallidissimo, mosse due passi in avanti, staccandosi dalla parete a cui aderiva, in posizione eretta, in stato di quiescenza. Indossava indumenti pittoreschi e bizzarri quanto quelli del suo padrone. «Dr. Gero.» disse l’androide con il suo timbro vocale sintetico e metallico. «Mi dica. Presumo debba parlarmi delle decisioni relative al suo progetto.»
«Deduzione corretta.» disse il vecchio robot ponendosi a sedere su una vecchia sedia imbottita dall’intelaiatura in acciaio. «Segui il mio ragionamento. Ciò che a lungo ha suscitato la mia indecisione è la nostra ignoranza in merito all’esatta forza attuale del nostro bersaglio, Son Goku. Del resto, lo abbiamo spiato solo nelle sue comparse pubbliche, ossia negli scontri combattuti qui sulla Terra dopo la disfatta del Red Ribbon. Mi segui?»
«Sì, padrone.»
«La volta in cui ci sarebbe stata utile la sua presenza, ossia durante lo scontro con Cooler, egli non si è presentato. I nostri robot spia sono arrivati a combattimento iniziato: quindi non sapremo mai se è stata fatta menzione di Goku durante le prime battute dello scontro. Sentiamo un po’… Come te la spieghi la sua assenza?
«Non me la spiego, infatti. Un Saiyan è per sua natura interessato alla lotta e a fronteggiare nemici sempre più forti.» ripetendo con tono neutro informazioni inserite nei suoi software; da bravo calcolatore artificiale, non era in grado di rispondere ad un quesito se non venivano inseriti degli input.
Gero fissò l’aiutante; se fosse stato un normale essere umano, avrebbe sbuffato, scocciato. «Sono uno scienziato. Posso costruire da zero un uomo meccatronico, ma non sono in grado di leggere la psiche imperscrutabile e mutevole degli esseri umani. Chissà... magari il “nostro amico”, pur avendo percepito la forza di Cooler, non l'ha ritenuta alla sua altezza; colto dalla sua arroganza e presunzione, considerando lo scontro già vinto in partenza, ha scelto di lasciare a Vegeta la soddisfazione di toglierlo di mezzo... del resto, per il suo amico Saiyan, era la prima volta che poteva mettersi alla prova coi suoi nuovi poteri di Super Saiyan. Se non altro, abbiamo appreso della trasformazione in Super Saiyan… il che è un’informazione da non sottovalutare.»
«Questo significherebbe che sia lui che Vegeta ormai sono più forti di Cooler e di Freezer... e quindi, probabilmente, anche di noi due, padrone.»
«Corretto. Ottima deduzione, numero 19. Per questo ho deciso che, se vogliamo fargliela pagare, l'unica soluzione che ci assicura il raggiungimento degli obiettivi è la mobilitazione dei tuoi fratelli, i numeri 17 e 18. È in corso il Torneo Tenkaichi: è certo che vi sarà un enorme assembramento di persone. Domattina potremmo inviare i due gemelli sull'isola Amenbo, dove si svolgono le gare, per fare un po’ di trambusto; di certo i compagni di Goku li affronteranno ma moriranno orribilmente, e a quel punto è inevitabile che il nostro paladino si degnerà di scendere dall’alto dei cieli.» concluse Gero con una punta di sarcasmo, descrivendo lo scenario che si prospettava per l’indomani.
«Ma padrone.» obiettò il cyborg. «L'ultima volta, che io ricordi, quei due automi erano del tutto ingestibili; ce l'avevano con lei per averli trasformati con l'inganno in cyborg. Come faremo a tenerli sotto controllo?»
«Non serve che tu me lo ripeta. Per quanto io abbia cancellato la loro memoria umana, è rimasta a livello inconscio e subliminale l’idea che io abbia operato su di essi contro la loro volontà. Successivamente ho tentato di ripararli, ma non so con quale esito. Qualora li riattivassi, agirei nell'unico modo possibile, amico mio: terrei il controller perennemente sotto mano... Tuttavia, ormai ho deciso che entro domani Son Goku dovrà essere eliminato dalla faccia della Terra. È inutile indugiare! O lo farò io con le mie mani, o ci penseranno le mie creazioni. È questo il dilemma da sciogliere…»
«E il progetto Cell?»
«Quello sarà maturo fra molti anni… troppi, per i miei gusti; tanto è vero che l’ho accantonato lasciando che sia il super cervellone del piano sotterraneo ad occuparsene, continuando a seguirne la crescita. Indubbiamente è un progetto interessante sotto vari punti di vista, ma non avrebbe senso attendere tutto questo tempo per realizzare la missione relativa a Goku. Cell sarà un’arma fondamentale in futuro, quando riprenderemo in mano le redini del Red Ribbon…» rifletté leggermente soprappensiero. «Mi concederò solo una notte di riflessioni… Per quanto riguarda te, numero 19, puoi tornare in standby.»
 
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L’ANGOLO DELL’AUTORE
Con questo capitolo ci avviciniamo alla svolta: forse i più attenti di voi avranno notato (già qualche capitolo
fa) che la finale era prevista per il 12 maggio. Come disse Trunks del futuro a Goku “…il 12 maggio, verso le 10 del mattino, compariranno due terribili persone su un’isola a 9 km a sud-ovest dalla città del Sud…” Questi dati spazio-temporali vi ricordano qualcosa? :-) Con questa parentesi del torneo (che spero non vi abbia causato noia, indigestione o altre sensazioni spiacevoli) ci andiamo riagganciando alla storia principale…
Il nome dell’isola Amenbo (che in tutte le linee temporali è la famosa isola dove i cyborg fanno il loro primo attacco) è preso da preso da qualche sito in cui mi è capitato di imbattermi. Non è ufficiale del manga, ma credo che compaia in qualche videogioco o in qualche traduzione americana.
Ultima nota: il personaggio di Kodak è assolutamente secondario, non dategli troppa importanza: a suo tempo capirete che ci stava a fare. :-D Il nome è preso da una marca di aggeggi fotografici vari; questo lo specifico perché mi sembra questa azienda sia andata in declino e il marchio oggi non sia più così famoso, soprattutto per l’avvento delle macchine digitali.  
  
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