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Autore: Hysterisch    02/11/2013    1 recensioni
Sequel di 'Freiheit 1989'
•ATTUALMENTE SOSPESA•
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri, Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Incest, Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'The Guardian Angel'
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«Era già arrivato il mattino, ed io ero ancora assonnato e indolenzito.

«Hm...perché non posso ritirarmi?!» Brontolai.

Diedi un'occhiata alla sveglia. Non era tardi, ma non avevo neanche tantissimo tempo a disposizione. Riluttante, mi alzai dal letto e mi diressi in cucina per fare colazione con mio padre, ma non sembrava esserci nessuno.

«...Papà?» Lo chiamai, ma non ci fu risposta.

Provai a cercarlo in camera da letto, in bagno, nello studio, e persino in garage.
Non avendolo trovato, ritornai di nuovo in cucina.

«Mah...sarà sicuramente andato al cimitero.»

Mi avvicinai al frigorifero, e notai un nuovo post-it. Lo presi tra le mani.

'Scusami David se non ti ho avvertito, ma non volevo svegliarti prima del solito. Sono andato a trovare due vecchi amici, vivono lontano da noi, e quindi mi sono dovuto mettere in viaggio molto presto...'

Voltai il fogliettino per continuare a leggere il messaggio.

'Ma non preoccuparti, sarò di ritorno nel pomeriggio. Comunque, oggi si congela fuori, quindi ritorna pure sotto le coperte!'

Sorrisi a trentadue denti dopo aver letto le ultime righe. Erano mesi che non saltavo un giorno di scuola!

Rientrai nelle coperte. Sapevo che non avrei più preso sonno, ma almeno ero al caldo.

«È inusuale che papà vada a fare visita a qualcuno.» Mormorai.

Negli ultimi anni, si era 'chiuso'. Non andava mai fuori con qualcuno, ed era un miracolo se partecipasse a qualche festa/evento ad invito. Credevo fermamente che tutto questo allontanamento era stato procurato dalla scomparsa della mamma.

«A proposito...»

Pensando a lei, mi ritornò in mente l'accaduto del giorno precedente. A fatica, mi toccai la schiena, e le ferite non c'erano più.

«Uh?! Sono già andate via?!» Esclamai incredulo.

«Si, vanno via dopo poco, ma adesso non dovresti pensare a questo!» Venni sgridato all'interno della mia testa. Era mia madre.

«C-cosa dovrei fare allora?» Le domandai.

«Andare a vedere cosa sta combinando tuo padre, forse?»

«Ma ha detto che è andato da degli amici...»

«Certo, alle cinque del mattino.» A quello non ci avevo pensato.

«...merda.»

«Non so dove sia andato, ma se è vero che è andato a casa di Georg e Gustav, allora dovresti trovarlo nel tragitto per Amburgo.»

Come se fosse facile trovare un'auto su un'autostrada! Mi stavo pentendo di aver effettuato la conversione. Ritornai in piedi, e mi preparai il più velocemente possibile.

«Tu dove sei, piuttosto?»

«A casa.»
 
Mi venne spontaneo girarmi dietro, ma era ovvio che intendesse la sua nuova 'casa'.

«Non perdere altro tempo, Dave. Sbrigati!»

Infilai una delle tante vecchie giacche di pelle di mio padre, ed uscii fuori casa.

Fortunatamente per me, a tredici anni presi il patentino, quindi avevo uno Scooter per aiutarmi nella ricerca. Era a 150 cc, quindi potevo entrare in autostrada.

«Speriamo che ci sia abbastanza benzina...»

Allacciai il casco, ed accesi il motore. Una volta che la porta del garage si aprii, sfrecciai a massima velocità verso la famosa 'Autobahn'.

--Tomja's Pov--

«Spero che vada tutto bene.»

Mi passai una mano sul viso, tentando di diminuire lo stress.
Ero seduta in quella che era diventata la mia camera, o meglio dire, la mia dimora. Non avevo la possibilità di vedere il sole, o prendere aria, avevo solamente una piccola lampada da accendere solo in casi di bisogno.
Si, ero in Carcere per aver strappato troppe regole durante il mio periodo da angelo custode. Ogni tanto, riuscivo a scappare con l'aiuto di un mio amico, che era una guardia.

«Tomja, vogliono vederti i giudici.» Fu proprio il mio amico a parlare.

Inserì la chiave per aprire la porta di ferro.

«Cosa ho fatto?!» Domandai stupita.

«Non lo so...» Aprii la porta e fece segno di avvicinarmi a lui. «Spero non riguardi le piccole uscite 'illegali', altrimenti sono rovinato anche io.»

Evitò di mettermi anche le manette, perché, appunto, mi conosceva. Mi portò d'innanzi alle enormi porte del Tribunale, o una cosa più o meno simile.
Bussò e poi apri la porta in legno robusto.

«Ho portato la detenuta.» Affermò. Si dileguò dopo pochi istanti, ed i Giudici presero la parola. «Non ti è bastato finire in gattabuia per capire che le regole vanno rispettate?» Mi domandò con severità.

«Almeno ho avuto esperienze diverse da tutti voi. Ho vissuto, al contrario di voi.» Ribattei con aggressività. Il Giudice prese un po' di tempo per recuperare.

«Credi che nessuno ti abbia vista 'scappare' di notte?» Spalancai gli occhi, ma non risposi. «Sappiamo anche che è stato proprio il ragazzo che ti ha portata qui ad aiutarti.» Continuò.

«Ho una famiglia, e intendo proteggerla.»

«Rudi ci ha parlato di quello che hai fatto ieri notte.» Prese la parola un'altro Giudice. «Se tu volessi, davvero, proteggere la tua famiglia, non metteresti tuo figlio in pericolo.»

«DOVEVO PUR TROVARE UN MODO PER DIFENDERE MIO FRATELLO!» Urlai sbattendo la mano sul tavolo in mogano.

I Giudici decisero di chiudere immediatamente la conversazione.

«La guardia che ti ha aiutato verrà arrestata, e tu verrai messa in una delle celle blindate.» Un'altra guardia entrò nella stanza, portandomi via.


Eravamo diretti verso le celle blindate, dove solamente i peggiori ci finivano. Cella numero 483, mi venne da ridere non appena lessi il numero.

«Non c'è molto da ridere.» Affermò con acidità la guardia.

La cella era già aperta, la guardia mi spinse dentro con aggressività e poi, chiuse la porta a chiave.
Non era la solita porta a sbarre, era un pezzo intero di metallo. Non potevo vedere niente di tutto ciò che accadeva fuori, e neanche qui c'era l'ombra di una finestra, ma solamente la solita lampada.

Mi sdraiai sul letto pensando a David e alla sua ricerca in autostrada. 'Speriamo bene' pensai.

-David's Pov-

Ero ormai arrivato ad Amburgo, e non avevo ancora trovato mio padre. Chiedevo in giro di Georg e Gustav ma nessuno sapeva dirmi dove vivevano esattamente, o magari non volevano dirmelo.

Mi fermai di fronte ad un negozio di strumenti musicali. 'Deve conoscerli, sicuramente'.
Dopo essere sceso dallo scooter, mi avvicinai alla porta di vetro, tirai la porta ed entrai nel negozio. Non c'era nessuno alla cassa, ma intravedevo una luce in lontanza. Toccai il campanello sul bancone, ed immediatamente un uomo di mezza età apparì.

«Buongiorno! Desidera?» Esclamò lui.

«Ahm, a dir la verità non sono qui per fare compere, ma per una ricerca.»

«Cosa cerchi, allora?» Mi domandò con gentilezza.

«Due persone. Georg Listing e Gustav Schäfer. Erano due componenti de-» Mi interruppe.

«Certo che li conosco! Erano i miei clienti di fiducia, assieme al resto della band.» Sorrise. «E tu devi essere il figlio dei gemelli, vero?»

«....è così evidente?» Domandai imbarazzato.

«Certo che lo è! Comunque, aspetta qui. Vado a trovare i loro indirizzi.»

Ritornò in quella piccola stanzetta dove era prima, e sentii un po' di strani rumori.

«Serve aiuto?» Chiesi.

«Nono! Ho fatto.» Si spolverò il maglione beige ed i suoi Jeans, poi ritorno dietro al bancone. «Tieni. Ci sono scritti entrambi gli indirizzi, sono recenti, quindi dubito credo che si siano trasferiti.» Mi tese i due foglietti, ed io li presi senza esitazione.

«Grazie mille!» Esclamai.

«Non c'è di che!...ah, devo dirti una cosa!» Mi fermai sull'orlo della porta.

«Mi dica.»

«Puoi salutare tuo padre e tua madre da parte mia?»

«Beh si, con mio padre posso farlo, ma non con mia madre.» Strinsi le spalle. «È morta.»

«Perbacco, non lo sapevo! Quando è successo?!» Era molto colpito dalla notizia, e lo si leggeva in faccia.

«Nel 2008, a quanto pare. Può cercare su internet, troverà tutto ciò che cerca.» Stavo per uscire, ma l'uomo mi fermò un'altra volta. Cercai di mantenere la pazienza.

«Aspetta! C'è una cosa che devi avere.» Sparì di nuovo, e riapparì dopo pochissimi istanti. «Questa era di tua madre.» Poggiò un hard case sul bancone. L'aprì ed all'interno c'era una chitarra. Sembrava essere fatta a mano. «Era un nostro progetto. Voleva avere una chitarra che fosse sua, unica. È finita, ma non è mai più venuta a ritirarla, ed ora ho capito il perché...»

«L'ha costruita lei?» Mi riferii a lui.

«Si, con le mie mani!» Sembrava esserne fiero. Era un lavoro fatto davvero bene, quindi, aveva tutte le ragioni per esserlo.

«È molto bella, davvero.» Affermai. Chiusi il case e lo presi in mano.  «Deve dirmi altro?» Non intendevo essere fermato un'altra volta.

«No, adesso puoi andare! Ci rivedremo, qualche volta?»

«Cercherò di portare anche mio padre con me, promesso!» Lo salutai, ed andai fuori dal negozio.

I due indirizzi non erano lontani da dove mi trovavo, per questo decisi di andare in piedi.

Dopo una decina di minuti, arrivai a casa di Gustav. Suonai il campanello un paio di volte, ma nessuno venne ad aprire. «Mi tocca andare a casa di Georg quindi...» Sbuffai.
Controvoglia, mi misi in cammino verso casa del bassista, che non era molto distante da quella di Gustav, infatti ci arrivai in meno di cinque minuti.

Suonai il campanello. Anche qui sembrava non esserci nessuno, ma nel momento in cui stavo andando via, qualcuno aprì la porta.

«Si?» Esclamò il moro dai capelli lunghi, non riconoscendomi.

«Ciao Georg, io sono David.» Gli tesi la mano, ma lui, incredulo, non ricambiò la stretta.

«David?! Oh mio dio, come sei cresciuto!» Mi strinse in un'abbraccio caloroso. «Cosa ci fai qui, da queste parti?» Da quella sua domanda, intuii che mio padre non fosse lì.

«Sono alla ricerca di mio padre. Pensavo fosse qui, da te.»

«No. L'ultima volta che l'ho visto è stata due settimane fa.» Mi invitò ad entrare dentro casa sua. «Accomodati pure, io vado a cercare una cosa.» Mi sedetti sul sofà di pelle bianca, in soggiorno. Era una casa moderna, con pavimento in parquet e finestre molto grandi, c'era una temperatura tiepida, e in sottofondo si poteva sentire una canzone jazz, a volume basso.

«Scusa se ti ho fatto aspettare. Vuoi qualcosa? Un caffè, bicchiere d'acqua...» Poggiò un paio di fogli sul tavolino in vetro.

«Un bicchiere d'acqua, grazie.»

«Liscia, vero?» Sembrava essere sicuro della mia scelta.

«Come fai a saperlo?» Gli domandai con un sorriso.

«I gemelli odiavano l'acqua frizzante» Mi sorrise. Velocemente entrò in cucina, che si trovava proprio di fronte al salone. Lo vidi mentre versava l'acqua nel bicchiere con molta fretta.

«Ecco!» Poggiò il bicchiere sul tavolino, e si sedette di fronte a me. Bevetti tutto fino all'ultimo sorso.

«Non so se questi possono aiutarti nella ricerca. Da un'occhiata.» Fece scivolare i fogli nella mia direzione. Li presi in mano, ed erano referti sulla salute mentale di mio padre risalenti al 2008.

«Perché hai questi documenti?» Mormorai mentre leggevo.

«Perché eravamo io e Gustav a badare a tuo padre. La tua famiglia non si è neanche presentata al funerale di Tomja, immagina!» Sbuffò disgustato. «Eravamo solamente Io, Bill, Gustav...e tu.»

«Ero presente al funerale?» Non potevo ricordare niente ovviamente.

«Si. Certo, ci sarebbero stati anche i fan se avessero saputo il posto, ma è stato Bill a non volerlo rivelare. Si uccise di pianti quel giorno.» Guardò il niente, perso nei suoi ricordi. «Tu eri in braccio a me. Eri molto nervoso, perché eri sensibile, e sentivi il dolore attorno a te.»  Continuavo ad ascoltare in silenzio. «Quando fu costretto ad andare da uno psicologo, si rivoltò contro tutti, e non parlò più con nessuno. Fortunatamente, conoscevo lo psicologo che lui frequentava, e gli chiesi di darmi delle copie dei referti.»

«Ma è vietato!» Esclamai.

«Lo so, ma era per il suo bene. Tutti i suoi amici volevano avere delle notizie, e sopratutto, eravamo molto preoccupati per te.»

D'un tratto , mentre io ero impegnato a leggere i vari documenti, qualcuno suonò il campanello. Georg si diresse subito verso l'ingresso. Riconobbi la voce dell'ospite, ma evitai di dire niente per continuare a sentire il loro discorso.

«Bill?»

«Georg, ho bisogno di aiuto! Sto vedendo di nuovo quelle cose.» Il tono della sua voce era terrorizzato e tremante. «È da ieri notte che mi perseguitano!»

«Cerca di calmarti. Prima di farti entrare, devo sistemare una cosa. Aspetta.»

Stava ritornando nel salone, ma io avevo sentito tutto, nonostante avessero parlato sottovoce.

«Papà?!» Mi alzai di scatto dal sofà e mi presentai davanti alla porta. Quando lo vidi, non sembrava lui. Era pallido, ed i suoi occhi erano stanchi, pieni di sangue.

«D-david?! Perché sei qui?» Lo colsi di sorpresa.

«Potrei farti la stessa domanda.» Non volevo sembrare arrabbiato nei suoi confronti, ma lo sembravo.

«Uff...» Si portò le mani tra i capelli, ed era quasi sul punto di avere una crisi di pianto.

«Vieni qui.» Lo afferrai per braccio, in modo che non cadesse per terra. Lo feci sedere al mio posto.

«Vuoi che ti porti dell'acqua?» Domandò Georg.

«No, sto bene così. G-grazie.» La paura sembrava non essere ancora svanita del tutto.

«Hai sognato i vampiri?»  Chiesi.

«Si. Ma quando mi sono svegliato, continuavo a vederli ovunque. Ho paura.» Nei referti, infatti, era stato detto di questo trauma permanente.

«Hai preso le pillole?»

«Non funzionano più ormai! Ne ho prese a palate, ma continuo a vedere queste dannate cose!» Si strinse la testa tra le braccia. «Mi parlavano, e mi dicevano che distruggeranno la mia vita pezzo per pezzo, partendo dalle cose più care. Gli amici e la famiglia.»

Lui mi abbracciò, ma quando sentii che avevano intenzione di attaccare gli amici e la famiglia, mi sorse un dubbio.

«Cos'hai?» Mi domandò lui, preoccupato.

«Ho..ho un dubbio, ma forse è solo una stupidaggine.» Finsi un sorriso, ma non funzionò.

«Dimmelo, ti prego!» Mi scosse leggermente.

«...non voglio che tu vada in panico.»

«Non accadrà, te lo prometto.» Ridotto in quello stato, era difficile credergli.

«...d'accordo.» Sospirai. «Prima di venire qui, a casa di Georg, ero passato a casa di Gustav, ma non ha aperto la porta.»

«È molto strano. Gustav è mattiniero, quindi era di sicuro sveglio.» Affermò Georg.

«Forse...forse è partito!» Esclamò mio padre.

«No. Mi aveva detto che stava restaurando casa, è improbabile che sia andato via.»

Dopo di che, nessuno aggiunse altro per alcuni minuti.

«È meglio se entriamo dentro casa sua.» Papà parlò per primo.

«Papà, non credo sia una buona idea.»

«Allora non sapremo mai cosa gli è accaduto! Ho paura...» Gli portai una mano sulla schiena.

«Non preoccuparti, sono sicuro che sta bene!» Nel frattempo, Georg si alzò dalla sua sedia.

«Sono d'accordo con Bill. Dobbiamo entrare nella sua casa.» Scossi la testa, ed abbassai lo sguardo verso l'hard case.

«Perché hai portato la chitarra?» Chiese mio padre.

«Uh?...ah, no. Non è la mia, mi è stata data dall'uomo che lavora in quel negozio di strumenti.»  Aprii il case per mostrare loro lo strumento.
Mio padre la prese in mano.

«Era il suo progetto...» La strinse tra le sue braccia. «Era per il nuovo tour.»

«Andiamo?» Georg interruppe la nostra conversazione.

«Si..non perdiamo altro tempo.» Rimise la chitarra nel case, e si alzò in temporanea con me.

Uscimmo di casa. Ero abbastanza impaurito, e speravo che non fosse accaduto niente di male. Vagammo per pochi minuti, perché, come avevo già detto, le due case non erano lontane.

«Controllate se ci sono entrate secondarie. Io controllo se c'è qualche finestra aperta.» Georg andò verso destra, io e mio padre verso sinistra.

Una volta arrivati sul retro, notammo che la porta del garage era aperta. Ci guardammo negli occhi.

«Chiamiamo Georg?»  

«Ovvio.»

Papà corse ad avvertirlo, io mi avvicinai lentamente alla porta socchiusa. Non sembrava esserci nessuno dentro. Sentii i loro passi avvicinarsi, quindi mi allontanai.

«Ecco. La porta era già così quando l'avevamo vista.» Disse con affanno il trentaquattrenne.

«Fate attenzione a dove mettete i piedi.»

Georg spalancò la porta. Io ero dietro tutti, ma comunque riuscivo a vedere il garage.
A parte due auto, e svariati attrezzi, non c'era nient'altro. Georg aprii un'altra porta, e questa ci portò dentro casa, nel salone. Sembrava esserci stata una lite.

«Chi ha fatto tutto questo casino?»  Disse Georg.

«Spero che non sia successo niente di grave.» Chiaramente lui vedeva sempre le cose in negativo.

«Magari sono entrati dei ladri!» Aggiunsi io.

«Ma Gustav non è andato via. Le sue auto sono tutte e due qui.» Ribatté Georg. «Dividiamoci. Io vado in cucina e in studio, voi controllate le camere superiori.»

Seguimmo i suoi ordini. Appena arrivati sul pianerottolo tutto sembrava essere calmo.

«Io vado in camera da letto.» Interruppi il silenzio.

«Allora io vado nell'altra camera.» Rispose lui.

Svoltai alla mia sinistra, e percorsi tutto il corridoio, fino a quando mi trovai faccia a faccia con la porta.

'Spero di non trovare nessun cadavere.' Pensai.

Aprii la porta, e una volta dentro la camera, le mie scarpe entrarono in una pozza di sangue. Alzai lentamente la testa, e vidi l'orribile scena.

«Lo avevo detto, io.»

Gustav era nel letto, privo di vita, e privo di testa. Non strillai, o cose del genere. Tentai di mantenere la calma.

«Deve esserci qualcosa...» Mormorai mentre cercavo qualcosa per provare che non fossero stati i vampiri. Solo dopo mi accorsi di una scritta sul suo avambraccio, incisa, molto a fondo, sulla sua pelle con un qualcosa di tagliente.

'Mortem tuam prope est'

«La tua morte è vicina. Chi userebbe una lingua così vecchia come il Latino?» Riflettei ad alta voce. A chi era destinato quel messaggio?

«David, hai trovato nien-» Mio padre spuntò in camera dal nulla, prima che io potessi nascondere il corpo per evitare che vomitasse o svenisse.

«Si. Sono proprio sicuro di aver trovato qualcosa...» Risposi.

Anche Georg ci raggiunse, e anche lui rimase a bocca aperta.

«Lo so che è il momento meno adatto per parlare, ma sul suo avambraccio è stato inciso un messaggio.» Pensavo che almeno Georg mi avesse dato ascolto, ma mi sbagliavo.

«D-dobbiamo chiamare la polizia. Immediatamente.» Affermò lui.

«Hey!» Grazie ai miei riflessi felini, riuscii ad afferrare mio padre prima che svenisse sul pavimento.  «Credo che prima di tutto dobbiamo stenderlo da qualche parte.»

Georg mi aiutò ad alzarlo. Lui dalle spalle, io dai piedi.

«Unf...lo poggiamo su quella poltrona?» Domandai a fatica mentre scendevamo per le scale.

«Si.»

Fortunatamente non era pesantissimo. Lo sdraiammo delicatamente sulla poltrona, ancora incelophanata, di Gustav.
Presi un po' di fiato per poi riprendere a parlare.

«Stavo dicendo, sull'avambraccio di Gustav è stato inciso un messaggio in Latino.» Georg inarcò un ciglio,

«In latino? Cosa c'è scritto?»

«Tradotto dice: La tua morte è vicina. Non so a chi si riferisse.»  

Georg scosse la testa, e si allontanò momentaneamente. Io mi sdraiai accanto a papà, in attesa del suo risveglio. Alla fine, mi addormentai anche io.


«Georg, ho ragione! Sono stati loro, lo avevano detto.» Mi risvegliai grazie al loro mormorio. Mio padre stava discutendo con Georg sulle sue 'visioni'.

«Cerca di calmarti, Bill. è solo una coincidenza.» Mantenne la calma.

« Anche il messaggio in latino è una coincidenza, secondo te?!» Alzò la voce.

Decisi di entrare nel mezzo del discorso, per evitare che partisse una lite.

«Datti una calmata, pa'. Magari Gustav aveva dei conti in sospeso con qualcuno.» Georg scosse la testa.

«Gustav? No, era un ragazzo calmo e molto introverso.»

«Mai dire mai...» Mi stavo arrampicando sugli specchi, è vero. Stavo solamente cercando di non mettere pressione.

«Cos'hai..negli occhi?» Mi domandò mio padre, mentre si avvicinava lentamente ai miei occhi.

«Ehm...dovresti chiederlo ad un oculista. Non sono molto esperto nell'anatomia dell'occhio» Tentai, invano, di sdrammatizzare la situazione.

«Hai quella...strana luce.» Osservava attentamente ogni minimo dettaglio, e mi teneva ferma la testa, per evitare che mi muovessi.

«Non ho idea.» Affermai.

«...i suoi occhi. Hai i suoi stessi occhi, la sua stessa luce.» Parlava lentamente, sempre con quel tremore nella voce. «Dimmi che non sei come lei, ti prego!»

«L-lei chi?»

«Non fare il finto tonto, David» Sembrava volesse aggredirmi, ma non intendeva farlo. «Non voglio perdere anche te!»

«Io non so di cosa tu stia parlando.» Lo allontanai con una spinta, e finsi di essere stranito.

«Scusami...» Mormorò lui.

«Non preoccuparti.» Gli sorrisi, accettando le sue scuse.


Dopo poco, decidemmo di chiamare la polizia e di lasciare tutto nelle loro mani, però ci fu detto di non abbandonare il luogo.
La polizia scientifica arrivò dopo un'oretta, ed insieme a loro, arrivò anche una autoambulanza.

«Perchè siete entrati dentro la casa della vittima?» Ci domandò il poliziotto, con una penna e un blocknotes in mano, pronto a scrivere.

«Questa mattina, verso le otto, ero venuto a bussare dietro la sua porta, ma non aveva aperto. Dopo sono andato a casa di Georg...» Puntai il bassista «...per motivi personali, e gli ho detto che Gustav, probabilmente, era fuori casa.»

«Mi sono subito allarmato perchè conoscevo bene la vittima, era un tipo mattiniero. Sapevo che stava lavorando dentro casa, come potete vedere...» Puntò le mura, che non erano completamente pitturate. «Qundi mi sembrava strano che fosse andato via, lasciando il lavoro a metà.»

Il poliziotto appuntò tutte le nostre risposte.

«Che rapporti avevate con la vittima?» Domando il giovane agente.

«Era un nostro caro amico.» Rispose mio padre. «Era il batterista della nostra band. Siamo stati tantissimi anni assieme, era come un fratello per noi.»

L'agente annuiva mentre scriveva la risposta.

«Per ora è tutto, ma non potete assolutamente lasciare la città fino alla chiusura. Dovete rimanere a completa disposizione del commissario, che vi contatterà a breve ai contatti che ci avete fornito.»

«Va bene.» Ci strinse la mano. Lui rimase sul luogo, mentre noi venimmo accompagnati fuori casa da un suo collega.


«Sei venuto qui con lo scooter?» Mi domandò mio padre mentre camminavamo sul marciapiede, diretti a casa di Georg.

«Si. Tu vai a casa con l'auto, e io ti seguo dietro.»

«Ma io non ti ho visto arrivare in scooter.» Georg prese parte alla conversazione.

«No, infatti l'ho parcheggiato di fronte al vostro negozio di fiducia.»

Dopo qualche metro di strada, eravamo di nuovo a casa di Georg. Decidemmo di non entrare.

«Non rimanete a mangiare?» Ci chiese lui.

«Il mio stomaco si è chiuso. Grazie, ma preferisco ritornare a casa e cercare di dormire un pò.» Dubitavo che ci riuscisse, però.

«Va bene. Ci sentiamo più tardi!» Alzò la mano in segno di saluto, ed entrò dentro casa.

Mi voltai verso mio padre.

«Beh, io ho un pò di strada da fare. Mi aspetti?» Gli chiesi.

«Certo!.» Esclamò lui.

«Non fare stupidaggini in mia assenza, mi raccomando.» Sorrise nel sentirmi così autoritario nei suoi confronti.

Corsi per arrivare al mio scooter in poco tempo. Involontariamente, mi scontrai con un paio di persone per strada. «Guarda dove metti i piedi!» Non mi fermai, ma mi voltai indietro. «Scusa!»


Una volta arrivato vicino al mio scooter, non persi altro tempo, ci montai su e mi avviai subito. Quando ritornai al posto, mio padre non era nell'auto. 'Dove si è cacciato?' Pensai.

Lo vidi sbucare fuori dalla casa di Georg, con il case in mano.

«Avevamo dimenticato questa!» Esclamò in lontananza.

Entrò in auto, ed aspettai che fosse lui a partire per primo, per evitare che facesse degli scherzi.

Ci fu del traffico sull'autostrada, e perdemmo tantissimo tempo dietro le code che sembravano essere infinite. Solo dopo un paio d'ore arrivammo a casa.

Non ebbi neanche un secondo per parlargli, visto che tirò dritto verso la camera da letto.
Scossi la testa, ed anche io entrai in camera mia. Lasciai cadere l'hard case per terra, e mi lanciai a peso morto sulla mia sedia da ufficio.

«Mio dio, che giornata.» Poggiai due mani sulla mia faccia.

«Devi farci abitudine...» Mi sussurrò lei, nella mia testa. «Questo è solo l'inizio, sfortunatamente. Vivrai le cose più strane di questo mondo, vedrai cose e persone soprannaturali. Alla fine diventerà una cosa normale per te.»

Lasciai scappare un sospiro.

«Cos'altro mi toccherà vedere?»
   
 
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