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Autore: canyoukeepasecret___    03/11/2013    2 recensioni
Dal diario di Emma Seydoux
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"Quando una madre ti mette al mondo, quanto fai il tuo primo respiro e tutto è andato bene. Quando impari a camminare, quando cresci e realizzi di essere davvero qualcuno. Sembra tutto scritto nella storia, ma noi abbiamo il potere di cambiarla. Abbiamo il potere di cambiare il nostro destino. Abbiamo il potere di vivere."
"Vivere? Il potere di vivere? Il potere di cambiare le cose? Emma, tutti sanno vivere." Léa si voltò, cercando di nascondere il viso rigato dalle lacrime."
"Non tutti sanno vivere. Alcuni sprecano le proprie vite. Sono esseri sottili come un foglio. Io so vivere. Tu sai vivere. E la nostra è un'arte." Emma si avvicino a lei e si inginocchio. "L'arte di saper vivere."
Genere: Fluff, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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II Capitolo – La storia di Léa Luesby


Insieme alla rifioritura primaverile degli alberi dei parchetti parigini che circondavano aree urbane e monumenti rendendoli magnifici, rifiorivano anche le idee dell'amministrazione comunale e le assemblee cadevano fitte come pioggia. Sostanzialmente era la mente del Sindaco Bourgeois a rifiorire; così, come una sveglia impostata ad un certo orario, ogni giorno di primavera alle sette del mattino, il signor Sindaco chiamava a rapporto il segretario Hugo Leclerc e convocava un'assemblea di nobili, impiegati comunali e prestigiose famiglie di Parigi.
Dopo la sua solita colazione di croissant e caffellatte, Bourgeois si preparava ad un'impegnativa toelettatura. Si rasava accuratamente, si impomatava i capelli neri e pettinava i baffi in modo così attento che era invidiato da qualsiasi uomo del luogo, sebbene non fosse stato poi tanto virile. Dopo circa un'ora, il Sindaco era pronto per recarsi al salone delle assemblee accompagnato dal fido segretario.
Prima dell'arrivo del Sindaco, nel salone si udiva un leggero chiacchiericcio. Le dame erano sempre ben vestite, acconciature meravigliose e abiti sfarzosi erano forse la cosa meno pacchiana di quel salone pieno d'oro, di arazzi, di applique imponenti e di lampadari di diamanti.
Bourgeois e Leclerc arrivavano poco dopo le undici, entrambi con le proprie valigette colme di idee e progetti. Attraversarono il salone e sedettero alla scrivania alla fine della stanza, Leclerc sulla sedia bassa alla destra del Sindaco. Dopo un secco colpo di tosse, il segretario si alzò e cominciò a spiegare i perché di quell'assemblea di venerdì mattina. In realtà tutti sapevano che era abitudine del Sindaco convocare assemblee di quel periodo; dunque, dopo l'inutile monologo di Leclerc, il Sindaco Bourgeois cominciò a parlare.
Nessuno aveva una gran voglia di partecipare, tutti annuivano cortesemente alle tutt'altro che originali proposte dell'amministrazione; fatta eccezione della signora Luesby, la giovane moglie italiana del signor Victor Luesby. Anche se da poco mamma di una dolce bambina, la signora Caterina non aveva smesso di battersi per le proprie idee, le quali, tutti si sentirono in dovere di ammettere, erano davvero rivoluzionarie. Si arrabbiava particolarmente quando ad ogni assemblea si proponeva di togliere addirittura i mercati ai quartieri malfamati di Parigi. Era molto più decisa del marito, il cui contributo nelle riunioni era un saltuario sbadiglio che mandava, anche se non apertamente, l'ingegnere Maréchal su tutte le furie.

“Ma andiamo!”, esclamava, “Come potete anche solo pensare di compiere un simile atto? Avranno anche bisogno di mangiare! Non permettereste nemmeno la loro presenza ai mercati che frequentiamo tutti noi, sareste degli assassini indiretti. Non tutti nascono fortunati come noi.”

“Suvvia Signora Luesby, non si scaldi troppo”, le diceva il Sindaco con un tono quasi indifferente mentre sfogliava le carte “sì, a pensarci è un po' esagerato, ma le consiglio di badare a quell'angioletto della sua Léa. Lei è pur sempre una madre, se lo ricordi.”

Non poteva biasimarlo, ovvio che doveva occuparsi molto della piccola Léa. Nata in una famiglia nobile, Léa Luesby aveva i lineamenti della madre. Era biondissima, anche se, rifletteva la signora Luesby, lei era mora. E anche Victor. Un miracolo, si sarebbe detto, ma la buonanima di sua suocera, Marchesa di qualcosa, diceva che “i mori sono sempre i più intelligenti”. Era d'accordo. Non perché i biondi non fossero intelligenti, ma perché pensava semplicemente che i mori avessero qualcosa in più. Quel tocco che bastava a renderli diversi. Sperava che sua figlia avesse ereditato anche la sua determinazione e la sua forza, la sua voglia di conoscere. Non le avrebbe mai imposto nulla.
Durante i suoi viaggi in Oriente, Caterina aveva acquisito molte cose; era riuscita ad apprezzare una cultura così diversa, così proibita in Occidente. In Africa aveva acquisito conoscenza di tutti gli infusi di erbe e delle loro proprietà terapeutiche. Un semplice infuso di rooibos, tè rosso africano, era considerato un elisir di lunga vita.
Quella che augurava a sua figlia, sapendo che avrebbe fatto grandi cose nella vita.
Non sapendo che un giorno, nel fiore degli anni, avrebbe dovuto lasciarla sola alle cure del padre. Incosciente del futuro di sua figlia, succube delle soddisfazioni e delle grandi tristezze che la vita aveva in serbo per lei.

LE INUTILI NOTE DELL'AUTRICE A FINE CAPITOLO, a cura di me, me medesima io Watson.

Ciao a tutti i lettori! Ammetto che non mi aspettavo così tante visualizzazioni solo al primo capitolo (circa 80, per questo vi ringrazio infinitamente). Dunque, essendo questa la mia prima storia mi fa piacere che stia avendo un relativo successo e sarei davvero interessata a leggere i vostri commenti, anche per migliorarmi.
Arrivederci e al prossimo capitolo!
- Watson
  
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