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Autore: esse198    28/10/2013    1 recensioni
"Era la persona più normale che potesse esistere al mondo, quelle poche passioni che aveva, le coltivava in modo molto discreto trattandosi di musica e della lettura di qualche romanzo e di qualche fumetto. Difficile suscitare l’irritazione della gente."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Io mi immagino che le persone abbiano come una sfera che racchiuda l’anima, o l’essere o come diavolo vogliamo chiamarla, e che questa sfera sia più o meno spessa; cioè la membrana di questa sfera più è sottile, più noi percepiamo le gioie, le ansie, le paure.”
Mio fratello
 
Ogni parola, ogni gesto, ogni frase detta le arrivava come una pugnalata, tutto veniva a formare sempre nuove ferite. Sempre più spesso, sempre più facilmente.
Non era così. Non prima. Era come se la membrana di quella sfera di cui si parla sopra si assottigliasse sempre più. E non riconosceva più le persone attorno a sé. Una volta le piacevano, ora non le piacevano più. Ma non capiva se erano sempre state così e lei non se ne era accorta oppure erano semplicemente cambiate.
 
“Ogni cambiamento, anche agognatissimo, ha la sua malinconia, perché quel che si lascia è una parte di noi: bisogna morire a una vita per entrare in un’altra.”
A.France
 
Ecco cosa le pesava di più. Ne era passato di tempo, ma ancora non riusciva a digerire tutti quei cambiamenti. Viveva troppo di ricordi, di momenti vissuti. Era come una malattia, una droga. Aveva provato a liberarsene, ad andare avanti, ma era sempre stato qualcosa come una montagna altissima da scalare. Così si arrampicava e saliva. Saliva, saliva, ma poi crollava giù, a precipizio, senza raggiungere mai la cima.
 
La sua Amica, non la riconosceva più. Non era più lei, non era quella con cui fare due chiacchiere o soltanto per scherzare. Era sempre troppo piena di impegni, troppo presa dal suo presente e non sentiva più alcun bisogno di lei. Selene non le serviva più. E non esisteva più.
Erano crollati i miti. Era crollata una buona parte dei pilastri su cui gravava la sua vita, la sua esistenza. Aveva investito in quell’amicizia tantissimo della sua fiducia, contava di poter costruire su di essa tutta la sua vita. Non credeva a un dio, credeva all’amicizia delle sue amiche, che poi l’amicizia stessa può essere astratta quanto un dio, solo forse con più manifestazioni della sua esistenza o meno. Quando una volta le chiesero come riuscisse a superare certe difficoltà, a chi si affidasse, lei aveva risposto, come fosse la cosa più naturale del mondo, che aveva l’affetto e l’appoggio della sua famiglia e delle sue amiche e non aveva bisogno di altro. Certo, il crollo di quel pilastro non l’aveva fatta tornare a credere a un dio. E un dio forse per lei c’era sempre stato, ma svestito delle preghiere, di quei rituali dettati dalla chiesa. Un essere superiore, un essere che aveva dato la spinta al mondo per muoversi e che lo teneva in moto, un essere filosofico, un essere cui affidare tutti i misteri di quest’esistenza, non come causa, ma come custode di essi, come l’unico che ne conoscesse la natura e che mai l’avrebbe svelato.
 
Rientrò nel locale. Doveva trovare il suo Soccorritore per ringraziarlo come si deve. Ma quando riuscì ad avvistarlo allo stesso tavolo di prima ecco che la timidezza, con tutta la sua potenza, come un gigante possente, enorme e minaccioso, tentò di impedirle di avvicinarlo. Ma l’alcool si era mostrato più volte un ottimo rivale della timidezza, così tirò avanti con i passi e lo raggiunse. Il Soccorritore vedendola avvicinarsi le andò incontro. Le chiese come stava. Lei propose di tornare fuori, non sopportava il peso della musica.
- Poco fa non ti ho nemmeno ringraziato per quello che hai fatto. È stato molto gentile da parte tua. Scusami. Anche per lo spettacolo poco piacevole a cui ti ho fatto assistere.
- Figurati. Ci sono ragazze che arrivano a livelli ancora peggiori. Devo confessarti che mi dispiace vedere delle ragazzine come te in questo stato, però non ti conosco e non so se per te è un’abitudine.
- Primo: non sono una ragazzina, ho vent’anni. – e lì il consueto sguardo di stupore di lui. Selene era una personcina piccolina, e dimostrava sempre meno, le davano sempre un massimo di sedici anni. – Secondo: – continuò – non mi era mai capitato di sentirmi così a terra.
Da lì nacque una lunga conversazione. Lui si presentò, disse che era un parente del festeggiato e non conosceva nessuno a quella festa, era un ragazzo di 23 anni e non credeva che lei ne avesse venti, lei parlò degli studi universitari, di essere un’amica del festeggiato, e tra una parola e l’altra, complice anche l’alcool che scioglieva la lingua dandole una certa parlantina, gli rivelò la sua passione per la scrittura. Le piaceva molto scrivere. Era un tipo che analizzava parecchio, quei pochi racconti in cui si era cimentata a scrivere erano sempre a sfondo psicologico e adolescenziale. Scriveva per diletto e le sue uniche lettrici erano state le sue amiche, di cui dubitava ogni capacità critica non perché le riteneva stupide, ma perché erano le sue amiche.
Durante quella chiacchierata era venuto il suo Grande Amore ad assicurarsi che stesse bene, e poi se ne tornò alla festa. Ma c’era indecisione nel suo comportamento, infatti, il Soccorritore a un certo punto chiese:
- Ma è il tuo ragazzo?
- Chi?
- Quello. Quello che entra ed esce e ogni tanto ci fissa.
- …no… non lo è. Però è davvero un cretino.
Lei fece una faccia un po’ irritata, un po’ triste. Allora lui decise di cambiare argomento e proseguì chiedendole:
- Senti, mi piacerebbe leggere qualcosa di tuo.
- Perché? – era una richiesta insolita quella del ragazzo, in fondo non la conosceva, non sapeva niente di lei.
- Faccio parte della redazione di un giornale locale. Lo stampiamo e lo redigiamo qui, ma è distribuito a livello regionale. Abbiamo un pubblico ristretto, ma molto fedele. Per ora sembra tirare avanti. Ecco, cerchiamo gente nuova, se magari leggo qualcosa di tuo e mi piace, io troverei una giornalista e tu potresti far parte del nostro staff.
- Ehm… l’idea è davvero carina, ma dubito di essere all’altezza. Non sono molto informata su quello che succede nel mondo…
- Non c’è alcun problema, ci occupiamo anche di casi di minore importanza, e comunque all’inizio potrei darti una mano. Ma prima vorrei leggere qualcosa di tuo.
- No, non posso. Sono cose personali, sarebbe troppo imbarazzante.
- Facciamo così: io ti lascio il mio numero, intanto ci pensi e se decidi bene mi fai un colpo di telefono.
Prese il suo biglietto da visita, lo guardò a lungo. Lo ripose nella borsetta.
 
Il risveglio fu un po’ difficile. La testa pesava troppo e i pensieri si affollavano ancora di più. Ripensava alla serata appena trascorsa. Aveva il rimpianto di non aver potuto scambiare qualche parola di più con l’Altro. Mentre si consolava e si rotolava, come fanno i cani quando sono felici, nella prospettiva di scrivere per una rivista. Le piaceva un sacco l’idea di far parte di uno staff giornalistico, poter scrivere, esprimere le proprie idee e fare in modo che anche molti altri possano leggerle e confrontarsi con il pubblico. Ritrovare i suoi articoli stampati sul giornale e, soprattutto, sarebbe stata una piacevole sorpresa per i suoi familiari. Erano pensieri però fini a se stessi, tutto le appariva come qualcosa che non poteva appartenerle, almeno non in quel momento della sua vita, forse mai. Si sentiva ridicola al solo pensiero di poterci credere.
Sognava soltanto. Le mancava il coraggio di buttarsi.
Pensava a tutto questo mentre svolgeva tutte quelle azioni rituali mattutine: il saluto alla mamma, il bagno, la colazione, la tivù. Poi il turno dello studio. Aprì il libro e di nuovo la cascata dei pensieri la inondò.


 
  
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