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Autore: Kitthex    20/04/2008    4 recensioni
AGGIUNTO SESTO CAPITOLO! ! Non voglio donarvi la solita, sfiancata immagine dell’eroina buona e sincera,vi offro qualcosa di più marcio e veritiero..
Genere: Dark, Sovrannaturale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La bellezza mi ha sempre preceduta, ovunque io mi recassi

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La bellezza mi ha sempre preceduta, ovunque io mi recassi.

Avrei potuto tenere le mie morbide labbra serrate e sarei stata comunque il centro indiscusso dell’attenzione.

Avrei catalizzato sguardi e cuori, anche se è un altro organo maschile il più attivo in questo casi: il sangue stesso scorda di irrorare tutto il corpo e si lascia attrarre felice dalla forza di gravità…

La giovane e bella figlia di Amerigo Treschi, ricco mecenate e mercante conosciuto e riverito: questo ero per tutti quegli arroganti nobili senza spina dorsale che si atteggiavano a padroni persino in casa del loro ospite più illustre.

A nessuno importava che sotto i miei lucenti capelli ci fosse un cervello ben funzionante, che dietro lo splendido paio d’occhi che li fissavano transitassero pensieri pungenti e che le labbra ben disegnate facessero da argine ad un fiume di parole irriverenti.

Ma questo non m’interessava, avevo mille armi per ridicolizzare gli stolti: cantavo le mie rime, danzavo sulle mie note, recitavo i miei versi e tutto con una maestria innata, con la passione delle arti che mi scorreva impetuosa nel corpo, caldo ed invitante.

Ognuno era libero di vedermi come una bella bambola, ma solo gli stolti non avrebbero cambiato idea dopo aver assistito alle mie esibizioni.

Solo gli sciocchi avrebbero continuato a pensarmi come un involucro vuoto ed attraente.

Ero riuscita a convincere mio padre a permettermi di esibirmi, durante le lunghe e importanti cene d’affari che spesso organizzava nella sua elegante dimora. Il mio talentuoso fratello minore accompagnava i miei deliziosi vocalizzi con il suo violino, mentre entrambi ci godevamo gli sguardi ammirati degli presenti.

Nel mio narcisismo agognavo la perfezione di mente e corpo, desideravo che la mia bravura fosse riconosciuta, apprezzata ed ammirata. Bramavo che il mio corpo fosse contemplato, desiderato e posseduto… e non necessariamente le due cose erano distinte: vi è un’arte in cui le membra e l’abilità sono i migliori interpreti. Un’arte in cui il movimento diviene selvaggio e violento pur mantenendo la sua struggente e fragile vibrazione.

Odiavo l’ipocrisia della nobiltà, detestavo i respiri viscidi e le proposte appena sussurrate all’orecchio con la voce impastata dalla lussuria trattenuta dal bisogno di fingersi immuni al desiderio carnale.

Non sapevano cosa volesse dire comportarsi da uomini, erano solamente bell’imbusti con troppi soldi in tasca, che avevano fatto perdere loro anche la capacità di conquistare una donna, abituati com’erano a comprarsela agli angoli delle vie. Scappavo spesso da quella dorata prigione per cercare svago.

Camminavo per le strade della mia Venezia, sui romantici ponti, che si affacciano tutt’ora con i loro dolci archi sulle acque calme della mia città. Rimanevo lì per ore ad osservare i cambiamenti affascinanti dei flutti.

Di tanto in tanto mi si affiancava qualche bel giovane, intento a guardare me o la luna, oppure entrambe le cose quando la signora argentea si rifletteva nei miei occhi scuri. Accadeva che turisti e viaggiatori mi proponessero serate mondane all’insegna di sensi confusi e corpi accaldati, ma il più delle volte declinavo gentilmente l’invito, sorridendo..

Il più delle volte..

Quando invece accettavo le loro offerte, una girandola di avvenimenti senza nesso coerente mi trasportava nelle luminose notti della mia splendida città, li accompagnavo nei locali più eccentrici di Venezia, ove i divertimenti erano talmente variopinti e stravaganti che nessuno sarebbe mai potuto rimanerne deluso! Ero la bella guida della Venezia decadente, il balenio di luci e colori che attirava i curiosi come le api sui fiori, tutti mi amavano pur senza conoscere nulla della mia vera vita.

Ballavano con l’affascinate veneziana delle calli, vestita di semplici stoffe, niente velluto o seta ad avvolgere il mio morbido corpo nei viottoli allegri di Venezia, semplicemente il mio splendore a fare di me la più ambita preda degli artisti scapestrati e briosi. Serenate nel romantico dialetto veneziano mi riempivano le orecchie ogni qual volta mettevo piede nei locali dei sfavillanti bassifondi della Serenissima.

Nel mio edonismo prediligevo il meglio in ogni eccesso. Ero viziata e capricciosa.

Innamorata di me stessa, tanto che mi perdonavo qualsiasi sbaglio senza portarmi rancore alcuno.

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Il salotto quella sera era gremito di persone. Li accomunava solamente la voglia di mettersi in mostra, di divertirsi mostrando le proprie abilità nei più svariati campi oppure sfruttando la sfavillante bellezza fisica, che sfoggiavano abbigliandosi nel modo più eccentrico e provocante che la moda dell’epoca permetteva.

L’incenso sparso nelle stanze della grande villa bruciava tranquillo, emanando un dolce aroma fruttato, che inebriava i sensi dei presenti, accomunato al vino rosso nei calici di cristallo. Ognuno brindava, suggellando le promesse più fantasiose, lasciandosi andare, le inibizioni sopite dal rosso liquido inebriante.

Il clima gioioso era tipico delle mie feste, dove ognuno era libero di vagare fra i sensi affinati dall’alcool. Tutto era permesso purché non venisse infranta mai la libertà del singolo.

La morale, fra le pareti decorate da deliziosi stucchi della mia dimora, perdeva di significato.

Persino camminando negli spaziosi corridoi della mia villa, incappavo in deliziose coppie di amanti, impegnate ad unire i loro innocenti corpi in uno unico.. La pelle calda lambita dal tappeto, che copre l’intero pavimento della mia graziosa casa. I giovani più intraprendenti allungavano addirittura le mani aggraziate ad afferrarmi dolcemente la caviglia nuda per baciarla con una passione trascinante.

Le risate accompagnavano la musica spensierata dell’orchestra, voci inebriate dall’alcool improvvisavano cori improbabili, qualcuno cantava il proprio amore per una donna appena sfiorata.

Ogni stanza nella mia enorme villa era occupata dagli ospiti, intenti a mettere in pratica le proprie fantasie più indecorose. Persino il mio adorato fratello era impegnato con una delle dame, che gemeva e si dimenava sotto il suo corpo armonioso e scattante. Appena si avvide della mia presenza all’entrata della stanza, lasciata come suo solito aperta, allungò una mano dalle lunghe dita delicate verso di me e, sorridendo, mi fece cenno d’avvicinarmi a lui. La ragazza rideva felice, sentiva il calore passionale di Alessandro infervorarle le membra, mentre scherzosamente lui le mordeva un polso, la deliziosa ragazzina m’invitava con ampi movimenti del braccio a partecipare al loro incantevole incontro..

Mi limitai a sorridere, la stanza era illuminata solamente da due candele poste sui comodini ai lati del magnifico letto a baldacchino. Le tende di pesante velluto carminio lasciavano entrare a sonnolenti sprazzi la luce delle fiaccole che illuminavano la strada delle calli di Venezia.

Alessandro accarezzava distrattamente il seno della giovane, abbandonata fra le sue braccia, mentre m’invitava con uno sguardo malizioso e acceso ad avvicinarmi a lui, ad accostarmi al letto.

Non era la prima volta che mi slacciava il corpetto, decorato di trine e perle, lasciandolo scivolare sul prezioso tappeto dai colori accesi e brucianti, che ricopriva il pavimento della stanza. La ragazza mi allentava i lacci della pesante gonna e dell’elaborata sottoveste , mentre le abili mani del mio adorato Alessandro percorrevano i dolci contorni della mia schiena. Sollevandomi le braccia premette possessivamente le calde dita sulla mia pelle vellutata. Le labbra percorrevano dolci e impertinenti ogni centimetro nudo del mio corpo, la sua compagna mi accarezzava le gambe, silenziosa e competente, una dolce marionetta i cui fili erano mossi dal mio bel fratello.

Baci, carezze ed un morbido materasso per scivolare nella pazzia gemente inflitta da due caldi corpi il cui unico scopo era dare piacere alla loro amata Rosa Selvaggia…

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Le labbra mi baciavano il collo, le mani esploravano la mia pelle sotto gli abiti, mi accarezzavano i capelli, massaggiandomi la nuca, sciogliendo lentamente l’elaborata acconciatura all’ultima moda..

I respiri del giovane sconosciuto trasmettevano l’urgenza mentre i movimenti, lenti e gentili, m’accompagnavano senza fretta verso l’abbandono.

Avvertivo l’eccitazione del mio compagno, la sentivo inequivocabile in ogni sua carezza, la fragranza del suo profumo d’ottima marca e del tabacco mi impregnava le narici, mischiandosi al balsamo dei capelli biondi, che mi sfioravano il collo. La lingua calda e bagnata mi scorreva sulla pelle, lentamente, soffermandosi ogni qual volta mi lasciavo andare ad un brivido di eccitazione..

I lacci pregiati del mio corpetto venivano slacciati con mani tremanti, quasi fossero talmente preziosi da temere di poterli rovinare. Lo sentivo ansimare alle mie spalle, il volto nell’incavo profumato della mia spalla, le braccia attorno alla mia vita, impegnato ad allentare l’elaborata fibbia della sfarzosa veste di velluto dorato. Le lusinghe si facevano sempre più sussurrate quasi non potesse controllare le parole che gli fluivano dalle labbra, atteggiate ad un sorriso più stupito che soddisfatto..

Era più giovane di me questo piccolo tesoro che avevo deciso di educare, l’avevo scelto per la sua bellezza elegante, per lo sguardo imbarazzato che esibiva ogni qual volta incontrava il mio nella grande sala da ballo. Si era comportato come se i miei occhi fossero pericolose armi di tortura, ardenti spiragli di bramosia appena contenuta dalle lunghe ciglia scure. Era assoggettato alla mia bellezza, senza possibilità di sfuggire al rosso filo del destino che oramai ci univa, in mio potere.

Non riuscì ad articolare parola quando mi avvicinai a lui con la semplice, innocente intenzione di chiedere che mi facesse ballare. Fu in grado solamente di fissarmi in un tal modo che, se gli ospiti lo avessero guardato, lo avrebbero immediatamente messo alla porta accusandolo di mancarmi di rispetto. Sorrisi quando giunsi finalmente di fronte a lui, non parlai neppure, allargai soltanto le braccia nude, invitandolo con lo sguardo a guidarmi nelle danze.

Mi rendevo conto di emanare uno splendore quasi materno, non era nelle mie intenzioni spaventarlo, volevo che si sentisse a suo agio fra le mia braccia, che rilassasse i muscoli, che sentivo tesi attraverso il velluto della sua elegante giacca. Anche se non sbagliava neppure un passo di danza il suo corpo era rigido, come se stesse tenendo fra le braccia una pericolosa pantera che, da un momento all’altro, gli sarebbe saltata alla gola.

Sentivo su di me gli sguardi dei miei parenti, se mi fossi presa il disturbo di voltarmi avrei visto un’aria preoccupata e torbida sul volto del mio potente padre. Avrei letto come un libro aperto quelle profonde rughe sul suo viso, scolpito dal tempo e dal sole di Venezia, con una sola occhiata avrei decifrato la disapprovazione per il mio abbigliamento, per i miei capelli, per i miei sorrisi, per il mio comportamento smaliziato e sfrontato. Avrei contemplato in un solo paio d’occhi la più estrema forma di biasimo e condanna mai accollata ad un solo essere umano.

Ma non mi girai. Conoscevo già tutti i pensieri del mio autorevole genitore senza doverli leggere di nuovo nei suoi occhi traboccanti dissenso, danzavo sulle soavi note di un valzer di Vivaldi, guidata dal giovane patrizio che si sforzava di non lasciar scivolare lo sguardo nella profonda scollatura del mio abito, mi lasciai sfuggire una leggera risata mentre rafforzavo la presa del ragazzo sulla mia vita, trascinandolo nel vivo delle danza. Avvertivo i piccoli cambiamenti del suo volto fanciullesco, il rossore dovuto alla vergogna nell’avermi così vicina stava lasciando il posto all’euforia provocata dal ballo in cui lo stavo inducendo a gettarsi. La mia lunga veste dorata volteggiava senza posa, scoprendomi addirittura le affusolate gambe candide, ridevo come non mi era mai accaduto alle noiose feste dei Consiglieri a cui mio padre portava me e Alessandro, la musica si faceva sensualmente incalzante e il mio adorabile fanciullo la seguiva con maestria e slancio squisiti. Mi stavo davvero svagando, come mai avrei sperato di riuscire a fare, e il giovane aristocratico pareva altrettanto compiaciuto, lo leggevo nei suoi begli occhi grigi che, ora, mi stavano fissando con ardore e impetuoso desiderio. Non c’era neppure bisogno che io gli dicessi il mio nome, che gli spiegassi dove poteva trovarmi se mai avesse voluto rivedermi: ero conosciuta da tutti i nobili di Venezia, mio padre, pur vergognandosi del mio atteggiamento, non aveva potuto tenere il mio nome lontano dalle bocche di tutti gli aristocratici della Serenissima. Sapevo che mi avrebbe cercata, ero certa che avrebbe fatto carte false per incontrarmi di nuovo, da soli e lontani dagli sguardi di saccenti giudici ignoranti.

Finita la melodia che ci aveva legati, mi svincolai dal suo abbraccio e con un sorriso me ne andai.

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