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Autore: Lori_Tommo96    27/10/2013    5 recensioni
Quindi lo lascerai andare così? Ero pronta al rifiuto, pronta a dire addio per sempre a quello che eravamo stati, ma non ero assolutamente preparata alle sue mani calde e accoglienti che mi presero il viso, alla sua lingua dolce che si insediò tra le mie labbra chiedendo l’accesso alla mia bocca.
Mi stava baciando e lo stava facendo come nessuno lo aveva mai fatto prima.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutte le care lettrici!!!
Ebbene, siamo alla fine di Red Dress.
Dire che sono legata a questa storia è poco, ma sono soddisfatta del mio lavoro perciò non mi dispiace concluderlo (no dai un pochino mi dispiace).
L’unica cosa che mi rimane da fare a questo punto è ringraziare TUTTE VOI che avete recensito/seguito/ricordato questa storia.
Il vostro supporto è stato fondamentale, quindi GRAZIE infinite!
Ah, mi sembra doveroso spendere due paroline per ringraziare (che è dire poco) colei che mi ha convinta a pubblicare Red Dress, che mi ha appoggiata, ascoltata, compatita e quant’altro, perciò, cara Ga_DjMalik sappi che ti adoro!
Spero che il finale sia di vostro gradimento, ci ho messo parecchio a scriverlo.
Un avviso importante: se volete continuare a leggere quello che esce dalla mia testolina pazzoide ho iniziato un’altra storia che si chiama Something in the way you move.
Ho parlato anche troppo per i miei standard quindi, per l’ultima volta,
BUONA LETTURA!
 
 
 
 
 
 
Non sapevo perché mi trovavo proprio lì, ma di certo non ero mai stata in un appartamento del genere: grandi finestre offrivano un panorama mozzafiato del Tamigi in una giornata di sole di settembre, conferendo una luce chiarissima all’ambiente.
Il divano rotondo, rivestito di un tessuto rosso vermiglio, stava al centro dell’enorme sala, creando un contrasto con il parquet scuro del pavimento.
Sul muro di sinistra c’era un’enorme schermo al plasma, mentre dalla parte opposta stava un tavolino basso, bianco, con attorno vari cuscini rossi come il divano. Sopra il piccolo tavolo c’era un vaso con delle orchidee fresche. Una scalinata a vista portava al piano superiore, mentre un arco nel muro lasciava intravedere una cucina di gusto moderno.
Appoggiai la mia borsa sul divano color del fuoco e guardai verso la scala, dove stava seduto il ragazzo più bello che potessi desiderare: i ricci impazziti, un sorriso smagliante stampato sul viso dalle forme perfette, la camicia a quadri arrotolata sulle maniche e slacciata sul collo che lasciava vedere i numerosi tatuaggi, gli occhi di un verde disarmante. Dopo tanto tempo, riusciva ancora a sorprendermi il colore dei suoi occhi e la luce che emanavano.
Sistemai meglio sulle mie cosce il vestito rosso che mi aveva regalato e lo raggiunsi a metà scala.
La sua bellezza quel giorno era insostenibile, troppo anche per me che pensavo di essermi “abituata” al suo fascino, così lasciai che fosse lui ad avvicinarsi e a stamparmi un bacio.
Feci fare a lui quella mossa perché non riuscivo davvero a credere che fosse reale, lì, davanti a me, ma quando si avvicinò e mi baciò lentamente, lo percepii davvero: non era un sogno, lui era mio, io ero sua. E lo stavo baciando.
Non c’era niente di più dolce delle sue labbra morbide, di un rosso più intenso di quello del fantastico divano e del mio vestito.
Cercai di formulare una frase di senso compiuto circa il perché ci trovavamo in quell’appartamento da mille e una notte, e perchè ero stata costretta a indossare il mio vestito preferito, ma riuscii solo ad approfondire il bacio, stringendomi al suo corpo e cercando di non svenire dalla gioia ruzzolando tutte le scale.
Non potevo credere di essere a Londra, con un diploma in mano, iscritta allo stesso college della mia migliore amica, a vivere a un passo dal mio fidanzato e assieme alla mia adorata sorella.
Stavo per iniziare l’università, avevo passato delle bellissime vacanze ed ero pronta a cominciare la mia nuova vita, con le persone più importanti che avevano reso speciale la vecchia.
Affondai le mani nei suoi capelli mentre formulavo questi pensieri, ma poi interruppi il bacio, un po’ confusa dalla situazione e decisa a chiarirmi le idee.
“Ora mi puoi dire dove siamo? E perché sto indossando un vestito da party in un appartamento vuoto?” chiesi in un sussurro.
Harry mi sorrise, poi prese la mia mano sfregiata e cominciò a posarci sopra tantissimi piccoli baci.
Sospirai, abbandonandomi alle sue attenzioni.
La mia mano era il ricordo di cos’avevo dovuto perdere, perché nella vita non si può avere tutto vero? Ero cambiata, avevo imparato a convivere senza una parte di me che credevo fondamentale.
Cercai di ignorare i brutti ricordi, concentrandomi su Harry che mi stava baciando con delicatezza la cicatrice sul palmo, ancora evidentissima, e contemporaneamente mi accarezzava il dorso con le sue dita chilometriche, provocandomi i brividi.
“Siamo qui” cominciò con la sua voce roca e sensuale “perché voglio che tu faccia una cosa per me” disse baciandomi di nuovo la mano.
Mi confuse ancora di più la sua affermazione. Interruppi la scia di baci e gli presi il volto tra le mani, mettendomi in punta di piedi su un gradino per raggiungere la sua altezza.
“E cioè?” soffiai sulle sue labbra, per poi sfiorarle appena con le mie.
Harry sorrise, prendendomi per mano e trascinandomi al piano di sopra, in un corridoio buio.
“Harry aspetta” mi fermai “Vuoi dirmi chi abita qui?” domandai ancora incuriosita e un po’ spazientita.
“Louis” rispose tranquillo, prendendomi di nuovo per mano e portandomi davanti a una delle porte chiuse. Dovevo ricordarmi di complimentarmi con il proprietario per il suo impeccabile gusto in fatto di arredo, ma che ci facevo a casa sua?
“Non afferro, perché siamo nell’appartamento di Louis?” chiesi di nuovo.
Harry allora si fece serio. Lo guardai mettere una mano sulla maniglia e indugiare ad aprire.
“Adesso promettimi che proverai a fare quello che ti chiederò, senza urlarmi contro ok?”
Ancora non avevo capito le sue intenzioni, perché avrei dovuto urlargli contro?
Corrugai la fronte e feci per ribattere, ma Harry mi precedette.
“Prometti” disse serio.
Allora rinunciai ad altre domande e annuii.
Sorrise soddisfatto e aprì la porta.
In un secondo tutto si fece chiaro: perché ci trovavamo proprio nell’appartamento di Louis e cosa voleva che facessi.
Sentii la gola farsi secca, un nodo a fermarmi il respiro.
Realizzai cosa avrei dovuto fare, perciò le gambe cominciarono a tremare e le lacrime a minacciare di uscire. Avevo cercato di archiviare quella parte di me stessa nel cassetto più nascosto del mio cervello, avevo provato in tutti i modi a cancellare certe emozioni dal mio cuore, ma i miei sforzi di rivelarono inutili davanti allo Steinway a coda nero che troneggiava in mezzo alla stanza.
Volevo scappare, dire a Harry che non ero pronta, che avevo una paura folle di quello che sarebbe potuto succedere se avessi toccato di nuovo un pianoforte.
A che scopo poi? Suonare sarebbe stato come ammettere il mio fallimento, i miei progetti per il futuro andati in fumo.
L’istinto mi diceva di uscire di lì, da quella che doveva essere la stanza personale di Louis a giudicare dalla quantità di premi, libri di musica e CD presenti sulle mensole, ma il mio corpo non eseguiva i comandi.
Ero pietrificata sull’ingresso e avevo una terribile voglia di piangere.
Fu Harry a risvegliarmi dallo stato di shock e terrore in cui ero sprofondata, spingendomi con delicatezza all’interno della stanza.
Si avvicinò al piano e mi guardò. Dal suo sguardo capii che si era accorto del mio disappunto nonostante non avessi aperto bocca.
“Voglio che ci provi, per me” mormorò abbagliandomi con la luce e l’intensità del suo sguardo.
C’era amore in quella richiesta, c’era voglia di aiutarmi nei suoi occhi.
Dovevo provare, per lui, anche per me, ma ero bloccata, le mani tremavano e le lacrime stavano uscendo dai miei occhi lentamente.
Harry si avvicinò, mi sfiorò la guancia e l’asciugò con attenzione, come se fossi fatta di vetro.
Ed ero veramente fragile in quel momento, potevo rompermi con estrema facilità e lui questo lo sapeva bene.
Cercai un po’ di fiato disperatamente.
“N-non ce la f-faccio” balbettai con voce rotta, appoggiando la testa contro il suo petto.
Lui mi accarezzò i capelli e io tentai di calmarmi seguendo il ritmo dei suoi respiri e respirando a mia volta il suo profumo.
“Fallo per me” insistette “voglio vederti seduta su quel panchetto mentre mi suoni qualcosa di bello con addosso questo vestito”.
Il suo tono era quasi un ordine. Sapeva che se mi avesse pregata dolcemente non avrei ceduto, ma potevo rifiutarmi di eseguire una sua richiesta pronunciata con quella fermezza?
Gli avevo promesso che avrei fatto ciò che voleva, perciò mi feci forza.
Non lo guardai mentre camminavo verso una delle mensole. Cercai di fare piazza pulita dei pensieri che mi affollavano la testa, con uno sforzo immane cacciai la paura di non farcela, di rimanere delusa. Regolarizzai il respiro buttando fuori aria dalla bocca, così il tremito diminuì.
Su un ripiano impolverato e pieno di libri vidi ciò che stavo cercando, qualcosa che mi stava a cuore particolarmente e che speravo davvero che Louis possedesse
Ringraziai mentalmente quel ragazzo quando afferrai il libro dei valzer di Chopin.
Lo aprii cercando il valzer numero due, un pezzo che non mi sarei mai e poi mai potuta dimenticare.
Mentre mi dirigevo silenziosamente verso piano, il libro aperto in mano, chiusi per un attimo gli occhi.
Era il mio modo per costruire attorno a me quella che definivo la “bolla”.
Mente, mani, occhi, tasti e cuore erano gli unici ammessi nel sistema gravitazionale tra me e un pianoforte, tutto il resto rimaneva fuori, comprese l’ansia e la paura.
Ero pronta, così mi sedetti e appoggiai il libro sul leggio.
Vidi Harry appoggiarsi alla cassa armonica su un fianco.
Feci entrare anche il mio amore per lui dentro la bolla, per poi chiuderla definitivamente.
Guardai per un attimo le note a me tanto care e poi la cicatrice sulla mia mano.
Mi lasciai percorrere da un brivido, deglutii e partii.
Il periodo di pausa aveva reso i tasti pesanti al mio tocco però trovai quasi subito il giusto equilibrio. 
Mi lasciai andare ai tre tempi di quel valzer romantico, nostalgico, ed eccola.
La sensazione che mi era mancata tanto stava tornando.
Mi sentivo leggera come la cadenza del valzer, il mio cervello era musica, nient’altro, le mie mani non mi tradirono e nemmeno la concentrazione.
Ritrovai me stessa in quelle note, la parte così importante del mio essere che avevo cercato di annullare era ancora lì, dentro di me e nello sparito, pronta ad essere accolta di nuovo.
Ero stata stupida a pensare di poter vivere senza quelle emozioni e ancora una volta Harry mi aveva salvata da me stessa, evitando che mi privassi della musica.
Lui sapeva cosa stavo provando in quel momento, la stessa sensazione la provava sul palco con un microfono in mano.
Più mi avvicinavo alle note conclusive, più mi convincevo che non era l’accademia ad essere importante: bastavamo io e un pianoforte.
Il tempo si fermò e riprese a scorrere solo quando staccai le mie dita dai tasti.
Il mio cuore prese a battere all’impazzata,  mi scapparono altre lacrime, ma il mio volto si piegò in un sorriso.
Mi sentivo completa dopo tanto tempo: mi faceva male il polso, avevo sbagliato un paio di passaggi, ma non sarei potuta essere più felice di così.
Harry mi guardò fiero, con il sorriso, e fece per applaudire, ma io non gli lasciai il tempo: mi alzai dal panchetto, lo raggiunsi e lo spinsi contro la cassa armonica, intrappolandolo nel bacio più strano che ci eravamo scambiati fino a quel momento.
Era fatto di labbra, denti, lingua, ansiti, uno di quei baci scomodi ma impossibili da fermare, di quelli che tolgono il respiro. Era erotico, passionale, pieno di amore e intriso di grazie.
Un grazie impossibile da pronunciare a parole.
Harry invertì le nostre posizioni, spingendomi contro la grande coda nera e lucida.
Mi baciò il collo, ma lo allontanai: era lui quello che aveva bisogno di attenzioni, lui quello che doveva essere baciato e amato fino allo sfinimento.
Sorrisi al pensiero che lui era realmente mio e che io potevo amarlo.
Il mondo pensava di conoscerlo, le fan amavano la sua musica e la sua voce, ogni ragazza adorava il suo corpo, ma io avevo il privilegio di averlo per intero, corpo, anima, ricci, sorriso sfacciato, cuore dolce, parolacce, scherzi, frasi filosofiche senza senso: io avevo Harry Styles e non me lo sarei lasciata scappare per nulla al mondo.
Che lui avesse me era puramente scontato fin da quando eravamo piccoli.
Presi ad accarezzargli i ricci e la nuca, beandomi della sua visione e lasciandogli piccoli baci su tutto il viso.
“Ti amo” sussurrai al suo orecchio.
Sentii le sue labbra cercare il mio lobo e poi “grazie” soffiò.
Lo guardai stupita. Mi stava ringraziando sul serio? Mi aveva fatto riscoprire la sensazione migliore di sempre e mi ringraziava? Non potevo accettarlo, era troppo.
“No Harry, zitto, sono io a doverti ringraziare” dissi abbracciandolo come una bambina.
Lui mi fece tremare sul suo petto con una risata profondissima.
“Quindi” mi baciò la fronte “suonerai per me tutte le volte che vorrò?”
Annuii baciandolo di nuovo. Ce l’avevamo fatta: da quel momento potevamo vederci con più facilità ,avevamo un futuro stabile davanti pronto per essere vissuto. E sì, avrei suonato per lui anche per sempre.
“Con questo vestito addosso?” domandò ancora e io scoppiai a ridere facendo di sì con la testa.
Lui indossò il suo sorrisino perverso e sfacciato, ma in quel momento mi sembrò adorabile.
“Giu ti ho mai detto quanto mi piace il rosso?” chiese prendendomi in braccio, tenendomi stretta per le cosce e facendo aderire il mio corpo al suo, poi continuò a parlare.
“Ad esempio, il mio amico Louis ha un bellissimo divano rosso giù di sotto, scommetto che non gli dispiaccia se ne aprofi…”
“Sei il solito pervertito Styles” lo sgridai scoppiando in una risata fragorosa.
“Ma mi ami” affermò ancora più sfacciatamente.
 “Ma ti amo” confermai, incontrando di nuovo le sue labbra.
Ero fregata, totalmente persa, ma incondizionatamente felice.
 
 
FINE
 
  
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