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Autore: saku_ale    03/11/2013    3 recensioni
"Deidara camminava lentamente verso la stazione di Suna, pur sapendo che il treno delle 17.45 non l’avrebbe sicuramente aspettato. Aveva paura, sentiva quasi freddo sotto al nero cappotto, si sentiva vuoto, solo.
Svuotato."
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Akasuna no Sasori, Deidara | Coppie: Sasori/Deidara
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Notte

 
Il biondo si guardò intorno ancora preoccupato.
Lui non aveva mai creduto alle coincidenze, ma gli sembrava quasi di aver già conosciuto quel giovane.
Così bello. Unico.
Era notevolmente infastidito dalla sua coscienza, l’abbandonava sempre nei momenti del bisogno lasciando spazio a tutte quelle emozioni che lui non era in grado di controllare. Era troppo limpido, lo sapeva, non gli era mai piaciuto esserlo.
Osservando la strada e riportando alla memoria le parole del rosso, decise di incamminarsi. Questa vicenda aveva preso una strana piega, pensò.
Circa 20 minuti dopo giunse al palazzo del Kazekage, la testa che ancora girava e la stanchezza sempre presente; parlò distrattamente con le guardie, spiegandogli il motivo della visita e mostrando loro il documento firmato dal suo “capo”, il simpaticone che si divertiva a mandarlo in missioni del genere.
Dopo non pochi sforzi riuscì ad ottenere il permesso d’entrata, e si avviò verso lo studio del giovane Gaara, di cui spesso aveva sentito parlare nel suo piccolo paese. Sperava di riuscire a sbrigare in fretta la faccenda, aveva seriamente bisogno di un lungo bagno e un po’ di riposo. In un luogo fresco, magari.
Ancora qualche passo e giunse davanti alla porta dello studio, bussò ed attese la breve risposta per entrare. Varcata la soglia in un primo momento, Deidara  si sentì mancare: svenire o correre via, in entrambi i casi sarebbe stata una scena tutt’altro che comica, una volta compreso che quel mare di capelli rossi non apparteneva a chi stava pensando ma piuttosto a Gaara, capo del villaggio della Sabbia, tutt’altro che di buon umore.
Ma che diavolo pensava di trovarsi davanti?!  Non aveva mai visto il Kazekage, eppure fu ugualmente percorso da un brivido, un voce un ricordo.
 Il giovane non se lo lasciò sfuggire e ne approfittò per prendere la parola.
“Tu devi essere..Deidara, giusto? Mi avevano avvertito del tuo arrivo, accomodati..qual è il motivo della tua visita?”
Un profondo sospiro, e si riparte. Forza. Uhm.
Non riusciva a spiccicare parola, imbarazzato dalla situazione, ma si sforzò.
“Ecco.. sono qui in missione per il mio superiore. Le ho portato questi documenti, dovrei raccogliere alcune informazioni in cambio..” cercò di spiegarsi brevemente. Forse troppo brevemente.
“E pensi di riuscirci entro stasera?”
“No..no! Sosterò qui per alcuni giorni, fino al compimento della missione..poi..”
“Bene!” lo interruppe l’altro. “ Mi sembri particolarmente stanco, non vorrei che il caldo di Suna ti giocasse brutti scherzi. Torna qui domani, e lavoreremo insieme su ciò che ti serve.”
“Ma penso di poter iniziare subito se necessario..” rispose con un filo di voce il biondo. Era stanco morto, ma non poteva lasciarlo trapelare così facilmente.
“Abbiamo molte stanze qui, se vuoi riposare ti lascio le chiavi per il tempo in cui ti tratterai. Ci rivediamo domani mattina presto, Deidara..” concluse con voce ferma, senza lasciare spazio ad altre domande.
Deidara non sapeva se accettare o meno la sua proposta, ma preferì prendere una stanza al villaggio, si sarebbe sentito più a suo agio in un posto lontano da tutta quella sorveglianza e da quelle somiglianze.
Raccolse le forze e tornò indietro, fermandosi ad una locanda piuttosto accogliente lungo la strada: la sala principale profumava dei mille sapori di Suna, la camera da letto superiore era piccola ma accogliente, dotata di ingresso e di bagno; la luce soffusa e il letto piccolo e soffice rientravano perfettamente in regola con la piccola stanza. Mangiò velocemente la cena al bancone della locanda, scambiando alcune parole con l’uomo dall’altra parte, piuttosto anziano ma simpatico. Si trovava bene anche in un posto del genere, dopotutto.
Dopo salì al piano di sopra per farsi un lungo bagno e andare a dormire, era esausto.
Aprendo la porta della stanza, notò un piccolo bigliettino sul pavimento al quale non fece molto caso, anche se era sicuro di non averlo visto prima. Lo raccolse, ma ancora prima di leggerne le parole sapeva chi poteva avercelo messo.  
Il profumo di legno appena tagliato, la carta spessa e appena lavorata non lasciò molto spazio alla sua immaginazione. Sasori era stato lì, in un modo o nell’altro.
“Ti aspettavo” erano solo due parole incise nel foglio con inchiostro indelebile.
Esplosione dei sensi, non riusciva a ritrovare lucidità, ancora perso nell’estasi di quel piccolo gesto.
L’aveva seguito? Come poteva sapere dove fosse? Sapeva a malapena il suo nome.. Magari non era lui.
Pochi passi ed entrò in bagno, il cuore aveva ripreso a battergli senza sosta, non riusciva a ragionare, aveva bisogno di rilassarsi una volta per tutte, perciò non accese neppure la luce entrando, convinto che quel bagliore avrebbe spezzato per sempre l’incantesimo. La lieve luce che filtrava dalla finestra socchiusa gli bastò per aprire l’acqua della vasca da bagno, calda, tanto per cambiare.
Come se lui non scottasse già abbastanza, pensò.
Svestendosi, poco a poco si immerse in quella vasca rilassante, chiudendo gli occhi, inebriato dal profumo del legno presente in quella stanza.
Gli sembrava quasi che quell’odore potesse aumentare, diventare concreto. Tutta la locanda era di legno, com’era tipico da quelle parti, ma l’odore sembrava essere diverso, più fresco. Scivolando sempre più a fondo nella vasca, immerso fra calde acque e caldi pensieri, trasalì. Qualcosa, qualcuno, gli stava accarezzando il braccio.
Cosa?!?
Afferrò velocemente il bordo della vasca, smuovendo l’acqua come risvegliatosi da un incubo, cercò il contatto con la realtà -perché non era più tanto sicuro di saperla distinguere-. Attorno a lui il buio.
La fioca luce della luna gli permise appena di vedere ciò che mai si sarebbe aspettato: due labbra perfette, a pochi centimetri da lui. Quelle labbra.
“Te l’ho detto che ti stavo aspettando..” un sussurro, parole evanescenti.
Stava sognando, stava sicuramente sognando. Si era addormentato nella vasca e la sua artistica immaginazione l’aveva portato un po’ troppo oltre i suoi soliti pensieri.
“..Tu qui?” rispose piano, ancora stordito.
“E chi altrimenti..?” Un altro sussurro.
Un istante e le loro labbra si unirono in una danza lenta, vellutata, intensa. Se avesse dovuto dare una definizione di estasi, sarebbe stata quella: imprevedibile, coinvolgente, inebriante.
Nulla di ciò che stava accadendo in quella stanza aveva senso, Deidara stava baciando uno sconosciuto a bordo vasca, senza riuscire a distingue il sogno dalla realtà, ma in quel vortice d’oscurità, lo sapeva, non voleva svegliarsi.
 
  
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