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Autore: DezoPenguin    08/11/2013    1 recensioni
Nella Londra vittoriana, la ricerca di un appartamento poco costoso in cui vivere costringe Natsuki a trasferirsi con una giovane donna...nessun premio se indovinate chi è...il cui insolito lavoro apre per lei un mondo di misteri e di segreti. AU, prima parte di una serie.
Genere: Drammatico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Natsuki Kuga, Shizuru Fujino
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementary My Dear Natsuki'
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NDT: Questa è una traduzione. Potete leggere l'originale qui. Lasciate una recensione, se vi va, così potrò mandarla a DezoPenguin.

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Note dell’autore

Alcuni di voi sapranno che non sono un fan sfegatato degli AU. Sì, li leggo, ed alcuni di essi sono nel novero delle mie storie preferite, ma credo che la maggior parte di questi racconti, anche i migliori, ricadano in quella categoria in cui gli AU sono interessanti e ben scritti, ma i personaggi canonici potrebbero benissimo essere protagonisti originali che per caso hanno i nomi e l’aspetto di facce che già conosciamo. Mantenere l’equilibrio tra la storia originale e la nuova ambientazione è una faccenda delicata e nella maggior parte dei casi non funziona.

Allora vi chiederete perché diavolo ne sto scrivendo uno, o ancor peggio, perché la mia prima storia in questo particolare fandom sarà un AU? E, ancora peggio, perché questa sarà la addirittura la prima di quello che si propone essere un gruppo di sei o sette storie brevi?

Onestamente, parte del motivo è che tutto quello che potrei dire riguardo questi personaggi nel loro solito universo è già stato scritto, ed è stato scritto meglio di quanto io potrei fare. Ci sono delle bellissime Shiznat in questa sezione. Ed in parte l’ho fatto perché l’idea è saltata fuori dal nulla, mi ha morso il sedere e non ha voluto mollarmi. E poi, ehi, Mai Hime ha già due universi alternativi canonici, vale a dire Otome e Destiny, giusto?

Quindi, o farò un buon lavoro e vi divertirete, o farò schifo e potrete segnarmi a dito e ridere di me… quindi vincete in entrambi i casi.

Un paio di note:

1. Anche se ho allegramente saccheggiato i cognomi dei personaggi di Otome perché si adattano meglio allo scenario, la versione dei personaggi che troverete qui è quella di Hime.

2. Di proposito, ho regalato a Londra una comunità giapponese più estesa e vivace di quella che, per quanto ne so, esisteva lì alla fine dell’ottocento. Allo stesso modo, anche se una Sherlock Holmes di sangue misto mi avrebbe dato terreno fertile per un’interessante esplorazione dei pregiudizi sessuali e razziali nell’Inghilterra vittoriana, questi problemi saranno ignorati per far funzionare la storia. Potete far finta che il famoso sorriso di Fujino e l’Occhiata della Morte di Kuga uccidano detti pregiudizi ancor prima che si manifestino.

3. Anche se il modo di parlare non sarà del tutto moderno, non userò il modo di esprimersi pseudo-vittoriano che adopero per i miei racconti gotici. Scrivere mantenendosi nel personaggio è già abbastanza difficile così com’è.

4. Un bonus per ogni citazione o cameo da ‘Uno studio in rosso’ che vi riuscirà di trovare!

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Elementare, mia cara Natsuki-Capitolo 1

La mia amicizia con lei cominciò in un modo tanto ordinario e prosaico che a malapena riesco a credere che sia accaduto così. Dopotutto, un avvenimento che cambiò la mia vita… no, che cambiò me… in modo così profondo, avrebbe dovuto essere chiaramente sottolineato e celebrato.

Con dei fuochi d’artificio, forse. O una parata. Sarebbe stato giusto così.

Ma non accadde in questo modo. Invece, mi prese alle spalle. La vita è così, fa sempre del proprio meglio per cogliermi di sorpresa.

Anche lei è fatta così. Forse questo spiega tutto.

Nella tarda estate del 1898 mi ritrovai ad affrontare una serie di inconvenienti finanziari. A quanto pareva mio padre aveva deciso che diciannove anni trascorsi a mantenere la figlia della sua defunta amante erano stati più che sufficienti. Negli ultimi quattro anni avevo avuto un proficuo accordo con la preside del collegio femminile che avrei dovuto frequentare: mi dava subito tre quarti del denaro che mio padre le inviava per il vitto, l’alloggio, l’istruzione, gli abiti oltre ad una grossa somma per le spese personali – ad essere sinceri, Gerhart Kruger era stato molto generoso finché si era trattato di aprire il portafoglio invece del suo cuore – mentre lei intascava l’ultimo quarto e mi concedeva di fare quello che volevo. Non era stata nemmeno costretta ad inventarsi entusiastici rapporti sui miei progressi negli studi, visto che nessuno si era preso il disturbo di farle domande su di me.

Questo accordo aveva portato vantaggi ad entrambe. Sfortunatamente, l’albero del denaro aveva perso la sua ultima foglia.

Come probabilmente vi aspetterete, un’adolescente di scarso giudizio con un bel po’ di denaro a disposizione tende a farsi sfuggire le cose di mano. Tuttavia non si trattava solo di procurarmi lussi e libertà; una buona parte delle mie attività richiedeva denaro. Specialmente quando ero più giovane, soldi ben spesi mi avevano tenuta al sicuro finché non avevo sviluppato le capacità e il cervello per farlo da me.

Non ero stata una completa idiota, naturalmente, avevo risparmiato qualcosa qua e là ed avevo reinvestito il mio capitale. C’erano moltissime persone a Londra che avrebbero ucciso per una rendita di undici scellini e sei pence al giorno. Per quanto mi riguardava, comunque, avevo bisogno di ridimensionare le mie spese quotidiane.

La spesa più onerosa era costituita dal fatto che risiedevo in un piccolo hotel che offriva comodità, affidabilità ed un plotone di camerieri efficienti che si occupavano delle faccende di ogni giorno. Questo doveva cambiare; avevo bisogno di un appartamento ad un prezzo conveniente.

Mi stavo lamentando di questo fatto con Mai, cuoca e proprietaria del mio ristorante giapponese preferito. A dire il vero è l’unico ristorante giapponese che frequento, visto che preferisco la cucina occidentale. Comunque, mi fa piacere rendere omaggio al mio retaggio culturale almeno per quanto riguarda la gastronomia ed il cibo di Mai è dannatamente buono. Inoltre, lei è una dei miei pochi, veri amici.

"Sai, non sei la prima persona che mi dice una cosa del genere, oggi," rispose Mai. "A pranzo una giovane signora stava dicendo che è un vero peccato che non riesca a trovare una coinquilina per un appartamento che vorrebbe prendere in affitto."

Una testolina scura fece capolino da dietro il bancone.

"Dovresti parlarle!"

"Mikoto! Se hai tempo per chiacchierare, porta questo ordine al tavolo tre.”

"Sì, Mai," cantilenò la ragazzina e prese il vassoio con le ciotole di ramen che Mai le porgeva. Come sempre, Mikoto ignorò il tono di rimprovero della sorella adottiva. Da quanto ne sapevo, Mikoto era stata mandata in Inghilterra a vivere con suo fratello, solo per scoprire che era scomparso, forse morto. Sarebbe senz’altro finita a vivere per strada se Mai non l’avesse presa con se’. Nonostante il suo tragico passato, ogni volta che la vedevo Mikoto aveva un sorriso allegro sul viso. Ma comunque non sapevo da dove venisse, quindi forse vivere con Mai e tutto quel ramen da mangiare per lei era stato un miglioramento.

"A dire il vero, Natsuki, Mikoto ha ragione. Forse dovresti provare. Potrei presentarvi."

Mai era fatta così. Esprimerle i tuoi sentimenti poteva essere pericoloso, perché avrebbe cercato di rimettere a posto quello che non andava.

"Non lo so. Dividere la casa con un’estranea, inciampare nella sua roba o svegliarmi di soprassalto quando torna a ore strane, domande insistenti su che cosa faccio…"

Mai rise, per nulla impressionata dalle mie lamentele.

"Semplicemente non vuoi nessuno tra i piedi, Natsuki. Sai essere così chiusa, a volte."

"Hai paura che ti rubi la tua collezione di lingerie?" cinguettò Mikoto mentre tornava indietro.

"Mikoto!"

Sorbii la mia zuppa, mentre arrossivo fino alle orecchie. I bambini riuscivano sempre a trovare il modo di metterti in imbarazzo. Mai, d’altra parte, aveva colpito nel segno. I miei affari erano, stranamente, affari miei. Dico ‘stranamente’ perché la maggior parte della gente pareva dissentire. Ficcanasare e spettegolare era un lavoro artigianale.

Comunque Mai aveva ragione anche da un altro punto di vista. Se volevo un posto ragionevolmente comodo, allora sarei stata costretta a trovarmi una coinquilina. E ripensandoci, questa persona che Mai aveva menzionato sarebbe sempre stata meglio di un'estranea qualsiasi. Dopo tutto, almeno avevamo qualcosa in comune. E Mai l'aveva definita 'una giovane signora', non 'una donna', questo doveva pur voler dire qualcosa.

"Va bene, Mai," cedetti. "Presentaci pure."

"Fantastico! Allora voltati."

Battei le palpebre, sorpresa, poi mi voltai. Sulla soglia c’era una ragazza alta vestita, figurarsi, con un tradizionale kimono giapponese, viola pallido e ricamato di glicini. In contrasto con il suo abbigliamento i suoi capelli erano castano chiaro, quasi biondi, ed i suoi occhi erano rossi-non come quelli di un albino, ma rosso intenso, scarlatti quanto i miei erano verdi.

"Signorina Viola," la salutò Mai. "Bentornata. Sono sorpresa di vedervi qui due volte nello stesso giorno."

"Beh, non ho ancora trovato una nuova casa, quindi non è facile fare una buona cena. Il mio hotel non serve cibo giapponese.” La sua voce aveva un lieve accento, come una cantilena.

"Per la cena possiamo certamente aiutarvi e forse abbiamo una soluzione anche all’altro vostro problema."

"Ara, mi avete trovato una coinquilina?"

"Esattamente! Signorina Shizuru Viola, questa è la signorina Natsuki Kuga."

"Ehi," buttai lì.

"Sii gentile, Natsuki."

"Sono lieta di conoscervi," brontolai, tendendo la mano alla nuova arrivata. I suoi inquietanti occhi rossi mi studiarono, mentre lei mi prendeva la mano e la stringeva. Ovviamente stava prendendo nota del fatto che indossavo una camicia da uomo, pantaloni e stivali invece che un abito da donna, anche se ben presto avrei scoperto che lei, di me, non vedeva semplicemente la superficie.

"Altrettanto… Natsuki."

Rimasi sopresa dal fatto che avesse deciso di chiamarmi per nome. Forse perché Mai si era rivolta a me a quel modo? Il suo sorriso tranquillo, perfino sereno, non corrispondeva affatto al tono lievemente provocante della sua voce.

"Natsuki stava giusto dicendo che sta cercando un alloggio a buon prezzo," disse Mai.

"A buon prezzo lo è di certo. Il posto che ho trovato è una suite in Baker Street, piacevolmente arredata, ma un po’ troppo costosa per un solo affittuario. Per due, invece, la somma è abbastanza economica. Questo dovrebbe far piacere alla vostra frugalità tedesca. Anche se spero non facciate pratica con le armi da fuoco dentro casa? Il fumo è una cosa, ma credo che la polvere da sparo in casa dovrebbe limitarsi al tè."

"Un attimo, come-?"

Il suo sorriso diventò malizioso.

"La struttura del vostro viso mi ha suggerito le origini tedesche, anche se c’è sempre l’immigrazione da considerare. Il resto me lo ha detto la vostra mano." Sollevò la mia. "Visto? Tracce di polvere da sparo sul dorso delle dita e macchie di nicotina sulle punte."

"Sto cercando di smettere," mormorai, imbarazzata. Fumare non si addiceva ad una signorina, per questo molte ragazze che non erano soddisfatte del ruolo imposto loro dalla società fumavano. Quando avevo cominciato non l’avevo fatto per motivi politici, ma solo perché cercavo di sembrare ribelle in modo giovanile. Da qui l’imbarazzo.

Gli abiti maschili e le pistole, d’altro canto, erano solo per motivi pratici. Una ragazza deve saper badare a sé stessa, dopotutto.

Tuttavia mi sorprese, e mi preoccupò un po’, che in un paio di occhiate Shizuru avesse capito così tanto di me. Non mi piaceva che la gente ficcanasasse nella mia vita e sembrava che questa donna non avesse nemmeno bisogno di farlo per trovare le risposte.

D’altra parte non mi aveva fatto le domande più ovvie. Non aveva chiesto perché preferissi gli abiti maschili (come stile se non altro, infatti non stavo facendo nulla per nascondere il mio vero sesso) o perché facessi pratica con le armi da fuoco. Erano cose che mi sarei aspettata di sapere riguardo ad un coinquilino, ed erano certamente più importanti della nazionalità.

Quel sorriso simile ad una maschera mi disse che quella era una donna che comprendeva i segreti. Poteva notarli più di molte altre persone, ma non necessariamente avrebbe rivelato quello che sapeva o mi avrebbe dato fastidio.

Meglio lei, pensai, di un’impicciona… anche una troppo stupida per essere più di una seccatura.

"Baker Street, avete detto?"

"Ara, allora siete interessata!"

"A caval donato non si guarda in bocca, eccetera eccetera."

"Allora dopo cena vogliamo andare a visitare le stanze e scoprire se sono di vostro gradimento?"

"Per me va bene," acconsentii.

Le stanze al 221B erano tutto quello che avrei potuto sperare: due camere da letto ed un grande, luminoso soggiorno che offriva una comodità paragonabile a quella del mio hotel. La proprietaria era una donna dai capelli rossi, di origine scozzese, che smentì tutte le insinuazioni solitamente rivolte ai suoi conterranei riguardo il loro attaccamento al denaro, visto quant’erano ragionevoli i termini di affitto. Un po’ del merito andò anche a Shizuru, che con i suoi abili complimenti fece arrossire la signora. Tenni la bocca chiusa in modo da non rovinare tutto. Firmammo il contratto immediatamente e ci trasferimmo il giorno successivo.

Le prime settimane con la mia coinquilina sembrarono confermare la mia decisione nell’accettare il trasloco. Shizuru non mi fece mai una singola domanda riguardo le mie attività, anche quando mi costringevano ad andarmene ad ore strane – nemmeno in quella memorabile occasione in cui arrivai a casa sporca e con gli abiti strappati, dopo che avevo convinto diversi gentiluomini che il mio insolito abbigliamento non si accompagnava con la preferenza per insoliti atti sessuali. Al contrario, Shizuru mi dava il benvenuto quando tornavo, mi salutava quando me ne andavo e durante i pasti chiacchierava piacevolmente di politica o degli ultimi titoli dei giornali o di un romanzo che stava leggendo o di qualsiasi altra cosa a parte i nostri fatti personali.

C’era il rovescio della medaglia comunque, ed era il fatto che, visto che non voleva invadere la mia privacy, lei era altrettanto reticente riguardo se’ stessa. Stranamente, invece di essere confortata da questo atteggiamento, mi sentii provocata. Forse perché c’era già un mistero nella mia vita e non avevo bisogno di averne altri o forse perché ero più curiosa di quanto fossi disposta ad ammettere. Qualunque fosse la ragione, l’enigma che era Shizuru Viola mi affascinava.

La cosa più evidente di lei era che era in contatto con il lato giapponese del suo retaggio molto più di me, nonostante – o forse perchè – il suo aspetto potesse passare per europeo. Tendeva ad indossare kimono quando stava a casa, ed almeno una volta su tre quando usciva. Metà dei suoi libri – e ne aveva moltissimi – erano in giapponese, sulla scrivania teneva un set di penne assieme ad inchiostro e pennello per la calligrafia, ed usava entrambi con la stessa frequenza. La sua scrittura era squisita sia con i caratteri latini che con quelli giapponesi, al punto che capii per la prima volta il perché la calligrafia venisse considerata un’arte e mi vergognai un po’ della mia grafia così sgraziata. E poi c’era il tè.

Nella mia vita non avevo mai incontrato qualcuno che fosse devoto al tè quanto Shizuru. Lo beveva allo stesso modo in cui certa gente assume tabacco o alcol; era sempre presente, un incentivo per leggere o scrivere, o semplicemente per stare seduta e riflettere. In genere era tè verde, bevuto da una tazza senza manico, ma andava ben oltre. Almeno una volta ogni due giorni – o forse più, visto che non ero sempre a casa per assistere – lei officiava la vera e propria cerimonia del tè, con una grazia e una serenità che sembravano trasportare il nostro salotto inglese nella Edo medievale. Questo non era tutto, comunque; perché insisteva che ogni giorno fosse rispettata l’ora del tè inglese e in quei momenti presiedeva al vassoio con tutta l’eleganza di una vera padrona di casa. Una teiera di porcellana piena di Assam o Darjeeling e le varie aggiunte di latte, zucchero o limone erano trattate con lo stesso rispetto per la tradizione con cui teneva il frullino per la cerimonia giapponese del tè.

Personalmente io preferivo il caffè, cosa che sembrava sempre divertirla. Avevo idea che molto di quello che facevo la divertisse. Di tanto in tanto me lo faceva notare e mi prendeva in giro per qualcosa, ma sempre gentilmente e senza cattiveria. Io mi irritavo puntualmente, ma in un certo senso quegli scambi erano quasi affettuosi. Non avevo mai avuto qualcuno con cui condividere il genere di intimità rilassata che lascia spazio a provocazioni amichevoli. Eppure era un’intimità basata interamente su cose superficiali, visto che se avesse cercato di avvicinarsi di più a me con confidenze più profonde l’avrei semplicemente respinta. Spesso mi chiedevo se lo sapesse e se quindi si comportasse così di proposito, o se fosse semplicemente il suo modo di essere.

Comunque, l’aspetto di Shizuru Viola che più mi affascinava era il problema di che cosa, esattamente, facesse per vivere. Innegabilmente era una vera signora vista la sua educazione, quindi era possibile che non ‘facesse’ niente – che vivesse di una rendita proveniente dal patrimonio di famiglia. Tuttavia non riuscivo a crederci. Innanzitutto riceveva visite di persone di ceti così svariati che non riuscivo a dare loro un senso. Un ospite poteva avere la sobria rispettabilità di un uomo della City o la raffinata eleganza di un aristocratico o l’aspetto stazzonato di un commerciante o il sembiante malfamato di qualcuno che non metteva mai piede fuori dall’East End. C’era una donna che vidi almeno tre volte, una ragazza bionda della nostra età con un’espressione perpetuamente scocciata e vestita con abiti costosi e alla moda. Non c’era alcuna regolarità in questi incontri; a volte ne aveva due o tre al giorno, e a volte non vedevo nessuno per una settimana intera.

Di tanto in tanto usciva. Occasionalmente con uno dei suoi visitatori, a volte da sola. Comunque, da quanto potevo capire, passava la maggior parte del tempo nelle nostre stanze, molto più di quanto ne trascorressi io. Fondamentalmente era una persona pigra, ma era anche una perfezionista. Quando agiva, lo faceva con precisione e con l’obbiettivo di eccellere, ma solo quando era costretta, o così sembrava.

Come ho detto, era un mistero.

Anche adesso, ancora non so cosa l’avesse spinta ad attraversare la linea. Forse davvero era stato a causa del motivo che mi aveva detto, anche se ne dubito. No, lei aveva notato la mia curiosità nei suoi confronti – non poteva non notarla, vista la mia mancanza di sottigliezza ed il fatto che Shizuru era Shizuru – ed aveva deciso di darmi delle risposte. Forse ci pensava già da tempo e la lettera di quella mattina gliene aveva dato l’occasione. O forse l’arrivo della lettera le aveva fatto venire quell’idea all’improvviso. I ‘come’ di Shizuru potevano essere impenetrabili quanto i suoi ‘perché’.

Era mattino presto invece che inoltrato quando la lettera arrivò, consegnata a mano da un fattorino. Io ero ancora impegnata con la mia seconda tazza di caffè, quasi pronta ad unirmi alla razza umana, mentre Shizuru si stava godendo il tè dopo colazione. Che la lettera fosse importante fu provato dal fatto che lei mise da parte la tazza mentre leggeva. Aggrottò la fronte mentre rifletteva sullo scritto, poi alzò lo sguardo su di me con espressione contemplativa.

"Questo è un problema," annunciò. "Sembra che debba recarmi ai moli. È un posto pericoloso per una donna sola." Dopo una breve pausa aggiunse, "Natsuki potrebbe venire con me?"

“Che?" fu la mia brillante risposta.

"Natsuki è una persona pericolosa, vero? Mi sentirei più al sicuro se Natsuki fosse al mio fianco."

"Volete che vi faccia da guardia del corpo mentre vi occupate di uno dei vostri affari?”

Shizuru mi sorrise.

"Esattamente."

Il mio primo istinto fu quello di dire "Perché dovrei?" o qualcosa del genere. Ma era la mancanza di caffeina a parlare, perché mi resi subito conto che era un’occasione perfetta per conoscere meglio la mia misteriosa coinquilina.

"Suppongo non ci sia niente da fare," dissi. "Non possiamo permettervi di andarvene in giro a cacciarvi nei guai."

Si alzò in piedi.

"Sarò pronta fra dieci minuti allora. Sarebbe consigliabile chiamare una carrozza.”

Mi spazzolai i capelli per liberarli dal grosso dei nodi ed indossai una giacca che aveva l’unica funzione di provvedere delle tasche per le mie pistole. Invidiavo un po’ i pistoleri americani dei romanzi, che potevano tranquillamente andare in giro con le loro armi appese ai fianchi. Scesi e riuscii a fermare una carrozza nel momento in cui Shizuru faceva la sua comparsa al mio fianco, con indosso un abito da passeggio color lavanda, i capelli raccolti sotto un cappello inclinato ad un’angolatura sbarazzina. Quando aveva detto dieci minuti, l’aveva detto sul serio. Salimmo, lei diede l’indirizzo al cocchiere e partimmo.

 "Allora," dissi, "vi dispiace spiegarmi perché ci stiamo dirigendo verso la parte malfamata della città?"

"Ara, Natsuki è interessata a me?"

"Semplicemente non voglio sentirmi in imbarazzo quando arriveremo, non sapendo che sta succedendo, " negai. Almeno come scusa aveva il valore di essere vera, anche se non era la completa verità.

"Sarebbe fastidioso, vero? Questa è una chiamata professionale."

Le ruote della carrozza sussultavano rumorosamente sulle pietre del selciato.

"Professionale?"

"Per vivere faccio la consulente investigativa."

Un attimo, cosa…?

"Va bene, investigatrice lo capisco” – anche se non ero proprio in grado di figurarmi Shizuru in quel ruolo - "ma ho qualche problema con questa cosa della consulente."

"La maggior parte dei miei casi mi giunge di seconda mano, per così dire. Sia altri detective privati sia la polizia mi assumono quando hanno esaurito le opzioni, o a volte mandano i loro clienti direttamente da me. Direi che solo in un caso su dieci un cliente mi contatta senza l’intermediazione di altri, per questo dico che sono una consulente.”

"Capisco."

Avevo ancora qualche problema con l’idea che Shizuru fosse una detective. L’immagine di lei inginocchiata per terra ad esaminare impronte con la lente d’ingrandimento si rifiutava di prendere forma nel mio cervello, tanto era stravagante.

"Allora come funziona?" chiesi. "Intendo, cos’è che fate che loro non possono fare?" La frase fu pronunciata con un tono più rude di quanto volessi, ma lei non si offese.

"Osservazione e deduzione."

"Oh?"

"Natsuki ricorda la prima volta in cui ci siamo incontrate?"

"È un po’ difficile da dimenticare."

"È il genere di cosa che faccio per lavoro. Ho molte conoscenze specialistiche che applico ai fatti. Spesso le forze di polizia osservano i dati, ma non riescono a trarre le conclusioni corrette. In questo genere di situazione posso dare loro le risposte senza muovermi di casa. Altrimenti, posso dare indicazioni generali su dove devono cercare i dettagli mancanti, o recuperandoli io stessa o mandando qualcun altro a completare il puzzle."

"Quindi in pratica siete più intelligente di loro."

Shizuru rise dolcemente.

"Questo è un modo… diretto di descrivere la situazione."

"Ma alla fin fine è questo di cui si tratta, giusto?"

"Suppongo di sì," concesse. "Anche se preferirei dire che porto ad un problema un approccio diverso, che a volte può dare soluzioni quando i normali metodi investigativi non possono fare nulla."

Decisi che quella frase avrebbe avuto più senso se avessi saputo quali fossero i ‘normali metodi investigativi’. Considerati quanti crimini irrisolti c’erano a Londra, certamente non avrebbe fatto male.

"E voi riuscite a vivere facendo questo lavoro, eh?"

"Lo spero davvero, altrimenti Natsuki dovrà pagare l’intero affitto il mese prossimo."

"Idiota," brontolai, il che era, davvero, l’unica risposta sensata quando cominciava a canzonarmi a quel modo. "Allora, cos’è successo questa volta, che vi hanno chiamata invece di venire a farvi visita?"

"Secondo la lettera si tratta di omicidio, in circostanze che hanno lasciato confusa Scotland Yard."

La guardai negli occhi. Sfortunatamente, questa volta non mi stava prendendo in giro.

xox

Note del traduttore:

"Credo che la polvere da sparo in casa dovrebbe limitarsi al tè." in originale "I do think gunpowder should be confined to tea within the house."– Shizuru sta alludendo a una particolare qualità di tè nero chiamata Gunpowder, letteramente 'Polvere da sparo'.

  
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