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Autore: Ciribiricoccola    20/04/2008    1 recensioni
Una storia in bilico fino all'ultima lettera. Una ragazza alla ricerca del suo principe azzurro.
Genere: Romantico, Triste, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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morte

Quando finalmente si fermarono, erano finiti davanti a un enorme castello fatto d’argento e ossidiana.

Sembrava una scultura, Irene ne era veramente impressionata e non riusciva a non restare a bocca aperta guardandolo, mentre stringeva la mano del ragazzo.
Sarebbe rimasta a contemplarlo par chissà quanto, ma lui la trascinò via, continuando a correre verso il portone principale, che spinsero insieme con non poca fatica affinché si aprisse e loro potessero scorrazzare in quelle immense stanze luminose che brillavano di luce propria, senza il bisogno del sole.

Correvano, correvano come dei matti, senza una ragione, solo per sentire il vento in faccia, e Irene vedeva sfrecciare davanti a sé le statue chiare d’argento e quelle nere di ossidiana, che decoravano i corridoi: sembravano fondersi insieme talmente stava andando veloce. L’unica cosa chiara e dai contorni perfettamente definiti che vedeva davanti a sé era la schiena del suo principe, coperta dal pesante impermeabile di pelle nera.

E questo le bastava.

Si fermarono di scatto soltanto quando giunsero alla terrazza di una delle stanze più alte del castello; rimasero entrambi attaccati alla ringhiera, piegati in due e con la ridarella e il fiatone addosso, le loro gambe non reggevano più.

Si accasciarono sul pavimento, lei con una mano sulla pancia, intenta a ridere, lui già in piedi, pronto a tenderle la mano per farla alzare.

“Guarda” le disse con un sorriso, mentre la tirava su. Irene si alzò e appoggiò le mani sul cornicione.
Il paesaggio era indescrivibilmente bello, anche con la pioggia furiosa che lo annebbiava.
I fulmini illuminavano il cielo, ne squarciavano il grigiore,e mettevano in risalto il rosso delle chiome dei platani e il verde dei prati.
“Tu” domandò Irene, incantata “vivevi qui da solo?”
“Sì” le rispose serio il ragazzo, abbracciandola da dietro e poggiando la testa sulla sua spalla “Sono sempre stato qui ad aspettarti”.
Lei mise le mani sulle sue e sorrise; mentre un lampo illuminava il bosco, disse: “Adesso sono qui”.
Si voltò a guardarlo e trovò due occhi scuri a fissarla con dolcezza, ma anche con desiderio.
Quello sguardo racchiudeva tante cose, tante emozioni represse nel corso del tempo e  che in quel momento stavano uscendo allo scoperto, libere, assolutamente selvagge.
In quel momento, uno tuono terribile colse le sue orecchie di sorpresa e la fece sobbalzare, nonostante non avesse più paura dei temporali da un pezzo. Si strinse a lui, che le circondò le spalle con un braccio e disse: “Vieni, entriamo”, mentre guardava il cielo come se volesse sfidarlo, come se gli stesse dicendo: “Non toccare la mia principessa, stà lontano”.

 
Chiuse con decisione la porta- finestra in ferro battuto che dava sulla terrazza e si voltò, sorprendendo Irene a guardarsi intorno un po’ smarrita.
“E’ la tua stanza?” gli chiese, le braccia che abbracciavano il busto, come se avesse freddo.
“Sì” confermò lui, togliendosi l’impermeabile e restando con una semplice camicia nera e i jeans dello stesso colore “Non ti piace?”
“Oh, no no, è che non avevo mai visto una camera da letto in un… in un castello… così…” balbettò lei, sentendosi goffa e inadeguata. Quella stanza era grande e un più cupa rispetto alle altre che aveva visto di sfuggita nel castello, ma soprattutto aveva un letto matrimoniale sfarzoso e con le lenzuola nere in seta. Era impossibile non notarlo, vista la sua ampiezza.
Il ragazzo sorrise divertito e, dopo essersi seduto proprio sul bordo del letto, le fece cenno di mettersi accanto a lui; Irene eseguì, un po’ insicura, senza smettere di guardarsi intorno, e lui le chiese: “Cosa c’è che non va?”
Il suo disagio era davvero notevole: tutto era successo così in fretta e in modo così apparentemente insensato che lei ancora non riusciva a capacitarsi di niente.
“Non so…” rispose, scuotendo dubbiosa la testa “Mi sento come se fossi nata oggi, non riesco a capire niente…”
Il ragazzo le prese le mani e, guardandola negli occhi, le disse: “Non c’è niente da capire. Siamo io e te. Qui. Di cos’hai paura?”
Irene esitò prima di rispondere: “… Di tutto! Io non so niente di te!”
Lui sorrise e dopo essersi avvicinato molto di più alla ragazza, ribatté: “Ma se mi conosci da sempre… mi hai sempre cercato… mi hai sempre tenuto dentro di te…”
Sì, ma… io… non so se ce la faccio, se sarò all’altezza di questa cosa, io…” balbettò lei, stringendo ancora più forte le sue mani, nonostante il suo pessimismo.
“Irene” la interruppe lui “Io sono tuo. Tu sei mia. Perché non dovresti essere all’altezza della situazione, se siamo fatti l’uno per l’altra?”

 
Vero.
L’uno per l’altra.
Anche se erano stati lontani per vent’anni, ovvero da sempre.
Anche se quella era la prima volta che si vedevano.
Anche se lui era una celebrità e lei una ragazza comune.
Anche se tutto intorno a loro era così strano.
L’uno per l’altra, oltre l’universo.

Lo strinse forte a sé e lo baciò, come se per lei fosse vitale, come se dalle labbra di lui uscisse linfa.
“Possiamo fare tutto, noi due insieme… tutto…” le disse dopo essersi staccato dalle sue labbra, mentre la stringeva e le mani cominciavano a muoversi sul suo corpo.

La fece sdraiare sul letto, tornando a baciarla, e lei lo trascinò con sé, stringendogli le braccia al collo.
Sopra il suo corpo caldo, la mano fredda spostò con calma la lunga gonna, con movimenti lenti e sicuri. Quando arrivò a sfiorare l’interno coscia, Irene ebbe un piccolo brivido, ma subito lo dimenticò, iniziando a sbottonare la camicia di lui, ed allargò di più le gambe.

 
Nonostante la pioggia fosse visibilmente aumentata e avesse iniziato a martellare leggermente ma distintamente i vetri della porta- finestra, i loro gemiti sovrastavano il rumore, da sotto quelle lenzuola nere, lucide, stropicciate e bagnate.

 
Soddisfando il desiderio, non facevano altro che alimentarlo; così, i loro corpi mai stanchi si fondevano più e più volte.
La pelle di Irene scottava e sudava, la sua lingua non aveva smesso un attimo di catturare quella del suo principe, ma stranamente ogni centimetro della sua pelle era freddo. Era visibilmente eccitato e chiaramente coinvolto, ma il suo corpo rimaneva pallido, gelido.
E poi cos’era quella sensazione strana che provava nel cuore ogni volta che lui la penetrava?
Era come un pizzicotto, un minuscolo ma puntuale dolore che non era riuscita ad ignorare, nonostante fosse completamente presa da lui, nelle cui mani si sentiva come argilla.

“Ancora… ancora… ancora…” lo pregava, stringendolo fino a fargli male e tenendo gli occhi fissi nei suoi, mentre respirava affannosamente insieme a lui.

Sembrava che avesse due lingue, venti dita, quattro gambe e due bocche.
Non le sembrava umanamente possibile che un ragazzo così potesse fare l’amore in quel modo per così tante ore,e ancor meno possibile le sembrava il fatto che anche lei stesse resistendo così a lungo.
D’un tratto, durante un orgasmo, proprio quando tutto era perfetto e i loro corpi erano aderiti perfettamente, un fulmine cadde sulla terra, seguito da uno scoppio tremendo e uno dei platani che, colpito, stava prendendo fuoco.

 

E il cuore di Irene perse un paio di battiti, lasciandola stordita mentre gridava di piacere.

Restò con gli occhi spalancati, rivolti verso l’albero in fiamme, quelle fiamme che l’acqua non stava vincendo.

Il ragazzo notò le fiamme riflesse nello sguardo di lei e chiese preoccupato: “Che cosa c’è?”

Non rispose, mentre dai suoi occhi macchiati di rosso una lacrima veniva giù.

“FLAVIO” gridò il suo cuore con voce strozzata, perdendo sangue.

Sentì la mano fredda di lui sfiorarle piano il viso.

“Amore mio, dimmi che cos’hai!”

“Amore mio, dimmi dove devo andare” urlò di nuovo il suo cuore, rifiutando di smettere di battere.

“Irene!” la chiamò con voce ancora più ansiosa lui, invano.

La sua testa, i suoi occhi, il suo cuore, il suo corpo, tutto di lei si stava tendendo verso la luce emanata da quel fuoco, giù, nel bosco.

Nuda come un verme e incurante di essere tale, balzò fuori dal letto, spinse con violenza le ante della porta- finestra per aprirle e saltò giù dalla terrazza, senza pensare.

Ancora una volta, l’assenza di gravità la sorprese, ma stavolta le fece tirare un sospiro di sollievo: era sospesa per aria e, come un’aquila, stava puntando in picchiata verso la terra, seguita dal suo principe.
“Maledizione, vola anche lui!” pensò terrorizzata, cercando di accelerare il suo volo.
“Irene!!! Irene!!!” lo sentiva gridare, completamente mutato nella voce che, da carezzevole e seducente, era diventata rabbiosa, spaventosa come quella di un padrone cattivo che stava per frustare il proprio schiavo.

Finalmente i suoi piedi nudi toccarono terra; fu allora che si mise a correre esattamente come se ancora fosse nel bosco nero: velocissima, ansiosissima, instancabile, ma stavolta con il proprio cuore da salvare.
Quel cuore che batteva impetuoso e vomitava sangue a iosa ad ogni “tum” da lei percepito.

L’albero ormai era vicinissimo, poteva sentire le fiamme scoppiettare, quasi come se la stessero chiamando.
Le venne da sorridere: ce l’aveva quasi fatta.

“NO!!!” gridò la voce di lui alle sue spalle.
Prima che potesse anche solo pensare di fare qualcosa, si sentì trascinare brutalmente a terra per i capelli: qualcosa di mostruosamente forte l’aveva afferrata e la stava tirando indietro.

“TU SEI MIA!!! MIA!!!!” le gridò lui.

Irene si voltò per guardarlo e cacciò un urlo di terrore: le sue belle mani curate erano diventate rami neri e secchi, gli stessi che nel bosco nero l’avevano graffiata e che ora la tenevano per i capelli.

I suoi profondi e dolci occhi scuri erano diventate orbite nere e vuote che sprigionavano una cattiveria inaudita.

E il suo alito sapeva di vecchio, di decomposto.

“NO, NO, NO, NO!!!” strillò lei, in preda al panico, iniziando a piangere.

In quel momento, le fiamme dell’albero produssero non solo scoppiettamenti e calore, ma anche una voce.
Una voce flebile, ma udibile, che le fece spalancare gli occhi per la gioia.

 Tage gehen vorbei
Ohne da zu sein…

 „FLAVIO!!! FLAVIO!!!“ iniziò a gridare, cercando di divincolarsi da quella mano ramosa che non voleva lasciarla, mentre lui ringhiava e stringeva gli occhi.

 Alles was gut…
Alles ich und du…
 

„Io e te,

io e te,

io e te!”

gridò il suo cuore, pompando più sangue che mai.

Irene mise le mani su quei rami che le stavano schiacciando la testa e con un grido che riecheggiò per tutto il bosco li spezzò.

Mentre lui urlava per il dolore e la rabbia, lei ricominciò a correre.

Geh…

GEH!

“Flavio, amore mio, sto arrivando!” pensò, tendendo un braccio verso una lingua di fuoco.

Sentì l’acqua bagnarle la testa e il fuoco sfrigolare.

“Illusa!!! Lui non ti pensa più!!! Ti vede già morta!!! Le senti le sue lacrime,eh?! LE SENTI?! Resterai qui con me!!!” le gridò dietro il ragazzo con un ghigno malefico sul viso, mentre dal suo ramo spezzato usciva sangue nero e vischioso. 

Wenn du jetzt gehst…

“NO!!!” gli gridò dietro Irene, con le mani tremanti in cerca di un ramo che ancora bruciasse di una fiamma viva.

La trovò.

Un ramo piccolo ma con una fiamma ostinata che sembrava addirittura tendersi verso di lei.

La toccò con una mano e fece appena in tempo a vedere il suo principe, ora deformato, che si accasciava a terra, gridando come un’aquila ferita; la sua pelle era diventata nera come l’asfalto, ormai non aveva più niente di umano.

Non era più il suo principe.

Una luce abbagliante la avvolse, costringendola a tapparsi gli occhi con le mani.

 

BLEIB…
   
 
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