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Autore: Amens Ophelia    28/10/2013    8 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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9. Essenze inconciliabili

 
 
 
 
 

Il vento soffiava feroce, là fuori, e non ispirava abbastanza coraggio per affrontarlo, eppure lui doveva uscire di casa, anche quel lunedì mattina.
            Aveva passato una decina di minuti incollato al vetro della finestra del bagno, a osservare le raffiche d’aria fredda contendersi le prime foglie ingiallite, cadute dai rami; l’autunno era ufficialmente subentrato all’estate, niente a che vedere con il clima mite che aveva ancora potuto godersi sabato sera.
            Sasuke sorrideva, davanti allo sconvolgente spettacolo della natura. Non gli dispiaceva, quella stagione, perché la reputava quella degli affetti autentici. In estate era troppo facile farsi prendere dall’entusiasmo e dichiararsi amici del primo sorriso capitato sotto tiro – comportamento che, naturalmente, non lo riguardava – mentre in primavera ci s’innamorava con la stessa facilità con cui ci si buscava un raffreddore – e, anche le passioni primaverili, non erano cose che lo toccavano. L’autunno e l’inverno, che la maggior parte delle persone disprezzavano, erano invece i periodi dell’anno in cui lui si sentiva meglio, perché attorniato dall’essenzialità: persone su cui poteva contare, nel bene e nel male, ridotte a un numero esiguo, ma prezioso, e la sensazione di sentirsi il solito bastardo indifferente, ma con confortevolezza.
            Rivolgendosi allo specchio, però, quel sorriso si era smorzato, rivelandosi amaro quanto il veleno. La ferita al labbro non aveva fatto in tempo a rimarginarsi che Sakura gli aveva già marcato il collo con un segno violaceo. Lo sfiorò con le dita, abbassando il capo e fissando il lavandino.
            Si faceva schifo, si sentiva il peggior verme al mondo, dopo averla baciata con impeto per farla tacere ed essersi appartato in auto con lei. L’aveva ancora illusa… o forse no, lei sembrava così decisa, in quel momento. Avevano consumato un sesso puramente carnale, estinto un appetito che cresceva solo in Sakura, non certo in lui. Sasuke era un mero edonista, innamorato solo del piacere, da ricercare con ogni mezzo e corpo di donna, mentre lei era solo desiderosa di lui, del suo fisico premuto sulle morbidi carni, seppur poco generose. Sakura non era più innamorata di lui, ma non aveva rinunciato a trascorrere una mezz’ora di fuoco in sua compagnia.
           
«Se pensi che mi concederò ancora a te, ti sbagli di grosso», aveva subito messo in chiaro lei, non appena l’Uchiha l’aveva invitata a salire in auto per discutere privatamente.
            «Certo, Sakura… proprio come l’altra volta», l’aveva schernita lui, con un ghigno beffardo, prendendole il viso fra le mani e baciandola con lo stesso slancio di poco prima.
            La Haruno aveva mugugnato, ma non si era opposta, tanto che, a un certo punto, aveva appoggiato le braccia sulle sue spalle, avvicinandosi a lui. Lo voleva, desiderava bruciarsi, senza considerare il pericolo di carbonizzarsi. Non avrebbe mai imparato abbastanza, dai propri errori. 
            Quel segnale fu ciò che spazzò via gli indugi nel moro, il quale accese il motore, percorse un centinaio di metri e accostò poi l’auto in un vicolo cieco. 
            Nel buio dell’abitacolo e delle sette di sera, i loro corpi si unirono perfettamente, ma le menti rimasero due essenze inconciliabili. 
Si malediceva, mentre sentiva la ragazza ansimare sotto i suoi colpi di bacino; si detestava, avrebbe voluto fermarsi, ma ormai andava avanti per inerzia. Stava facendole del male, le stava causando dolore, senza che lei se ne accorgesse, presa dal desiderio. 
            «Non fermarti», aveva mormorato la giovane, mordendogli un labbro, intuendo che qualche dubbio lo stesse tormentando. 
            Sasuke aggredì la bocca della ragazza con la propria, pur di cacciare indietro il rimorso. Doveva farlo, se l’era imposto, al diavolo il buonsenso. Era tutto a fin di bene, no? 
            Chiuse gli occhi e aumentò la velocità delle spinte, unendo il proprio respiro al suo.
            Le stava procurando ulteriore dolore, a distanza di anni. Era un orribile approfittatore, senza scrupoli; desiderava solo arrivare al suo intento che, per quanto nobile, gli sembrava comunque turpe. 
            Mentre osservava e sentiva Sakura raggiungere l’apice del piacere, un peso nel cuore gl’impedì di poter attendere al suo compito di edonista. La stava solo usando, e il disprezzo aumentava fino alla nausea.
             E stava pure ferendo Naruto. Che razza di amico era, a spassarsela con quella che era il chiodo fisso dell’Uzumaki? 
            E poi, Hinata gli tornò in mente. I suoi occhi di perla ripresero a balenargli fra i pensieri, come due cristalline lune piene, mozzandogli il fiato. Era assurdo pensarlo, ma sentiva di stare quasi tradendola, mentre si stava solo sforzando di esaudire un suo sogno, a modo suo. 
            Poco prima di raggiungere l’orgasmo, si staccò dalla ragazza dai capelli rosa, rimettendosi al posto di guida e rivestendosi in fretta e furia. Il respiro era irregolare, ma stavolta non c’entrava la sovreccitazione, tutt’altro; era sul baratro di un burrone nero, chiamato “crisi interiore”. 
            Aveva chiesto a Sakura, con il poco garbo che era riuscito a racimolare dopo alcuni minuti di raccoglimento, di tornare a casa e di tenersi pronta a un’uscita. Aveva avvertito una morsa alla bocca dello stomaco, mentre aveva avanzato quella proposta, ma aveva stretto i denti e osservato gli sgranati occhi smeraldini con tutta la calma del mondo. 
 
Si fissava disgustato, allo specchio, e, se sua madre non avesse bussato alla porta del bagno, avrebbe certamente ridotto in schegge affilate il proprio riflesso.
 
 
***
 
 
A villa Hyuga, una colazione rapida e silenziosa, l’ennesima di una lunga serie, era in scena. Come sempre, gli adulti sedevano a capo tavola, mentre i più giovani se ne stavano dall’altro capo della stanza, persi in chiacchiere sommesse e pensieri latranti.
             Eppure, qualcosa di diverso c’era; se n’era accorta anche Hinata, e non sapeva dire se fosse a causa del clima improvvisamente irrigiditosi o dello sguardo di suo padre, ancora fisso su di lei, ma meno spento. Riusciva a vedere un tono di luce, in quell’abisso chiarissimo, ma oscuro, che erano sempre stati gli occhi di Hiashi, e non poteva ancora credere che fosse vero: aveva alzato diverse volte il capo in sua direzione, onde accertarsene, per poi abbassarlo sempre repentinamente, incapace di sostenere la fiera e dignitosa austerità del capofamiglia.
              «Hinata».
              Quasi le venne un colpo, quando alle orecchie le era giunto il suo nome. L’aveva immaginato? Non ricordava da quanto tempo il padre non l’avesse più chiamata direttamente. Aveva esitato, prima di tornare a fissarlo, ma, deglutendo, si era decisa a farlo.
              «Hinata», aveva ripetuto l’uomo, dandole la certezza che fosse tutto vero.
              La ragazza chiamata in causa, senza riuscire a controllarsi, fece affiorare sulle labbra un sorriso leggero, che, interiormente parlando, era più luminoso di una stella. Avrebbe tanto voluto piangere, lasciarsi andare, scaricare la tensione accumulata da troppo tempo, di fronte a quelle tre semplici sillabe pronunciate dall’uomo che più temeva e amava al mondo, ma si trattenne, in suo onore.
              «Hinata… da oggi, finché non avrà la patente e un’auto sua, sarà accompagnata a scuola da Neji», dichiarò Hiashi, alzandosi lentamente da tavola. Non era ancora riuscito a parlarle direttamente, era dovuto ricorrere a un riferimento al nipote, pur di comunicare con lei.
              La figlia, per poco, non svenne. Sentiva il cuore batterle all’impazzata, fra le costole, così forte da balzarle in gola e non permetterle di respirare adeguatamente. Si portò, per l’ennesima volta, la mano all’altezza del muscolo cardiaco, stropicciando lievemente la camicetta bianca. Era tutto vero, proprio come quella leggera lacrima che le stava scendendo lungo la guancia.
               Neji si sollevò dalla sedia con uno scatto tempestivo, non appena vide lo zio superarlo. Non capiva cosa fosse successo, non riteneva che fosse una decisione maturata congenialmente dallo stesso uomo che aveva deciso che la primogenita non sarebbe mai stata automunita. Cosa gli aveva fatto cambiare idea?
               «Zio Hiashi… Pensi che sia una disposizione adeguata?». Nella mente, la domanda era suonata molto meno educata.
               Il capofamiglia si girò con una maestosa lentezza verso il nipote, cercando di mantenere ferma sul viso la consueta maschera di sicurezza e irremovibilità.
               «Non voglio che le succeda qualcosa di spiacevole. Mi fido di te, Neji».
               Sperò che dietro la sua serietà, la figlia riuscisse a captare quell’anelito di umanità che aveva impresso.
 
Dopo aver lasciato Hanabi davanti al cancello dell’istituto che frequentava, i due cugini ripresero il viaggio verso il liceo. L’abitacolo era attraversato dal freddo e dal silenzio, due impressioni tanto diverse fra loro, perché percepite attraverso diversi sensi, ma assolutamente complementari, quasi per antonomasia. 
               Hinata osservava il suo consanguineo con il solito sguardo spaurito, nascondendo gli occhi dietro le lunghe ciocche blu che le cadevano ai lati del viso. Poteva notare benissimo quanto si stesse trattenendo dall’esplodere, e si sentì in dovere di spezzare la tensione, cercando di placare il suo malumore.
                «Ti ringrazio per questo passaggio e per i prossimi, ma per me non è un problema andare a scuola in bicicletta o in bus, se tu preferisci così». Non era facile trovare le parole giuste, così come non era facile non mandare Neji su tutte le furie.
                «Tuo padre ha deciso così, è un ordine che non voglio mettere in discussione». Mascella contratta e sguardo assente, perso oltre il parabrezza; il freddo sembrava essere raddoppiato, nel giro di pochi secondi.
                 «M-ma non è obbligatorio… puoi fare ciò che vuoi, io non glielo direi mai», lo rassicurò lei, stringendosi le mani.
                 Il moro trasse un respiro profondo, svoltando verso il parcheggio della scuola. Sistemò l’auto con una manovra secca, ma aspettò alcuni secondi prima di spegnere il motore.
                 «G-grazie, Neji. Apprezzo davvero il tuo gesto, ma tornerò in pullman, oggi. Hai i tuoi impegni, non voglio esserti d’intralcio», sorrise Hinata, per ridestarlo dai suoi pensieri.
                 «Quali contrattempi potrò mai avere? Arrivare a casa, affrontare gli sguardi preoccupati dei miei genitori, sforzarmi di sembrare degno almeno agli occhi di zio Hiashi… e ferirti, farti sentire sempre peggio. Questi sono i miei impegni, solitamente», confessò con un sorriso amaro. Non sapeva come quelle parole fossero uscite dalla sua bocca, ma voleva solo poter tornare indietro nel tempo e mordersi la lingua.
                 Si girò verso la cugina, osservando le reazioni che aveva suscitato in lei con tali riflessioni: lo fissava con le labbra schiuse e le sopracciglia aggrottate, come in preda al panico. Sì, era paura, quella che poteva leggerle negli occhi; paura di aver scoperto un lato debole e consapevolezza che la vulnerabilità rende incredibilmente pericolosi e imprevedibili anche gli animi più razionali.
                 Hinata strizzò le palpebre, sentendole pizzicare. Raggiunse velocemente la mano di Neji con la propria, proprio mentre lui stava sfilando le chiavi da sotto il volante. Gli accarezzò lentamente il dorso, stringendo poi con più forza le sue dita; era un gesto istintivo, che mai la ragione le avrebbe dettato di compiere, timida e riguardosa com’era. Eppure, era un atto che aveva imparato grazie ad altre mani, a un’altra temperatura corporea e a un’altra occasione. Non poté evitare di ripensare a quella stretta fra la sua palma e quella di Sasuke, la sera della festa, a quella morsa improvvisa e rassicurante, scoccata fulminea quanto una freccia scagliata da un arciere esperto. Le dita dell’Uchiha, intorno alle sue, l’avevano trafitta quanto un dardo in pieno petto.
                 «Non ho mai pensato a come ti sentissi, Neji… sono una stupida egoista, perdonami!», mormorò, sforzandosi di guardarlo negli occhi.
                 «Cosa stai dicendo?», gracchiò lui, incapace di muoversi.
                 «Ti sono sempre stata vicina, silenziosamente, ma non sono mai stata in grado di capirti veramente. Mi ha sempre bloccata la paura di deluderti e apparirti ancora più indegna del nostro nome. Ti ho sempre visto come un modello, Neji! Avrei tanto voluto essere come te». Non riuscì più a sostenere il suo sguardo, né il peso delle lacrime sotto le palpebre.
                 Il cugino scoppiò in una risata fragorosa, strappando la mano da quella della ragazza. Lei rialzò il viso in sua direzione, asciugandosi gli occhi; lui stava ridendo, era un buon segno, ma non riusciva a sentirsi davvero bene, intuendo che quella reazione non fosse indice di buonumore.
                 «Riesco a far pena a una persona che, di solito, impietosisce gli altri!», sbottò con una certa punta di sdegno.
                 La giovane si strinse nelle spalle, rattristata, ma anche consapevole della verità dietro a quel rammarico. Era pietosa, come dargli torto? Senza contare che, con le sue parole, aveva provveduto a rabbuiarlo ancora di più.
                «Mi sono sempre comportato da stronzo, nei tuoi confronti, lo ammetto. Un po’ lo faccio per spiccare agli occhi di tuo padre, che sembra essere l’unico a stimarmi, là dentro, e un po’ perché… perché sono davvero stronzo, provo piacere nel far sprofondare gli altri nel disagio. Perciò non sarei sincero a dire che mi dispiace, Hinata. Non provo rimorsi per il mio comportamento, perché sono fatto così». Non aveva fatto trapelare nessuna espressione sul volto, ma non era forse un’emozione demolente, quell’indifferenza forzatamente ostentata?
                La cugina strinse i pugni e si aggiustò i lembi della gonna, preparandosi a scendere. Non era ferita, non quanto il ragazzo si sarebbe aspettato, ma doveva subito mettere in chiaro qualcosa.
                «Se vuoi il mio perdono, Neji, sappi che l’hai sempre avuto. Non sono in grado di odiarti, spero che tu te ne sia accorto. Ti voglio bene, te ne vorrò sempre, e non smetterò mai di tenderti una mano, qualsiasi strada intenderai percorrere, sia essa opposta alla mia direzione, sia al mio fianco. Sei l’unico legame che mi rimane con il passato, dopo mia sorella e mio padre, e spero che potrai essere anche un’àncora nel mio futuro. L’ho capito effettivamente solo da pochi giorni, quando ti ho trovato in bagno, grondante di sangue: noi siamo così vicini da poterci sfiorare, ma tanto prossimi da poterci soltanto far male, ferirci a vicenda, in modi diversi; io con i silenzi, tu con le parole, io con gesti che passano inosservati, tu con atti che a un osservatore esterno possono apparire come violenti, ma che io reputo come vivi. Non ti biasimo per nulla, così come mio padre». Per una volta nella vita, era fiera di sé per non aver balbettato, ammettendo la verità.
                 «Sei noiosa. Finiscila», asserì il ragazzo, aprendo la portiera e scendendo dall’auto.
                 Hinata rimase ammutolita a fissare il posto vuoto del guidatore, ridestandosi solo al rumore della portiera chiusa con violenza. Non poteva lasciare che le cose finissero così, nel vuoto; non poteva e non voleva. Afferrò la borsa e si affrettò a imitare il cugino, raggiungendolo fuori dall’abitacolo. Lo osservò con aria decisa, riuscendo quasi a stupirlo. Forse il vestito di sabato sera aveva davvero compiuto qualcosa di miracoloso.
                 «Perché non mi credi?», protestò con un tono che risultò, però, ancora troppo sommesso, avvicinandosi a lui.
                 Neji sorrise tristemente, varcando l’ingresso del liceo. Non era mai successo che entrasse affiancato da sua cugina e la cosa, stranamente, non gli dava fastidio come aveva temuto, forse perché non trovò troppi sguardi incollati addosso, eccezion fatta per un paio di occhi neri, in cima alla scalinata.
                «Oh, Hinata, non è che non ti credo. Trovo solo che tu sia noiosa, nel tuo buonismo… irritante, ecco. Proprio come da bambina, quando imploravi mio padre perché non mi punisse. Forse è anche merito tuo, se sono diventato tanto pessimo!», spiegò con una punta di disprezzo. Il paradosso cominciava ad essere logico.
                Era davvero colpa sua, se lui era cresciuto in quel modo? Un dolore fortissimo le troncò il fiato e la vista le si appannò. Se era stata lei la causa, era stata davvero efficace, almeno una volta nella sua vita.
                La corvina inspirò profondamente, passando sopra all’amarezza, e si accinse a salire le scale, seguendolo. Non si capacitava dell’ottusità del cugino, non capiva perché faticasse tanto ad accettare il suo affetto, pur non pretendendo nulla in cambio. Si sarebbe accontentata di un semplice sorriso, purché sincero, senza bisogno di alcun ringraziamento verbale. Non voleva una vera riconoscenza, non l’avrebbe mai pretesa, bastava solo un cenno di comprensione.
                «Odio la violenza!», sbottò lei, tutt’a un tratto, ricordando le punizioni – modestissime, rispetto a quelle di Hiashi – che lo zio predisponeva a Neji, ma sottintendendo anche quei comportamenti violenti cui il ragazzo ricorreva spesso, non per ultimo quello di sabato.
                 Il giovane si fermò di colpo, a pochi scalini dal pianerottolo, alzando la testa verso il moro che li stava distrattamente osservando, appoggiato alla balaustra. Lo Hyuga sorrise sinistramente, quasi lanciandogli uno sguardo di sfida, per poi girarsi verso la cugina.
                «Eppure sei innamorata di Sasuke Uchiha. Bel controsenso!». Non poté far a meno di scandire bene il nome e cognome dell’osservatore, che indietreggiò lentamente.
                «I-io… non… non ne sono i-innamorata», arrossì Hinata, scuotendo la testa. Non riusciva a comprendere il motivo di quel leggero tentennamento, ma si accorse troppo tardi del ragazzo dalla chioma perennemente scompigliata, che si stava allontanando verso la 5^F.
 
 
***
 
 
Sasuke strinse i pugni e puntò al banco, sospirando spazientito nel notare che Naruto non era ancora giunto. Sperava di contare sulla sua parlantina snervante, pur di rimuovere il malumore che l’avvolgeva da quella mattina; se pensava, poi, a Neji Hyuga, la rabbia gli saliva fino alla punta dei capelli. Aveva perfettamente sentito ciò che il moro aveva detto alla cugina, ma non aveva trovato abbastanza coraggio per ascoltare la replica di Hinata.
            Di colpo capì che quella sensazione che avvertiva nell’osservare la ragazza era qualcosa di nuovo, mai provato prima d’allora. Qualcosa di distruttivo, da rimuovere al più presto, prima che s’insediasse come un morbo nella carne del suo cuore. Era una paura grande e antica quanto il mondo; il terrore di non essere più in grado di rinunciare a quegli occhi di luna e a quel piacevole tormento nell’anima.
            Prese a scrutare l’aula e trovò i capelli rosa di Sakura, un punto colorato che avrebbe dovuto rendere un vero e proprio chiodo fisso, e quella sensazione inspiegabile andò pian piano calando, per lasciare posto a un'altra, sempre spiacevole, ma cui era più avvezzo; l’odio per se stesso era quasi un conforto, al confronto.
            «Passato bene il weekend?», sbadigliò Naruto, sedendosi al suo fianco.
            Sasuke si girò lentamente in sua direzione, cercando di mantenere un’espressione neutra. Era felice di rivederlo, si sentiva sollevato grazie al sorriso che spuntava sul volto del biondo. Non si erano mai definiti espressamente “migliori amici”, ma sapeva che in fondo lo erano, perché lui c’era sempre stato, non l’aveva mai giudicato per i suoi errori, né per il suo caratteraccio. Osservò quella gioia infantile e incontenibile perennemente stampata sul volto dell’Uzumaki e all’improvviso lo assalì una nuova, riprovevole tristezza. Gli tornarono in mente Sakura, il pomeriggio passato insieme, l’abbandono totale agli istinti primordiali… aveva accoltellato alle spalle Naruto, se ne rendeva conto. Il disgusto per se stesso non conosceva ormai confini.
            «Dalla faccia sembra che la tua domenica sia stata peggiore della mia, anche se ne dubito. Di sicuro non hai dovuto passare una giornata intera a pulire i rimasugli della festa! Bicchieri e bottiglie frantumati, divanetti macchiati… per non parlare delle pozze di vomito dietro i cespugli!», si lagnò il ragazzo, tappandosi ancora il naso, al ricordo della scena.
            «Sveglio come sei, ci sarai finito dentro», insinuò l’altro, sorridendo.
            Naruto sogghignò divertito, negando quell’allusione. Intrecciò le mani sulla nuca e riprese lo sproloquio dal punto esatto in cui l’aveva interrotto, finché un passo leggero, quasi da fantasma, non lo distrasse.
            «Ciao, Hinata!», esclamò il biondo, sbracciandosi.
            La ragazza alzò lentamente lo sguardo verso di lui, incredula; l’aveva vista e le aveva rivolto un saluto! Sollevò la mano destra, aperta, all’altezza del cuore, incapace di ricambiare in altro modo quella gentilezza, ma qualcosa la bloccò. Si ritrovò puntati addosso gli occhi neri e profondi del compagno di banco di Naruto, e la mano le cadde nuovamente lungo il fianco. Incontrare quello sguardo stava diventando un’abitudine, ma lei si era promessa che non avrebbe più interferito con la vita di Sasuke.
            Con la stessa rigidità di un tronco di legno, s’incamminò verso il proprio tavolino, vicino al quale Tenten e Kiba stavano discutendo amichevolmente.
            Sasuke rimase a fissarla ancora qualche istante, inabile a battere ciglio. Quella visione mattutina era stata un’epifania di ricordi recenti che aveva frettolosamente etichettato come irrilevanti. Perché riusciva a colpirlo, con quel suo fare evanescente?
            L’interrogativo rimase sospeso a mezz’aria, non appena nel suo campo visivo entrò Neji. Il ragazzo ostentava la solita calma irritante e altezzosa, mentre raggiungeva il suo posto, vicino a Rock Lee, e sulle labbra compariva un sorriso che l’Uchiha avrebbe volentieri spento.
 
 
***
 
La campanella della ricreazione era suonata da cinque minuti buoni, ma del professor Hatake non v’era traccia; come al solito, avrebbe trovato un’improbabile scusa per giustificare un nuovo ritardo. Adduceva sempre motivi incredibili per scrollarsi di dosso la colpa, come pensieri filosofici scaturitigli nella mente “proprio all’ultimo secondo”, da necessariamente segnare nel taccuino, o donne bloccate in mezzo al traffico, con l’auto in panne, da dover soccorrere; questa era la discolpa più impiegata, ma, chissà come mai, non era mai entrato in classe con le mani e le maniche sporche d’olio, o la camicia minimamente sgualcita. 
            Conoscendo bene le dilazioni dell’insegnante, i ragazzi erano più o meno tutti fuori dall’aula, presi a prolungare l’intervallo nei modi più disparati: Rock Lee stava sfidando un annoiato Neji a risalire la rampa di scale tre gradini per volta, nel minor tempo possibile; Ino e Karin discutevano animatamente, poco più lontano, di qualche pettegolezzo riguardo sabato sera; Choji era vicino al distributore automatico, con Shikamaru e Shino; Hinata era fuori dalla classe, nascosta dietro lo stipite della porta, mentre alle sue spalle, Kiba e Tenten stavano ridacchiando, impegnati a parlare dell’ultimo, ridicolissimo film d’azione che avevano visto al cinema, la sera prima.
            Dall’angolo in cui si era accoccolata, tesissima, la Hyuga osservava Naruto e Sakura, che stavano ricordando allegramente la festa dell’Uzumaki. Una parte di lei soffriva, nell’assistere a quella scena, perché avrebbe tanto desiderato essere al posto della Haruno, appropriarsi, in parte, della sua esuberanza e stupire il biondo, ma dall’altra mano capiva quanto fosse ipocrita, da parte sua, invidiare la felicità degli altri, e perciò sorrideva leggermente.
            Era diversa da lei, non sarebbe mai riuscita a possedere la stessa sicurezza della ragazza dai capelli rosa, né la sua vivace bellezza, tantomeno l’attenzione di Naruto su di sé. Eppure provava una gioia indescrivibile, mentre osservava le labbra del suo amore segreto incurvarsi sempre più verso l’altro, di rimando ai sorrisi di Sakura. Era bellissimo, solare, costantemente con la testa fra le nuvole, capace di regalare il buonumore con la stessa contagiosità di uno sbadiglio.
            Lei e Naruto erano quanto di più diverso potesse esserci al mondo, ma, proprio per questo, perché non sarebbero potuti appartenere allo stesso destino?
 
Sasuke si scostò dal fondo dell’aula, dove, appoggiato con noncuranza alla parete, stava leggendo qualche pagina della Genealogia della morale di Friedrich Nietzsche. Le parole del filosofo gli riecheggiavano nella mente: i valori che la gente considerava convenzionalmente buoni, non erano da ribaltare? Il concetto di buono, poi, era veramente tale? Cosa è davvero buono e cosa cattivo, quando normalmente si considerano spietati quelli che amano loro stessi e cercano di affermarsi con ogni mezzo, mentre i giusti sarebbero quelli che non trovano la forza di dar prova di sé e arrancano, s’affannano disperati, additando i più forti come crudeli?
            Chiuse il libro e lo trattenne fra le mani, alzando lo sguardo verso Naruto e Sakura. Gli venne il dubbio che forse aveva sbagliato tutto. Lui era buono o cattivo, morale o corrotto, nelle proprie azioni?
            Osservò il suo miglior amico, così preso dalla ragazza che gli stava di fronte da dimenticare tutto il resto, e si sentì per l’ennesima volta un verme. Il sorriso della giovane, poi, tanto limpido e sincero, fu una pugnalata allo stomaco. Aveva bisogno d’aria.
            Prese la direzione della porta e quasi non gli venne un colpo, trovandosi davanti Hinata, che stava ancora esaminando i due ragazzi, in completo isolamento, dal momento che Kiba e Tenten erano appena rientrati.
            Era pallida, forse persino più del solito, e si tormentava le pellicine ai lati delle unghie, con le dita; era il ritratto della tensione, quella squisitamente fine a se stessa, che non avrebbe mai creato un’occasione per agire. Era un quadro vivente, ed era incredibilmente attraente, agli occhi di Sasuke.
            Il moro non poté evitare di ripensare a sabato sera, alla sua bellezza incontaminata e ai propri pensieri sconnessi che, con quella prepotente innocenza, gli erano balenati in mente. Hinata era la causa prima di quel disagio, ma non sarebbe mai riuscito a detestarla.
            «Ho promesso che tenterò di aiutarti», le ricordò, con un tono di voce basso.
            La Hyuga trasalì, spaventata, e indietreggiò istintivamente di qualche passo. Si ricordò del patto stretto con se stessa, riguardo l'Uchiha, e dello sguardo di qualche ora prima, quando lui l’aveva osservata con tanta pacatezza e attenzione da scrollarle di dosso la gioia del saluto di Naruto. Non l’aveva fatto intenzionalmente, ne era consapevole; probabilmente era colpa delle sue paranoie e del senso di rispetto che provava verso il moro. Non desiderava farlo preoccupare e invischiarlo nelle sue vicende, facendogli correre il rischio di scontrarsi ancora con Neji.
            «Non importa, non devi disturbarti tanto», aveva mormorato, sforzandosi di non chinare il capo, seguendo l’insegnamento che lui le aveva impartito nel giardino della casa di Jiraiya. Aveva tenuto lo sguardo fisso sulle labbra del giovane, era il massimo dell’altezza consentita dalle sue iridi timide.
            «Troppo tardi».
            Il sorrisetto accennato da quella bocca la sconvolse tanto da non farle capire il senso dell’affermazione. Scrutò con dolore il labbro superiore spaccato e leggermente gonfio, accusando se stessa e la propria codardia come causa. No, doveva smetterla di fare affidamento su di lui, per il suo bene.
            «Non voglio rubarti tempo inutilmente», ribadì lei, con più sicurezza, stavolta incontrando le sue pupille.
            «Troppo tardi», sussurrò ancora lui, avvicinandosi di un passo.
            Rimasero a guardarsi per qualche secondo, in un silenzio surreale. Sasuke moriva dalla voglia di accertarsi che fosse davvero lei, così incantevole anche nell’uniforme scolastica, ma non si azzardò a sfiorarla minimamente, per quanto i polpastrelli gli prudessero dal desiderio di toccare ancora la sua pelle liscia; aveva paura di poter ferire anche lei o contaminarla con il degrado che calzava come un guanto. Il cristallo è troppo fragile e si sporca facilmente, senza le dovute precauzioni.
            «Ti aspetto a casa mia, alle cinque», le sussurrò, prima di rientrare in classe, accorgendosi della figura del professore, in fondo al corridoio.
            Hinata si appoggiò al muro, accarezzandosi le guance e impegnandosi ad incanalare più aria nei polmoni. La pelle bruciava, ma qualcosa, sotto la camicia, nello spazio tra gli organi respiratori – ormai avvizziti – ardeva ancor di più, senza che lei riuscisse a darsene una spiegazione valida.
            Dopo qualche secondo, seguì l’Hatake in classe e raggiunse il proprio posto, confusa e intorpidita. Sentiva un peso sulle spalle, un macigno nel petto e un nodo in gola, ma non capiva che quei tre sintomi erano tutti maturati da una medesima matrice. 








Salve a tutti! :) Rieccomi con l'aggiornamento settimanale!
Avevo proprio voglia di far sciogliere un po' Neji... mmm sì, non che si sia sforzato più di tanto, quel cattivone, ma è già un piccolo segnale incoraggiante, in fondo :D 
Ahahah ultimamente mi passa in mente l'immagine di un Sasuke tetro e filosofico, tormentato dal disgusto per se stesso e per il mondo circostante... chissà se saprà apprezzarsi di più, assumersi il peso di una rinascita e diventare l'Oltreuomo che Nietzsche andava cantando! XD Sasuke è molto Nietzschiano, con il suo inasprimento verso la società, e dalla crisi interiore può solo far affiorare una carica di inorgoglimento XD (oook, Ophelia, fatti meno canne... anche se non fumi!).
Che dire, se non ringraziarvi ancora calorosamente per la vostra vicinanza, le parole di conforto, le bellissime recensioni che mi lasciate, i numeri di letture silenziose che salgono insieme ai click nelle preferite/seguite/ricordate? Mi annullo volentieri, di fronte all'esplosione di gioia che fate crescere in me! :')
Ho avuto un po' di contrasti interiori, nella stesura del capitolo (aaah Neji, la tua mente è così dannatamente impenetrabile!), perciò fatemi sapere senza alcun problema cosa ne pensate, se c'è qualcosa che non quadra... accetto tutto e ne faccio tesoro! :D
Vi ringrazio ancora nuovamente! A presto :D
Un abbraccio 


Ophelia
   
 
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